Brevi saggi di Metafisica, Teoretica ed Estetica

Anni 2007 - 2011


Essay, 2011

147 Pages, Grade: Ph.D. Candidate in Philosophy


Excerpt


INDICE

Nota introduttiva

Una lettura di « Genèse et structure » et la ph é nom é nologie di Jacques Derrida: temporalità e metafisica del Λόγος (07/12/2007)

Una lettura di « Genèse et structure » et la ph é nom é nologie di Jacques Derrida: temporalità e metafisica del Λόγος, conclusione della “analisi” (14/12/2007)

Scritto sui primi cinque discorsi del Συµπ όσιον, attraverso l'interpretazione di Jacques Lacan (11/01/2008)

Scritto sul discorso di Socrate e sull'encomio di Alcibiade contenuti nel Συµπόσιον, attraverso l'interpretazione di Jacques Lacan (18/01/2008)

Una breve considerazione sulla figura dell'artista a partire da alcuni concetti klagesiani in rapporto col Werther di Goethe ed all'analisi di una lirica di Schiller (28/04/2009)...pag. 33 Spengler e la matematica del Der Untergang des Abendlandes. La Matematica, l' Apollineo, il Magico ed il Faustiano (04/06/2009)

Bello plotiniano ed Anima Bella dell' Eroe tragico di Schiller (29/01/2010)

Problematiche Temporali a partire dall'Idea di Weltbild in Heidegger e dalla concezione del Tempo dell'Essere in Sartre (02/02/2010)

La Riflessione Filosofica e la Scoperta Scientifica: la Ἀλήθεια, la Ἡδονή ed il Perch é della Ricerca (21/02/2010)

Forma-Formata e Metamorfosi in Auf den Marmorklippen. A proposito di Ernst Jünger e del Nazionalsocialismo (22/04/2010)

Il problema dell' Autentico-Tempo: la questione della Filosofia e dello Α - Χρόνος, la questione della Filosofia e del Linguaggio (28/07/2011)

NOTA INTRODUTTIVA

Nella presente monografia si vogliono proporre, per la prima volta, alcune mie riflessioni svolte tra gli anni 2007 e 2011, durante il mio periodo di studi presso l'Università degli Studi di Milano e precedentemente al Concorso del Dottorato di Ricerca. Questa pubblicazioneèstata voluta dal sottoscritto al fine di esporre il proprio percorso di crescita intellettuale, mostrando come alcune delle attuali tematiche delle mie ricerche, fossero già allora oggetto della mia curiosità filosofica.

Ad ognuno di questi saggi non sono state apportate particolari modifiche se non, nel caso in cui precedenza mancasse, l'aggiunta della bibliografia di riferimento ad ognuno di essi, ma in ogni caso, nessuno ha subito sostanziali modificazioni dal punto di vista riflessivo, né tanto meno nel proprio linguaggio di composizione. Accanto al titolo di ognuno dei saggièstata riportata la data dell'originaria composizione dello scritto.

UNA LETTURA DI «GENÈSE ET STRUCTURE» ET LA PHÉNOMÉNOLOGIE DI JACQUES DERRIDA: TEMPORALITÀ E METAFISICA DEL ΛΌΓΟΣ (07/12/2007)

Genesi e Struttura, due termini presenti nella Fenomenologia di Husserl, presentati come una forma di dualismo all'interno di essa, che vengono a trovarsi come in una sorta di competizione, inconciliabili, non visti unitariamente come alternativa l'uno all'altro, bensì categorie che a seconda del contesto primeggiano l'una sull'altra. Nel testo viene mostrata successivamente l' archi-struttura, edèda essa che parte la mia, così oso chiamarla, analisi; infatti all'interno di essa salta all'occhio teoretico, come il mio qui viene a dimostrare, il concetto di Ὕλη.

Ὕλη èla possibilità della genesi stessa,èla materia temporale, da tale concettoèpossibile desumere, questo grazie anche alla lettura di Le problème de la genèse dans la philosophie de Husserl, dello stesso Derrida, la questione del fluire del tempo: l'unione del passato- presente-futuro in unico flusso di tempo, poiché il presente fluisce nel passato, ma nella coscienza rimane traccia di questo presente-passato, che permane ritenzionalmente presente. Ritenzione da Derrida intesa come quella radicale non-presenza senza la quale la presenza stessa non potrebbe darsi.

Dal dualismo Genesi-Struttura individuato da Derridaèpossibile ancora osservare, tenendo conto di quanto Egli mostra e che qui per evidenza non riporterò, una riduzione della ricerca fenomenologica al suo carattere temporale, in cui centraleèl'indipendenza dell'Essere inserito in un flusso temporale e che tale flusso risulti essere a sua volta indipendente dalla coscienza, o dallo stato dell'Essere stesso. (A)

Quanto detto al blocco A porta alla considerazione che la ricerca husserliana converga verso una temporalit à costituita, tenendo presente il concetto di Ὕλη, si vede che attraverso questi poli di apertura, come nella stessa struttura trascendentale, si manifesta la necessità di una costruzione genetica, di una ricerca dell'origine, che porta ad una costituzione del tempo, con una costituzione dell'altro.

Questo venir meno della temporalità, che dovrebbe essere ricostituita dal processo genetico, porterebbe così in crisi la stessa Fenomenologia, o meglio, il suo principio metafisico cadrebbe in crisi; volendo dire la stessa struttura verrebbe meno rispetto questa infinità aperta dal vuoto-temporale. (B)

Quanto detto in A ed in B costituirebbe la sfera-trascendentale, da questa Derrida individua nel corso delle pagine una differenza tra Fenomenologia-Trascendentale e Psicologia-Fenomenologica, la cui congiunzione avverrebbe per uno scavalcamento della Gestaltpsychologie, si dovrebbe superare quel niente che impedisce la loro ricongiunzione per mezzo di una riduzione trascendentale che farebbe apparire l' origine del mondo. Da quanto detto segue una descrizione genetica che può avvenire per tre vie: logica, egologica e storica-teleologica;èproprio su questa ultima che si avvia l'analisi vera e propria, quella che io vengo qua a presentare. Nella descrizione storica-teleologica si cerca di comprendere una totalità degli esseri, v'è un'irruzione del Λόγος nel silenzio.

Da questo ci si potrebbe chiedere se Derrida ricerca nella lettura di Husserl un discorso metafisico all'interno della stessa Fenomenologia e quindi, v'è un discorso metafisico all'interno di quello fenomenologico? V'è una ricerca esplicita di una precocit à storica del Dasein, dell' In-Essere di Heidegger? Ricerca che poi avviene tramite il Λόγος ed il suo legame con la presenza, all'interno dello stesso sviluppo teoretico del pensiero? Tornando all'irruzione del Λόγος nel silenzio, si potrebbe trovare una risposta in quello che Derrida tenta di mostrarci, ovvero di una sorte di necessità da parte del Λόγος di prodursi nella Storia, di essere l'hegeliano Zeitgeist che ha caratterizzato non solo la metafisica, ma anche tutta l'impostazione del nostro pensiero, di essere manifestazione dell'Essere, dell'Essenza delle cose, che si manifesta per mezzo delle parole, quindi una nostra manifestazione dell'In-Essere, del nostro Essere-al-Mondo. Si può tentare di vedere da questo che si ha una costruzione della Storia nella parola che manifesta un particolare Zeitgeist, un particolare In-Essere. Questa costruzione devia però nel momento in cui si ha la scrittura, questo comporta il rischio, che si potrebbe definire come una sorte di corruzione della metafisica, dove le parole divengono segni, segni che si perdono nel tempo, che si svuotano di significato, privi di un mancato risveglio dello Zeitgeist, che portano con il proprio sé costitutivo, oppure della riattivazione di questo. V'è la possibilità di un simbolo chiuso, muto per sempre, di una scrittura come epoca critica; dunque si potrebbe quasi affermare che si accetta una sorta di de-potenziamento metafisico in cui viene meno l'In-Essere.

Dal Λόγος che si produce nella Storia si passa ad un Λόγος che si interpella da sé, in maniera auto-referenziale, che si interpella da sé come Τέλος. Un Λόγος che viene Nullificarsi fuori dalla Storia e dall'Essere, poiché la suaèuna discorsività finita, non assoluta, infinita, cheèall'infuori della temporaneità storica, uno Zeitungültige, poichéèlegato in quella sorta di contaminazione tra empirico e trascendente, esposta da Derrida nella sua critica a Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins di Husserl, dove v'è esposta una ricerca a tale proposito. Una ricerca forse in direzione critico-accusativa, se si notano le successive riflessioni di Derrida, relative alla metafisica della presenza, tematica riflessiva, questa, che si ricollega a questa particolare temporalità storica del Λόγος. Da notare la differenza rispetto alla riflessione sviluppata da Ricœur, in particolare dal Ricœur di Temps et r é cit, dove va posta l'attenzione al Tome III: Le temps racont é, specialmente al secondo capitolo “Temps intuitif ou temps invisible? Husserl face à Kant”.

Per concludere questa presentazione dei punti focali, torniamo al Λόγος che si interpella da sé come Τέλος, Derrida ritiene che questo si presenti ogniqualvolta Husserl parla dell' Idea in senso kantiana, Idea vista come progetto stesso della Fenomenologia, che la rende possibile, oltrepassando le sue strutture, oltrepassandola come sua sorgente o fine. L' apertura stessa del, cheèlo a-priori più potente della storicità, poiché ciò non lo rende statico, bensì lo rende quale possibilità stessa della nascita della storia e del divenire stesso, non assumendo quindi quella sorta di irrigidimento, tipico invece del Sistema di Hegel, dove lo Τέλος, in un certo senso, assume un significato quasi agli antipodi, rispetto quello che ora qui si presenta.

Quanto sièvistoèmotivo stesso di ricerca, ricerca che punta ad una riflessione sul fondamento storico stesso, sul terreno da cui sorgerà la Riduzione-Trascendentale, della riduzione trascendentale del tempo mondano da parte di Husserl, che gli permetterà in seguito di costituire tutto l'edificio della stessa analisi-fenomenologica, del suo proprio interrogarsi. Ovvero dell'interrogarsi su ciò che fu la sua autentica possibilità, quindi, l'interrogarsi della stessa possibilità dell'interrogazione, non fosse altro cheèquella stessa apertura di quello Io-trascendentale, dal quale Husserl fece partire le sue ricerche.

Per concludere il discorso, bisogna perciò domandarsi se dunque questa sorta di dualismo, vigente tra la Genesi e la Struttura, altro non sia che una copertura di quella che inveceèaltrimenti la loro stessa unità; forse la stessa unità che ha accompagnato Husserl nel suo intero percorso di ricerca?

Pare che Derrida sia giunto ad una conclusione analoga alla mia.

Bibliografia

J. Derrida, “«Genèse et structure» et la phénoménologie” in M. de Gandillac, L. Goldmann et J. Piaget, Genèse et structure, Editions Mouton & Co., Paris-Den Haag, 1965.

J. Derrida, Le problème de la genèse dans la philosophie de Husserl, PUF, Paris, 1990.

H. Husserl, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins (1893-1917), Martinus Nijhoff, Den Haag, 1966.

P. Ricœur, Temps et r é cit. Tome III: Le temps racont é, Les éditions du Seuil, Paris, 1985.

UNA LETTURA DI « GEN È SE ET STRUCTURE » ET LA PH É NOM É NOLOGIE DI JACQUES DERRIDA: TEMPORALITÀ E METAFISICA DEL ΛΌΓΟΣ, CONCLUSIONE DELLA “ANALISI” (14/12/2007)

In virtù della lettura della Prefazione di Sini e della Postfazione di Costa della traduzione italiana de La voix et le ph é nomène, di Jacques Derrida, riconfermo le conclusioni da me avanzate nel precedente scritto, corroborate da quanto letto nei due scritti sopra citati. Pertanto le conclusioni:

1) La scrittura, nonostante consegni al tempo la parola sotto-forma di scrittura, questo legarsi al simbolo, al significante, al gramma, compromette la stessa integrità del contenuto, del significato, dell'essenza; questo poiché la phon è, l'unità della parola, nella costruzione della Storia di questa,èrappresentazione di un particolare Zeitgeist,èil suo modo di essere e di lasciare traccia nella Storia. A questo proposito Carlo Sini sottolinea come Derrida ha ragione di affermare che questo segno comporta un privilegiamento della phon è, che Derrida tenta di strappare il segno dalla sua appartenenza metafisica per avere effetti de-limitanti, al punto che sièchiesto se non fosse possibile abbandonare lo stesso concetto di segno, per evitare la carica metafisica ed il logocentrismo in esso radicato. Una traccia, che dunque, se consegnata al tempo per mezzo della scrittura, che nell'effettivoèl'unico modo che possa consegnarla veramente al tempo, questa incorre nel rischio di compromettere il significato vero, quello dato dalla presenza e dal proprio In-Essere, dal Dasein. Poiché v'è rischio della possibilità di un segno vuoto oppure muto, che consegnato al tempo mantiene il suo guscio di gramma, ma non emana più l'essenza impressa nelle parole che, in maniera imperitura ed autentica, doveva essere consegnata al tempo. Questo poiché il simbolo permane immobile per mancata riattivazione, oppure rimane muto, nel momento in cui nessunoèpiù capace di riattivare l'essenza in esso presente, od anche, il simbolo viene riattivato; per questo si parla della possibilità e non della certezza del simbolo muto o vuoto, come mero guscio di segni. Simbolo riattivato il quale però non rilascia più l'essenza originale, perché chi lo riattiva porta con sé nuovi significati con cui caricare il segno stesso; questo dipende non solo dal fatto che ognunoèmanifestazione di un proprio Zeitgeist, ma anche per il fatto che il simbolo nonèunivoco, o rigidamente strutturato, anzi proprio per la possibilità di ambiguità e di non univocità del linguaggioèpossibile dare sfumature e caratteri differenti alla lettura, di dare una propria ermeneutica al testo che a sua volta nonèesente da interpretazioni. Quanto detto giustifica anche un'altra conclusione, che faccio qui confluire, per cui Derrida sembra ricercare un'anticipazione del Dasein heideggeriano, questo si giustifica guardando il senso metafisico della presenza e dell'espressione di essa, mediante lo strumento della voce, della phon è, che permette al nostro In-Essere di manifestarsi al mondo, di differirsi dal resto della mondanità e da altre espressioni dell'Essere. Questo può essere visto come un de- potenziamento metafisico del linguaggio che, in analogia con la già de-potenziata costruzione metafisica cristiana abbassa il Verbo a carne, portandolo da un livello più aulico ed aureo come era nelle parole di Ὅµηρος, ad livello quasi tattile come quello della parola scritta, che si consuma nelle interpretazioni e che nonèpiù legata all'In-Essere, alla presenza del suo produttore. Si ricordi anche l'identificazione operata da Derrida tra phonè, o spiritualità vivente del soffio, e la presenza della coscienza a sé, dialogo interiore con il sé, il monologo; Socrate ed il suo dialogare con il proprio Δαίµων, dove il discorsoèpuro immediato, dove si coglie il senso della presenza, il significato puro di quel cheèda dire, cheèciò che Husserl porrà poi nel monologo interiore, come la forma più alta e soggetta ad una minore contaminazione e interdizione di linguaggio. Come indica Costa però, Derrida mostra che nonèpossibile un'identità ideale del significato, ma piuttosto che esso trova la propria condizione di possibilità nel significante, che quindi, nonèdato il pensiero in forma pura, essoègià mediato dal segno, dal gramma, che si rappresenta nella nostra mente quando pensiamo al significato, quindi, questo porta a desumere che anche il monologo interioreèmediato, mediato dalla nostra stessa mente che visualizza il pensiero, il da-pensare nelle immagini dei segni. Il pensiero così posto nonèmai percepibile in forma pura, il da-pensare ègià mediato per una strutturazione del nostro pensiero, che ragiona ad immagini, a simboli, che quindi raffigura il suo operato sotto la forma di essi. Notare, a riguardo della presenza, quello cheèil desiderio di immortalità dell'uomo, un desiderio di natura platonica, per cui il dualismo anima-corpo che si ritrova in significato- significante, diviene identificazione col voler-essere-presente; quale un profilarsi della morte, come chiave di tutte le rimozioni messe in opera dal pensiero razionale. L'Essere, privilegiato nella sua identificazione con l'eternità per sfuggire al corpo ed al segno, diviene un riferirsi alla verità del senso che sarà poi proprio della Filosofia, questo voler andare-verso-il-vero, verso l' autentico senso, riconducibile anche ad una presenza manifesta senza interdizioni e mediazioni, che altrimenti ci priverebbe della sua propria purezza. Infine, a proposito di questa categoria tematica, confluisce un'altra conclusione da me fatta a proposito del Λόγος che si interpella da sé come Τέλος. Un Τέλος che Derrida ritrova ogni qualvolta Husserl parla dell'Idea in senso kantiano, un'Idea vista come progetto stesso della Fenomenologia, che la rende possibile, oltrepassando le sue strutture, oltrepassandola come sua sorgente o fine. L'apertura stessa del,èdunque lo a-priori più potente della storicità, ciò non lo rende statico, bensì lo rende come la possibilità stessa della nascita della Storia, del divenire. Un divenire che deve essere inteso in questo modo trascendentale, che si ricollega al fatto di intendere il segno non come mero riempimento di un vuoto, ma come portatore del significato, che si re-itera nel tempo, grazie alla possibilità di infiniti lettori, grazie alla produzione del segno stesso, che esso porta con sé.

2) Dal Λόγος, che si produce nella Storia si passa ad un Λόγος che si interpella da sé, in maniera autoreferenziale, si interpella da sé come Τέλος, un Λόγος che viene nullificarsi fuori dalla Storia e dall'Essere, poiché la suaèuna discorsività finita, non assoluta, infinita cheèall'infuori della temporalità storica, uno Zeitungültige, poichéèlegato, in quella specificità di contaminazione tra empirico e trascendente, esposta da Derrida nella sua riflessione a Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins. Derrida espone a questo riguardo la presenza di una ricerca relativa a quella metafisica della presenza, che si ricollega a quella particolare temporalità storica del Λόγος, il quale nonèscindibile dal proprio Zeitgeist. Per esemplificare questo, basta ci si riferisca all'allegoria, poiché all'infuori del tempo in cuièstata prodotta non può essere pienamente capita e quindièsoggetta a maggiori mutazioni nel tempo, rispetto a espressioni o simbologie meno legate al proprio tempo nel mondo. Λόγος quindi non lo Α - Χρόνος, non lo Ü ber-Zeit, ma ciò cheèsempre immerso nel flusso temporale, legato alla genesi stessa, alla Ὕλη, per cui disponibile a riattivare la propria origine; per la quale questa immersione nei flussi- temporali, in un certo senso, comporta la possibilità del recuperare il significato originario del Λόγος, la ricerca della presenza del significato nella sua immediata presenza. Vincenzo Costa sottolinea anch'Egli questo, superata la crisi di non riattivazione, il senso originario nonèperduto, distinguendo tra significato e significante va recuperata la permanenza del significato, ch'è l'espressione differita dall'indice temporale del Λόγος, affinché si possa avere senza mediazione, ed in immediata presenza.

Bibliografia

J. Derrida, La voix et le ph é nomène, PUF, Paris, 1967; trd. it . La voce e il fenomeno. Introduzione al problema del segno nella fenomenologia di Husserl, a cura di G. Dalmasso, con prefazione di C. Sini e postfazione di V. Costa, Jaca Book, Milano 2001.

H. Husserl, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins (1893-1917), Martinus Nijhoff, Den Haag, 1966.

SCRITTO SUI PRIMI CINQUE DISCORSI DEL ΣΥΜΠΌΣΙΟΝ , ATTRAVERSO L'INTERPRETAZIONE DI JACQUES LACAN (11/01/2008)

Presenterò in questo scritto i primi cinque discorsi del Συµπόσιον di Platone, dando prima una breve descrizione dei testi, secondo l'interpretazione classica, mostrando poi separatamente l'interpretazione che ne da Lacan nel suo VIII° Seminario dedicato al Transfert, un'interpretazione, questa, molto più legata alla struttura, che non al contenuto dei differenti discorsi.

Discorso di Fedro

Il suo elogio presenta un carattere mitico-eroico, Fedro afferma prima di tutto che: « Ἔρως èil più antico degli dei, suscita negli uomini senso di vergogna per le cose brutte e allo stesso tempo li incita al desiderio delle cose belle». A favore di questo Fedro narra le testimonianze di Alcesti, Orfeo ed Achille. Alcesti eroicamente decide di morire al posto del marito Admeto, il gesto parve tanto ammirevole non solo agli uomini, ma anche agli dei, al punto che questi concessero alla sua anima di tornare dall'Ade. Nonècosì invece per Orfeo, al quale fu offerto di vedere solo lo spettro della sua amata, non la donna stessa, perché Egli parve agli dei troppo debole, e non ebbe il coraggio di morire per la donna che ha amato. Orfeo non ha presentato quello stesso coraggio di Alcesti, la quale volle morire per il suo amato. A ragione di questo gli dei lo punirono, facendolo morire per mano di donne, per mano delle Menadi o Baccanti. Infine presenta il caso di Achille, il quale si sacrifica per l'amico Patroclo; nonostante egli sappia che se uccidesse Ettore, anche lui morirebbe. Achille ebbe il coraggio di vendicare l'amato Patroclo, non solo di morire per lui, ma di morire già morto; gli dei ebbero ammirazione per questo suo gesto, tanto che attribuirono ad Achille onori e lo mandarono alle Isole dei Beati. Gli dei ebbero molta commozione per il fatto che quièl'amato che ha mostrato affetto per l'amante, poiché essendo l'amante cosa più divina dell'amato,èispirato da un dio, per questo gli dei onorarono di più Achille che Alcesti.

Fedro inizia il proprio elogio dichiarando: Ἔρως εἴη µéγασ θεòς, interpretando così un punto di vista arcaico dell'amore, relativo alla sua dimensione divina, dichiarando poi che essoèla divinità più antica. Alloraè Ἔρως un dio? L'amoreèo no partecipe del divino? Volendo ci si potrebbe chiedere: cosa pensare delle antiche divinità? Il divino rientra nella categoria del reale, di dei visti come un modo di rappresentazione del reale; dove il realeèla categoria del soggetto, quella categoria che impone la relazione del soggetto con l'altro. Gli dei, per tale motivo sono, od eliminati dal processo filosofico, oppure portati alla strada di esso tramite la rivelazione cristiana, rivelazione che trasferisce il Dio verso il Verbo, verso il Λόγος. Gli dei sono portati verso un rapporto di significanti, e di significato, dove si presenta un'articolarsi della gnosi.

Per Fedro il parlare d'amore si riduce a parlare di Teologia, il discorso non si ferma a questo, Egli prosegue illustrandoci gli effetti dell'amore divino. Si pone l'accento sul fatto che gli effetti debbano essere proporzionali, eminenti per essere corretti, rispetto il livello di dignità che essi rivelano. Per chiare questo punto, passo ad illustra le tre esemplificazioni enunciate da Fedro, a proposito degli effetti dell'amore divino; ma anche a proposito, o meglio rifacendosi, alla nozione di sacrificio o sacrificio ultimo:

1) Caso di Alcesti; posto per primo non per caso od arbitrio poiché, in un discorso che tratta essenzialmente di amore maschile,èqualche cosa di notevole a cui farò cenno più avanti, poiché in esso si delimita la cosiddetta zona tra le due morti, ovvero la sua tragedia rappresenta un luogo della topologia, che viene altrimenti così detto.

2) Caso di Orfeo; il cui gesto non viene apprezzato dagli dei, poiché essi hanno mostrato a questi un fantasma della donna amata, ma l'amore mira all' Essere dell'Altro, non ai fantasmi, o desideri, di chi lo prova, poichéèin questo Essere dell'Altro che ci viene mostrata Alcesti restituirsi alla morte, Ὺπεραποθανεῖν, la sostituzione, la metafora, qui realizzata nel suo senso letterale.

3) Caso di Achille; Achille come colui che segue nella morte Patroclo, anche s'avrebbe potuto salvarsi, ma effettua la scelta del destino, c'ha analogo valore del sacrificio d'Alcesti.

Salta all'occhio in quest'ultimo caso la funzione di reciprocità, situata tra Patroclo ed Achille nel loro rapporto. Come sottolinea Fedro Achilleèmolto più giovane ed acerbo di Patroclo, tale dettaglio può fornire la spiegazione al perché Alcesti ed Orfeo non hanno avuto lo stesso favore degli dei. Achille si trova nella posizione di amato, di Ἐρώµενος, ma egli non si comporta come il suo ruolo vorrebbe, bensì, col suo gesto agisce come amante, come Ἐραστής. Achille ottiene per questo il favore degli dei, v'è l'apparizione del suo agire nel reale, v'è l'instaurarsi della relazione del nostro soggetto con l'altro. Quanto enunciato giustifica il perché Fedro dedichi particolarmente del tempo a questa vicenda. Questi mostra nettamente la contrapposizione tra Achille ed Alcesti, qui direi illustra quella cosa notevole di cui sopra anticipato, poiché la lezione d'Achilleèmolto più meritevole, in virtù della sua posizione di Ἐρώµενος mentre, questi delinea, Alcesti era in quella di Ἐραστής, dunque, come tale, Ella ha giustamente agito. Nell'agire di Alcesti non c'è stato lo sforzo, l'alto agire che invece ha caratterizzato il gesto d'Achille. In questo atto s'evidenzia il modo d'agire di scambio di ruolo tra Patroclo ed Achille; Essi non si sono propriamente invertiti i ruoli, ma semplicementeèil modus dell'azione di Achille che, se ne avesse avuto la possibilità, sarebbe stato propriamente quello di Patroclo. Questoèciò che Fedro arriva ad evidenziare, quale significazione d'amore del soggetto con l'altro.

Discorso di Pausania

Pausania imposta il suo discorso partendo dalla relazione esistente tra Ἀφροδίτη ed Ἔρως, non può esserci Ἀφροδίτη senza Ἔρως. Come non esiste una sola Ἀφροδίτη, non esiste un solo Ἔρως, ma due: uno pandemio e l'altro uranio. Peculiarità del primoèl'essere volgare e senza ritegno, che agisce alla cieca; questoèlo Ἔρως che amano le persone di poco valore, quelle che si rivolgono tanto alle donne quanto ai ragazzi, indirizzato più al corpo che all'anima. Il secondo, poiché non partecipa della natura femminile, ma solo di quella maschile,èinvece sublime e celeste. Esso ha come fine ultimo la virtù, chi segue questa via inizia ad amare quando il giovane inizia ad avere intelligenza, contemporaneamente a quando iniziano a mettere la barba. Chi inizia ad amare i giovani a questa etàèdisposto a passare tutta la vita con l'amato e viverla insieme a lui, invece di ingannarlo, o beffarsi di lui quando ancoraèprivo di senno, voltandogli in seguito le spalle quando la sua bellezza appassisce, passando all'amore di un altro. Proprio di questo Amore èil rapporto onesto e consapevole, che s'instaura tra il fanciullo e l'adulto, ai fini di un percorso educativo.

Pausania inizia il suo elogio facendo notare che non esiste una sola tipologia d'amore, la sua distinzione si presenta sin dall' origine cosmogonica, ovvero, non può esserci Ἀφροδίτη senza Amore. Vi sono dunque due forme di Ἀφροδίτη: la prima, che non deve nulla alla duplicità dei sessi, che proviene dalla castrazione primordiale di Urano,èdetta Ἀφροδίτη Urania; la seconda invece, nata dall'uomo e dalla donna,èdetta Ἀφροδίτη Pandemia. Di conseguenza vi sono dunque un Ἔρως Uranio ed un Ἔρως Pandemio. Quello di Pausaniaèun discorso da sociologo, od osservatore di società, a differenza di quello visto prima di Fedro può essere detto come il discorso di un teologo o religioso, poiché si fonda su delle diversità di posizione, che il mondo greco presenta nei confronti dell'amore superiore od uranio. Cogliamo, in quello che Pausania esplica in seguito, che il rapporto deve essere normato, v'è d'essere del Νόµος, ond'evitare che il rapporto paideitico, dov'è buono diventi cattivo, e dov'è cattivo diventi invece buono. Pausania approva il fatto che in Atene vi siano degli ostacoli, delle forme di impedimento, affinché si possa evitare il manifestarsi del cattivo amore. L'amoreèper Pausania discernibile in buono o cattivo, a seconda della direzione da esso assunta verso le parti eterne dell'amato, maggiore o minore quantità del rapporto erotico, in rapporto con le qualità e le accidentalità di amato ed amante. Distingue l'amore in base al guadagno ottenuto da una delle due parti, lo vede come uno scambio, uno scambio di tipo commerciale, per il quale ogni coppia si forma in virtù del fatto che la domanda dell'amante incontra l'offerta dell'amato. È possibile stabilire da questo dei rapporti d'affinità tra gli elementi della coppia, affinché si possa bel et bien piazzare i propri fondi d'investimento psichici. Viene a delinearsi quella che possiamo chiamare la psicologia del ricco, la quale riposa interamente sul fatto che nel rapporto con l'altro si tratta di ciò che ha valore, di ciò che può essere valutato secondo modi di comparazione e scale.

Ciò che qui si trattaèil possesso dell'amato, quale possibile fondo d'investimento, quale Χρηστόϛ. Si noti come, nell'interludio conseguente questo dialogo, compare la seguente affermazione: Παυσανίον δἑ παυσαµένου, ovvero, avendo fatto Pausania la pausa. Si ha il parlare attraverso la sonorità delle parole, il ricorso del significante παυὡ starebbe ad indicare un farla finita, uno smettere. In correlazione a questo si noti come Aristofane, dopo il discorso di Pausania,èimpossibilitato nell'esprimere il proprio elogio a causa del singhiozzo, un singhiozzo pervenutogli per il forte beffeggiarsi del discorso di Pausania. Nel particolare, Platone nonèsicuramente d'accordo col Χρηστόϛ di Pausania, così tanto in disaccordo al punto che l 'avere il singhiozzo, deve necessariamente significare un qualche cosa, oppure che Aristofane ha cose molto importanti da dire. Per via del singhiozzo Aristofane deve dunque saltare il suo turno, edèErissimaco a prendere ora la parola.

Discorso di Erissimaco

Erissimaco pronuncia un elogio a Ἔρως basandosi sulla teoria precedentemente citata da Pausania, secondo cui l' Amore èscindibile in due parti, per Erissimaco Ἔρως non esiste solo nelle anime degli uomini, ma anche nei corpi di tutti gli animali e dei vegetali. Viene rivolto verso quelli che sono belli, come pure verso altre cose ed altre sedi. Questo esplica come Ἔρως estenda il proprio potere su ogni cosa, sia umana che divina,èdallo Ἔρως Uranio che deriva la felicità e l'armonia tra le varie parti del corpo e l'anima, mentreèdallo Ἔρως Pandemio che scaturiscono il disordine e la sofferenza.

Fatto di notevole interesse, che salta subito all'occhio interpretativo,èche Erissimacoèmedico, il suo discorso deve forse indurci ad una ricerca sulla storica della medicina? Questo però non sarebbe negli obiettivi dell'interpretazione, ma il fatto che sia medico desta un certo interesse, poiché quello che egli ci mostraèil punto di vista dello scienziato, del medico. Ad inizio del proprio discorso ci fa notare come Pausania avesse iniziato bene il suo discorso, dato dall'impulso ad inizio discorso, non ha però concluso in maniera altrettanto brillante; questo a conferma del fatto che a tuttièchiaro che Pausania abbia terminato male il proprio discorso. Partendo dalla dualità di Ἔρως, Erissimaco ne sottolinea la dimensione cosmica; importante questo aspetto del carattere cosmico dell'amore in Platone, poiché rappresenta una cesura rispetto la visione di un moderno. Ἔρως èuna potenza medica che determina lo stato di salute buona o cattiva, poiché il vivente presenta in sé una componente di mescolanza di buoni o cattivi Ἔρωτιχά, qui Egli definisce la medicina come la scienza degli erotici; notare come non potrebbe darsi una migliore interpretazione per la psicoanalisi. Propone in seguito riferimenti alla musica, come principio dell'accordo a fondo di ciò ch'è posto come essenza della funzione dell'amore tra i sessi; qui ci si rifà al senso pitagorico della musica, di armonie matematiche che dominano l'esecuzione dei suoni i quali sono armonici quando sono in proporzione matematica. Quando deve definire l'armonia si rifà al principio dei contrasti di Eraclito di Efeso, come principio di composizione di ogni unità, unità che si compone opponendosi a sé stessa. Non si capisce bene quale passaggio effettui Erissimaco nel riferire pienamente l'unione dei contrasti, anche se situata nel reale, con un fenomeno come quello dell'accordo. Sembra dev'esserci una sorta di veglia sull'idea di armonia, tramite la misura e la proporzione che deve mantenersi sin dal proprio principio: sembra profilarsi una certa difficoltà di Erissimaco nel sostenere l'idea eraclitea. Bisogna mantenere una sorta di armonia tra il cosmo universale, o macrocosmo, ed il cosmo in s é dell'uomo, o microcosmo, tra un microcosmo attribuito e un macrocosmo ordinato. Questo ci riconduce al fatto che il soggetto può essere educabile in virtù dei rapporti che si possono stabilire a livello cosmico, ma la curaèpiù una questione di disarmonia, che di armonia. V'è un contrasto tra l'esserci ed il suo divenire, si deve spostare l'accento sul divenire, affinché si possa vedere la questione sotto l'aspetto disarmonico, anziché sotto quello di un'armonia in sé e per sé costituita. Erissimaco riduce dunque il discorso sull'amore a quello del suo trattamento medico e fisico, riferendosi appunto agli effetti dell'amore tramite l'astronomia ed i fenomeni cosmici, per riferirsi alle questioni relative all'armonia macro-microcosmo.

Discorso di Aristofane

Aristofane propone una storia paradossale: un tempo gli uomini erano di tre sessi: maschile, femminile ed androgino; avevano due volti, quattro braccia, quattro gambe e due apparati riproduttori ed erano dotati di una forza straordinaria, assimilabile a quella dei Giganti. Questi cercarono di attaccare gli dei, Zeus decise di dividerli in due parti, non poteva ucciderli altrimenti sarebbero venuti meno gli onori ed i sacrifici provenienti da essi, cosicché dall'androgino derivarono maschi e femmine che tendono alla ricerca della loro metà attraverso l'amore eterosessuale. Al contrario i maschi e le femmine, derivati dagli antichi maschi e dalle antiche femmine, ricercano la loro metà nell'amore omosessuale.

Passatogli il singhiozzo dopo il discorso di Erissimaco, tocca ora ad Aristofane esporre il proprio elogio.

Diciamo da subito, che nonostante Egli debba interpretare in certo senso il ruolo del comico, perché per Platoneèsolo un poeta comico, un buffone appunto,èperò l'unico che possa dirsi parli dell' Amore in senso moderno, tra i primi cinque interlocutori del discorso. Si potrebbe affermare che quello di Aristofane sia l'unico discorso serio, di tutti quelli mostrati, dal punto di vista analitico. Il fatto che Platone l'abbia scelto per dire le cose migliori sull'Amore deve farci sicuramente riflettere. Aristofane osserva che nessuno dice o crede che l'Amore sia solo spartizione del godimento sessuale, cheèl'oggetto, in vista del quale, gli amanti si compiacciono di vivere in comune l'uno all'altro. Aristofane afferma che dev'essere tutt'altra cosa, che la loro animaèincapace d'esprimere. Aristofane racconta cose oscillanti tra il risibile ed il ridicolo, a seconda che il riso ricada su ciò che Egli prende di mira oppure su di Lui stesso. Che Platone lo facci parlare per farci ridere dell'Amore? Come detto sopra sembrerebbe di no, poiché da nessuna altra parte di questi discorsi del Συµπόσιον si parla in modo così serio, volendo moderno, dell'Amore ed in modo anche così tragico. Il suo racconto evoca le figure di esseri mitologici che vengono tagliati in due metà, che prima avevano l'aria di avere tutto quello che si vuole, due occhi e tutti gli organi, anche s'appiattiti di modo sembrino essere la metà d'un Essere completo. Successivamente la divisione s'immette una fatalit à panica, per cui ciascuna delle due metà ricerca l'altra, abbracciandosi tenacemente nell'invano tentativo di ricongiungersi con il conseguente deperimento delle due metà l'una a fianco dell'altra.

Dobbiamo supporre vi sia del risibile? No, anche se questoèinserito in una cornice di natura clownesca, importanteèdunque definire di fronte a quale tipo di ridicolo ci ritroviamo di fronte. Aristofane insiste sulla natura sferica degli individui da lui creati, Σϕαίρα èripetuto con una certa insistenza, quanto articolato nel discorsoèappunto la derisione della sfera. Sfera sempre considerata come buona forma, forme tendenti ad una certa perfezione sono forme tendenti alla sfera. Questione della sfera maggiormente accentuata poi nel Τίµαιος, in cui lo sviluppo geometrico operato da Platone porta alla considerazione che la sfera ha in sé tutto quello che l'è necessario, essa non necessita dunque di arti, occhi od orecchie, non l'è rimasto che un solo movimento, quello perfetto, quello su s é stessa. Essaèl'involucro di tutto ciò cheènella possibilità del vivente quindi, per definizione, essaèil vivente per eccellenza. Dopo questa evidenziazioneèchiaro che il discorso operato da Aristofaneèla derisione della forma sferica, così come verrà presentata nel Τίµαιος, i tre tipi di sfera presentati da Aristofane hanno tuttavia una coppia di genitori, le loro origini sono stellari; e ciò rappresenta il ritorno dell'elemento astronomico. Bisogna però chiedersi se, in tutto questo discorrere, Aristofane non voglia ora indicarci qua la molla della seduzione sferica? Forma non tacciabile, non contestabile, estranea a qualunque azione esterna ad essa. S'introduce il tema della castrazione, Aristofane parla qui come Hans, nel momento in cui descriverà i tentativi vani di questi esseri nel cercare di riprodursi sulla terra, ed il fatto che la questione verrà risolta mediante lo svitamento dei genitali, che erano ancora nella posizione di quando essi erano sferici, glielo si riavviter à sul ventre, un'azione questa emule di quanto raccontato da Freud, a proposito del sogno di Hans. Possibilità dell'appagamento amoroso tramite un'operazione sui genitali, possiamo vedere quest'operazione sotto l'indice della castrazione. Punto di svoltaèqui il passaggio dei genitali sulla parte anteriore del corpo, organo che qua assurge non solo come possibilità di congiunzione con l'oggetto amato, ma addirittura esso viene posto in sovrapposizione, ed entra in rapporto di sovrimpressione con questo.

In questo parte di dialogo compare per la prima, ed ultima, volta il riferimento all' organo genitale. Quanto affermato rappresenta la molla del comico, che ha il proprio fondamento nel riferimento al fallo, inteso come significante d'unit à ricomposta, che inizialmente non c'era. Aristofaneèil solo dei presenti che può parlare di tutto questo, comico od effetto comicoèqui inteso come la ricomposizione di un personaggio, od un discorso, che nonostante le vicissitudini, od avversità che incontra e che ne minacciano la propria integrità, Egli riesce comunque a preservare.

Discorso di Agatone

Dopo la conclusione del discorso di Aristofane, a cui segue un breve scambio di complimenti, comincia il proprio discorso Agatone. Il suo elogioèdi tipo estetico, proprio perché dichiara la necessità di definire, prima di tutto, le qualità del dio Ἔρως. Ἔρως èil più felice tra gli dei, poichéèil più bello e buono, edèun dio giovanissimo. Questo contrasta con quanto affermato sino ad ora negli altri discorsi. Infatti, sino ad ora, si era definito Ἔρως come il più antico degli dei, ma Agatone afferma invece che Ἔρως èil più giovane tra gli dei. Agatone lo prova indicando che Egli fugge dalla vecchiaia, la odia, Eglièsempre coi giovani. Se Ἔρως fosse stato poi presente nelle antiche vicende degli dei, narrate da Esiodo e Parmenide, non ci sarebbero state violenze, ma solamente amicizia ed amore. Ἔρως èdescritto come delicatissimo, leggiadro, portatore di valori come la temperanza, la giustizia e la sapienza, capace di rendere partecipi gli uomini di tutte queste virtù. L'elogio di Agatone contiene accenti particolarmente lirici, che rivelano l'influsso della nuova poesia ditirambica, degli inni cantati e danzati in onore del dio Dioniso.

Agatone si trova in imbarazzo dopo il discorso d'Aristofane, egli dovrebbe rappresentare il punto di vista tragico di Ἔρως, si noterà come sia stato effettuato uno scambio di ruoli, colui che doveva disquisire del discorso più serio, più tragico, sull'amore si ritrova a dire delle buffonate, cose da niente; si ritrova a dover discorrere delle cose che invece dovevano essere proferite dalla bocca del buffone, il quale ha già professato però il discorso più serio e tragico di tutti quelli sino ad essi esaminati. Agatone omofono del Bene, Ἀγάθων, concetto omofono che si riferisce anche alle relazioni tra i personaggi, che potrebbe mettere in discussione la stessa tesi di fondo del dialogo. Tenendo conto del personaggio, rifacendoci all'autorità del von Wilamowitz-Moellendorff, e dell'evento di una sua recente vittoria in una gara tra tragici, il discorso che proponeèpovero, insignificante agli occhi di un filosofo, come appunto Socrate; quanto affermato da Agatoneèdavvero insignificante. Bisogna ora ragionare su alcuni punti: Platone fa parlare poco, od in maniera insignificante il tragico? Oppure, siamo noi che non riusciamo ad interpretare, a comprendere, la sua tragicit à ? V'è differenza tra tragico antico e moderno? Bisogna soffermarsi su questo ultimo quesito. Nella tragedia antica la Ἄτη, la sventura,èun qualche cosa di presente, evidente, manifesto; quello che cambia nel tragico moderno, riprendendo il Kierkegaard di Enten-Eller,èla posizione del singolo, rispetto la singolarità stessa. Bisogna cercare allora di capire il tragico moderno, per cui la Ἄτη, la sventura legata ad un atto come il sacrifico, non ha più significato, il tragico presentato da Agatone nonèquello presente in Antigone, il discorso tragico di Agatoneèper noi incomprensibile, nel senso cheèinsignificante. Non possiamo coglierne a pieno tutte le sfaccettature, se l'osserviamo con una visione cristiana il discorso relativo alla Ἄτη, per comeèstato condotto da Lui, perde di significato. Per la visione che ha il Cristianesimo questo risulta inconcepibile, poiché trovarsi di fronte ad un dio che dà ordini inesatti, o che faccia sì che la morte possa ancora essere atto crudo, non può essere compreso nella propria Weltanschauung. Attraverso una visione classica d'analisi, non si può non notare l'abilità stilistica ed il modo retorico in cuiècondotto abilmente il discorso. Da un punto di vista analitico però, non si può certo dire che il suo discorso sia sostanziale dal punto di vista dell'Amore. Significante rimane però il fatto che Socrate stessoècolui che stronca Agatone, dopo quanto da Egli affermato. Un fatto questo non trascurabile, se si tengono presenti le reciproche posizioni dei due. Difatti, all'epoca delle vicende del Συµπόσιον, Socrateèlo Ἐραστής di Agatone. Ultima considerazione a proposito della tragedia classicaèquella di non dimenticare che in essa l'Amore svolge sempre un ruolo d'incidente di margine. Esso ha un ruolo secondario, o meglio, occupa l'ultimo posto nella gerarchia dei temi della tragedia. In un certo senso, questo giustificherebbe il comunque sempre notevole livello d'espressione d'Agatone, legato però ad una povertà di contenuti. Analiticamente questo sarà rilevante, poiché, questo crea una sorte di precedente per l'atto finale del Συµπόσιον, quando farà il proprio ingresso Alcibiade, dove si potrà notare una differenza notevole su quanto i due hanno portato a dire, per il loro contenuto, su di Ἔρως. Uno notevole scarto notevole, quello tra il povero elogio di Agatone ed ben più significante encomio di Alcibiade.

Bibliografia

J. Lacan, Le s é minaire de Jacques Lacan. Livre VIII. Le transfert (1960-1961), Les éditions du Seuil, Paris, 2001.

Platone, Simposio, con testo greco a fronte, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano, 2006.

SCRITTO SUL DISCORSO DI SOCRATE E SULL'ENCOMIO DI ALCIBIADE CONTENUTI NEL ΣΥΜΠΌΣΙΟΝ , ATTRAVERSO L'INTERPRETAZIONE DI JACQUES LACAN (18/01/2008)

Presenterò in questo scritto, il discorso di Socrate e l'encomio di Alcibiade presenti nell'ultima parte del Συµπόσιον di Platone. Come nel precedente scritto, mostrerò dapprima l'interpretazione classica di ogni discorso, per poi successivamente mostrare invece l'interpretazione che ne da Lacan nel già menzionato VIII° Seminario.

Discorso di Socrate

Il discorso di Socrate segna una netta cesura nello svolgimento del dialogo, divisione sottolineata dallo stesso filosofo, preoccupato di prendere troppo le distanze, tramite il proprio discorso, dal contenuto dei precedenti eloqui e dal modello encomiastico adottato singolarmente da ognuno degli altri oratori; differenti l'uno dall'altro, come già delineato nel precedente scritto. Questo differenziarsi facilita anche Lacan nell'esporre come ognuno dei differenti personaggi, rappresenti una singola categoria dell'aspetto amoroso. Socrate per l'appunto riformula l'intera questione dell'Amore sul piano ontologico:ènecessario chiedersi cosa sia veramente Ἔρως e quale sia la sua essenza; solo così sarà possibile determinare quale sia il vero oggetto a cui l'Amore deve volgersi. Le parole che espresse da Socrate non solo non gli appartengono, ma esprimono la dottrina di una sapiente straniera, quella di Διοτίµα. Anzitutto Ἔρως non ha il volto ed i tratti dell'amato, bensì va cercato dalla parte dell'amante, difatti l'amante ama ciò di cuièprivo, ciò che ancora non possiede. L'Amoreèper sua natura segnato dalla povertà e dalla mancanza, costituendo per ogni uomo lo slancio verso quel qualcosa cheèestraneo da sé; per questo Ἔρως ha la stessa figura di un povero, lacero e scalzo. Ἔρως non ha bellezza, se dunqueèvero che si desidera ciò che non si possiede, Ἔρως èsempre amore e desiderio d'eterno possesso e nel bene, coincidente con l'idea del Bello. Se l'Amoreèbrama di possedere il bene per sempre,ènecessario, come afferma Διοτίµα, che assieme al bene si desideri anche l'immortalità e che l'Amore sia anche Amore d'Immortalit à, ma per tutto ciò cheèmortale, l'unico mezzo per ottenerlaèla procreazione e la generazione nel bello, sia nel corpo che nell'anima. La bellezza ha il potere di rasserenare la creatura gravida che le s'accosta, ogni essere gravido dunque cerca il bello. In seguito Διοτίµα prende a tracciare un itinerario iniziatico, attraverso vari gradi che corrispondono ai vari modi di intendere lo Ἔρως, che porta dall'apprezzamento delle bellezze terrene alla visione del Bello in S é. La prima fase dell'ascesa al Bello èl'amore rivolto ad un solo bel corpo e nella persona attraente prescelta si generano dei bei discorsi. Successivo passo viene dalla riflessione per la quale la bellezza di un corpo amatoèsorella di quella di molti altri corpi, attraverso un procedimento d'astrazione che porta dal particolare verso l'universale; poiché l'iniziato riconosce che la bellezza ravvisata in un singolo corpoèidentica a quella cheèin tutti i corpi. In questo secondo stadio le realtà sensibili partecipano dell'unica ed assoluta idea di Bellezza. Si procede poi nella direzione dell'intelligibile, considerando la bellezza delle anime, superiori a quella dei corpi. Al terzo stadio, dove l'esperienza pedagogica si distacca dal modello educativo pederastico di quei tempo, si arriva a contemplare la bellezza nelle istituzioni e nelle leggi, implicando anche un'azione educativa a livello morale e politico. Il quarto gradino prevede il passaggio alla scienza, segnando il definitivo distacco dalle realtà terrene e sensibili. Chi ha seguito questo percorsoèin grado di volgere lo sguardo su quello che Platone chiama il grande mare del bello. Siamo così giunti alla tappa finale dell'ascesa, con la contemplazione della Verit à che consiste nell'idea del Bello in S é, il quale non nasce e non muore,èsempre sé stesso in un'unica forma, di cui tutte le altre cose belle partecipano. L'ascesa intellettualeèpresentata con la terminologia propria dell' iniziazione misterica.

Con Socrate si ha un duplice passaggio: da Ἔρως, dall'Amore, alla Ἐπιθυµία, il Desiderio, lo Ἐρώµενος, l'amato, diviene lo Ἐρωτώµενος, l' Interrogato; interrogato da cui scaturisce il tema della funzione della mancanza. Quanto detto da Agatone, nel proprio discorso, cade dinnanzi la interrogatio socratica, svolta all'inizio del discorso, nel quale emerge che l'oggetto del desiderio, per chi lo anela, per colui che ne prova il desiderio, possiede qualche cosa che egli non ha. Proprietà di questa specie d'oggetto che il desiderio ha, come l'amore,èil tendere a, verso quello che non si possiede, che manca, s'anela a questo qualche cosa che manca per essenza. Si desume da quanto appena mostrato che Socrate cerca d'indirizzare verso quell'idea, cheèlo scambio per mezzo del dialogo ed il consenso di Esso, da parte di colui al qualeèindirizzato. In altre parole si ha l'evocazione, od apparizione, il dis-velamento, la Ἀλήθεια, in colui verso il qualeèindirizzato, di ciò ch'egli già possiede. Quanto affermato porta a rifarsi al Μένων, ed alla Teoria dell'Anima di Platone, in esso enunciata, in particolare all'idea di M ετεµψύχωσις e quello che da essa segue, ovvero la subordinazione del corpo al proprio lato spirituale, all'anima, all' Idea. Socrate installa qui il registro del significante, passando all'oggetto di cui il desiderio difetta. Nonèperò Socrate che ci dice di ciò di cui il desiderio manca, infatti si potrebbe supporre cheèa causa dello stesso oggetto del discorso, a causa di Ἔρως stesso, che Socrate tace. Socrate cheèconoscitore di nulla, tranne che di Ἐρωτικών, si fa in un certo senso da parte, Egli richiama infatti la figura di Διοτίµα, per proseguire il proprio discorso. Perché tutto questo? Ci si potrebbe proprio chiedere il perché di tutto ciò? La possibile interpretazione che ne diamoèla seguente, ed essa presenta una duplicità di carattere. In primo luogo, si potrebbe notare che Socrate non ha facoltà di andare oltre col proprio discorso, senza il rischio di inciampare nel fatto che andrebbe inevitabilmente ad offendere Agatone, in modo per altro evidente; tenendo conto delle loro reciproche posizioni la cosa non presenterebbe molta coerenza. In secondo luogo,èlo stesso argomento che richiede l'intervento di un Altro,èil perché si parla d'Amore che porta a passare al di là, che spinge Socrate a procedere in questo modo. Vogliamo ora sottolineare come nell'interpretazione di Lacan del Συµπόσιον èimportante porre l'accento sulla distinzione che separa Socrate da Platone. Il primo, infatti, si mantiene ancora sulla soglia della Metafisica, ma mai vi si addentra, Socrate in un certo senso regredisce a livello del M ῦθος, cedendo la parola a Διοτίµα. Vièqui un cambio di registro a livello del linguaggio, si passa al M ῦθος, ma non al concetto, Διοτίµα opina senza ragione, senza la possibilità di dimostrare ciò di cui parla. Se Ella pone il proprio discorso a livello della Δόξα, a livello di una mera opinione che non può pretendere d'essere all'altezza di quello che inveceèproprio del concetto e della ragione; ciò può soltanto significare che si pone a livello del reale, del demoniaco, come la stessa origine di Ἔρως. Situata la Δόξα ritroviamo una relazione tra dossico-demoniaco- reale, relazionata nel chiedersi quale posizione occupi il reale lacaniano nella genesi filosofica. Siamo scesi sino al livello della Ἀµαθία, dell' ignoranza, vale a dire dell'opinione. Opinione che, seppur vera, si pone in modo che il soggettoèincapace di rendersene conto, non sa la motivazione per la quale essaèvera; ciò contrasta con la scienza, intesa in maniera socratica, quale Ἐπιστήµη. Διοτίµα introduce nel discorso l'Amore proprio perché funga da intermezzo tra l'una e l'altra, Amore inteso né come appartenete alla natura, né agli dei, bensì quello dei demoni, poiché intermediario tra immortali e mortali. Interessanteècome nei passi in cui viene caratterizzato, la Δόξα emerga come quel dare la formula senza averla, che risuona dalla già menzionata formula dell'Amore, ovvero come quel dare ciò che non si ha, si ricerca un sopperire della propria mancanza, ricercata nell'altro. Il fatto che Socrate passi la parola a Διοτίµα può essere giustificato dal fatto che si passi su un terreno che nonèproprio della dialettica socratica, di cui neèestranea. Comeèpossibile constatare, all'inizio del proprio intervento, Socrate si manifesta come forte, poiché si ritrova sul terreno della dialettica, per cui il significanteèinterrogato nella sua coerenza di significante, edèin questo ambito che Socrate può muoversi liberamente, in cui avviene lo scambio tra lo Ἔρως e la Ἐπιθυµία. Un passaggio fondamentale, questo, che evidenzia il fatto di come il sapere socratico presenti un limite, circoscritto al sapere interno dei significanti; per precisazione qui ci si rifà qui alla riflessione di De Sausurre, dunque qua si intende il significato come quel contenuto nel significante od involucro delle parole. Un limite questo superato dall' Analisi la quale non solo permette la critica del sapere umano in quanto tale, ma lo oltrepassa, questoèciò che si viene ad avere a livello della riflessione di Socrate, quindi, la messa in discussione e la possibilità di costruzione del sapere filosofico. L' Analisi costituendosi come inconscio mostra l'esclusione di un sapere da questo livello, riducendosi all'irriducibile cheèproprio del fondo dei soggetti; in un certo senso vièqua un richiamo alla critica che Lacan fa alla Filosofia, a quella disputa per cui l'Analisi esclude a-priori una costruzione filosofica o metafisica, proprio nel momento in cui rinuncia alla dialettica socratica. In un certo senso, questo,èciò che si constata in quello che si viene a profilare attraverso il discorso di Διοτίµα, quale deve essere il sapere dell'analista? Verso quale direzione si costituisce? Questa altri nonèche il condotto, che precedentemente abbiamo indicato. In maniera quantomai modesta, e presuppongo sia così,èpossibile affermare cheèquesto, ciò che Lacan intravede nella prima parte del discorso di Διοτίµα; quello che si dice rivesta una certa importanza, se si tiene conto del fatto che Lacan associ Socrate a Freud. Nota a parte merita invece il discorso legato all'essere Α - Τόπος di Socrate, questa sua non appartenenza a nessun luogo, che si evince in maniera esemplare nel testo della Ἀπολογία, nel particolare attraverso le risposte di Socrate agli accusatori, dove Egli mostra la propria assenza di preoccupazione nei confronti della morte. Un desiderio di morte di cui Lacan tiene conto, poiché essoèlegato intrinsecamente con la fondazione della scienza in Socrate, per il qualeènel discorso che si viene a generare la dimensione della verit à. Quando Socrate sostiene cheèla verità, e non Lui stesso, a confutare il proprio interlocutore vièun rinvio all'ambito del puro discorso, in cui viene a collocarsi la sua stessa ambizione, l'essere stesso del discorso, con questo spirito Socrate va ad affermare che Eglièsolo un portavoce della verità del discorso. Qua viene a situarsi la propria Α - Τόπος, il da nessuna parte di un individuo, di una coscienza, nel momento in cui interviene la verità. Una verità che nulla ha più direttamente a che fare né con l'oggetto né con il soggetto, ma che rimane solo nel discorso. In questo sensoèpossibile leggere quello che Lacan chiama il desiderio di morte in Socrate, non un desiderio tragico, tra due ordini di leggi, bensì il desiderio del venir meno del soggetto, quasi una sua necessità, affinché la verità possa apparire per ciò che è, ovvero quale una dimensione del discorso. A questo livello viene anche ad allacciarsi quanto prima menzionato, ovvero la reciproca critica tra Analisi e Filosofia. A questo propositoèora possibile ricollegarsi al discorso di natura storica per cui il Filosofo si viene a distinguere dal Sapiente. Due personalità distinte, poiché il primoèin cerca di qualche cosa che non possiede, ha il desiderio di tendere verso questa, verso la conoscenza ed il sapere che Egli già non possiede; edèqua che ci si ricollega al discorso del Συµπόσιον, alla questione dell'amore e del desiderio, alla questione del loro carattere costituivo, che per il discorso filosofico nonèpossibile ghermire, poiché ci si ritrova dinanzi alla loro impossibilit à di essere collocabili, dinnanzi al loro essere Α - Τόπος. Per questo Socrate, nel proprio discorso, si viene a bloccare, costretto a cedere la parola a Διοτίµα, proprio per causa di quelle che sono le uniche cose che Egli conosce, gli Ἐρωτικών; proprio per queste cose dell'amore, che non possono essere oggetto del suo discorso, ma che esse al contempo sostengono, ma altrettanto lo sfuggono. Quantoèstato appena affermato si riallaccia con quanto detto ad inizio di questa parte del discorso, ma soprattutto costituisce quella continuit à, con la seguente parte della presente riflessione.

Nell'interpretazione della seconda parte del discorso di Διοτίµα, Lacan tenta di svolgere una distinzione tra Socrate e Platone, il temaèquello della Metafisico del Discorso. Per Lacanèqui situata, e vi si svolge, la parte più problematica della riflessione esposta da Socrate; qui si ha una esposizione di ciò che il fenomeno erotico era nel suo inizio, ovvero la natura del rapporto tra Ἔρως e θάνατος; ciò che qua viene alla realtàèl'incorruttibilità, l'eternità, la permanenza, lo Ἔρως cheèin rapporto con l'eternità. Διοτίµα introduce il discorso sul Bello come aspetto che dirige il richiamo, l' attrazione, alla costruzione di uno K τῆµα, di un desiderio di possesso, del bello legato al movimento della generazione, generazione che si rifà al concetto di eternità, all'idea di sopravvivenza alla corruzione dei corpi. Il Bello èciò che aiuta a superare i momenti difficili,èla modalità d'avvio per ciò cheèmortale verso la salita che conduce all'immortalità; il discorso di Διοτίµα èarticolato in modo che venga ad emergere la funzione della bellezza quale miraggio, per mezzo del quale l'essere-mortale e deperibile viene sostenuto nella sua ricerca di immortalità. Qui avviene anche un primo riferimento alla morte, per cui il Bello, nella sua funzione di miraggio, guida il soggetto al proprio rapporto con la morte. Si ritrova in questa parte del discorso, quella sorta di ambiguità che giàèemersa a proposito della tragedia durante il discorso di Agatone. Una tragedia cheè evocazione del desiderio di morte, desiderio che presso di sé nasconde un'evocazione della Ἄτη, della sventura fulcro del destino tragico dell'eroe, nonché del momento in cui appare il miraggio della bellezza tragica. Questo desiderio del Bello, che si aggrappa a questo miraggio dell'anelo dell'immortalità, nasconde in sé un desiderio di morte; nel discorso di Διοτίµα avviene una particolare forma di inversione di questa funzione, una specie di slittamento, che va a porre l'accento sulla transitoriet à del Bello. Questa forma di transizione, nota Lacan,èperò falsa, poiché Διοτίµα si tiene il più lontano possibile dal discorrere sul Bello, sotto tale registro; il suo discorso viene a svolgersi nel registro per cui ciò che era solo transizione, diviene ora uno scopo, un direzionamento. Διοτίµα pare cambiare totalmente la forma del proprio discorso, che ora sembra non avere più nulla a che fare con la generazione, Ella passa a discorrere di una Bellezza Pura, di un Bello senza mescolanza e contaminazione, passa ora ad una visuale più alta, che eguaglia quella degli esseri immortali. È da notare che, come sièevidenziato precedentemente, si potrebbe vedere qui la realtà ultima del Συµπόσιον, poichè ora si viene ad evidenziare la funzione metonimica del desiderio, la sua funzione di portare al di là degli oggetti. Un desiderio che passa attraverso tutti gli oggetti, per proseguire verso una prospettiva senza limite. Lo Ἐραστής viene condotto verso un lontano Ἐρώµενον, quaèpiù generale e corretto indicarlo come un neutro; mira di questo scopo nonèpiù tanto un avere, un possesso dell'altro, quanto piuttosto un avere dell' Essere, dell' Essenza. In questo discorso di ascesa il divenire del soggetto collima verso l'identificazione di questo amabile, edèpossibile qua evincere uno dei tratti fondamentali dello Ἔρως Platonico, il fatto che l'amante miri, attraverso l'amore, alla propria perfezione. Già stato fatto notare precedentemente il fatto che Διοτίµα ponga lo Ἔρως quale intermediario tra la Ἐπιστήµη socratica e la Δόξα; seguendo il discorso di Διοτίµα, portando anche a termine il presente discorso, si veda come questo si inserisca nel proposito della formulazione diotimea della nascita di Ἔρως. Ἔρως quale figlio di Πόρος, dell'abbondanza, e della Ἄπορία, della povertà; lo Ἔρως nato durante il sonno di Πόρος, nel momento in cui quest'ultimo non sa nulla, a proposito della generazione di Ἔρως. Ἄπορία èlo Ἐραστής, sin da subito si sottolinea la sua mancanza, il fatto che Ella nulla ha di ciò che possiede lo Ἐρώµενον, cosa questa che si ritrasmetterà in successione, poiché, come giàèstato fatto notare in precedenza, vièuna ricerca dell'altro mossa da una compensazione della propria mancanza.

Terminato il discorso di Socrate, Aristofane vorrebbe prendere la parola, poiché egli nota una sorta d' anacronismo, dato dal fatto che quanto Διοτίµα ha raccontato a Socrateèstato già detto in un'occasione precedente, ma nonostante questo, nulla le impedisce di parlare a proposito del discorso d'Aristofane; importante notare che qualcuno nonècontento per quantoèstato detto. Aristofane però non riesce ad intervenire, causa dell'improvviso ingresso di Alcibiade.

Comparsa finale di Alcibiade

Dopo che Socrate ha terminato il suo discorso ed Aristofane sta per prender parola e replicare, fa la sua comparso Alcibiade, in stato d'evidente ubriachezza. Appena fatto il suo ingresso comincia ad incoronare Agatone con nastri e corone di fiori. Vedendo Socrate, e dopo aver ornato anche Lui, invita tutti i presenti a bere da una tazza enorme; allora Erissimaco afferma che nel loro simposio si era convenuto di limitare le bevute e di fare invece, a turno, un elogio ad Ἔρως. Alcibiade rifiuta di mettersi in gara e propone di fare un elogio a Socrate: egli dichiara che il Filosofoèsimile nell'aspetto al satiro Marsia, un Essere di natura ibrida con testa e torace umani, ma zampe e coda animalesche, Marsia faceva parte del corteo di Dioniso, inoltre riconduce la sua figura a quella dei Sileni, statuette vuote all'interno e apribili in modo da riporvi immagini di divinità. Socrate è simile a loro, sia nel comportamento che nel resto della sua persona. In primo luogo, afferma Alcibiade, Socrateèun'arrogante perché non sièlasciato sedurre dalla sua bellezza, e medesima considerazione la espone per i confronti di Socrate con Agatone, perché ha ironizzato sulla sua sapienza. In secondo luogo Socrateèun abile aulèdo, nel senso che incanta gli uomini con la forza del suo ragionamento, come le melodie suonate da Marsia. Alcibiade asserisce di fuggire via da Socrate, tappandosi le orecchie per non essere incantato dai suoi discorsi, ma per riuscire a sfuggirgli deve farsi violenza, prova vergogna al cospetto del Filosofo, fatto unico questo, per la sua proverbiale spregiudicatezza sia nella vita privata che in quella pubblica. Alcibiade si sente soggiogato da Socrate, come uno schiavo dal padrone, desidera fuggirgli per poter recuperare la propria libertà. Alcibiade continua a raccontare di come ebbe sempre desiderato conoscere a fondo la sapienza del Filosofo, confidando che avrebbe provato piacere dall'essere sedotto da Socrate, per poter ottenere in cambio il dono di quella sua sapienza. Alcibiade inizia dunque a lodare le qualità di Socrate in battaglia, la sua resistenza alla fame ed al freddo, asserendo poi che anche i suoi discorsi sono simili ai Satiri, per la ripetitività ed il continuo rifacimento al lavoro degli artigiani ed alla tecnica. Avrebbero dovuto, per quest'ultima loro caratteristica, secondo Alcibiade, apparire ridicoli, ma anche Egli stesso transita dall'esteriorità all'interiorità, affermando che per capire i discorsi di Socrate occorre penetrarvici dentro. Alcibiade termina il proprio encomio ammonendo Agatone, dicendo a questo ultimo che non deve lasciarsi ingannare dal Filosofo, imparando dalla propria esperienza; Alcibiade nomina, a questo fine, altri casi analoghi al suo, ricordando i nomi di Carmide figlio di Glaucone e quello di Eutidemo figlio di Diocle.

Quest'elogio di Socrate si allinea perfettamente con quelli precedentemente rivolti ad Ἔρως. Mentre i conviviali ridono e discutono su ciò cheèaccaduto, un gruppo d'ubriachi fa irruzione nella sala. stravolgendo tutti i propositi di riprendere il discorso su Ἔρως, travolgendo i partecipanti nella confusione, come in un'autentico finale di commedia.

Successivamente al miraggio del discorso di Socrate, l'arrivo d'Alcibiade ubriaco rappresenta un ritorno al reale. Importanteèqui il fatto che Alcibiade vada a sdraiarsi proprio tra Socrate ed Agatone, tenendo anche conto che, storicamente, Alcibiadeèstato un amato di Socrate e che ora questo ruoloèricoperto da Agatone. Si nota come Alcibiade voglia Socrate per sé; quiènecessario introdurre il concetto di Ἄγαλµα. Con l'ingresso di Alcibiade nonèpiù dell' Amore che si fa elogio, Έπαινος, ma del vicino che si ha alla propria destra, dunque Alcibiade deve pronunciare un elogio a Socrate. Alcibiade ci dice che parlerà di Socrate e che lo smascherer à, ma smascherarlo di che cosa? Ora sappiamo che Alcibiade discorre dettagliatamente del suo rapporto passato con Socrate, del fatto che questi abbia mostrato a Lui il proprio desiderio. Riprendendo concettualmente parte di quanto detto da Pausania, Alcibiade ci introduce al fatto che Socrateètrascinato dalle sue inclinazioni verso l'amore dei bei ragazzi, Alcibiade riprende per questo il paragone di Socrate con il Sileno, un paragone particolarmente significativo. Il paragone, di primo acchito, sembra porre l'accento sulle poco attraenti sembianze di Socrate, ma studiandolo attentamente si nota come il riferimento al Sileno quale un contenitore, una specie di contenitore tramite cui si presentano dei doni, questoèil punto focale del paragone, il fatto che quello che davvero conta si trovi al suo interno. La Ἄγαλµα viene ad indicare proprio questo oggetto prezioso, contenuto nel suo interno. Alcibiade, come giàèstato affermato, ci informa sulla tendenza di Socrate verso i bei ragazzi, nota come ad Egli non importi quanto l'uno o l'altro siano belli; ed con questo che Alcibiade arriva al punto principale del proprio discorso. Il punto focale della passione sono gli Ἄγάλµατα, ed Alcibiade mette in dubbio il fatto che qualcuno possa aver mai visto che questi siano contenuti in Socrate, eccezione fatta che Egli stesso;ècon questo che Alcibiade vuole mostrare l'unicità di questo rapporto. Alcibiade però non specifica però cosa siano questi Ἄγάλµατα. Senza soffermasi troppo su di essi, specificheremo ora il concetto di Ἄγαλµα. Lacan, nella lezione X° del seminario, si sofferma anche sull'aspetto etimologico di Ἄγαλµα, articolando un breve discorso particolareggiato, dove sottolinea il legame etimologico con lo Ἀγλαός, lo splendore, la brillantezza, questo lo si ricollega al discorso etimologico di Agatone, ripreso però diversamente, quale ammirevole, nel senso di brillante. Attraverso le ricerche di Károly Kerényi possiamo porre una prima distinzione tra la Ἄγαλµα, lo Ἐἰκών, l'icona, e lo Ἐἴδωλον, l'idolo, per cui la Ἄγαλµα nonèuna semplice rappresentazione, essa si declina in Ἄγαλµα - Θεοῦ, cheèl'immagine in cui si compiace il dio,èun qualche cosa di arcaico a cui Kerényi affianca nella stessa declinazione l'icona e l'idolo, sottolineando il fatto che nella religione ellenica non vi era l'utilizzo di immagine iconiche del dio, immagini intese come veicolo della partecipazione uomo-dio. A questo proposito si segnalano anche gli studi di Didi-Hubermann, a proposito degli ex-voto, quali immagini non intere, ma parti di una totalità che era originariamente un'immagine. La Ἄγαλµα, dunque,èsempre coinvolta, o legata, ad un evento, comeèpossibile constatare nell' Odissea oppure nella vicenda di Ecuba, essaèsempre legata ad immagini particolari. Per Lacan la Ἄγαλµα èciò che innesca il fenomeno erotico dentro Socrate, per Lacan la Ἄγαλµαèl'oggetto parziale. Rifacendosi a Karl Abraham, a proposito del problema dello Ἔρως correlato al processo evolutivo nell'uomo ad uno sviluppo teleologico che sfocia nel rapporto con l'altro, Lacan lacera questa prospettiva, troncando la parte terminale del processo nell'elaborazione della sua teoria, ponendo così il termine del rapporto, il desiderio verso a, ad un cumulo d'oggetti e non ad una persona completa, presa come autentico soggetto. Si evidenzia qui una precedenza dell'oggettività sulla soggettività, si sottolinea l'aspetto particolare della relazione d'amore, per cui il soggetto del desiderioèanche l'oggetto del desiderio stesso. A questo livello Lacan pone però una maggiore accentazione sul secondo aspetto, quello oggettivo, l'aspetto oggettualeèla mira del desiderio stesso, oggetto al quale si giunge superando il limite del Bello, ovvero il fantasma che nel Συµπόσιον si identifica come l'ostacolo all'oggetto del desiderio; oggetto che culmina sulla linea-limite tracciata da questo fantasma e tale oggetto, di qualunque natura esso sia,èsempre un oggetto parziale. Per Lacan non si viene a compiere l' oggettualit à della teoria di Freud, il quale insiste molto sulla fase fallica, per questo Lacan l'accuserà per di avere un'idea di natura pregiudiziale del rapporto sessuale. Tornando al discorso di Alcibiade, come già affermato, racconta in seguito ed in maniera del tutto disinibita, l'avventura avuta con Socrate. È importante notare come l'atmosfera religiosa che domina il racconto, ma come soprattutto sottolinea Lacanèun fatto in apparenza misterioso, Alcibiade sa di avere presso di sé il desiderio di Socrate, sa che per Socrateèun amato, eppure aspetta un segno del suo desiderio. Come mai questa attesa? A questo interrogativo può essere correlato la condotta di Socrate, il fatto che Egli non voglia entrare di proposito nel gioco dell'amore, gioco cheèposto alla partenza di tutto e che per questo Egli già conosce le cose d'amore; le uniche cose che Socrate conosce e si potrebbe ritenere cheèper questo che Egli non ami. Socrate si ammetterebbe come amato, inconsciamente rifiuta di essere stato desiderabile, degno di essere amato, perché per Lui non c'è nulla in sé che sia amabile; la sua essenzaèil vuoto che rappresenta il suo stesso Essere, la sua posizione centrale, come visto a proposito del discorso di Socrate,èun vuoto cheèall'opposto della pienezza di Agatone. Si presenta durante l'intervento di Socrate una sorta di rotazione, per cui Egli indichi ad Alcibiade di ricercare la Ἄγαλµα in Agatone; questa risposta viene a seguito dell'esplicita dichiarazione di brama di Alcibiade, il quale ricerca questa Ἄγαλµα perché:

Io lo voglio perché lo voglio, che questo sia il mio bene o che sia il mio male, quièil punto centrale dell'articolarsi del rapporto d'amore in Alcibiade ed su questo piano che Socrate i rifiuta di rispondergli. Al comando di Socrate di occuparsi della propria anima e di ricercare la perfezione, Socrate implica Alcibiade verso il cammino del suo bene, ma ciò che Lacan sottolineaèche in Alcibiade la metafora dell'amore esposta da Fedro si realizza da amatoèdivenuto amante, ma ciò che differenzia fortemente Socrate d'Alcibiadeèche il primoè“desiderante puro” mentre l'altroè“uomo del desiderio”.

Emerge, in questo svolgersi del discorso, la già menzionata indifferenza di Socrate verso il mondo che lo circonda, legato alla sua assenza di luogo, al sua essere Α - Τόπος. Quando Socrate interviene a fine dell'elogio di Alcibiade, ciò che quest'ultimo ricercava in Lui non c'era, in Lui c'è solamente un grande vuoto, indicando allora Agatone come contente di ciò che Alcibiade ricerca. Si fa perno qui sul fatto che a fine elogio Alcibiade si rivolge ad Agatone, fatto in apparenza secondario, ma su questo Socrate punta, si configura quello che si potrebbe definire un rapporto fra tre, ovvero, quando si diceva che occorreva essere in tre per amare, ci si riferiva proprio a questo, per cui Alcibiade vorrebbe essere amato da Socrate ed al contempo vorrebbe amare Agatone; precisamente amare Agatone che al contempo viene amata da Socrate. Alcibiade vorrebbe realizzare quanto decritto nella seconda parte del discorso di Διοτίµα, ma Socrate gli risponde per mezzo del proprio elogio ad Agatone, questaèuna risposta al presente, per cui entrano in gioco il Bene, la Ἄγαλµα ed Agatone. In greco non passa inosservata l'omonimia tra il Bene ed Agatone,èa livello del significante appunto che gioca la risposta di Socrate. Per cui, nella sua risposta, Socrate non si interessa di Ἀγάθων, inteso come Bene, nonèuna questione di Ἔθος; Socrate sostituisce la Ἄγαλµα ricercata da Alcibiade con Agatone, poiché Alcibiade nella sua ricerca non brama il Bene.

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Excerpt out of 147 pages

Details

Title
Brevi saggi di Metafisica, Teoretica ed Estetica
Subtitle
Anni 2007 - 2011
College
University of Trento  (Lettere e Filosofia)
Course
Filosofia
Grade
Ph.D. Candidate in Philosophy
Author
Year
2011
Pages
147
Catalog Number
V176703
ISBN (eBook)
9783640981793
ISBN (Book)
9783640981687
File size
1172 KB
Language
Italian
Notes
Lavoro pubblicato in occasione per il bando del Dottorato di Ricerca dello a.a. 2011/2012, per le Università di Trento, Padova, Trieste, Firenze, Siena e Perugia.
Keywords
Metaphysik, Theoretische Philosophie, Ästhetik, Philosophie
Quote paper
Dott. Mag. Luca Magni (Author), 2011, Brevi saggi di Metafisica, Teoretica ed Estetica, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/176703

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