Antonio Salvotti (1789-1866): un giudice trentino nelle tensioni fra Italia e Austria


Master's Thesis, 2019

105 Pages


Excerpt


Indice

Abbreviazioni

1. Introduzione e domanda di ricerca

2. Cenni storici sull’Ottocento
2.1. Linee generali della situazione politica fra Austria e Italia
2.1.1. La Costituzione in Austria
2.1.2. Le aspirazioni di libertà e di indipendenza dei popoli
2.2. Le organizzazioni segrete
2.2.1. La Massoneria
2.2.2. Antonio Salvotti e la Massoneria
2.2.3. La Carboneria
2.3. I moti insurrezionali del 1820–1821
2.3.1. La rivista “Il Conciliatore”

3. I delitti dei patrioti italiani (dal punto di vista austriaco)
3.1. Il crimine di alto tradimento
3.2. La legge penale austriaca del 1803

4. Carbonari
4.1. Carbonari a Fratta Polesine
4.2. Altri importanti Carbonari, rivoluzionari e patrioti condannati da Salvotti
4.3. Il Processo Maroncelli-Pellico

5. Le guerre di indipendenza

6. Antonio Salvotti
6.1. Immagini
6.2. Biografia e Carriera
6.3. Salvotti e l’unità d’Italia
6.4. La famiglia
6.4.1. La moglie
6.4.2. Il figlio Scipione

7. Friedrich Karl von Savigny

8. La legge non contenziosa del 1854 (Außerstreitgesetz 1854)
8.1. Alcune osservazioni sulla legge del 1854 (Außerstreitgesetz 1854)

9. Fonti giuridiche austriache riguardanti Salvotti

10. Alcune osservazioni sul lavoro pratico di Salvotti come magistrato secondo gli storici D’Ancona, Sandonà e Luzio

11. In nome dell’Imperatore

12. Carlo Antonio Martini e il Codice Civile Generale austriaco
12.1. Biografia
12.2. Il diritto naturale
12.3. L’opera giuridica di Martini
12.4. Il Codice Civile austriaco, una valutazione e il rapporto con Garibaldi

13. Conclusioni

14. Riassunto in tedesco, Deutsche Zusammenfassung

15. Abstract
15.1. Deutsche Fassung
15.2. English Version

16. Bibliografia
16.1. Bibliografia di base:
16.2. Bibliografia di approfondimento
16.3. Sitografia

17. Appendice
17.1. Dr. Robert Fucik, autore della nuova legge die procedura civile non contenziosa

Abbreviazioni

I.R. Imperiale reale, corrisponde a k.k.

ABGB Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch 1811 (codice generale civile austriaco)

AußStrG (1854) Legge fuori contenziosa del 1854, a cura di Antonio Salvotti

AußStrG. neu Außerstreitgesetz 2003, la nuova legge fuori contenziosa entrata in vigore al 1° gennaio 2005 modificata dalla legge del 25 aprile 2018, Bundesgesetzblatt I Nr. 59/2017, entrata in vigore il primo luglio 2018.

BGB Deutsches Bürgerliches Gesetzbuch 1900

BGBl Bundesgesetzblatt (Gazzetta Ufficiale della Repubblica Austriaca)

JBl Juristische Blätter

ÖBl Österreichisches Bibliographisches Lexikon

ÖNB Österreichische Nationalbibliothek

ÖRZ Österreichische Richterzeitung

RGBL Reichsgesetzblatt (Gazzetta Ufficiale della Monarchia Austriaca)

B.L.I. Bollettino delle leggi dell’Impero

StG Strafgesetz 1803 o 1852

StGB Strafgesetzbuch 1974, BGBl. 1974/60

ZPO Zivilprozessordnung (codice di procedura civile)

ZZP Zeitschrift für Zivilprozess

1. Introduzione e domanda di ricerca

Vorrei presentare il giudice e magistrato trentino Antonio Salvotti barone von Eichenkraft und Bindeburg (nato nel 1789 a Mori, Trentino - morto nel 1866 a Trento).

La mia conoscenza di questa personalità ormai storica, al servizio di ben tre imperatori asburgici (Francesco I, Ferdinando I, detto il Benigno, e Francesco Giuseppe), è avvenuta in occasione della nuova legge austriaca riguardante la giurisdizione non contenziosa “Außerstreitgesetz” (legge del 2003 entrata in vigore il 1o gennaio 2005, BGBl. I 111 del 12.12.2003) quando, attraverso il mio lavoro di giudice della corte d’appello di Vienna, ho potuto constatare che questo giudice fu il relatore principale dell’ “Außerstreitpatent” anche detto “Außerstreitgesetz”, dell’anno 1854, legge antecedente inizialmente intesa come provvisoria, ma che rimase in vigore per 150 anni. La nuova legge del 2003 è stata già modificata dalla legge del 25 aprile 2018, Bundesgesetzblatt I Nr. 59/2017, entrata in vigore il primo luglio 2018.

Dedicandomi allo studio della romanistica, dopo essermi ritirato dalla magistratura, ho potuto apprendere che Salvotti fu il giudice austriaco che condannò tanti patrioti italiani membri della Carboneria: tra i più noti Silvio Pellico, che nella sua opera “Le mie prigioni” descrisse le sue esperienze del carcere nella fortezza dello Spielberg (Brno) in Moravia.

Salvotti, dopo essere stato nominato consigliere di tribunale, portò a termine l’istruttoria contro 34 Carbonari della vendita (termine carbonaro per luogo / centro – simile Loggia massonica) di Fratta di Polesine e della provincia di Rovigo, concludendo il processo (18 maggio 1821) con 13 condanne a morte, poi commutate dall’imperatore in pene detentive. A causa di questa sua inflessibilità ed inclemenza nei confronti dei patrioti italiani, Salvotti venne rinominato “il perfido austriacante” o anche “geniale aguzzino al soldo dell’Austria”1.

Completamente contraria era invece l’opinione asburgica, dalla quale Salvotti veniva considerato una persona onesta e colta che applicava correttamente le leggi dell’Imperatore.

Il suo lavoro di giudice fu oggetto di giudizi discordanti anche da parte di storici di prestigio. Furono storici come Alessandro Luzio e Augusto Sandonà a rivalutare la sua figura.2

Invece lo storico Alessandro D’Ancona è rimasto critico dicendo che Salvotti con astuzia avesse indotto i rei a confessare3.

“Nominato nel maggio del 1822 consigliere presso il tribunale di Milano, istruì i processi contro, Confalonieri, Pallavicino, Pellico, Maroncelli, Andryane e tanti altri patrioti che poi espiarono duramente le loro condanne allo Spielberg a Brno (città boema) per il fatto di essere patrioti italiani.”4

Sebbene le condanne a morte comminate solo per il fatto di essere carbonaro potessero sembrare molto severe, va specificato che Salvotti agiva secondo un editto dell’Imperatore Francesco I del 21 agosto 1820, che prevedeva la pena di morte per i carbonari ed altre pene durissime per chiunque fosse fautore della suddetta società segreta.5 Benché spesso l’imperatore mitigasse le pene di primo grado, l’atteggiamento di Salvotti nell’esercitare la sua professione in modo tanto corretto (secondo la legge austriaca) quanto severo portò ad un conflitto tra le autorità austriache ed i patrioti Carbonari italiani, conflitto che poi ebbe conseguenze anche nell’ambito familiare del giudice stesso.

Dal suo matrimonio con la coltissima Anna Fratnich, figlia del presidente della Corte d’appello generale di Venezia Francesco von Fratnich, nacque il figlio Scipione (Verona, 11 dicembre 1830–Bologna, 27 febbraio 1883) che, ripudiando le tradizioni paterne, fu avverso al governo austriaco e amante delle aspirazioni italiane tanto da essere accusato di alto tradimento e condannato al carcere di Theresienstadt e di Suben in Austria superiore (fu poi graziato dopo soli quindici mesi di carcere dall’imperatore stesso per i meriti paterni).

La perdita della consorte nel 1837 per un cancro al seno fu un altro duro colpo per il giudice trentino, che continuò comunque a portare avanti con orgoglio e soddisfazione il suo lavoro di riformatore delle leggi e consigliere privato dell’imperatore Francesco Giuseppe.

Per questi ed altri motivi ritengo la personalità di Antonio Salvotti estremamente suggestiva, tanto da aver preso la decisione di dedicare la mia tesi a questo magistrato trentino, onde evitare che questa interessante personalità del Tirolo italiano cada nell’oblio sia da parte dei giuristi austriaci sia da parte dei romanisti.

Al centro della domanda di ricerca vorrei mettere un ritratto di questo personaggio e il suo lavoro.

L’intenzione del magistrato era l’unificazione italiana sotto la casa asburgica, mentre i patrioti italiani aspiravano all’unità italiana sotto la casa sabauda. Da questo contrasto nascevano i conflitti politici che dividevano anche la famiglia del magistrato.

L’obiettivo del mio lavoro sarà dunque disegnare un ritratto completo del suddetto magistrato per non lasciarlo cadere nell’oblio né da parte dei giuristi né da parte dei linguisti.

A questo proposito sarà necessario mettere in risalto la situazione politica dell’epoca, spiegare il fenomeno delle associazioni segrete come la Carboneria, descrivere la nazione asburgica nei confronti di tali associazioni, presentare alcuni Carbonari condannati da Salvotti, descrivere la personalità di Salvotti, la sua formazione e analizzare il contrasto politico con il figlio Scipione riguardo l’unificazione dell’Italia, illustrare il lavoro giuridico di Salvotti per la codificazione della legge non contenziosa del 1854.

Per comprendere la personalità di Salvotti e l’importanza della sua opera in campo giuridico è opportuno premettere un quadro storico dell’epoca, quella dei moti del 1820–1821.

2. Cenni storici sull’Ottocento

2.1. Linee generali della situazione politica fra Austria e Italia

Nel tempo in cui Salvotti indagava contro i Carbonari non esisteva ancora un’Italia unita. Metternich, cancelliere austriaco, l’artefice dell’Europa al Congresso di Vienna, disse “l’Italia è un’espressione geografica”.6

L’Italia era divisa in una pluralità di stati e staterelli, retti da sovrani locali o stranieri con governi in prevalenza assolutistici. L’Italia è stata dominata da Spagnoli, Francesi ed anche Austriaci. Perché la rivoluzione francese sia stata cruciale per la politica d’Austria e d‘Italia (alternanze tra assolutismo e democrazia) dovrebbe essere indicato brevemente. “In Francia il 14 luglio 1789 venne conquistata e distrutta la Bastiglia, il carcere in cui venivano rinchiusi i detenuti politici, simbolo dell’assolutismo”7. Questo avvenimento è stato la spinta per la rivoluzione francese che ha portato a eventi significativi, come l’abolizione del sistema feudale e la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, ispirata ai principi della libertà, dell’uguaglianza e della sovranità popolare. Ma con un colpo di stato nel 1799 Napoleone instaurò il proprio potere assoluto in Francia8.

Nel corso della prima campagna d’Italia (1796) Napoleone fu accolto come un liberatore dai patrioti italiani. Si formarono diverse repubbliche (Cisalpina, Ligure, Romana, Partenopea), le cosiddette repubbliche giacobine, dove vennero presi provvedimenti di abolizione del regime feudale e fu generalmente adottata la Costituzione francese del 1795. Ma i patrioti italiani si resero conto che Napoleone perseguiva la politica dei propri interessi come anche l’aumento delle imposte, la sottrazione di opere d’arte e altro. Dopo una vittoriosa offensiva contro il Piemonte e l’Austria il 17 ottobre 1797 venne stipulata la pace fra la Francia e l’Austria a Campoformio (detto anche più correttamente Campoformido, mentre secondo alcuni storici il trattato sarebbe stato sottoscritto a Villa Manin, dove risiedeva Napoleone). L’Austria riconobbe l’indipendenza della Repubblica cisalpina con capitale Milano. Una gran parte del Veneto venne assegnata all’Austria. Questo trattato inflisse un gravissimo colpo agli italiani che si sentirono profondamente umiliati. Napoleone appariva non più come liberatore ma come conquistatore. Per i patrioti italiani Napoleone ha tradito le aspettative cedendo Venezia all’Austria.

È da mettere in rilievo che l’opera di Ugo Foscolo “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” è ambientata nel triennio 1797–1799.9 Il protagonista Ortis, un ufficiale napoleonico, dopo il trattato di Campoformio, che cede la sua patria agli austriaci, si rifugia nei Colli Euganei. Si innamora di Teresa che è promessa ad un altro. Nelle lettere al suo amico Lorenzo Alderani racconta la sua delusione per la sorte della sua terra venduta da Napoleone all’Austria e per il matrimonio della donna amata. Simile al giovane Werther di Goethe, finisce tragicamente. Essenziale differenza con “I dolori del giovane Werther” è il motivo politico e patriottico del suicidio di Ortis. Ma anche il grande poeta tragico Vittorio Alfieri (Asti 1749- Firenze 1803) esprime nella sua opera “Il Misogallo” (stampata a Londra nel 1799) una feroce critica verso la Francia e gli ideali illuministici.10

Nel corso della seconda campagna d’Italia, dopo la vittoriosa battaglia di Marengo (1800), Napoleone riconquistò il controllo dell’intera penisola. Nel 1802 la Repubblica Cisalpina venne ribattezzata in Repubblica Italiana (comprendente la Lombardia). La Repubblica Cisalpina nel 1805 fu trasformata in Regno d’Italia e Napoleone ne divenne il re. Ne fece parte in seguito anche il Veneto sottratto all’Austria in seguito alla vittoria di Austerlitz (1805). Il governo degli altri stati venne affidato a familiari di Napoleone. I Francesi introdussero l’avanzato codice napoleonico e abolirono i vincoli feudali. Il dominio francese si fece sempre più oppressivo, tanto da provocare rifiuto e ribellione fra i patrioti e gli intellettuali.

Con il trattato di Presburgo del 1806 la Francia fondò la Confederazione renana (Rheinbund) che fu soprattutto un’alleanza militare. Gli stati del Sacro Romano Impero che diventavano membri di questa confederazione si erano obbligati a fornire alla Francia un gran numero di soldati. Questo fatto indusse Francesco II a rinunciare alla corona del Sacro Romano Impero fondato l’Ottocento da Carlo Magno. Questa abdicazione ebbe luogo nella chiesa “Am Hof” a Vienna nel 1806. Francesco II prese il nome di “Francesco I, Imperatore d’Austria.”11

Dopo la disastrosa campagna di Russia e le sconfitte decisive delle battaglie di Lipsia (1813) e di Waterloo (1815) Napoleone ha dovuto definitamente rinunciare al suo potere.

Tra il novembre del 1814 e il giugno del 1815 i rappresentanti delle principali potenze si riunirono a Vienna per definire l’assetto dell’Europa (Congresso di Vienna). Nella ristrutturazione politica dell’Europa vennero seguiti due principi fondamentali: il principio di equilibrio e il principio di legittimità (per ristabilire l’autorità delle monarchie). In omaggio al principio dell’equilibrio fra le potenze, l’egemonia sull’Italia fu assegnata all’Austria, che per dominio diretto o attraverso rapporti di parentela e trattati controllava politicamente quasi tutta la penisola. In tutti gli stati italiani fu abolita la legislazione napoleonica, ripristinando le leggi austriache (in particolare il Codice civile generale austriaco del 1811, l’ABGB, ha sostituito il Codice Napoleonico del 1804).12

Qui vorrei aprire una piccola parentesi e mettere in evidenza la figura del giurista trentino Carlo Antonio von Martini, nato nel 1726 a Revò nella Val di Non – morto a Vienna nel 1800, il quale ottenne da Maria Teresa la cattedra di Diritto Naturale e Istituzioni civili. Von Martini lavorò alle riforme scolastiche e contribuì alla codificazione giuridica. Progettò un codice civile, che entrò in vigore a titolo sperimentale come “Codice civile della Galizia occidentale” e poi venne pubblicato nel 1811 come Codice civile generale austriaco (ABGB), che è ancora in vigore (evidentemente con tanti emendamenti).13 14

Che l’ABGB si basi sul principio della legge naturale risulta già dal § 16 ABGB il quale dice programmaticamente:

“Ogni uomo ha dei diritti innati che si conoscono con la sola ragione , perciò egli è da considerarsi come una persona. La schiavitù o proprietà sull’uomo, e l’esercizio della potestà ad essa relativa non sono tollerati in questi Stati”.

In questo contesto si può ricordare un altro grande giurista trentino, Cesare Benoni, Edler von Clainsberg, nato nel 1815 e morto nel 1898 a Rovereto, che, a capo della sezione legislativa del Ministero della giustizia di Vienna, modificò il codice fallimentare (Konkursordnung) nel 1868, sostituito poi il 1° ottobre 1997 dalla legge sull’emissione dei fallimenti15. Benoni era anche come Salvotti giudice della Suprema Corte.16

Ritornando alla storia generale: il dominio austriaco si esercitava direttamente, attraverso un viceré, sul Regno Lombardo-Veneto, che comprendeva la Lombardia, il Veneto, il Trentino e il Friuli, l’Istria e la Dalmazia. Si trattava di una delle zone economicamente più evolute del paese. “A sovrani appartenenti alla dinastia asburgica furono assegnati anche il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, il ducato di Modena e Reggio, il principato di Massa e Carrara e infine il Granducato di Toscana”17.

Decisamente reazionaria fu invece la politica di Vittorio Emanuele I di Savoia (1802–1821) nel Regno di Sardegna, unico Stato italiano politicamente autonomo dall’Austria.

L’Italia meridionale fu unificata sotto il Regno delle due Sicilie con il Borbone Ferdinando I (1815–1825), politicamente legato all’Austria.

Il progetto di restaurazione del Congresso di Vienna fu debole, perché un ritorno al passato era impossibile. I principi prerivoluzionari di libertà e di uguaglianza si erano affermati in gran parte d’ Europa. Con la libertà di stampa e con il fiorire di giornali si era formata un’opinione pubblica attiva nel dibattimento politico. In molti paesi la legislazione napoleonica aveva eliminato i vincoli feudali e aveva favorito la formazione di una nuova classe di proprietari terrieri non aristocratici.

Il tentativo della Restaurazione si è concluso definitivamente con le grandi rivoluzioni europee del 1848.

L’opposizione alla Restaurazione si incentrò su due grandi temi: le aspirazioni delle libertà costituzionali e la questione delle nazionalità e di indipendenza dei popoli.

Per approfondire la problematica costituzionale ritengo utile uno sguardo al processo costituzionale in Austria.

2.1.1. La Costituzione in Austria

I liberali lottavano per ottenere la Costituzione, per l’uguaglianza giuridica, per la libertà di stampa, di pensiero, di commercio. In Austria, nell’ Ottocento, prevaleva la tendenza verso lo stato assoluto, in particolare quando l’imperatore era politicamente forte. Nel caso che l’imperatore subisse sconfitte e quindi fosse politicamente debole, in una monarchia parlamentare il popolo partecipava al potere legislativo e esercitava le prerogative del sovrano che gli concedeva la Costituzione.

Con la Costituzione Pillersdorf che fu in vigore solo dal 25 aprile 1848 fino al 16 maggio di quello stesso anno venne approvato una sola legge, relativa alla riforma agraria dei beni immobili (il cosiddetto “Grundentlastungspatent”, associato al nome di Hans Kudlich). Questa legge però non entrò in vigore nel Lombardo – Veneto. In Austria invece il sistema feudale, cioè la signoria fondiaria fu abolito e il contadino divenne proprietario della terra. Per agevolare i contadini, il proprietario terriero dovette rinunciare a un terzo del prezzo fondiario, un terzo lo pagava lo Stato e un solo terzo spettava al contadino. In seguito a questa riforma, l’agricoltore in Austria cessò di essere elemento rivoluzionario. In Italia, invece, la riforma agraria non è stata finora completamente effettuata (cfr. p.e. l’istituto giuridico la “mezzadria”).

Dopo l’insurrezione viennese dell’ottobre 1848, il “Reichstag” venne spostato a Kremsier in Moravia dove venne elaborato un progetto di Costituzione con tendenza federalistica. Questo progetto e quello di Francesco Giuseppe del marzo 1849 fallirono a causa della resistenza dell’Ungheria. Sulla base del “Silvesterpatent” del 1851 l’imperatore Francesco Giuseppe I governò fino al 1860 senza alcuna restrizione parlamentare. Il “Reichstag” venne sostituto dal “Reichsrat”, il Consiglio dell’Impero, un organo consultivo costituito da due Camere, la Camera dei signori e la Camera dei deputati eletti. La Costituzione dell’ottobre 1860 (“Oktoberdiplom ) dopo la sconfitta austriaca nella battaglia di Solferino (Seconda guerra di Indipendenza) rafforzò il ruolo del “Reichsrat”. La nuova Costituzione del febbraio 1861 (“Patente di febbraio”) fu emessa invece con tendenza centralista dall’imperatore Francesco Giuseppe I per tutti i territori dell’Impero e sostituì largamente il Diploma Federalista d’Ottobre del 1860. Dopo la sconfitta dell’Austria nella guerra contro la Prussia (battaglia di Königgrätz, 1866, in italiano battaglia di Sadowa) l’Austria cedette il Veneto all’Italia e emanò la “Dezemberverfassung 1867”, composta da 6 leggi fondamentali. Alcune di queste sono ancora oggi in vigore. Per una conoscenza più approfondita dell’argomento rimando alla “Legge fondamentale dello Stato – Sui diritti fondamentale dei cittadini” (Staatsgrundgesetz vom 21.12.1867 über die allgemeinen Rechte der Staatsbürger für die im Reichsrat vertretenen Königreiche und Länder RGBl. 1867, 144. Un’ edizione italiana è reperibile in biblioteca nazionale a Vienna). L’articolo 17 relativo alla libertà della scienza e al suo insegnamento è riferito al sistema educativo.18

Dopo la grave sconfitta di Königgrätz l’imperatore Francesco Giuseppe, per evitare che la popolazione si deprimesse, fece comporre da Johann Strauss figlio un Walzer il cui testo originario: “Wiener seid froh! Oho! Wieso? Ei, Fasching ist da!” non era orecchiabile. Il grande successo venne con il nuovo testo “Sul bel Danubio blu”.19

Si temeva in questo periodo che i Prussiani potessero occupare Vienna. Perciò a nord di Vienna, da Langenzersdorf fino alla Lobau, si erano scavate trincee difensive (Wiener Alte Schanzen), di cui alcuni rudimentali resti sono visibili ancora oggi.

2.1.2. Le aspirazioni di libertà e di indipendenza dei popoli

In opposizione alla Restaurazione si cominciò a parlare di “nazione” nel senso di comunità di lingua, storia e cultura. L’idea di nazione divenne così uno dei grandi temi del dibattito culturale e politico dell’Ottocento. Il Romanticismo fu un movimento essenzialmente letterario, che ebbe però una notevole rilevanza anche sul piano filosofico e politico. L’elemento unificante del Romanticismo era la contrapposizione al razionalismo illuminista, cioè all’idea che la ragione sia l’unico fondamento accettabile del sapere e dell’agire. Secondo i romantici, l’uomo non è solo ragione, ma anche sentimento, irrazionalità, fantasia. La società non è solo l’insieme delle leggi, è invece una comunità di storia, di lingua, di cultura, di tradizione, ovvero una nazione. Nasce così l’amore per la patria, il luogo dove uno è nato e cresciuto, per il popolo e la nazione. I romantici, portatori di queste idee, si schierarono contro l’ordine imposto dal Congresso di Vienna e contro l’assolutismo, assumendo posizioni liberali e democratiche. Siccome l’opposizione alla Restaurazione non poteva manifestarsi apertamente, essa prese la forma organizzativa delle società segrete: in Italia la Carboneria. Il loro obiettivo era di organizzare insurrezioni che costringessero i sovrani a concedere la costituzione20.

2.2. Le organizzazioni segrete

Tra le tante organizzazioni vorrei limitarmi alle più importanti, come la Massoneria, la Carboneria e la Giovine Italia.

2.2.1. La Massoneria

La Massoneria fu un’organizzazione importante per l’unificazione d’Italia, perché i suoi rappresentanti furono i primi a volere un’Italia unita. “Quest’ associazione segreta dei cosiddetti liberi muratori si costituì a partire dal XVII sec. principalmente in Inghilterra e in Scozia, allo scopo di svolgere opera di assistenza e di beneficenza tra gli associati, secondo gli ideali cristiani”21. Nelle prime logge massoniche si respirava un generico cosmopolitismo umanitario, un ideale astratto di libertà e di fratellanza morale, un naturalismo newtoniano e deista caratterizzato dalla più ampia tolleranza in materia religiosa. Nei secoli la massoneria subì profonde trasformazioni, assumendo un ruolo culturale e talvolta politico. “Tuttavia mantenne il carattere segreto delle riunioni, i nomi e i simboli con cui gli affiliati comunicavano tra loro. Ogni gruppo prendeva il nome di una “loggia” e i suoi membri erano divisi nei tre livelli di “apprendista”, “massone” e “maestro”.22 La Gran Loggia di Londra si diffuse con rapidità anche su tutto il continente europeo. In Italia la prima loggia fu aperta a Firenze nel 1738, per iniziativa del granduca Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa d’Asburgo. Nonostante la condanna ufficiale di papa Clemente XII, la massoneria si estese sempre più nella società europea. In Italia, nel corso dell’Ottocento, la Massoneria assunse sempre di più un ruolo politico (unificazione d’Italia) e anticlericale (contrasti con lo Stato Pontificio).

I massoni stessi rivendicano Garibaldi, Mazzini, Cavour e Vittorio Emanuele II come i quattro Padri della Patria.23

Giuseppe Garibaldi (1807–1882): prese parte ai falliti moti rivoluzionari in Piemonte e Liguria del 1834. “Condannato a morte dal governo sabaudo e costretto a fuggire in Sud America, partecipò ai moti rivoluzionari in Brasile ed Uruguay”.24 Nel 1860 si imbarcò da Genova (da Quarto) alla volta della Sicilia (Marsala), accompagnato da numerosi volontari (“i Mille”) fra i quali si trovavano anche molti affiliati alla Massoneria. In breve tempo conquistò il “Regno delle Due Sicilie” con la sua capitale Napoli. Anche se in origine era repubblicano, alla fine accettò Vittorio Emanuele come primo re della nuova Italia. “Divenne Gran Maestro del “Grande Oriente d’Italia”.25 Non si rassegnò mai al fatto che Nizza, la sua città natale, fosse passata alla Francia.26

Giuseppe Mazzini (1805–1872) aveva come obiettivo l’unificazione nazionale sotto un governo repubblicano. Iscritto alla Carboneria genovese nel 1827 e per questo arrestato nel 1830, era dell’opinione che l’unificazione dovrebbe venire dal popolo, da “sotto”, non dall’ élite. Secondo lui, le società segrete avevano il carattere di sette aristocratiche e chiuse, lontane dai bisogni e dalle aspirazioni del popolo. Il suo obiettivo era un governo del popolo, una repubblica democratica. Occorreva predisporre un’opera di educazione morale e civile del popolo e di preparare un’insurrezione che coinvolgesse tutte le classi sociali. Questa organizzazione fu la Giovine Italia, fondata da Mazzini nel 1831 a Marsiglia per superare le difficoltà politiche e cospirative incontrate dalla Carboneria. “Tuttavia Mazzini non presentò un programma di profonde riforme sociali, la cui attuazione avrebbe potuto migliorare le condizioni dei contadini. Mazzini, in particolare, era contrario alla confisca dei latifondi e alla loro assegnazione ai contadini. Il metodo dell’insurrezione doveva servire a liberare il popolo dalla servitù politica, mentre, per il riscatto dalla servitù sociale, Mazzini proponeva soluzioni conciliatorie, moralistiche, pedagogiche”. Dopo i moti del 1848-49, Mazzini fu a capo della Repubblica Romana, soppressa dalla reazione francese nel 1849.

Perché i moti mazziniani fallirono tutti?

a) i liberali non erano riusciti ad attirare nella lotta di liberazione nazionale le masse contadine e avevano eluso la questione agraria
b) la “Giovine Italia” fu fondata da liberali emigrati a Marsiglia nel 1831, appariva come una scelta elitaria
c) l’idea di Stato centralista era condivisa solo dalle forze sabaude; inoltre l’idea di volere subito uno Stato democratico-repubblicano in una penisola divisa in tanti staterelli monarchici appariva irrealizzabile
d) la tattica di organizzare complotti e moti insurrezionali diretti dall’estero, senza un vero legame con le masse, si rivelò sbagliata. Anche se Mazzini politicamente fallì, le sue idee avevano contribuito in maniera essenziale all’unificazione italiana.27

Camillo Benso Conte di Cavour (1810–1861), come diplomatico capì che il processo dell’unificazione italiana aveva bisogno del sostegno di un altro Stato forte, come poi avvenne con la Francia nella seconda guerra d’indipendenza e con la Prussia nella terza. Il Regno di Sardegna conquistò la benevolenza degli stati vincitori, la Francia e la Gran Bretagna, partecipando alla guerra di Crimea (1853–1856). Morì al 6 giugno 1861 poco dopo l’unità italiana.

Vittorio Emanuele II (1820–l878; re di Sardegna dal 1849 al 61, re d’ Italia dal 1861 al 1878), il 17 marzo 1861 fu proclamato “re d’Italia, per grazia di Dio e volontà della nazione”.

Con la presa di Roma è diventato “padre della patria”.

In seguito alla sconfitta di Napoleone l’importanza della Massoneria viene meno e viene gradualmente sostituita da altre forze segrete, come la Carboneria. La differenza fra la Massoneria e la Carboneria consiste nel fatto che i Massoni avevano un astratto ideale ed hanno influenzato la pubblica opinione secondo i loro obiettivi, mentre i Carbonari cercarono di imporre la loro volontà all’azione rivoluzionaria.

Anche molti altri esponenti della cultura europea furono membri della Massoneria. Solo per nominarne alcuni, Carducci, Mozart, Joseph Haydn, Goethe e tanti altri famosi personaggi.

È da mettere in risalto che anche la fondazione degli Stati Uniti d’America è dovuta ai massoni. Il primo presidente George Washington era massone.

2.2.2. Antonio Salvotti e la Massoneria

Dopo aver compiuto i suoi studi di giurisprudenza, Salvotti - di famiglia cattolica - andò a Milano a fare pratica legale. A Milano, città vibrante di vita e cultura, che faceva parte del Regno Italico assieme al Tirolo, si iscrisse alla massoneria. Maasburg rivela che Salvotti a Milano come praticante in diritto penale all’età di 22 anni aderì nel 1812 alla Loggia Milanese come “apprendente” attraverso il suo istruttore Francesco Salfi. Superato brillantemente l’esame per l’avvocatura, decise di stabilirsi a Trento, una città di provincia, dove vivevano la sua famiglia e gli amici. Con la Restaurazione del dominio austroungarico nel Lombardo-Veneto, ricevette la nomina a giudice di tribunale a Trento e si dimise dalla massoneria con la promessa in futuro astenersi con i Massoni.28

2.2.3. La Carboneria

Il termine “Carboneria” deriva da carbone, è un simbolo della sofferenza e del lavoro. La Carboneria era una società segreta rivoluzionaria di carattere popolare, nata nel Regno di Napoli durante i primi anni dell’Ottocento. Perseguendo l’obiettivo della libertà e l’indipendenza dei popoli soggetti, si oppose inizialmente alla politica filo-napoleonica di Gioacchino Murat. Dopo il 1815 si diffuse anche in Sicilia, nello Stato Pontificio e nel Nord Italia, soprattutto in Lombardia ed in Romagna. La Carboneria, come movimento patriottico, assunse sempre più un carattere anti-austriaco. L’imperatore Francesco I temeva le azioni della Carboneria e si mostrò molto severo contro i suoi membri. Il 21 agosto 1820 fu emanato un editto col quale era comminata la pena di morte per i reati di Carboneria. Fu il compito del magistrato Antonio Salvotti indagare e condannare i “delinquenti” Carbonari.

Similmente alla Massoneria, anche la Carboneria era organizzata gerarchicamente. “Baracca” era chiamato il locale dove si riunivano i Carbonari. Alcune baracche formavano una “Venta”, l‘ equivalente della Loggia per i massoni. I Carbonari si chiamavano fra loro “Cugini”. Vi erano delle vendite che avevano tra gli affiliati anche donne, dette “sorelle giardiniere”.29

Della Carboneria persone d’ogni condizione sociale facevano parte, nobili, ufficiali, magistrati, impiegati, possedenti, commercianti, soldati, artigiani, sacerdoti. I Carbonari miravano a liberare l’Italia da ogni servitù interna ed estera.” Riguardo alla forma di regime non mostravano di aver preferenze: qualsiasi forma, escluso l’assolutismo, era buona, monarchica o repubblicana, a base unitaria o a base federale, purché non mancasse un’illuminata e ampia costituzione. Come in tutte le sette, l’iniziazione alla Carboneria avveniva con riti che avevano del simbolico, del misterioso e insieme del pauroso. All’adepto erano bendati gli occhi; quindi lo si portava dentro varie stanze e ad un tratto, lo si fermava, gli si faceva udire una voce che diceva: “Questo è un cieco che ama la luce”30. Un’altra voce rispondeva: “La potrà vedere: che cosa brama da noi?” E l’iniziando doveva dire: “L’indipendenza d’Italia”. “Allora un’altra voce gli domandava se conoscesse l’istituto in cui voleva entrare e gli faceva un breve esame sulla religione e sui diritti dell’uomo, quindi faceva ripetere solennemente la formula del giuramento: “A gloria del Grande Maestro dell’Universo, io giuro sugli Statuti dell’Ordine, e su questo ferro punitore degli spergiuri, di custodire e conservare i segreti della Venerabile Carboneria e di aiutare i miei Buoni Cugini Carbonari per quanto lo permettono le mie forze e di non attentare al loro onore né a quello delle loro famiglie. Se divento spergiuro, sono contento che il mio corpo sia fatto a pezzi, bruciato, e le ceneri sparse al vento, onde il mio nome sia in esecrazione a tutti i Buoni Cugini Carbonari sparso sulla superficie della terra: così Iddio mi sia in aiuto”31.

La Carboneria organizzò sia i moti del 1821 nei regni delle Due Sicilie e di Sardegna, sia quelli del 1831 in Emilia Romagna e nelle Marche.

2.3. I moti insurrezionali del 1820–1821

Queste insurrezioni furono organizzate da società segrete con l’obiettivo di combattere la restaurazione voluta dal Congresso di Vienna. I rivoluzionari aspiravano ad un governo costituzionale e una patria libera. La prima rivolta scoppiò a Cadice, in Spagna, nel gennaio 1820, fra le truppe in procinto di partire per il Sudamerica allo scopo di reprimere la rivolta di Simon Bolívar e sedare la ribellione delle colonie spagnole. Nel luglio dello stesso anno fu l’Italia meridionale a insorgere: l’iniziativa fu presa da due ufficiali di cavalleria aderenti alla Carboneria, Morelli e Silvati, che si ammutinarono con il loro reggimento. La rivolta dilagò sotto la guida del generale Guglielmo Pepe. Contemporaneamente insorgeva Palermo, rivendicando la separazione della Sicilia da Napoli.32

Al pensiero mazziniano s’ispirarono molte insurrezioni, ma l’ideale repubblicano non si realizzò mai compiutamente. Da ricordare anche il pensiero politico federalista del milanese Carlo Cattaneo, e quello neoguelfo di Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini da Rovereto (che scrisse Delle cinque piaghe della chiesa, venne condannato dal Sant’ Uffizio ma riabilitato a seguito del Concilio Vaticano). Da non trascurare anche la prospettiva di Cesare Balbo e Massimo D’Azeglio, favorevoli a un’Italia unita a guida piemontese e di casa Savoia.

Nel marzo 1821 scoppiò la rivolta in Piemonte, per iniziativa di un gruppo di ufficiali guidati dal marchese Santorre di Santarosa, mentre i Carbonari preparavano l’insurrezione in Lombardia. Le potenze della Santa Alleanza riuscirono a reprimere le rivolte, che non erano quasi mai riuscite a ottenere l’appoggio delle popolazioni. Nel marzo 1821 gli Austriaci presero Napoli e nell’aprile sconfissero i costituzionalisti piemontesi, che avevano invano confidato nell’appoggio del principe Carlo Alberto, futuro successore di Vittorio Emanuele I. I patrioti lombardi furono arrestati, tra questi, Silvio Pellico, Pietro Maroncelli, Federico Confalonieri. “Il Conciliatore” venne proibito. I moti del 1820–1821 si chiudono con un completo fallimento.33

2.3.1. La rivista “Il Conciliatore”

Il più forte nucleo di opposizione liberale era attivo in Lombardia. Un gruppo di Carbonari,

fra i quali Federico Confalonieri e Luigi Porro Lambertenghi, fondò nel 1818 la rivista “Il Conciliatore”.34 Questo periodico scientifico-letterario, cui collaboravano anche Silvio Pellico, Giovanni Berchet e Ludovico di Breme, operava per creare un’opinione pubblica borghese e liberale e intendeva sostenere in modo moderato le tematiche liberali, anche anti-austriache. La rivista avrebbe dovuto fungere da contrappeso alla “Biblioteca Italiana”, fondata con lo scopo di diffondere simpatia per l’Austria.35 Il “Conciliatore”, sospettato di liberalismo, nell’ottobre 1819 fu soppresso dalla polizia austriaca.

3. I delitti dei patrioti italiani (dal punto di vista austriaco)

3.1. Il crimine di alto tradimento

Il delitto di cui i patrioti italiani dovevano rispondere era quello di alto tradimento. Le disposizioni relative a tale reato applicate dal giudice Salvotti erano disciplinate dai §§ 52 e segg. del codice penale austriaco del 1803 (Gesetz “über Verbrechen und schwere Polizey-Übertretungen”). Questa legge non regolava solo il diritto penale sostanziale ma anche il diritto di procedura. Questa però era inquisitoria e non accusatoria come invece la procedura penale francese (Code instruction criminelle dell’anno 1808).

Il giudice inquisitore anche pronunciava la condanna senza un’accusa formale. Spettava a lui raccogliere le prove e pronunciare la sentenza. La fase istruttoria nel processo moderno è separata dalla fase della sentenza. Il procedimento accusatorio si svolge alla presenza di 3 parti, ossia accusatore, accusato e giudice.36

Il codice penale austriaco del 1803, unito con il regolamento di procedura penale, era basato sui principi della procedura scritta, non pubblica, e prescriveva un sistema di prove legali ed era un processo inquisitorio. Antonio Salvotti combatteva a favore della procedura pubblica.37

Il codice del 1803 fu modificato nel 1833 con l’abolizione del carcere durissimo che prevedeva per i detenuti il regime a pane e acqua. Nel 1850 fu pubblicato un nuovo regolamento di procedura penale basato sulle massime fondamentali dell’oralità e della pubblicità del procedimento, nonché della libera valutazione delle prove.38

3.2. La legge penale austriaca del 1803

Ignaz Maucher nella sua opera “Das österreichische Strafgesetz über Verbrechen sammt den auf dasselbe sich beziehenden Gesetzen und Verordnungen”39, ci offre un’esauriente illustrazione del diritto penale austriaco applicato da Salvotti nei confronti dei patrioti italiani.

Il § 52 della legge penale del 1803 stabilisce:

“Commette il crimine dell’alto tradimento

a) chi lede la sicurezza personale dell’Imperatore
b) chi intraprende qualche cosa che fosse intesa ad una violenta mutazione della forma del governo oppure a distaccare violentemente una parte dello Stato, rompendo la unità, ovvero ad attirare contro lo Stato un pericolo da fuori o accrescerlo o a suscitare nell’interno un’insurrezione o una guerra civile sia che ciò facciasi pubblicamente o in segreto, da persone singole o collegate colla seduzione, coll’arruolamento, collo spionaggio, coll’appoggio o con qualunque altra azione a simile intento.”

Di seguito a questo paragrafo vengono elencate “come associazioni con fine di alto tradimento” la Carboneria e la Giovine Italia, per la loro tendenza eversiva.

Il § 53 prevedeva la pena di morte, anche se l’azione eversiva non aveva raggiunto alcun obiettivo ed era rimasta senza successo o era stata solo tentata.

È una particolarità del codice penale austriaco che il crimine di alto tradimento venga anche punito se il reato non è stato compiuto ma solo tentato.

Nella fattispecie “chi intraprende qualche cosa” (“Wer etwas unternimmt”) è considerato colpevole perché un semplice atto di preparazione al delitto viene interpretato come un crimine compiuto. Nella dottrina penale austriaca si parla in questo caso di “Unternehmensdelikte”.

I paragrafi 54 e 55 del codice penale puniscono con l’ergastolo in regime di carcere duro la correità nell’ alto tradimento

- chi deliberatamente omette di impedire un’impresa che involve l’ alto tradimento, potendo facilmente e senza pericolo per sé o per i suoi attinenti, impedirne il progresso, o
- chi deliberatamente omette di denunciare all’Autorità un’ impresa di alto tradimento.

Il § 56 del codice penale prevedeva la non punibilità “per efficace pentimento” per chi entrato a far parte di una lega avente per scopo l’alto tradimento, ma poi “mosso da pentimento ne scopre all’Autorità i membri, gli statuti, le mire e le imprese, mentre che erano tuttora occulti e se ne poteva impedire il danno”.40

Di particolare importanza per la procedura penale sono i §§ 399–402 del codice riguardanti la forza probatoria delle prove, in particolare il valore della confessione.

Salvotti riusciva con il suo modo di interrogare a ottenere la fiducia degli inquisiti e a costringerli alla confessione. Ma la sola confessione generalmente non era sufficiente per una condanna. Il contenuto della confessione doveva corrispondere al resto delle prove. Secondo il § 402 del codice citato la prova della confessione non veniva invalidata dalla successiva ritrattazione o contraddizione, a meno che non vi fossero circostanze che mettevano in dubbio la attendibilità della confessione precedente.

Generalmente si può dire che la confessione del sospetto costituiva in numerosi casi la prova completa della sua colpevolezza. Salvotti aveva la capacità di indurre i rei a confessare.

D’Ancona scrive criticando ovviamente Salvotti:41

“Il giudice dei processi politici era il “non ignobile” Salvotti che soleva dire all’imputato:

“S’ ella confessa ciò che del resto già sappiamo d’altra parte, l’imperatore le fa grazia, ella torna a casa sua onorato e innocente. S’ ella si ostina al niego, sta in me il diffamarla e spargere che ha tutto rivelato, che tradì i compagni, e così torle di fuori quello di che ella mostra far tanto conto: la pubblica opinione.”

Alla fine di ogni inquisizione veniva emanata la sentenza (§ 415) di assoluzione o condanna.

Il § 430 del codice penale richiedeva per la condanna a morte o l’ergastolo la confessione del reo o la prova del crimine ottenuta da testimoni giurati, se tutte le circostanze rilevanti erano appurate. Se i fatti non potevano essere accertati o la colpevolezza del reo veniva provata unicamente in base alla testimonianza dei correi, non si poteva emanare una sentenza a più di venti anni di carcere.

Il § 433 prevedeva nel caso di alcuni crimini come alto tradimento, insurrezione, pubblica violenza e omicidio che ogni sentenza, sia di condanna che di assoluzione, doveva essere prima della pubblicazione presentata alla Corte Superiore (Corte d’Appello). Questa doveva controllare gli atti del processo di primo grado e, se trovava qualche difetto di procedura, doveva rimandare le pratiche al tribunale con l’avvertenza di correggere il difetto oppure interveniva autonomamente e modificava la sentenza. La Corte Superiore aveva l’autorità di mitigare o aggravare le pena proposta dal tribunale di primo grado.

Nel caso di un processo per alto tradimento e in altri gravissimi casi, il § 442 prescriveva che neanche la Corte Superiore potesse rendere pubblica la sentenza, ma che dovesse presentare tutti gli atti alla Sezione Suprema (Oberste Justizstelle). Questa sentenza, secondo il § 444, doveva essere presentata al sovrano, che aveva il diritto di concedere la grazia. Per i tribunali del Lombardo-Veneto il sovrano era lo stesso imperatore.

Il verdetto che non è soggetto ad alcuna decisione superiore deve secondo § 445 senza indugio annunciato e eseguito.

È da mettere in risalto che il codice penale del 1852 (Kaiserliches Patent del 27 maggio 1852, RGBl Nr. 117) che sostituì il codice penale del 1803 nei paragrafi 58 e segg., in cui regolava la problematica dell’alto tradimento, resta sostanzialmente uguale alla versione precedente. Anche nel codice del 1852 il tentativo del crimine e anche l’azione preparatoria al delitto di alto tradimento vengono assimilati al crimine compiuto. Questo codice è rimasto in vigore (con l’eccezione del periodo nazista) fino a quando è stato sostituito dal codice penale 1974 (StGB 1974), entrato in vigore il 1° gennaio 1975: anche in questo ultimo codice, però il reato di alto tradimento è trattato come nelle precedenti versioni.

Vorrei in seguito presentare alcuni carbonari e patrioti per poter conoscere il lavoro e la caratteristica del magistrato Salvotti.

4. Carbonari

4.1. Carbonari a Fratta Polesine

Già quando “Il Conciliatore” aveva appena visto la luce, la polizia austriaca scoprì una vendita carbonara a Fratta Polesine. ”I principali Carbonari furono arrestati in varie fasi dopo il banchetto carbonaro che ebbe luogo nel giorno di San Martino (11 novembre) del 1818 nella Villa Molin (oggi Avezzù), che era la dimora di Cecilia Monti. Chi aveva diffuso la Carboneria nel Polesine era stato Felice Foresti, giudice di pace a Crespino (Rovigo). Chi fece involontariamente scoprire la “vendita” fu l’affiliato Antonio Villa di Fratta, che rivelò nomi e fatti come Antonio Solera, Fortunato Oroboni ed altri”42. Alcuni dei Carbonari furono nel settembre 1820 condannati dalla Commissione speciale per l’inquisizione contra la setta di Carbonari di cui era membro ed inquisitore il trentino Antonio Salvotti.43

Fra i Carbonari della Fratta Polesine erano:

Felice Foresti, “patriota, nato a Conselice nel 1789, morto a Genova il 14 settembre 1858. Entrato giovanissimo nella magistratura nel 1811, ebbe la carica di pretore a Crespino. Affiliato alla Carboneria (1817), organizzò un centro carbonaro a Rovigo, e vendite subalterne in tutta la provincia, finché, tradito, fu arrestato nel novembre del 1818”44.Dopo lunghi interrogatori, durante i quali compromise con le sue dichiarazioni alcuni suoi compagni di fede, con sentenza del 22 gennaio 1821, confermata il 18 maggio, fu condannato alla pena di morte, commutatagli in quella a venti anni di carcere duro, da scontare allo Spielberg. Liberato con altri compagni di prigionia nel 1836, fu deportato in America. “A New York ebbe una cattedra di letteratura italiana all’università di Columbia. Verso il 1840 entrò in relazione epistolare con Mazzini, e, oltre a istituire a New York una congrega della Giovine Italia, strinse amicizia con altri esuli italiani rifugiati in America, specialmente con Garibaldi”45. Fece parte di quel comitato italo-americano che nel 1847 indirizzò una lettera a Pio IX per le riforme da lui concesse. Tornato in Italia nel 1856 stabilitosi a Genova, si staccò da Mazzini, schierandosi con quel gruppo di patrioti che facevano capo a Manin e a Pallavicino, favorevoli alla politica del conte Cavour. Designato una prima volta come console degli Stati Uniti a Genova, la sua nomina non fu gradita al governo sardo, che però poco dopo si decise ad approvarla. Ma Foresti tenne quella carica solo negli ultimi tre mesi di vita.

Antonio Villa, “patriota (Fratta Polesine 1775–Spielberg 1826). “Cancelliere presso la giudicatura di pace di Fratta, poi giudice a Rovigo, si affiliò (1817) alla Carboneria. Arrestato (1818), fece rivelazioni che compromisero i suoi compagni e che non valsero a salvarlo; infatti fu condannato (1821) a venti anni di carcere duro “46.

Antonio Fortunato Oroboni, patriota e uno dei primi martiri del Risorgimento, nato a Ferrara il 9 agosto1791 da nobile famiglia, morto nelle prigioni dello Spielberg il 13 giugno 1823. Iscritto alla Carboneria, ebbe in custodia le carte della setta quando iniziarono i primi processi contro i Carbonari nelle Marche e nella Lombardia”47. Nascose i documenti compromettenti nella cappella della famiglia a Fratta Polesine; ma il segreto fu tradito da Villa, e l’8 gennaio 1819 la polizia austriaca se ne impadronì. Condannato a morte, la condanna gli fu poi commutata in 15 anni di carcere duro. Fu compagno di Silvio Pellico, che immortalò nelle Mie prigioni il ricordo del suo vicino di cella. Oroboni morì dopo pochi anni di prigionia, consunto dalla tisi. Fu l’unico patriota morto in prigionia e sepolto al cimitero dello Spielberg”48.

Antonio Solera, “c ospiratore, nato a Milano nel 1786, morto a San Pellegrino nel luglio del 1848. Laureatosi in legge all’università di Pavia, entrò nell’amministrazione austriaca e contemporaneamente si aggregò alla società segreta dei Guelfi, che rappresentava la parte più elevata della Carboneria. Ricopriva l’ufficio di pretore a Lovere fin dal 1818, quando il 16 gennaio 1820 fu arrestato su denunzia di Antonio Villa, anch’egli carbonaro e più tardi delatore, e con sentenza del 18 maggio 1821 fu condannato a morte, pena poi commutata in quella di venti anni di carcere duro allo Spielberg “49. Fu graziato dopo sei anni, ma solamente nel maggio del 1828 poté rivedere la patria. “Andryane e Moretti, suoi compagni di pena, lo accusarono di essere un delatore, e di avere pertanto ottenuto la riduzione della pena, mentre recenti indagini, più che una sua difesa resa pubblica nel 1842, dopo la pubblicazione dei Mèmoires di Andryane, sembrano assolverlo dall’accusa infamante e provare che la grazia gli fosse stata concessa per le continue istanze del fratello Rinaldo e del vescovo di Brescia presso la corte di Vienna”.

4.2. Altri importanti Carbonari, rivoluzionari e patrioti condannati da Salvotti

Silvio Pellico, patriota e scrittore italiano, nacque a Saluzzo nel 1789 e morì a Torino nel 1854. Di famiglia modesta, trascorse l’infanzia e i primi anni dell’adolescenza a Pinerolo, dove il padre aveva una drogheria. Silvio visse lungo tempo a Lione, presso un ricco cugino, dove ricevette una formazione illuminista e allora anticlericale. A Milano, nell’ ottobre 1809, aveva conosciuto Ugo Foscolo, con il quale si legò di intensa amicizia. Dal 1814 Pellico esercitò la funzione di precettore privato presso la famiglia Porro Lambertenghi. Dopo la partenza di Foscolo per l’esilio, nel marzo 1815, Pellico si appoggiò molto a Ludovico di Breme, il quale sostenne la sua tragedia “Francesca da Rimini”. Pellico fu attirato verso la Carboneria dal musicista forlivese Piero Maroncelli, carbonaro militante. Il 6 ottobre 1820 Maroncelli fu arrestato a Milano (e condotto al carcere di Santa Margherita) sulla base di una lettera compromettente intercettata il giorno prima, in cui egli citava come “cugini” Pellico, Porro e Confalonieri. In seguito alle carte sequestrate, anche Pellico fu arrestato il 13 ottobre 1820 in casa Porro. Dopo un primo periodo di detenzione a Milano, il 18 febbraio 1821 fu trasferito ai Piombi di Venezia e poi alla prigione dell’isola di San Michele vicino a Murano. In seguito all’istruttoria di Antonio Salvotti venne condannato a morte, pena confermata anche in appello il 9 settembre. Il 22 febbraio 1822, nella piazzetta San Marco di faccia al palazzo ducale, venne letta pubblicamente la sentenza di condanna. Come atto di clemenza sovrana, l’imperatore Francesco I commutò la pena in carcere duro, da espiare alla fortezza dello Spielberg. La grazia imperiale fu comunicata a Pellico, a Maroncelli e a un terzo detenuto, il bresciano Andrea Tonelli, il 1° agosto 1830. Liberato dalla lunga prigionia, Silvio Pellico iniziò a scrivere Le mie prigioni. Il libro fu pubblicato nel novembre 1832. Non si tratta né di un libello antiaustriaco né della vendetta di un letterato perseguitato. Al centro dell’opera è invece la storia interiore del prigioniero, la sua maturazione morale attraverso le sofferenze, le lunghe meditazioni durante il carcere. Pellico ne inviò una copia anche al principe di Metternich, che definì l’opera “più dannosa per l’Austria di una battaglia battuta.”50

Nel 1833 Maroncelli stampò a Parigi Le addizioni alle mie prigioni di Pellico sotto forma di un commento. Pellico non apprezzò Le addizioni, ma nutrì sempre affetto per il suo compagno di cella.51

È da mettere in rilievo che Pellico dopo la lettura pubblica della sentenza in piazzetta San Marco scrisse a Salvotti una lettera (senza data) per ringraziarlo “dei segni di non mentita pietà, con cui l’aveva confortato, quando anche quell’animo mite ribolliva di sdegno per l’inflittogli ludibrio ”52. In questa lettera viene sottolineato l’atteggiamento di Salvotti e si può concludere che non fosse un ”perfido austriacante.”

Pellico scrisse:

“Ill.mo Sig. Consigliere,

Io l’ho sempre presente in quell’attitudine e con quell’espressione di amorevolezza e di compassione, con cui Ella si degnò sabato mattina di consolarci per un tratto assai lungo di tempo, dopo la dolorosa umiliazione, alla quale fummo esposti. Tutte le sue parole mi sono stampate nel cuore e mi hanno fatto bene.

Se a Venezia si trovasse l’opera “Sur l’indifférence en matière de religion” par M. De Mennais, […]. La pregherei di farme provvedere. [...]

Giacché ho confidato a Lei tutto l’animo mio e ch’Ella mi ha ascoltato con tanta pazienza e compassione, mi azzardo anche di pregarla, s’Ella sapesse qualche libro che potesse essermi salutare, di procurarmelo. […]

Se Ella avesse osservato lo spirito anticattolico [si riferisce a documenti sequestrati a Maroncelli], con cui uno di essi (il Cola di Rienzo) era composto, La prego di non attribuire questo al Pellico d’oggi, ma ad un altro che non è più: anzi mi faccia piacere di non restituirmelo e bruciarlo. Era un’opera, sulla quale io credeva di stabilire la mia fama letteraria […]

Ieri ebbi un po’ di fatica a superare il dolore rimastomi nell’anima dopo quella umiliante condanna sentita in pubblico. [ …]

Maroncelli mi solleva col suo ingegno e più col suo cuore. […]

La riverisco e l’abbraccio

Suo riconoscentissimo.

Pellico”

Foto scattate da me durante un’escursione allo Spielberg di Brno, che mostrano la cella di Silvio Pellico e l’ingresso della fortezza.

Piero Maroncelli nacque a Forlì il 21 settembre 1795, morì a New York il 1° agosto 1846, fu patriota e musicista. Studiò musica a Napoli e a Bologna. Fu arrestato una prima volta a Forlì nel 1817 per alcune audaci terzine. Trasferitosi a Milano (1819), strinse amicizia con S. Pellico, che fece iscrivere alla Carboneria. Per quanto riguarda il suo arresto, la sua difesa e la condanna rimando ai capitoli su S. Pellico e sul processo Maroncelli-Pellico.

Maroncelli scrisse al suo giudice numerose lettere delle quali A. Luzio nella sua opera Antonio Salvotti e i processi del Ventuno ne ha riprodotte alcune, di cui vorrei sottolineare una in forma riassuntiva.

Nella lettera del 21 agosto 1821, dalla prigione dell’isola S. Michele, indirizzata all’ “Ill. Sig Consigliere Dott. Antonio Salvotti”, Maroncelli affronta il tema della nascita del dramma moderno e della rigenerazione morale, politica e religiosa dell’Europa. Chiede inoltre al suo giudice di procurargli alcuni libri di Milton, di Calderon e di altri autori che parlino di Orazi e altri. In particolare, dirige la sua attenzione a due scrittori, a Schlegel e Giuseppe Baretti. Chiude la lettera con le parole “né altro occorrendomi per questa, le bacio le mani con riverenza e me le raccomando.”

Segue la firma

“Suo dev. oss. servo Piero Maroncelli.”

Nelle lettere di Maroncelli non si trova alcun accenno che potrebbe indicare un rimprovero di non esercitare correttamente i suoi doveri da magistrato.53

4.3. Il Processo Maroncelli-Pellico

“Il 20 agosto 1820 Silvio Pellico, spinto da Maroncelli e seguendo i propri ideali di libertà e di riscossa nazionale antiaustriaca, si affiliava alla Carboneria“54.

Nonostante il suo giuramento di segretezza, Piero (anche Pietro) Maroncelli che era affiliato alla Carboneria, gestiva incautamente una lista di Carbonari (fra i quali Porro, Confalonieri, Pellico ed altri), che cadde così nelle mani della polizia austriaca insieme ad una lettera compromettente diretta al fratello Francesco. Il 6 ottobre 1820 furono arrestati Maroncelli e

un altro carbonaro Laderchi. Maroncelli, interrogato, si difese in modo veramente strano. Non potendo negare, poiché i documenti sequestratigli parlavano chiaramente.55

Salvotti, il magistrato inquirente austriaco, non era uomo da lasciarsi ingannare dalle sciocchezze di Maroncelli. Il 13 ottobre 1820 fu arrestato anche Silvio Pellico, poi rinchiuso nel carcere milanese di Santa Margherita. Nella primavera 1821 furono tratti in arresto altri carbonari. Il conte Porro, carbonaro presso la cui famiglia Pellico aveva lavorato come precettore, riuscì invece a fuggire in tempo.

A. Luzio scrive nel suo libro Antonio Salvotti e i processi del Ventuno:

Maroncelli giovane vano e leggiero fu il primo che confessando ogni cosa accusava il Pellico come partecipe alla cospirazione. Maroncelli narrava di aver guadagnato alcune altre persone, e dicevasi disposto al confronto con Pellico, se desso volesse persistere nella negativa"56.

Il processo, iniziato a Milano, si concluse a Venezia. Piero Maroncelli e Silvio Pellico furono condannati alla pena di morte per il delitto di alto tradimento dal magistrato Salvotti con la sentenza del 6 dicembre 1821. L’imperatore Francesco I d’Austria ridusse le pene per Maroncelli a venti anni di carcere duro, per Pellico di carcere duro a quindici anni (Sentenza di condono del 21 febbraio 1822 fu pubblicata a Venezia: Subordinati gli atti con le relative sentenze a Sua Sacra Cesarea Maestà Apostolica, la Maestà Sua con veneratissima Sovrana Risoluzione del 6 febbraio 1822, si è clementissimamente degnato di condonare in via di grazia. Scontata la pena, i delinquenti che sono sudditi esteri, saranno banditi 57 ).

Entrambi i condannati scontarono la pena alla fortezza dello Spielberg. Durante la detenzione Pellico fu molto contento di dividere la cella con il suo amico Maroncelli e lo assisté durante l’amputazione di una gamba a causa di un tumore. L’operazione fu eseguita dal barbiere della fortezza e da un chirurgo58. Così viene chiarito che non fu un barbiere che amputò la gamba – come dicono alcuni autori. Pellico scrisse nel capitolo LXXXVII della sua opera “Le mie prigioni”: “Il malato fu seduto sulla sponda del letto colle gambe giù. Io lo tenea fra le mie braccia. Al di sopra del ginocchio, dove la coscia cominciava ad essere sana, fu stretto un legaccio. Il vecchio chirurgo tagliò tutto intorno, la profondità d’un dito…Per ultimo, si segò l’osso. Maroncelli non mise un grido”.

Dopo il rilascio Maroncelli venne invitato da Lorenzo da Ponte, librettista di Mozart, a New York, dove morì malato nel 1846.59

Federico Confalonieri, conte di famiglia facoltosa, patriota italiano, nacque a Milano il 6 ottobre 1785, morì a Hospenthal nel Cantone di Uri il 10 dicembre 1846.

Fu un grande oppositore del regime napoleonico, rappresentò l’orientamento dei cosiddetti “Italici puri”, cioè di un gruppo politico che puntava alla costituzione di uno Stato italiano indipendente dai Francesi e dagli Austriaci. Fu fondatore e collaboratore della rivista “Il Conciliatore”. Confalonieri favoriva (sotto l’influenza del pedagogo svizzero Pestalozzi) l’istituzione di scuole di mutuo insegnamento. Questo metodo consisteva nell’assegnazione agli scolari più diligenti - sotto la loro responsabilità - il compito di insegnare agli alunni delle classi inferiori. L’autorità austriaca chiuse queste scuole in seguito ai moti 1819/20, con l’argomento che le scuole elementari dovevano seguire il regolamento austriaco.

Nel 1818, durante un viaggio a Londra, si aggregò alla massoneria. Propugnò alcune riforme progressiste in ambito economico e sociale (produzione del gas illuminante, macchine per la filatura del lino, macchine a vapore per la navigazione sul Po). In seguito ai moti del 1820–1821 Confalonieri fu arrestato il 13 dicembre 1821 nella sua casa di Milano, dopo aver cercato invano di sottrarsi con uno stratagemma agli agenti austriaci. Fu in carcere preventivo nelle prigioni di Santa Margherita a Milano. Il processo durò quasi due anni e si concluse nel novembre 1823 con la condanna a morte per alto tradimento. Per questo delitto veniva condannato chi essendo a conoscenza di un piano, non avesse sporto la denuncia all’ autorità (§ 55 del codice penale del 1803). Importanti per la condanna erano la deposizione e la confessione di Giorgio Pallavicino. Confalonieri aveva scelto una confessione ma gettando, nel contempo, le responsabilità maggiori delle iniziative criminose sui compagni che si erano messi in salvo lontano dalla Lombardia e che non erano raggiungibili dalla giustizia austriaca. Non aveva però pensato che il codice austriaco puniva con la medesima pena sia colui che si riteneva responsabile di tradimento sia colui che, essendo a conoscenza di un piano criminoso, non avesse sporto la denuncia alla autorità. L'abile inquisitore austriaco Salvotti riuscì ad avere il quadro preciso della attività cospirativa. L’ampia deposizione di Confalonieri stesso, le ammissioni di Pallavicino, di Borsieri e di Arese consentirono al tribunale di ricostruire attendibilmente la cospirazione dei federati.60

“Nonostante che la commissione di prima istanza, pur riconoscendo la "gravità delle colpe" di Confalonieri gli avesse attribuito il "gran merito di avere sparso massima luce sulla cospirazione”, l’imperatore confermò la pena di morte. Il vecchio padre del condannato Confalonieri, con la nuora Teresa ed il suo fratello, si recò a Vienna; dovette attendere due settimane per essere ricevuto dall'imperatore dal quale non ebbe, però, promesse di clemenza. Ritornata a Milano, Teresa promosse una petizione di grazia con le firme della più qualificata aristocrazia lombarda con una lettera dell'arcivescovo Gaysruck. Finalmente, l'8 gennaio 1824, dopo essersi ulteriormente accertato dell'impressione negativa suscitata in Milano dalla condanna a morte, l'imperatore si decise a commutare la pena capitale con il carcere duro a vita da espiare nella fortezza morava dello Spielberg. Nel carcere i rapporti tra Confalonieri e Pallavicino rimasero assai tesi”61.

Alessandro Luzio cita nella sua opera Antonio Salvotti e i processi del Ventuno una lettera privata di Confalonieri a Mazzetti del 7 dicembre 1822 in cui viene descritta la personalità di Salvotti:

“Giammai vidi uomo, la di cui finezza, presenza di spirito nelle occasioni più delicate, ed abitudine a saper dare alla più sperticata menzogna la tinta della verità, mi abbia cotanto imposto. [...] dotato di un acume d’ingegno veramente sorprendente, e di trascinante facondia – fornito a dovizia di cognizioni e di vigoria d’animo “62.

Luzio esprime l’opinione che anche Salvotti ritenesse sbagliata la difesa di Confalonieri. “Confalonieri, decidendosi a parlare, o - come scrive Salvotti - ad offrire al governo il tributo di tutte quelle notizie, che sulla macchinazione italiana e suoi legami all’estero erano a lui pervenute, commise il più grave ed inutile degli errori: non disarmò i giudici; menomò quell’altezza morale in cui avrebbe potuto mantenersi con uno sdegnoso silenzio; aggravò sé stesso ed altri!”63.

A questo proposito Luzio mostra anche che nel solo processo Confalonieri nove indagati furono prosciolti per difetto di prove legali. Con una difesa di “solo tacere” si poteva quindi sfuggire alla condanna a morte.64

Invano la moglie Confalonieri, Teresa, si recò più volte a Vienna per supplicare la riduzione della pena e il trasferimento di suo marito in un carcere più umano. La grazia venne alla fine del 1835 dal nuovo imperatore Ferdinando, detto il benigno, in forma di deportazione forzata in America e perdita dei diritti civili. Il 29 novembre 1836 fu imbarcato a Trieste. Già nel 1837 tornò clandestinamente in Italia. Nel 1840, in seguito ad amnistia, poté ritornare a Milano.65

Alexandre-Philippe Andryane, rivoluzionario e politico francese di famiglia belga; nacque a Parigi nel 1797, morì a Coye, nel dipartimento dell’Oise, nel 1863.

A Ginevra, nel 1820, conobbe e divenne amico di Filippo Buonarroti, che apparteneva alla famiglia di Michelangelo. Buonarroti, massone, deluso dall’insuccesso dei moti di Napoli e del Piemonte, si associò alla setta segreta degli Adelfi con i fini antiaustriaci. Andryane aderì ben presto alla società buonarrotiana, ricevendo nel giro di poco tempo l’investitura a” Sublime Maestro Perfetto”. Il compito di Andryane era riprendere i contatti con i centri settari italiani e di trasmettere i documenti per la trasformazione dei “Sublimi Maestri Perfetti” nei “Veri Architetti”. Giunto a Milano il 18 gennaio 1823 subì una perquisizione nel corso della quale vennero sequestrati numerosi documenti compromettenti che rivelavano i nomi dei collaborati della setta, tra cui anche Confalonieri. La Commissione speciale sotto la guida di Antonio Salvotti condannò a morte Andryane insieme con Confalonieri.

Antonio Salvotti propose all’imperatore di concedere la grazia a Andryane alla condizione di fornire ulteriori rivelazioni: “La Clemenza sovrana – cosi si esprimeva Salvotti - potrebbe forse commuoversi a favore dell’Inquisito. In tale caso la sovrana Grazia dovrebbe essere concessa sotto la condizione di maggiori propalazioni.” Ma l’Imperatore Francesco I si mostrò severo e rifiutò la grazia. Sandonà ritiene giusta questa decisione affermando66:

“La domanda della grazia non appare che un’indegna grazia non appare commedia”. Sandonà deduce:

“Le maggiori rivelazioni non vennero, né potevano venire”. ”Andryane interrogato

ha detto tutto ciò che era possibile. Ulteriori propalazioni non c’ erano da rilevare”.

Andryane e Confalonieri furono condannati a morte, ma la pena venne commutata ad entrambi, l’8 gennaio 1824, nel carcere duro a vita da scontare nelle prigioni dello Spielberg.

Confalonieri fu per otto anni compagno di cella di Andryane, assistendolo e sostenendolo, tanto che ne nacque un’amicizia.

Nel 1832 Andryane fu graziato dall’Imperatore. Dopo la sua liberazione e dopo il successo delle Mie prigioni di Pellico si dedicò alla pubblicazione dei “Mémoires d’un prisonnier d’Ètat au Spielberg”, che uscirono a puntate su una rivista francese, fra il 1837 e il 1838. Poco attendibili come fonte storica, le memorie suscitarono le proteste dei patrioti già reclusi come Confalonieri, Pallavicino e Solera.67

Giorgio Pallavicino Trivulzio, patriota italiano, nacque a Milano il 24 aprile 1796 in una famiglia aristocratica, morì il 4 agosto 1878 a Casteggio, Lombardia.

Pallavicino, affiliato alla Carboneria, partecipò attivamente ai moti del 1820/21. Si recò in Piemonte al fine di sollecitarne l’intervento contro l’Austria. Fu a Torino che ebbe un colloquio con Carlo Alberto. Venne arrestato il 14 dicembre 1821; interrogato dal magistrato inquirente Salvotti fece ammissioni compromettenti per Federico Confalonieri. Inutilmente tentò in seguito di ritirare fingendosi pazzo. Nel successivo processo fu condannato a morte; la pena fu

poi commutata a venti anni di carcere duro, che scontò nella prigione dello Spielberg. Fu amnistiato nel 1835.68

Per chi avesse l’intenzione di entrare nel dettaglio dei processi contro i patrioti, dei loro comportamenti, degli interrogatori di Salvotti, o volesse esaminare il carteggio, la decisione dell’imperatore Francesco I, rimando all’opera di Augusto Sandonà che trovò negli archivi di Praga e di Vienna importanti documentazioni riguardanti G. Pallavicino, F. Confalonieri, A.Andryane e A. Salvotti. “Contributo alla storia dei processi del ventuno e dello Spielberg: dagli atti officiali segreti degli archivi di Stato di Vienna e dal carteggio dell’imperatore Francesco I co’ suoi ministri e col presidente del Senato Lombardo-Veneto del Tribunale supremo di Giustizia: 1821-1838” Fratelli Bocca Editori, Torino, 1911”69.

L’opera di Sandonà è ancora molto utile perché riporta vari documenti provenienti dalla Hofkanzlei e dalla Polizeihofstelle che l’autore poté visionare prima dell’incendio del Palazzo di giustizia di Vienna del 1927.70

Sandonà spiega nell’ introduzione al suo lavoro molto illustrativo le sue difficoltà nel trovare le fonti.71

La famiglia Sandonà risiede a Villa Lagarina (Rovereto) dal 1600. “Numerosi membri della famiglia hanno lasciato un segno indelebile del territorio ed in alcuni casi anche di quella italiana. Significativo era anche Augusto Sandonà (Villa Lagarina 29 agosto 1881 – Rovereto 18 dicembre 1947), storico e ricercatore. Laureatosi in giurisprudenza a Vienna nel 1906, lavorò presso il Commissariato per l’Agricoltura. Nel 1918 lavorò per lo Stato italiano presso l’Ufficio di Compensazione di Vienna. Dopo la I guerra mondiale si ritirò dal pubblico impiego dedicandosi alla ricerca storica. Focalizzò le sue indagini su alcune tematiche delle quali trovò importante documentazione negli archivi di Praga e di Vienna”72.

Il libro di Sandonà è visibile anche su https://archive.org/details/contributoallast00sand

In particolare, l’opera di Sandonà tratta i seguenti temi nei vari capitoli:

“Gli arresti, La pretesa autodenuncia di G. Pallavicino”

“Corrispondenza relativa al processo nel carteggio delle autorità di Milano, Modena, Parma e Vienna”

“Sette, settari ed il processo di Milano”

“Il processo Confalonieri”

“Il motu proprio del 21 settembre 1822 con cui l’imperatore biasima la lentezza dell’inquisizione. Relazione di Salvotti dell’8 ottobre 1822 sui risultati processuali”

“Sentenza della Commissione speciale di Milano contro gli imputati del delitto di alto tradimento con motivazione di Salvotti. L’imperatore riceve notizia sui progressi della Commissione il 14 gennaio”

“Il processo contro Andryane. L’imputato si difende dall’accusa di non avere capito il genere delle carte sottrattegli dall’ ”astuto” Bolza al momento dell’arresto”

“Filippo Buonarroti e i sublimi Maestri”

“Sentenza del 30 maggio 1823 contro Confalonieri e Andryane”

“Il viaggio allo Spielberg, il carteggio”

“Colloquio di Confalonieri e Metternich, con esito negativo per Confalonieri”

“Vita allo Spielberg”

“Il 26 luglio 1830 Francesco I concede la grazia a S. Pellico e P. Maroncelli”

“Il commissario Carlo von Noe accompagna Pellico e Maroncelli dopo il rilascio” (anche descritto da Silvio Pellico nelle Mie prigioni capo XCII/92)

“Il ritorno di Confalonieri dall’America. Le memorie di A. Andryane. L’ultimo attacco di Pallavicino contro Confalonieri”

“Carteggio tra i re Vittorio Emanuele, Carlo Felice di Savoia e Francesco I d’Austria circa le rivoluzioni di Napoli e del Piemonte”, si chiamano reciprocamente “Monsieur e mon Frère”

“Il carteggio tra Francesco I e le autorità relativamente ai processi di Venezia e Milano (lettere dell’imperatore al presidente del Tribunale supremo di Verona), Vienna li 29 ottobre 1821”

“Rescritti imperiali sul processo Pellico-Maroncelli”

“Sovrana Risoluzione con cui furono sciolte le due Commissioni speciali di Venezia e ricomposte quelle di Milano, 29 aprile 1822”

“Sentenza contro il conte contumace Porro”

“Il testamento di Federico Confalonieri (Spielberg, 7 luglio 1834)”

“Commento di Pallavicino alle memorie di Andryane”

“Il „canto” di Vittorio Merighi (su A. Salvotti)”

Augusto Sandonà scrive inoltre nel libro citato:73

“Francesco I e i processi del’21.

L’ Imperatore biasima la lentezza dell’inquisizione:

L’imperatore dava segni evidenti d’impazienza già nell’estate del ’22, e non mancava, presentandosi l’occasione, di premere sui giudici perché finissero buona volta il processo istruttorio.

Già nel settembre del ’22 egli inviava al Presidente del Senato Lombardo-Veneto un suo motu proprio, con cui, in sostanza, proponeva alla Commissione milanese di chiudere il processo. […] L’inquisizione procedeva lenta, difficile, le risultanze erano scarse. L’esito incerto. Aveva allontanato il De Menghin, che gli sembrava inetto come inquirente, chiamando il Salvotti al suo posto. […] L’imperatore, senza entrare nel merito della causa, propose di dar termine al processo.”

“Nella relazione dell’otto ottobre ’22 Salvotti giustifica l’opera della Commissione.”

5. Le guerre di indipendenza

Le tensioni politiche fra l’Austria e l’Italia causarono nell’Ottocento tre guerre d’indipendenza74. La Prima Guerra di Indipendenza italiana ebbe inizio dopo le “Cinque Giornate di Milano” del marzo 1848 che portarono alla cacciata degli austriaci dalla città. Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, Leopoldo II Granduca di Toscana e Pio IX dichiararono guerra all’Austria. Dopo i primi successi militari, Carlo Alberto, abbandonato dagli alleati, perse i territori conquistati e fu definitivamente sconfitto a Novara nel 1849.

Di fondamentale importanza per l’Unità d’Italia fu il ruolo di Camillo Benso Conte di Cavour, primo ministro del Regno di Sardegna dal 1852 al l859 e dal 1860 al 1861. Grazie agli accordi segreti di Plombières, Napoleone III promise l’intervento francese in Italia, se l’Austria avesse compiuto il primo atto di guerra. L’Austria il 23 aprile 1859 in cambio di Nizza e della Savoia inviò un ultimatum al Piemonte, che fu respinto da Cavour. Il 27 aprile 1859 scoppiò la Seconda Guerra d’Indipendenza

Con le vittorie franco-piemontesi di San Martino e Solferino la Lombardia venne annessa al Piemonte (armistizio di Villafranca). La battaglia di Solferino fu la prima e l’ultima volta in cui l’imperatore Francesco Giuseppe comandò personalmente il suo esercito. Giuseppe Garibaldi, dopo la spedizione dei Mille, conquistò il Regno delle Due Sicilie, per poi consegnare le sue conquiste a Vittorio Emanuele II nell’ incontro di Teano.

Vittorio Emanuele II venne proclamato Re d’Italia il 17 marzo 1861, a Palazzo Madama a Torino, che divenne prima capitale d’Italia. Il Veneto fu annesso all’Italia a seguito della Terza Guerra di Indipendenza del 1866, dopo la sconfitta austriaca a Königgrätz (Sadowa) dalla Prussia con la quale l’Italia fu alleata. Solo con la Prima Guerra Mondiale, da molti storici considerata la Quarta Guerra di Indipendenza, vennero conquistati il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia. Chiamata così a completare il Risorgimento nazionale75.

6. Antonio Salvotti

6.1. Immagini

L’aspetto di Salvotti ci è noto attraverso le immagini conservate nei musei: un ritratto ufficiale, destinato ad essere esposto nella Galleria dei Presidenti della Corte d’Appello di Innsbruck, risalente agli anni giovanili (benchè Salvotti sia stato chiamato a Innsbruck già quasi sessantenne) e una litografia di Kriehuber, che lo ritrae in età matura.

Quadro di Salvotti conservato all’ Oberlandesgericht di Innsbruck (tratto dal libro di Mario Laich, Zwei Jahrhunderte Justiz in Tirol und Vorarlberg, Tyrolia, Tyrolia Verlag Innsbruck-Wien, Athesia Verlag Bozen, 1990)

Il ritratto raffigura un giovane dal volto aperto e deciso, che spicca contro il nero dello sfondo. Lo sguardo è attento, si nota l’ombra di un sorriso. Nel complesso, un’immagine romantica.

Da una litografia conservata all’ Abertina di Josef Kriehuber, 1851.

(Bildarchiv der Österreichischen Nationalbibliothek, http://www.bildarchivaustria.at/Pages/ImageDetail.aspx?p_iBildID=3790896 (19.6.2018)

La litografia di Kriehuber mostra un soggetto in età più matura, dall’ aspetto calmo e riflessivo, quasi un’alluzione alle sue funzioni di magistrato.

Kriehuber (1800 è stato uno dei maggiori ritrattisti del periodo Biedermeier. La sua grande fama è dovuta anche al fatto che l’artista sapeva comprendere molto bene la personalità dei soggetti, facendola trasparire dal ritratto.

Da Salvotti esiste anche un pastello del celebre pittore romantico Hayez, che ho potuto reperire nel libro di Luzio, “Antonio Salvotti e i processi del Ventuno”, Roma, 1901, del quale però non ho potuto scoprire l’attuale collocazione.

Il pastello del grande Hayez raffigura il busto di Salvotti come un antico romano.

6.2. Biografia e Carriera

Antonio Salvotti, Freiherr (Barone) von Eichenkraft und Bindeburg, nacque il 10 novembre 1789 a Mori, cittadina posta a metà strada fra Rovereto e Riva del Garda, da famiglia agiata, e morì a Trento il 17 agosto 1866. Alcuni autori credevano che Salvotti fosse nato nel dicembre (cfr. Wurzbach nel Bibliographisches Lexikon des Kaiserthums Österreich e Hugelmann nell’ Allgemeine Deutsche Biographie), ma Maasburg dimostrò con uno sguardo nel registro delle nascite il novembre come mese di nascita (“die 10 novembris 1789 baptitatus fuit”)76.

La sua giovinezza cadde nel periodo politicamente incerto delle guerre napoleoniche. Dopo il trattato di Presburgo, nel 1806, il Tirolo settentrionale entrò a far parte della Baviera alleata di Napoleone e il Tirolo meridionale fu unito al Regno d’Italia napoleonico. Salvotti cominciò gli studi giuridici all’università di Innsbruck nel 1806, e li continuò all’università di Landshut in Baviera nel 1808, dove fu discepolo di Karl Friedrich von Savigny (1779–1861), fondatore della scuola storica del diritto, allora famoso professore di diritto romano. Il rapporto con il grande giurista tedesco fu duraturo. Salvotti promosse l’opera di Savigny: Das System des heutigen römischen Rechtes (“Sistema del Diritto Romano Attuale”)77.

A causa dell’importanza giuridica vorrei dedicare a Savigny un breve capitolo. La scrittrice tedesca Bettina Brentano von Arnim, che apparteneva al circolo di Savigny, in un carteggio con Goethe descrisse Salvotti come un uomo dall’affascinante personalità. Così ne parla a Goethe, in una lettera del 22 ottobre 1809, descrivendo la vita a Landshut: “Quando fa bello, si va a passeggiare con un’amabile compagnia che si diletta del carattere benevolo di Savigny come dello spirito di lui. Salvotti, un giovane italiano che Savigny stima in modo particolare, ha begli occhi. Tuttavia, piuttosto che guardarlo in faccia, io preferisco vederlo camminare davanti a me; perché egli porta un mantello verde che sa drappeggiare mirabilmente. La bellezza dà vita a tutti i suoi movimenti.”

In un’altra lettera datata 20 maggio Bettina scrive, che “alcuni studenti, fra quelli anche Salvotti, accompagnarono a cavallo l’amato maestro Savigny, trasferito a Berlino, per due giorni di viaggio fino a Salisburgo. Salvotti possiede una calma imperturbabile nei gesti, una vivacità ardente del volto: è tanto immerso nella scienza, che è impossibile strappargli una parola gentile.”78

È anche da menzionare il lavoro di Ricarda Huch, la quale in “Menschen und Schicksale aus dem Risorgimento” descrive Antonio Salvotti, oltre ad alcuni patrioti italiani fra cui Confalonieri, Pellico, Maroncelli, Pallavicino ed anche l’imperatore Francesco I e il re Carlo Alberto di Savoia.

Salvotti si laureò all’università di Pavia nel dicembre del 1810 e si trasferì per la pratica legale nella Milano napoleonica, capitale vivace e moderna del Regno Italico. Là frequentò il bel mondo letterario e si associò per breve tempo alla massoneria. Dopo aver brillantemente superato l’esame per l’esercizio dell’avvocatura, rientrò a Trento, che dopo la battaglia di Lipsia nell’ottobre 1813 sconfitta era tornata austriaca. Nel 1815, dopo aver brevemente lavorato come procuratore generale, fu inaspettatamente nominato giudice del tribunale di Trento (Landesgerichtsrat). Nel 1819 fu istituita a Venezia con ordine dell’imperatore una commissione speciale per l’inquisizione dei Carbonari e Salvotti diventò assessore di questo tribunale. Fu incaricato di portare a termine l’inchiesta aperta a Venezia nei confronti dei Carbonari del Polesine (fra i quali Villa, Solera, Foresti che erano anche magistrati). Questa commissione fu poi sciolta con decisione imperiale e le agende furono trasferite a una commissione speciale a Milano, della quale Salvotti fu nominato consigliere. Tra gli anni 1819 e 1824 Salvotti ebbe il ruolo di giudice istruttore nei processi per alto tradimento contro gli aderenti alla Carboneria. Tra questi molti furono condannati a morte (ma tutti graziati dall’Imperatore Francesco I e condannati invece a lunghe pene detentive da scontare nella prigione dello Spielberg in Moravia), come Felice Foresti, Antonio Solera, Silvio Pellico, Pietro Maroncelli, Federico Confalonieri, Alexandre Philippe Andryane ed altri.

L’abilità inquisitoria di Salvotti e la sua identità di funzionario austriaco nonostante fosse di nazionalità italiana, si prestavano a farne una figura controversa. Per sua correttezza e la sua severità attirava l’antipatia dei patrioti italiani; fu considerato un “geniale aguzzino al soldo dell’Austria.”

Tuttavia molti fra i condannati, in lettere private al giudice che aveva determinato la loro incriminazione e condanna, riconobbero spesso anche la sua correttezza, imparzialità e umanità.

A conclusione dei processi politici, nell’aprile del 1824 Salvotti (aveva 34 anni) venne promosso consigliere del Senato lombardo-veneto di Verona (una sezione distaccata del Supremo tribunale di giustizia viennese, la “Oberste Justizstelle”) 79 . Nei vent’anni di attività in questo Senato, Salvotti si occupò di processi civili e penali e di tante questioni riguardanti l’amministrazione giudiziaria nel Lombardo-Veneto. Questi lavori rivelano la sua ampia conoscenza giuridica che però non ebbe il riconoscimento che gli spettava.

Per l’importanza dell’ ”Oberste Justizstelle” è qui opportuno dire alcune parole al riguardo. Il Senato lombardo-veneto risale alle riforme di Maria Teresa dell’anno 1749. Per rendere l’amministrazione centrale più efficiente, l’imperatrice volle separare l’amministrazione politica dall’ amministrazione della giustizia. Questa riforma non si basava sulla dottrina di Charles de Montesquieu, pubblicata l’anno precedente 1748 nell’opera “De l’esprit des lois”, ma su motivi pratici.80 La Oberste Justizstelle aveva una doppia funzione, era il tribunale supremo della Monarchia e il supremo organo dell’amministrazione della giustizia competente quindi per la gestione dei tribunali. Dal 7 aprile 1815 fino al 28 giugno 1816 il Senato italiano ristrutturato ebbe la sede a Vienna per gli affari giudiziari del Veneto e della Dalmazia. Dopo il trasferimento a Verona il Senato iniziò nell’agosto 1816 le sue funzioni. Questo Senato “aveva potere di revisione sulle sentenze non conformi pronunciate nelle due precedenti istanze e anche in caso di ricorso per nullità, per violazione di forma e per manifesta ingiustizia”81.

Per quanto riguarda il profilo storico del Senato lombardo veneto del supremo tribunale di giustizia con sedi a Vienna (1815–1816) e a Verona (1816–1851) rimando all’ Archivio di Stato di Milano,82 di cui allego un riepilogo parziale:

“L'amministrazione della giustizia nel Regno lombardo veneto era graduata in tre istanze: Pretura e Tribunale, Tribunale d'appello e Supremo tribunale di giustizia. Quest'ultimo era diviso in tre Senati: austriaco, boemo-moravo-galiziano, e lombardo veneto. Il Senato lombardo veneto ebbe la sua prima sede a Vienna. Il periodo viennese del Senato italiano inizia il 7 aprile 1815 e termina il 28 giugno 1816. Nelle sessioni furono trattati gli affari giudiziari del Veneto e della Dalmazia. La notificazione del 30 giugno 1816 dell'Imperial regio governo di Milano avvertì che il "Senato italiano del Supremo tribunale di giustizia" sarebbe entrato nel pieno esercizio delle funzioni il 1 agosto 1816, a Verona nel Palazzo dei capitani. Il 12 agosto 1816, dopo il verbale di insediamento nella nuova sede, i consiglieri prestano giuramento, vengono assegnate le mansioni particolari (direttore ufficio di spedizione, direttore ufficio di registratura, direttore del protocollo degli esibiti e "registranti"), poi il vice presidente Leopoldo de Plenciz tiene un discorso di apertura. Il Senato aveva potere di revisione sulle sentenze non conformi pronunciate nelle due precedenti istanze e anche in caso di ricorso per nullità, per violazione di forma e per manifesta ingiustizia. In particolare, aveva potere di giurisdizione circa i delitti elencati nell'articolo 442 del Codice penale: "alto tradimento, abuso della podestà d'ufficio, falsificazione di carte di pubblico credito, perturbazione dell'intera tranquillità dello Stato, etc."; erano inoltre sottoposte a questo tribunale le cause in cui la pena stabilita era sentenza di morte o di carcere perpetuo o maggiore a cinque anni proposte in appello, di diversità fra la sentenza del tribunale di prima istanza e quello d'appello, etc. In base alla sovrana risoluzione 11 aprile 1829, il Senato era retto da un'organizzazione gerarchica a capo della quale stava il presidente; a questo erano affiancati dieci consiglieri aulici, sei d'origine asburgica e quattro italiana, solitamente due veneti e due lombardi”83.

La riorganizzazione delle province italiane soggette all’Austria portò nel 1851 alla soppressione del Senato lombardo - veneto. I compiti amministrativi furono trasferiti al ministero della giustizia (istituita nel 17 marzo 1848), mentre la funzione di tribunale di terza istanza fu affidata alla suprema corte di giustizia e cassazione di Vienna (istituita come Oberster Gerichtshof nel 1850). Così in Austria fu quindi effettuata la separazione della giustizia dall’amministrazione nelle autorità centrali. Con la legge fondamentale dello Stato del 21 dicembre 1867 sul potere giudiziario (Staatsgrundgesetz über die richterliche Gewalt, 1867) e con lo scioglimento degli uffici distrettuali misti (gemischte Bezirksämter che avevano funzione di preture e autorità amministrative inferiori) i poteri amministrativi e giudiziali furono completamente separati in tutte le istanze. Da allora il potere giudiziario e l’amministrazione pubblica furono completamente separati secondo il principio di separazione dei poteri statali.84

Salvotti, continuando il lavoro di consigliere del Senato lombardo-veneto, venne decorato il 15 gennaio 1842 con la croce di Cavaliere dell’ordine di Leopoldo, alla quale seguì nel 1846 il titolo di cavaliere ereditario col predicato di Eichenkraft. Ma la sua attività divenne insostenibile a causa di un avvenimento che occorse nel gennaio 1846 al Teatro filarmonico di Verona. Salvotti ebbe il torto di immischiarsi, reclamando l’intervento della polizia perché facesse cessare il baccano. L’incidente sfociò in un’aperta tensione fra lui e i dimostranti. Gli esaltati patrioti credettero invece che egli volesse addirittura una carneficina e inventarono il caso di un magnanimo rifiuto da parte di un ufficiale “austriaco” alle esortazioni del sanguinario inquirente dei moti del ‘21. Salvotti, subito dopo, fu traslocato per punizione ad Innsbruck, “dacchè il Governo austriaco non ammetteva che un magistrato dimenticasse mai il suo decoro”85.

Pertanto nel giugno del 1846 Salvotti venne allontanato dal Lombardo-Veneto con la nomina a vicepresidente della corte d’appello di Innsbruck, una posizione che fu istituita proprio per lui. Questo trasferimento venne considerato come una punizione.86 L’autrice Fausta Garavini nel suo romanzo riguardante Salvotti definisce questo periodo “gli anni del castigo”87.

Con la decisione imperiale del 28 dicembre 1849 Salvotti fu nominato presidente del neoistituito Senato della Corte superiore di giustizia (Oberlandesgericht) a Trento. La decisione imperiale del 26 giugno 1849 istituì come tribunale di seconda istanza per il Tirolo la Corte superiore di giustizia (Oberlandesgericht) con sede a Innsbruck e con un Senato indipendente a Trento per ambedue i tribunali a Trento e a Rovereto. Con questa misura si vollero soddisfare i desideri del Tirolo italiano di una corte superiore.88 Il Senato di Trento era parte integrale della corte superiore comune, ma indipendente nel potere giudiziario di decisione. Per garantire una giurisprudenza unitaria questioni incerte dovevano essere comunicate a entrambi i tribunali. Conflitti tra preture italiane e austriache dovevano prima essere risolti dal Senato a Trento con un decreto da trasmettere alla Corte superiore a Innsbruck. Il primo e unico presidente del Senato della Corte superiore fu Antonio Salvotti. I documenti concernenti sia lo scioglimento del Senato trentino sia il trasferimento del Senato della Oberste Justizstelle a Verona furono probabilmente distrutti nell’incendio del Palazzo di Giustizia, secondo una comunicazione dell’Archivio di Stato.89

Hugelmann è dell’opinione che Salvotti a causa delle tensioni riguardanti la sua persona non avrebbe fatto carriera alle posizioni più prestigiose.90

Salvotti lasciò la magistratura nell’aprile 1851 con sua nomina di membro del Reichsrat (Consiglio dell’Impero). In questa funzione e come consigliere dell’imperatore partecipò ai lavori di varie questioni di diritto, collaborò a varie leggi, per es. al disegno di legge “Außerstreitpatent” del 1854, per il nuovo codice penale e di procedura penale (sostenne per es. la pubblicità del processo), per il Concordato con la Chiesa sottoscritto nel 1855, per il diritto di matrimonio ed altri.

Per i suoi alti meriti venne nominato nel 1854 barone di Bindeburg (oggi de Bindis). Dopo dieci anni di attività come membro del “Reichsrat”, fu mandato in pensione. Il provvedimento gli venne comunicato con lettera manoscritta dell’imperatore del 12 marzo 1861. Si ritirò a Trento, dove morì il 17 agosto 1866, proprio nel periodo in cui la dominazione austriaca veniva spazzata via dal Veneto per il mantenimento della quale Salvotti si era profuso.91

6.3. Salvotti e l’unità d’Italia

Sia il padre Antonio che il figlio Scipione avevano in fondo lo stesso obiettivo cioè unificare l’Italia. Mentre il padre voleva un’Italia unita sotto il dominio della Casa asburgica, il figlio seguiva gli ideali mazziniani di una Italia unita e repubblicana. L'Austria era un ostacolo a questo progetto. Il magistrato Salvotti era invece dell’opinione che l’unificazione italiana sotto l’Austria sarebbe stata per l’Italia una soluzione migliore. Nonostante la nazionalità e la lingua italiana Salvotti si sentiva, come magistrato, un fedele suddito di uno stato che ammirava e che serviva con onestà. Questo si può considerare il motivo per il quale il giudice perseguitava con tanto zelo i carbonari e patrioti italiani antiaustriaci. Era un legalitario e il suo modello era quindi uno Stato di diritto fondato sulla legalità. Riteneva l’Impero uno stato multietnico, il solo in grado di assorbire e far fronte alle degenerazioni nazionalistiche dei territori che ne facevano parte92. Era dell’opinione che per l’Italia trovarsi sotto la dominazione asburgica sarebbe stato più vantaggioso, in quanto l’Austria avrebbe potuto offrire maggiore appoggio. In un recentissimo articolo pubblicato sul ”Trentino” (9 dicembre 2018), il giornalista Giorgio Dal Bosco ricorda quanto sostenuto da Indro Montanelli, nella sua Storia d’Italia, a proposito di Salvotti: “Il suo vero torto era di assolvere i suoi compiti con grandissima competenza e accortezza; il che tuttavia non gli impediva di mostrare i denti” 93.

All’epoca dei processi del 1820–1821 Salvotti era visto come il “geniale aguzzino al soldo dell’Austria”.94 Il primo a difendere l’operato di Salvotti fu l’amico Paride Zaiotti, anch’ egli un magistrato trentino e per questo ritenuto dai contemporanei poco credibile. Fu poi Alessandro Luzio, che nel 1901 ne rivalutò la figura a livello storiografico. Successivamente fu lo storico trentino Augusto Sandonà che ne rivelò, con il suo Contributo alla storia dei processi del Ventuno (1911) la personalità di magistrato onesto ed esecutore della legge.

In una lettera alla vedova dell’amico Paride Zaiotti, Salvotti scrive da Innsbruck il 27 gennaio 1848: “L’Austria parmi oggidì nuovamente destinata a salvare l’ordine sociale - come salvò l’ordine religioso nei tempi di Lutero” 95 . Appare quindi convinto della potenza dell’Austria e non dubita della repressione della rivoluzione: “Antonio Salvotti, bello d’aspetto e affascinante, di natura tendente al malinconico e di mente acuta, suddito fedele, percepiva l’Impero austroungarico come il naturale erede dell’Impero romano, vedeva male le spinte nazionalistiche italiane e non confidava nell’unificazione, neanche dopo la proclamazione del Regno d’Italia“96. “Ma ancora dopo gli avvenimenti del 1859 lui credette che non significassero nulla di decisivo per l’indipendenza italiana. Secondo lui, si trattava d’un rivolgimento precario, che portava in se stesso il germe della sua futura dissoluzione. Scrivendo al figlio, lo esortava perciò ad essere prudente e a non compromettersi di fronte all’Austria.”97

Per desumere il suo atteggiamento è opportuno menzionare il Discorso di Sua Eccellenza il Cavaliere Dottore Antonio Salvotti Presidente del Senato dell’I.R. Corte Superiore di Giustizia in Trento alla pubblica inaugurazione di questo Dicastero avvenuta il 1° maggio 185098. In questo discorso Salvotti ripete i suoi suggerimenti per la procedura pubblica di giustizia, in modo da risollevare la Magistratura nella stima del popolo. Poi è favorevole alla costituzione di una Corte d’Appello a Trento come fattore di autonomia del Trentino dal Tirolo. Questa sarebbe stata un organo giudicante di seconda istanza, con tutte le conseguenti facilitazioni per ottenere giustizia rapida, meno lontana e meno dispendiosa. In realtà questa Corte non fu mai istituita. Salvotti dice fra l’altro in questo discorso: Possa l’anima dei miei concittadini diletti volgersi riconoscente verso il giovane Monarca che venne per tal modo a rialzare con mano amorevole il non vasto elemento italiano, che congiunto col più esteso elemento tedesco, costituisce una provincia, che unifica i due popoli in un pari sentimento di amore e di fede verso l’Austriaco trono costituzionale.”

A causa delle espressioni troppo ossequiose verso il Monarca queste parole non furono molto apprezzate sul piano politico99.

I concetti di Antonio Salvotti vengono ribaditi anche nella allocazione recitata in occasione dell’inaugurazione della Camera degli Avvocati a Trento, con l’aggiunta della necessità dello studio del diritto romano. Si tratta di una vivida esaltazione del diritto romano “di cui fu culla l’Italia. Agli Italiani è fatto uno speciale dovere lo studio di esso”. “Dall’ Italia si diffusero per l’Europa rigeneratasi i principi di ordinata giustizia civile e ciò è parte della gloria italiana”.

Egli afferma che “il diritto romano era stato l’elemento civilizzatore dell’Europa” e ad esso “si erano ispirati i codici civili di tutte le Nazioni”. E continua: “Infatti tostoché in Bologna s’istituì la Scuola di questo diritto fondata da Irnerio, tutti gl’ingegni bisognosi di questa luce tanto italiani che forestieri accorrevano ad apprendere i rispettati dettami. […]. Nel giro di oltre tre secoli da Irnerio si racchiude il periodo più glorioso per la Italiana giurisprudenza”.100 Dall’esaltazione del diritto romano si può conoscere l’influenza del suo maestro Federico Carlo de Savigny, allora professore di diritto romano all’università di Landshut.

La costituzione del Consiglio dell’Impero il 13 aprile 1851, preludio all’instaurarsi del neoassolutismo, realizzato poi con la Patente imperiale del 31 dicembre 1851 che abrogava la costituzione del marzo 1849, vide l’immediata chiamata di Salvotti a Vienna con la nomina di consigliere imperiale. Avrebbe rappresentato i territori di nazionalità italiana sudditi degli Asburgo. In tale qualità partecipò ai lavori come Consigliere dell’Imperatore.101

Siccome Mario Laich afferma102: “Poiché un impiego alla Corte suprema (Oberste Justizstelle) a Vienna non fu considerato a causa della sua insufficiente padronanza della lingua tedesca, ricevette nel 1846 la carica di vicepresidente della Corte d'appello di Innsbruck” è opportuno dire alcune parole sulla sua conoscenza della lingua tedesca. Salvotti parlava sicuramente bene il tedesco, ma non si sa se le sue conoscenze sarebbero state sufficienti per un’attività alla Corte suprema a Vienna. A questo proposito è opportuno citare le sue stesse parole, scritte da Vienna, dove era nominato consigliere aulico, il primo dicembre 1851 all’amico Zaccaria Sartori, consigliere aulico a Verona: “Qui [a Vienna] debbo lottare colla lingua che conosco, ma che non mi scorre né dalla penna né dal labbro cosi spontanea, e sì viva come la lingua nativa.”103

6.4. La famiglia

6.4.1. La moglie

A Venezia Salvotti conobbe Anna Fratnich (Trieste 1789–Milano 1837), pianista di alto livello e pittrice, colta, figlia del presidente della Corte d’Appello di Venezia, che sposò nel 1820. In questo contesto ci sembra interessante rimandare ai rapporti di parentela tra i magistrati coinvolti nei processi politici.

Trascorso il breve intermezzo del viaggio di nozze, Salvotti dovette occuparsi del processo Pellico-Maroncelli.

La coppia ebbe tre figli: Antonio, morto giovane, Scipione (Verona 1830–Bologna 1883) e Giovanni (Verona 1832–Trento 1898). La perdita della consorte nel marzo 1837 fu un duro colpo per Salvotti.104

6.4.2. Il figlio Scipione

Ancora bambino, secondo l’usanza dei nobili di quel tempo, Scipione ebbe come precettore un sacerdote che, essendo un patriota, instillò nel fanciullo i sentimenti di italianità, che furono poi la caratteristica di tutta la sua vita. Affiliato alla Giovane Italia di Mazzini ne fu un attivissimo collaboratore. Scipione fu un giovane liberale contro l’Austria e per le sue idee politiche ebbe con il padre un rapporto spesso conflittuale, benché affettuoso e di reciproca stima.

Scipione cominciò a studiare lettere e filosofia all’ università di Monaco, e proseguì gli studi a Graz e Vienna. In questo periodo il padre Antonio venne chiamato a Vienna (1851), dove lavorò all’ Außerstreitgesetz e collaborò alla preparazione del Concordato fra l’Austria e la Santa Sede sottoscritto nel 1855 che eliminò gli ultimi resti del giuseppinismo.

Scipione aveva costituito a Vienna nel 1853 una società segreta, per promuovere nel 1856 una rivoluzione in Italia con finalità unitarie e repubblicane d’ispirazione mazziniana. La congiura fu ben presto scoperta e Scipione fu arrestato a Vienna nella casa paterna. Il 30 gennaio 1854 la Corte marziale di Vienna, considerando la sua giovane età, lo condannò a la pena di 12 anni di carcere per alto tradimento da scontarsi nella fortezza di Theresienstadt. Il padre per correttezza non intervenne in favore del figlio. Ma la fama e la posizione del padre erano tali che l’imperatore Francesco Giuseppe concesse la grazia a Scipione che fu liberato il 19 settembre 1855, con divieto però di residenza in territorio austriaco. Uscito dal carcere, Scipione Salvotti, aiutato e sostenuto dal padre, si stabilì a Berlino dove, già dottore in giurisprudenza, si iscrisse alla facoltà di medicina. Nel 1859 ottenne la laurea, discutendo una tesi sugli effetti della canapa indiana: “De cannabis indicae vi pharmacodynamica. Dissertatio inauguralis medico-pharmologica, auctor Scipio Hippolitus baro de Salvotti, italus”. Il lavoro venne pubblicato a Berlino in lingua latina con una dedica affettuosa al padre: “Patri optimo, dilectissimo”.

Da Berlino passò a Parigi dove conobbe la futura moglie. Agli inizi del 1862 Scipione prese residenza stabile a Torino, capitale del neonato Regno d’Italia, dove rinnovò la laurea in medicina per poter esercitare la professione di medico. Si interessava però più che di medicina, di questioni letterarie, componeva versi, traduceva dal francese e dall’inglese. Dopo la morte del padre nel 1866, l’anno della terza guerra d’indipendenza, Scipione si stabilì nel Trentino, a Mori, dove era in contatto con gruppi liberali.

Nel corso del 1870, salutò con entusiasmo la caduta del dominio temporale della Chiesa. Nel settembre 1871 Scipione Salvotti fu tra i fondatori, a Trento, della Associazione nazionale-liberale, il cui programma politico era l’autonomia separata dal Tirolo tedesco. Riprese le attività irredentiste nel 1877, fu accusato dall’I.R. Procura di Stato a Innsbruck di attività anti-austriache e condannato a 15 mesi di carcere, che scontò, dopo un primo periodo passato a Trento ed Innsbruck, a Suben in Austria superiore. Nella sentenza furono evidenziate con molta obiettività le grandi doti d’ingegno dell’imputato e umane specialmente la sua generosità verso gli indigenti. Uscito dal carcere, Scipione Salvotti venne espulso dal Trentino e visse a Bologna fino al 1883, dove morì a 53 anni. Scrisse oltre gli Echi del Carcere (poesie da lui composte nelle prigioni di Trento, Innsbruck e Suben, in Austria Superiore), e nel 1880–1881 delle romanze e ballate.105

7. Friedrich Karl von Savigny

Antonio Salvotti, compiuti gli studi liceali, si iscrisse all’università di Landshut, dove seguì i corsi di Friedrich Karl von Savigny, famoso professore di diritto romano, che rimase suo maestro ed amico per l’intera vita e lo ebbe in particolare stima. Savigny è stato un personaggio molto importante per lo sviluppo degli studi giuridici in Germania pertanto io tengo opportuno dedicare un po’ di spazio anche alla sua figura. Quest’excursus potrebbe anche contribuire ad una migliore comprensione della figura di Salvotti.

“È stato proprio Salvotti, molti anni dopo la conclusione degli studi universitari, a promuovere la conoscenza fra il pubblico italiano del System des heutigen römischen Rechts di Savigny, convincendo Paride Zajotti jr. (figlio del suo intimo amico e collega Paride sr.) a cimentarsi nella traduzione della prima parte di quest’opera”106.

Friedrich Karl von Savigny, appartenente a una famiglia di lontane origini francesi, nacque a Francoforte sul Meno il 21 febbraio 1779 e morì a Berlino il 25 ottobre 1861.

Dopo aver perso, a solo tredici anni, entrambi i genitori, crebbe a Wetzlar, dove il suo tutore era assessore alla Corte della Camera imperiale (Reichskammergericht), la Corte suprema del Sacro Romano Impero, istituita nel 1495 dall’ imperatore Massimiliano I d’Asburgo.

Nel 1803 Savigny iniziò la carriera accademica all’università di Marburgo; in seguito, fu professore a Landshut (1808–1810). Nel 1804 sposò Kunigunde Brentano, la sorella del poeta Clemens e di Bettina von Arnim (nata Brentano).

Nel 1810 su raccomandazione di Wilhelm von Humboldt fu chiamato all’università di Berlino, dove gli fu assegnata la prima cattedra di diritto romano che tenne fino al 1842. In seguito, divenne ministro prussiano della Riforma legislativa, ma dal 1848 si dedicò completamente all’attività scientifica.107

Tra le maggiori opere: Das Recht des Besitzes (1803 ), Geschichte des römischen Rechtes im Mittelalter (6 vol. 1815–1831), System des heutigen römischen Rechts (1840–1849).

La rinomanza universale di Savigny è particolarmente legata alla fondazione della cosiddetta „scuola storica “, i cui principi vennero formulati per la prima volta nel 1814. L’occasione fu data a Savigny da un opuscolo di Anton Thibaut, “Sulla necessità di un codice civile generale per la Germania”, in cui l’autore ravvisava l’opportunità di applicare in Germania un codice civile unificato, sull’esempio del code civil di Napoleone. Savigny contrappose lo scritto “Sulla Vocazione del nostro tempo per la legislazione e la scienza giuridica”, in cui esprimeva l’opinione che la Germania, formata da tanti stati, non fosse ancora matura per un codice generale. Savigny riteneva infatti che “non si potesse pensare a una legislazione germanica finché i Tedeschi non fossero riuniti in un unico stato. Il diritto non può essere frutto di arbitrio legislativo, ma è fondato sulla moralità, la fede, il sentimento. Il diritto non dovrebbe esser statico; si sviluppa organicamente insieme col popolo a cui appartiene. L’idea di un diritto universalmente valido è un’utopia che non bada alla realtà concreta. La parte essenziale dell’ordinamento giuridico è quindi consuetudinaria.”108

Per quanto riguarda Savigny e il diritto romano, per il quale Salvotti aveva predilezione, vorrei fare alcuni cenni storici al diritto romano e alla sua importanza per le codificazioni del diritto civile dell’Ottocento109.

Con la ricezione teorica del diritto romano durante l’epoca dell’imperatore Carlo Magno e i suoi successori nasceva l’idea, che gli imperatori del Sacro Impero Romano fossero i successori degli imperatori romani e quindi il diritto romano dovrebbe essere applicato. Il diritto romano fu riordinato dall’imperatore bizantino Giustiniano I nel Corpus juris civilis intorno al 530 d.C. Si tratta di una raccolta giuridica composta da: il Digesto (detto anche le Pandette), il Codice, le Istituzioni e le Novelle.

La caduta dell’Impero e l’influenza delle popolazioni germaniche ridimensionarono il ricorso agli istituti giuridici dell’antichità, in quanto le etnie tedesche conservavano i lori diritti tribali. Fu Irnerio (o Guerniero, lat. Wernerius), il fondatore della “Scuola di Bologna”, che tra il 1100 e il 1200 ritrovò pezzi della compilazione di Giustiniano. Irnerio, i glossatori e in seguito, i commentatori elaboravano e interpretavano il diritto romano, riabilitandolo come diritto vigente.110

Sarebbe stato nella competenza del ” Reichskammergericht” (Corte della Camera imperiale) di mettere in pratica il diritto romano sul modello della “Scuola di Bologna”. Il diritto su cui si basa la giurisdizione della nominata corte è chiamato “Jus commune” (“Diritto comune ”, “Gemeines Recht”). Si può classificare come una mescolanza di diritto romano, canonico e tedesco (detto anche “usus modernus pandectarum”) il quale veniva applicato fino alle codificazioni del diritto civile, cioè in Austria fino al 1811 (ABGB) e in Germania fino al 1794 (Allgemeines Landrecht für die Preußischen Staaten; con validità solo sussidiaria), in seguito fino al 1900 (Deutsches bürgerliches Gesetzbuch, BGB). Esclusa dalla codificazione era l’Inghilterra, il cui sistema (detto “common law”) si sviluppò autonomamente e non mostra influenze del diritto romano.

Si può ricordare che Goethe nel 1772 si iscrisse come tirocinante al Reichskammergericht nella cittadina di Wetzlar, e qui conobbe Charlotte Buff che fu l’ispiratrice della protagonista femminile del romanzo epistolare “I dolori del giovane Werther”.

8. La legge non contenziosa del 1854 (Außerstreitgesetz 1854)

Antonio Salvotti è conosciuto per lo più come il “geniale aguzzino al soldo dell’Austria” che condannò i patrioti italiani a pesanti pene. Ma bisogna considerare anche la sua attività di deputato del Reichsrat e consulente dell’imperatore a Vienna. In tale veste partecipò alle deliberazioni che portavano alla conclusione del Concordato del 1855 con la Chiesa cattolica.

Qui vorrei mettere in risalto l’importante contributo di Salvotti alla realizzazione dell’Außerstreitgesetz del 1854.

Questa legge regolava il procedimento civile in cause non contenziose (“außerstreitiges Verfahren”), in Italia chiamato giurisdizione volontaria, in Germania “freiwillige Gerichtsbarkeit”. Era detto anche il "nobile ufficio” della magistratura. L’obiettivo era (ed è) di svolgere un’attività simile a quella di un giudice conciliatore e di evitare conflitti. In fondo si trattava (e si tratta anche oggi) di un’attività amministrativa. L’accento è per esempio posto sull’ambito della tutela dei minori, dell’adozione, del rilascio di certificati, della procedura dell’eredità (detta “ventilazione” dell’eredità) ed altri111. Anche l’amministrazione del libro fondiario ricade ugualmente sotto la giurisdizione volontaria.

Questa legge entrò in vigore il 21 settembre 1855, ma già era considerata come provvedimento di natura provvisoria in attesa di una riforma generale della procedura civile. Solo con una legge del 1923, BGBl Nr. 636, furono cambiati disposizioni per definire più chiara la distinzione fra cause contenziose e non contenziose. Altri tentativi di modificare la legge del 1854 rimasero senza seguito. Questa legge del 1854, in vigore ormai da circa 150 anni, fu finalmente sostituita dalla legge del 12.12.2003, BGBl. I 111, in vigore dal 1o gennaio 2005.

La compilazione della legge di procedura volontaria fu difficile in quanto doveva basarsi sulla “Allgemeine Gerichtsordnung del 1781” (AGO, ordine generale giudiziale di Giuseppe II) che era incompleta perché unicamente regolava la procedura civile contenziosa, in modo decisamente antiquata, ma non la procedura civile non contenziosa. Già al tempo di Salvotti si avvertiva il bisogno di un aggiornamento e di un’unificazione del diritto procedurale. Le leggi emananate riguardanti la procedura volontaria avevano significato solo a livello regionale, come per esempio le “Istruzioni per i giudizi distrettuali del Tirolo e Vorarlberg in affari non contenziosi112. Altri disegni di legge non trovarono l’approvazione dell’imperatore. Chi fosse interessato ad approfondire, può consultare l’elaborato di R. Sprung/P. Mayr113 .

Per la procedura non contenziosa non si era ancora riusciti a compilare una legge unificata. L’imperatore rifiutò un disegno di legge del febbraio 1853 relativo alle cause non contenziose. In seguito il presidente del Reichsrat Freiherr Karl Friedrich Kübeck istituì un comitato di lavoro di cui Salvotti era il principale referente. Come deputato del Reichsrat era suo compito elaborare un disegno della procedura non contenziosa. Generalmente le proposte di Salvotti venivano esaminate e accettate dai collaboratori. Solo a proposito della questione relativa all’ammissibilità delle “restituzioni in intero “(§17 AußStrG) Freiherr von Lichtenfels, capo di un dipartimento del Ministero della giustizia, si oppose decisamente alla proposta di Salvotti, cosicché Kübeck richiese una perizia particolare. Le personalità di Salvotti e Lichtenfels erano agli opposti. “Mentre Lichtenfels era di statura piccola con voce debole, severo centralista, liberale, seguace di Giuseppe II, preciso nel dibattito, era Salvotti di figura potente con voce sonora, Savignese, conservatore, ecclesiastico, retore, diffuso nel dibattito. Quando questi due si sono incontrati, c’erano scintille.”114. Ma Salvotti era considerato già nel suo tempo tra i primi giuristi, anche se i colleghi italiani non lo apprezzarono molto a causa dei processi contro i Carbonari.

Il 9 agosto del 1854 l’imperatore firmò a Schönbrunn il disegno di legge per la procedura volontaria elaborato da Antonio Salvotti (pubblicato in B.L.I. 1854, No. 208, entrato in vigore il 29 settembre1854). Il momento era difficile, perché era iniziata la guerra di Crimea.115

L’originale del manoscritto (scritto per lo più in “Kurrentschrift”) si trova all’ Österreichisches Staatsarchiv, HHStA, Reichsrat, 468/1854. Si può leggere con minore difficoltà la trascrizione stampata che si trova in Sprung/Mayr.116

Invece la legge di procedura civile contenziosa fu promulgata nel 1895 - molto più tardi - con il disegno di legge di procedura civile (Zivilprozessordnung, ZPO) di Franz Klein (oggi ancora in vigore ovviamente con tanti emendamenti).

Il Professore Winfried Kralik della facoltà giuridica di Vienna affermò in Juristische Blätter 1954, p. 501 segg. in occasione del centenario che essa dà alla popolazione che chiede assistenza giuridica la possibilità di ricevere consulenza e aiuto in ottemperanza al § 2 AußStrG 1854 che impone di fornire assistenza anche d’ufficio a chi ne ha necessità.

8.1. Alcune osservazioni sulla legge del 1854 (Außerstreitgesetz 1854)

Non corrisponderebbe al tema della mia ricerca trattare dettagliamene questioni giuridiche, perciò mi limito a quanto mi sembra necessario per far conoscere meglio la personalità e i lavori di Salvotti. La legge del 1854 elaborata da Salvotti prevedeva nei primi 19 paragrafi del capitolo I esclusivamente disposizioni generali. Queste erano importanti perché si applicavano a tutti i procedimenti civili non contenziosi.

Difficile era già la domanda su come distinguere i due tipi di procedura perché legalmente non era prevista una chiara divisione tra di loro.

Se in una causa iniziata con la procedura non contenziosa avessero dovuto essere risolte questioni di fatto o diritto necessarie per chiarire un procedimento formale contenzioso, il giudice non contenzioso poteva interrompere la procedura e rinviare le parti al procedimento contenzioso per chiarire le domande controverse. L’altra possibilità che aveva il giudice non contenzioso era continuare il processo come se si trattasse di una procedura contenziosa (§§ 1, 2 cifra 7 e § 18 dell’AußStrG). Questa soluzione di Salvotti è stata criticata e sottoposta quindi alla riforma dell’anno 1923.117

Il nuovo provvedimento della legge del 2003 (AußStrG neu) stabilisce che la legge decide la procedura competente, in caso di dubbio preferenza ha la procedura contenziosa. Un rinvio dalla procedura non contenziosa alla contenziosa non è più ammesso. Ulteriori discrepanze devono essere chiarite in via di impugnazioni. Se risultasse che la richiesta è stata trattata con procedura scorretta, questa deve essere annullata.

Qui vorrei fare un paragone fra il § 1 del disegno di legge dell’anno 1854 (manoscritto di Salvotti, Staatsarchiv, Reichsrat, HHStA 468/1854, Karton 376), e la nuova regolazione stabilita nella legge attuale del 2005.

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Trascrizione del § 1:

“Entwurf des Gesetzes über das gerichtliche Verfahren in Rechtsangelegenheiten außer Streitsachen.

Erstes Hauptstück.

Allgemeine Anordnungen.“

§ 1 (versione con correzione) : “In nicht streitigen Angelegenheiten hat das Gericht von Amtswegen oder auf Ansuchen der Parteien nur insofern vorzugehen, als es die Gesetze anordnen.“ (traduzione ufficiale, Waller, Innsbruck , 1880: “In affari non contenziosi il Giudizio procederà d’ufficio od a richiesta delle parti solo in quanto ciò sia ordinato dalle Leggi”).

La legge attuale invece (AußStreitG neu) dice al § 1:

1) Questa legge federale regola la procedura non contenziosa.
2) La procedura non contenziosa è da applicare nei casi civili per i quali questa è ordinata nella legge.
3) In quanto non viene altro ordinato, le disposizioni generali di questa legge federale sono applicabili anche a procedure non contenziose che sono regolate in altre prescrizioni legali.

Si può constatare la differenza fra l’operato di Salvotti e la nuova legge attuale.

Si deve ricordare anche che i riformatori della legge del 1854 erano dell’opinione che questa legge fosse praticabile, lasciando al giudice lo spazio - per esempio tramite l’interpretazione - per trovare una soluzione adeguata al caso. Perciò è stata anche in vigore tanto tempo.

Una riforma era necessaria a causa delle innovazioni giudiziarie, per esempio la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950), e del linguaggio antiquato che esigeva un aggiornamento. Occorreva una legge più moderna anche per le cause non contenziose riguardanti le nuove esigenze in ambito scientifico.118

Molto illustrativo sono le spiegazioni del Parlamento austriaco che parla della storia della legge del 1854 e le necessità di una riforma.119

Il capitolo I (§§ 1-19) regolava - come già menzionato - disposizioni generali.

Il capitolo II (§§ 20-177) della legge del 1854 si occupava dell‘eredità in senso processuale, cioè la procedura per diventare erede, invece il diritto sostanziale per es. chi può essere erede, è regolato nel Codice civile (§§ 531–824). Il § 20 del AußStrG 1854 parla “Von der Abhandlung der Verlassenschaften” che è stato tradotto con “Della ventilazione delle eredità.”120 Le regolazioni formali somigliavano al diritto attuale, mentre il diritto ereditario materiale è stato recentemente riformato (cfr. “Erbrechts-Änderungsgesetz 2015, BGBl I 2015, 87).

Molto spazio è dedicato al notariato che è un istituto del diritto francese. Il notaio come pubblico ufficiale ha la funzione di un organo ausiliare del giudice e viene chiamato “commissario giudiziale” (Gerichtskommissär). Prepara la procedura ereditaria, indaga sull’esistenza di un testamento, definisce che siano gli eredi, erige l’inventario, se necessario, e termina suo lavoro con la preparazione dell’ “aggiudicazione” (Einantwortung secondo il § 174 AußStrG 1854), un decreto che viene firmato dal giudice non contenzioso. Mentre l’azione del commissario giudiziale era facoltativa adesso è diventata obbligatoria, cioè il giudice viene assistito da un notaio che svolge tutte le azioni preparatorie per l’aggiudicazione. Tramite questo decreto

giudiziale, secondo il § 797 ABGB, viene trasferito anche la proprietà dei beni immobili dal de cuius (defunto) all’ erede o agli eredi, perciò tale decreto costituisce un’eccezione del diritto civile austriaco. Questo esige per trasferire un diritto reale due atti (§§ 424, 425 ABGB), un “titolo” (per es. contratto, testamento) che crea un diritto obbligatorio e un “modo” che costituisce la proprietà. Il “modo” sarebbe per beni mobiliari la consegna e per beni immobiliari la registrazione nel libro fondiario.121

I capitoli successivi della legge del 1854 trattavano la procedura in affari di tutela e cura; la sorveglianza sui fedecommessi; l’adozione, la legittimazione e lo scioglimento dalla patria potestà; la stima e l’asta volontaria e infine i certificati giudiziarii in genere, la vidimazione di copie e l’autenticazione di documenti.

9. Fonti giuridiche austriache riguardanti Salvotti

Perché a Salvotti sia riconosciuto il merito che gli spetta in quanto giurista, indico qui di seguito le opere principali che trattano non solo del suo contributo in campo giuridico, ma ne tratteggiano anche la figura.

Sprung Rainer, Mayr Peter G., Die Entstehung und Weiterentwicklung des Außerstreitgesetzes 1854, in: Symposion Außerstreitreform, Veröffentlichung des Ludwig-Boltzmann-Institutes für Rechtsvorsorge und Urkundenwesen (LBI) , Manz, Wien 1992.

Dettagli interessanti sulla conclusione della legge di procedura non contenziosa si trova nella stesura del Parlamento austriaco, Außerstreitgesetz-AußStrG, emanata nell’occasione della discussione della nuova legge non contenziosa. Contiene anche paragoni fra la vecchia legge del 1854 e la nuova legge del 2003. Consultabile sul sito in https://www.parlament.gv.at/PAKT/VHG/XXII/I/I_00224/fnameorig_008727.html.

Ma anche il Professore Bernhard König della Facoltà giuridica di Innsbruck si è dedicato alla personalità di Salvotti e alla sua visione giuridica. Rimando a:

Juristische Blätter 1974, Nr. 303

Sul § 9 Abs.4 AußStrG , Ricorso contro gli ordini giudiziari in procedure non contenziose.

Juristische Blätter 1978, Nr. 67

Ein Beitrag zur Auslegung des § 2 Abs. 2 Z 7 und § 18 AußStrG.1854: Si tratta di un’analisi dell’opinione di Salvotti sulla distinzione fra cause contenziose e non contenziose.

Österreichische Richterzeitung 1979, Nr. 50

Beiträge zur Entstehungsgeschichte des AußStrG 1854: Sulla storia della nascita della legge AußStrG. 1854 con ulteriori citazioni delle fonti di questa legge.

10. Alcune osservazioni sul lavoro pratico di Salvotti come magistrato secondo gli storici D’Ancona, Sandonà e Luzio

Lo storico Alessandro D’Ancona - come già menzionato nel capitolo 1 (pp. 5,6) - ha un atteggiamento critico nei confronti di Salvotti, che avrebbe usato l’astuzia per indurre i rei a confessare.

A Salvotti, nella sua funzione di giudice inquirente, viene tra l’altro rimproverato il fatto di avere atteso tre mesi, pur essendo in possesso di prove giuridiche sufficienti, prima di comunicare a Confalonieri l’imputazione per la quale era tenuto in carcere. Se Confalonieri avesse invocato qualche testimone a discarico, ciò sarebbe equivalso ad una denuncia per complicità e la persona da lui nominata sarebbe stata tratta in arresto. Era perciò necessario che l’imputato evitasse di chiamare a sua difesa amici e conoscenti, se non voleva coinvolgerli nella propria rovina.

Salvotti, prima di entrare a far parte della commissione contro i Carbonari, era stato chiamato a Vienna e lì aveva ricevuto istruzioni verbali. “I giudici, scrive Pallavicino, mentivano sfacciatamente. Per indurci in inganno, e per aizzarsi gli uni contro gli altri, ci falsavano i nostri interrogatori, e ci facevano dire con rara impudenza, quello che nessuno di noi aveva mai detto o pensato.”122 La procedura era condotta con raffinata perfidia da Salvotti, che a ciascuno degli accusati faceva credere di essere stato denunciato e tradito da un compagno, di cui però non indicava il nome. Salvotti era solito dire all’imputato “S’ella confessa ciò che del resto sappiamo d’altra parte, l’imperatore le fa la grazia, ella torna a casa sua onorato e innocente”123.

A questa critica si può rispondere:

Un giudice ha precisi e determinati doveri. Un prerequisito per l’esercizio della sua funzione è il comportamento corretto: se un giudice non soddisfa questo requisito, non è idoneo ad essere magistrato. È suo compito valutare i fatti e giudicarli secondo criteri oggettivi, non deve cioè essere influenzato da opinioni soggettive.

Ma il giudice può anche dare consigli ai rei, e per esempio promettere, se confessano il delitto, di mitigare la pena, considerando le circostanze attenuanti.

La richiesta dell’imperatore Francesco I di essere informato dell’iter dei processi contro i Carbonari in quest’epoca era prevista dalla legge. Informando l’imperatore dell’iter processuale Salvotti non ha commesso alcun illecito. E’ opportuno ricordare che l’imperatore Francesco I temeva i Carbonari e che secondo il suo editto del 21 agosto 1821 i Carbonari dovevano essere condannati alla pena capitale, anche se poi questa veniva generalmente commutata in una lunga pena detentiva.

E’ difficile per un giudice valutare l’attendibilità di una prova nel caso di deposizioni discordanti. E se un giudice, secondo la sua scienza e la sua coscienza, si è formato un'opinione considerando e valutando attentamente tutte le circostanze pro e contro un reo, in assenza di prove sostanziali che dimostrino il contrario, non può essere considerato “perfido” né “astuto”. Per denigrare così gravemente un magistrato occorrono delle prove inconfutabili, che indichino chiaramente che c’è stata prevaricazione nei confronti dell’imputato.

Nel caso del giudice Salvotti, dal punto di vista austriaco non ci sono indicazioni di una condotta scorretta. Salvotti si atteneva alla legge penale del 1803 e all’editto imperiale del 21 agosto 1820, che prevedeva la pena di morte per gli affiliati alla Carboneria ed altre pene durissime per chiunque fosse fautore della suddetta società segreta.

Prima di condannare l’operato del giudice, si deve considerare che le deposizioni degli accusati talvolta erano contraddittorie. Per esempio Confalonieri è stato incriminato anche per aver costituito la società segreta dei “Federati”, il cui obiettivo era accordarsi con i ribelli del Piemonte per un’invasione della Lombardia.

Ma anche lo stesso Ancona esprime l’opinione che negare tutto non era più possibile quando esistevano già prove contrarie o quando nelle perquisizioni la polizia aveva trovato carte compromettenti.124 Pallavicino aveva capito di aver danneggiato Confalonieri con sua deposizione e per riparare all’errore, fingendosi pazzo, aveva ritrattato le proprie ammissioni. Disse poi di essere stato illuminato dalle parole di Machiavelli, che loda Bruto per la sua simulazione di stoltezza. Pallavicino aveva deposto di credersi trasformato in un merlo. Ma, prima di fingersi pazzo, aveva affermato che Confalonieri, capo dei Federati, lo aveva iscritto alla società segreta. Alla domanda dei giudici rispondeva: ”Io non lo so, giacché ho una confusione di idee, che non mi lascia afferrare con sicurezza la verità. Concluse: “Capisco che io faccio una orribile figura, ma voglio piuttosto comparire stupido, che tradire la mia coscienza.” Ad ogni contestazione replicava, come se cantasse un ritornello: “Io temo fortemente di aver calunniato il conte Confalonieri” senza spiegare su che cadesse precisamente il suo timore.125

L’argomentazione di Salvotti era che la pazzia successiva non poteva infirmare le deposizioni precedenti. Siccome Pallavicino si lamentava di avere subito tortura, fu interrogato a tale riguardo dal giudice e rispose: “L’avermi ridotto a vegetare come i cavoli e le rape con avermi privato dei libri.”

Dalla situazione sopra descritta si può dedurre come anche per un giudice, in presenza di deposizioni contrastanti, sia difficile accertare la verità. Ma, se l’opinione che il magistrato si è formato non corrisponde a quella auspicata dai rei, non si può definire il giudice “perfido” o “astuto”.

A questa critica si può rispondere:

Un giudice ha precisi e determinati doveri. Un prerequisito per l’esercizio della sua funzione è il comportamento corretto: se un giudice non soddisfa questo requisito, non è idoneo ad essere magistrato. È suo compito valutare i fatti e giudicarli secondo criteri oggettivi, non deve cioè essere influenzato da opinioni soggettive.

Ma il giudice può anche dare consigli ai rei, e per esempio promettere, se confessano il delitto, di mitigare la pena, considerando le circostanze attenuanti.

La richiesta dell’imperatore Francesco I di essere informato dell’iter dei processi contro i Carbonari in quest’epoca era prevista dalla legge. Informando l’imperatore dell’iter processuale Salvotti non ha commesso alcun illecito. E’ opportuno ricordare che l’imperatore Francesco I temeva i Carbonari e che secondo il suo editto del 21 agosto 1821 i Carbonari dovevano essere condannati alla pena capitale, anche se poi questa veniva generalmente commutata in una lunga pena detentiva.

E’ difficile per un giudice valutare l’attendibilità di una prova nel caso di deposizioni discordanti. E se un giudice, secondo la sua scienza e la sua coscienza, si è formato un'opinione considerando e valutando attentamente tutte le circostanze pro e contro un reo, in assenza di prove sostanziali che dimostrino il contrario, non può essere considerato “perfido” né “astuto”. Per denigrare così gravemente un magistrato occorrono delle prove inconfutabili, che indichino chiaramente che c’è stata prevaricazione nei confronti dell’imputato.

Nel caso del giudice Salvotti, dal punto di vista austriaco non ci sono indicazioni di una condotta scorretta. Salvotti si atteneva alla legge penale del 1803 e all’editto imperiale del 21 agosto 1820, che prevedeva la pena di morte per gli affiliati alla Carboneria ed altre pene durissime per chiunque fosse fautore della suddetta società segreta.

Prima di condannare l’operato del giudice, si deve considerare che le deposizioni degli accusati talvolta erano contraddittorie. Per esempio Confalonieri è stato incriminato anche per aver costituito la società segreta dei “Federati”, il cui obiettivo era accordarsi con i ribelli del Piemonte per un’invasione della Lombardia.

Ma anche lo stesso Ancona esprime l’opinione che negare tutto non era più possibile quando esistevano già prove contrarie o quando nelle perquisizioni la polizia aveva trovato carte compromettenti.126 Pallavicino aveva capito di aver danneggiato Confalonieri con sua deposizione e per riparare all’errore, fingendosi pazzo, aveva ritrattato le proprie ammissioni. Disse poi di essere stato illuminato dalle parole di Machiavelli, che loda Bruto per la sua simulazione di stoltezza. Pallavicino aveva deposto di credersi trasformato in un merlo. Ma, prima di fingersi pazzo, aveva affermato che Confalonieri, capo dei Federati, lo aveva iscritto

alla società segreta. Alla domanda dei giudici rispondeva: ”Io non lo so, giacché ho una confusione di idee, che non mi lascia afferrare con sicurezza la verità. Concluse: “Capisco che io faccio una orribile figura, ma voglio piuttosto comparire stupido, che tradire la mia coscienza.” Ad ogni contestazione replicava, come se cantasse un ritornello: “Io temo fortemente di aver calunniato il conte Confalonieri” senza spiegare su che cadesse precisamente il suo timore.127

L’argomentazione di Salvotti era che la pazzia successiva non poteva infirmare le deposizioni precedenti. Siccome Pallavicino si lamentava di avere subito tortura, fu interrogato a tale riguardo dal giudice e rispose: “L’avermi ridotto a vegetare come i cavoli e le rape con avermi privato dei libri. Una pazzia venuta dopo un’interrogazione non poteva infirmare deposizioni fatte prima che quella sopraggiungesse.”

Dalla situazione sopra descritta si può dedurre che anche per un giudice, in presenza di deposizioni contrastanti, sia difficile accertare la verità. Ma, se l’opinione che il magistrato si è formato non corrisponde a quella auspicata dai rei, non si può definire il giudice “perfido” o “astuto”.

Diverso però è la relazione di Sandonà, il quale riferisce nell’introduzione del suo libro, Contributi alla storia dei processi del Ventuno e dello Spielberg, le sue difficoltà incontrate nel trovare le fonti.

“Lunghe ricerche fatte negli archivi di Vienna, in quello Generale del Ministero degli Interni e di Polizia, in quello di Stato, di Corte e della Casa Imperiale e nell'archivio del Ministero di Giustizia, per rintracciare i costituti di Federico Confalonieri e qualche documento che portasse nuova luce sul carteggio del Federato lombardo col principe di Carignano non diedero il risultato sperato.

Ma, disgraziatamente, quando si trattò di levarlo, con altri atti, dal fascicolo conservato ne' sotterranei del Tribunale amministrativo, esso mancava. Il fatto che questi documenti furono comunicati al D'Ancona dal conte Badeni, ministro degli interni, mi conferma che gli stessi furono tolti dall'archivio del ministero degli interni, che contiene il maggior numero degli atti officiali austriaci dell'epoca del Risorgimento.

Forse fu in parte distrutto, forse andò smarrito tra le migliaia di documenti e finì in un altro fascicolo”128.

La causa di tali difficoltà non è attribuibile però all’incendio del Palazzo di Giustizia a Vienna nel quale sono andati perduti tanti importantissimi documenti (fra i quali anche parti del libro fondiario).129 L’incendio risale al 15 luglio 1927, molto più tardi della data di edizione del libro di Sandonà. L’occasione della rivolta dei cittadini viennesi che appiccarono il fuoco fu un’assoluzione in Corte d’assise (Schattendorfer Prozess).

Sandonà riferisce dal Processo Confalonieri - Pallavicino:

“Il Pallavicino svesciò subito cose importantissime: essere esistita a Milano una società dei Federati italiani, che il conte Confalonieri ve lo aveva associato e di essere stato inviato da costui a Novara a chiamare il generale San Marzano, perché venisse col suo corpo ad occupare Milano. […]. Perché il Pallavicino si sia comportato in tale modo non si sa. Egli si giustificò poi asserendo che le rivelazioni gli erano sfuggite in un momento di debolezza. La posizione del Confalonieri era, già all'inizio del processo, difficilissima. Ma si migliorò sensibilmente di poi quando il Pallavicino, fingendosi pazzo, ritrattò le sue deposizioni ed allorché, ammettendo l'andata in Piemonte.”130

“Le deposizioni del Borsieri, del Tonelli, dell’Arese e sopra tutto quelle del conte Ducco, come si vede nelle Conclusioni della requisitoria del Salvotti, offrirono al giudice inquirente nuovo materiale in abbondanza per rimettere su basi più salde il pericolante processo. Costoro, chi più, chi meno, confessarono di essere stati affiliati alla Federazione dal Confalonieri”.

“Dinanzi a queste nuove rivelazioni il Confalonieri credette di dover cambiare la sua tattica di difesa. Negare accordi presi con altri cittadini gli parve ormai inutile; respinse l'accusa di essere federato ed ammise di avere ideato un'unione di probe persone che provvedesse, in caso di mutamenti politici repentini, alla salvezza del paese, preservandolo dai mali dell'anarchia in cui sarebbe, altrimenti, caduto. Questo suo ragionamento bastò per il Salvotti che lo ritorse contro di lui scorgendo in questi suoi maneggi una vera cospirazione, e il disegno di cangiare violentemente la forma di governo, perché il nuovo ordine di cose che si sarebbe stato imposto al paese da tutt'altri che dal legittimo sovrano. Dichiara perciò il Confalonieri reo confesso.”131

Simile era anche rapporto di Luzio che non seguì l’opinione di D’Ancona “che Salvotti fosse l’autore della turpe insidia dell’inganno infernale indegno d’un magistrato”.132 Luzio argomenta che i sospetti colpivano specialmente il conte Confalonieri. Il primo che gettò maggior luce sulla vicenda fu il giovane marchese Pallavicini (chiamato anche Pallavicino). Dopo la sua deposizione la polizia arrestò Confalonieri, nascosto nella soffitta della casa vicina. Ma Confalonieri negava recisamente di aver consigliato a Pallavicino di affiliarsi alla società dei Federati. Considerando le deposizioni di altri rei (come quella di Arese, che aveva indicato senza esitazione come istigatore il conte Confalonieri) la Commissione condannò unanimemente Confalonieri quale capo della congiura. Arese venne poi condannato a soli tre anni di carcere; il 23 gennaio 1824 rivolse un ultimo scritto alla Commissione, ringraziando il magnanimo Imperatore.133

Luzio afferma che Salvotti divise il suo rapporto in due parti distinte: nella prima indica le emergenze di fatto, nell’altra il risultato e il voto, cioè le conclusioni della sua requisitoria. Queste per Confalonieri occuparono non meno di 188 pagine di grande formato, nelle quali le sue discolpe sono riferite per esteso con le parole stesse dei costituti.

Luzio dissente da D’Ancona per due ragioni: la prima, perché Salvotti nell’esordio di questo rapporto afferma di ripetere con esattezza ciò che Confalonieri stesso aveva dettato nel corso dei voluminosissimi costituti, e i suoi colleghi della Commissione avrebbero potuto facilmente coglierlo in fallo, né avrebbero mancato di farlo; la seconda, perché nei paragrafi concernenti gli altri 23 imputati, si trovano ugualmente riassunti i rispettivi costituti d’ognuno, ad es. di Pallavicino, Borsieri, Arese, Ducco, e confrontando i loro costituti originali con l’estratto che ne dava l’inquirente Salvotti si vede che questa parte della requisitoria è fedele e completa.134

Tenendo conto di queste dichiarazioni, non si può condividere l’opinione secondo la quale Salvotti sarebbe stato un giudice perfido e ingannevole.

11. In nome dell’Imperatore

La professoressa Fausta Garavini, studiosa formatasi alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze, e già Ordinario di Lingua e Letteratura francese all’Università degli Studi di Firenze, ci dà nel suo romanzo “In nome dell’Imperatore” un’immagine insolita del periodo risorgimentale. Il protagonista del romanzo è Antonio Salvotti, il giudice trentino di nazionalità italiana, inquirente per i tribunali austriaci nelle persecuzioni dei patrioti italiani e in seguito consigliere dell’imperatore Francesco Giuseppe per la riforma legislativa.

Non si tratta solo di un romanzo storico, ma anche di un lavoro scientifico basato su documenti d’archivio. L’autrice ritiene opportuno precisare che tutto quanto è scritto “poggia su un’accurata documentazione.”135 L’autrice ha inoltre contattato per informazioni più precise alcuni discendenti di Antonio Salvotti, come il tris-nipote, l’architetto Giovanni Leo. Il romanzo è stato presentato al pubblico il 15 ottobre 2008 nella Biblioteca comunale di Trento dallo storico Graziano Riccadonna e dalla scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti.136

L’autrice tratteggia non solo un ritratto del giudice Antonio Salvotti, fedele alla casa asburgica, che fu incaricato dell’inchiesta della Commissione speciale per l’inquisizione dei Carbonari, ma illustra anche la storia del Risorgimento italiano.

Nella sua opera l’autrice afferma anche – come già menzionato nel capitolo 6.2:

“Salvotti considerava suo dovere applicare la legge penale austriaca che prevedeva per il crimine di alto tradimento la condanna a morte, che l’imperatore poi generalmente commutava in carcere durissimo. I primi Carbonari condannati erano di Fratta Polesine; ne seguirono tanti altri, tra cui Silvio Pellico e Piero Maroncelli. Contro gli ultimi due la sentenza fu letta in pubblico sulla Piazzetta di San Marco, un atto considerato ignominioso.”137

Tuttavia Salvotti non viene descritto come persona insensibile. L’autrice racconta dell’incontro di Salvotti a Verona nell’aprile 1825 con l’Imperatore Francesco, che in un colloquio gli disse che aveva esaminato attentamente i processi di Venezia e di Milano e aggiunse: “Del resto è mia intenzione graziare i condannati, tranne Confalonieri, che ha corrotto tanti giovani e ha guastato tutta la nobiltà”. Salvotti acconsentì, rispondendo: “Vostra Maestà dice bene” […] “Tuttavia non si può dimenticare che Confalonieri con le sue confessioni ci ha fatto scoprire i veri pericoli che possono minacciare lo Stato in avvenire, e così ha espiato gran parte della sua colpa. […] Vostra Maestà può accordare la grazia senza timore di conseguenze”.138

In occasione di questo incontro, il giudice espose le riflessioni politico-criminali a cui era giunto nel corso dell’inquisizione: “Ecco, l’idea dell’indipendenza non si può vincere con le pene. Si può isolarla facendo cessare le cause che la producono … e una volta isolata potrà magari accendere qualche mente giovanile o visionaria, ma non potrà mai diventar popolare “139.

Ma l’autrice presenta anche l’immagine di un uomo che ha subito nella vita privata tanti dolori: la morte precoce dell’amata moglie e le peripezie del figlio Scipione, patriota italiano, perseguitato e condannato dalle autorità austriache.

Come già lo storico Alessandro Luzio,140 l’autrice sottolinea anche in particolare:

“Dopo venti anni di attività come consigliere aulico del Senato Lombardo-Veneto a Verona e dopo l’incidente al Teatro filarmonico, Salvotti non era gradito in quella città e per facilitare l’allontanamento venne nominato vicepresidente del tribunale d’ Appello a Innsbruck, dove rimase negli anni 1846–1850.”

L’autrice definisce tale periodo “gli anni del castigo” di Salvotti.141

Successivamente racconta anche come nel maggio 1851 Salvotti venne infine eletto membro del Reichsrat a Vienna per lavorare alle riforme giuridiche.”142

Secondo Garavini, Salvotti svolse l’attività di magistrato della Commissione speciale per l’inquisizione dei Carbonari nella convinzione che questi fossero ostacoli alla realizzazione di un’Italia unita. “L’Italia potrebbe raggiungere l’indipendenza, la libertà e l’unità solo attraverso il dominio austriaco”143.

“L’Impero, per Salvotti, era il sogno di uno Stato multietnico dove potevano riassorbirsi le degenerazioni del nazionalismo: austriaci, ungheresi, boemi, moravi, li pensava tutti figli d’una stessa patria, non come ora isolati e discordi”144.

Dalle pagine del romanzo emerge dunque che Salvotti non fu un “anti-italiano”, ma servì l’Austria e il suo Imperatore nella fiducia che la dominazione austriaca fosse la miglior forma di governo per l’Italia.145

Non fu quindi, secondo Garavini, il perfido inquisitore che parte della storiografia ha descritto.

Vorrei rinviare alla presentazione che l'autrice fa del suo libro in internet, della quale allego la trascrizione:146

“Io parlerò del mio romanzo “In Nome dell’Imperatore”, che è la storia di un giudice. Cercherò di spiegare il desiderio di raccontare questa storia e come ho proceduto nel raccontarla e quali sono i temi fondamentali. Si tratta di un personaggio realmente esistito. Un giudice italiano, ma suddito dell’Austria e di cuore italiano. In quanto siamo nella metà dell’Ottocento, il Lombardo-Veneto apparteneva all’Austria e il Tirolo anche. Era un giudice di Trento con il cuore italiano. Ma si trovò istruire i processi dei nostri patrioti che lottavano per l’indipendenza dell’Italia, cioè lottavano contro l’Austria. I più famosi processi del Risorgimento sono quelli appunti istruiti da questo giudice e sono i processi di Silvio Pellico, Piero Maroncelli e Federico Confalonieri, con tutti i loro annessi. Dal momento che questo giudice ha istruito i processi dei nostri patrioti è stato vituperato e calunniato, presentato nei libri di storia come un bestiale aguzzino mentre era un probo magistrato, ma la retorica risorgimentale ha stravolto la sua storia e la sua immagine.”

12. Carlo Antonio Martini e il Codice Civile Generale austriaco

Come già accennato nel capitolo 2.1., accanto alla figura di Antonio Salvotti è doveroso ricordare un’altra illustre personalità di origine trentina che si è distinta nel campo giuridico, svolgendo la propria attività principalmente a Vienna al servizio degli Asburgo: Carlo Antonio Martini (conosciuto in Austria anche come Karl Anton von Martini), la cui fama è legata in particolare al fatto di aver collaborato alla stesura del Codice Civile Generale austriaco, del quale è detto anche “il padre”.

Nel 1796 Martini redasse il testo del Codice Civile della Galizia Occidentale, regione passata sotto il dominio austriaco nel 1795 in seguito alla cosiddetta “terza spartizione” della Polonia. Nel 1797 questa legge fu estesa anche alla Galizia orientale. Dopo una revisione da parte dell’allievo e futuro successore di Martini, Franz Zeiller, il Codice della Galizia orientale rimase in vigore solo per poco più di un decennio, perché sostituito nel 1812 dal Codice Civile Generale valido per l’intera Austria. Il grande merito di Martini consiste nell’aver fondato la legge civile sulla dottrina del diritto naturale, i cui principi si rispecchiano quindi nell’attuale Codice Civile austriaco (ABGB).

Sia Martini che Salvotti erano trentini di nascita e di lingua madre italiana, fedelissimi alla casa asburgica, ed entrambi erano giuristi di grande talento che hanno redatto leggi importantissime in una lingua per loro straniera: l’uno stabilì i principi fondamentali del codice civile ancora oggi in vigore, l’altro redasse nel 1854 la materia della procedura non contenziosa, rimasta in uso fino al 2005.

Per ricordare il grande giurista, la cui importanza per la storia del diritto in Austria era stata misconosciuta anche da parte degli storici del diritto, l’Università di Innsbruck, in occasione del bicentenario dell’entrata in vigore del Codice della Galizia, ha organizzato nel giugno 1998 il Martini Colloquium. Nel corso del convegno si è celebrato non solo il lavoro di codificazione che ha condotto alla stesura dell’ABGB, ma anche il suo significato per la storia del diritto in Austria. E’ stata così finalmente riconosciuta l’importanza di Martini come giurista, scienziato, editore e filosofo del diritto.147 I contributi accademici al Martini Colloquium presentano un quadro completo della vita e della formazione del giurista trentino, affrontando il tema del suo rapporto con la legge naturale e dell’influsso esercitato dai principi del diritto romano, del Code Civil di Napoleone e dell’ Allgemeines Preussisches Landrecht sulla codificazione del diritto civile in Austria. Gli atti del convegno non trattano solamente temi giuridici, ma offrono l’immagine della cultura dell’epoca.

12.1. Biografia

Carlo Antonio Martini “zu Wasserberg” (erroneamente anche “Wasserburg”)148 nacque a Revò (vicino alla cittadina di Cles) in Val di Non il 15 agosto 1726, da una famiglia italiana che ha dato i natali a molti giuristi e uomini di Chiesa. Il padre era notaio. Dal 1739 al 1741 Carlo Antonio frequentò il triennio ginnasiale presso il collegio dei Gesuiti a Trento, dove si dedicò allo studio delle lingue classiche e della filosofia aristotelica, di cui continuò lo studio all’Università di Innsbruck dal 1741 al 1747. Qui fu allievo di Paul Joseph Riegger, docente di Diritto Naturale a Innsbruck e poi a Vienna, che esercitò grande influenza sulla sua futura formazione. Contro la volontà del padre, nel 1747 si trasferì a Vienna per studiare giurisprudenza. Il fratello maggiore, anche lui giurista, era docente all’ Accademia Teresiana e lo aiutò economicamente. Gli esordi della carriera di Martini si svolsero nell’ambito della cerchia di eminenti personalità trentine attive a Vienna;149 primo fra tutti il futuro arcivescovo di Vienna Cristoforo Migazzi (Trento, 1714 – Vienna, 1803). Come collaboratore dell’ambasciatore, Migazzi intraprese numerose missioni diplomatiche attraverso l'Europa. Nel 1754, grazie all’appoggio di Riegger e del consigliere Gerhard van Swieten, il celebre medico di Maria Teresa, Martini ottenne la cattedra di Diritto naturale e Istituzioni di diritto romano appena istituita all’università di Vienna. Teneva le sue lezioni in latino, mantenendo però un accento italiano.150 Oltre all’impegno didattico gli vennero poi assegnati numerosi incarichi di responsabilità in varie associazioni, in quanto membro della Commissione aulica per la Censura e della Commissione aulica per gli Studi, presieduta dall’arcivescovo Migazzi.

Con l’attività accademica Martini iniziò anche la produzione scientifica in lingua latina. Nel 1755 pubblicò l ’Ordo historiae juris civilis, un manuale di storia del diritto romano, e negli anni successivi scrisse manuali di diritto naturale e internazionale: Positiones de lege naturali, Positiones de jure civitatis, De usu auctoritatis in jurisprudentia naturali e Exercitationes sex de jure naturali.

Nel 1755 divenne membro dell'Accademia degli Agiati di Rovereto.

Dal 1761 assunse l’incarico di precettore nelle discipline giuridiche per cinque figli di Maria Teresa, fra i quali le arciduchesse Maria Giuseppina e Maria Carolina, che già nel 1768 diventerà regina di Napoli. Anche il futuro imperatore Leopoldo II fu suo allievo, ma non Giuseppe II, che però non mancò di apprezzarlo, nominandolo ne1782 membro del Consiglio di Stato (Staatsrat).151

Nel 1764 divenne consigliere aulico (Hofrat) presso il Supremo Tribunale di Giustizia (Oberste Justizstelle), di cui nel 1788 divenne poi vice presidente e nel 1792 secondo presidente. Mantenne questa carica fino alla morte.

Nel 1764 venne anche nominato dall’imperatore Francesco Stefano, marito di Maria Teresa, cavaliere del Sacro Romano Impero col predicato “zu Wasserberg”.

Nel 1773, su incarico dell’imperatrice, stilò il nuovo regolamento scolastico. In qualità di membro della Commissione aulica per gli Affari Ecclesiastici provvide alla riconversione dei beni della soppressa Compagnia di Gesù, che vennero assegnati come benefici a scuole e atenei. Dal 1771 fece parte della Commissione aulica di legislazione, dove collaborò alla stesura del Codice Civile della Galizia Occidentale, terminata nel 1796. Il codice della Galizia fu poi esteso al Lombardo-Veneto nel 1803 e nel 1814 a tutto il Tirolo.

Il Tirolo italiano (Welschtirol) in ambito giudiziario era considerato una provincia di lingua italiana a sé stante. Erano presenti due corti di giustizia (Kreisgerichte) una a Trento e l’altra a Rovereto. La lingua ufficiale esterna (in uso anche fra tribunali e preture) ed interna era esclusivamente l’italiano, così come quella per la procedura di ricorso. Anche alla corte d’appello di Innsbruck per le cause legali mosse da trentini, per le quali era stato istituito un senato italiano separato, era ammesso solo l’italiano, che era anche la lingua per mezzo della quale i tribunali del Trentino comunicavano con la corte d’appello a Innsbruck.152

Vorrei ricordare che il Senato della Corte superiore di giustizia (Oberlandesgericht) per le cause italiane fu poi trasferito a Trento, dove non esisteva la Corte d’appello. Con il decreto imperiale reale del 28 dicembre 1849 Antonio Salvotti ne fu nominato presidente di questa Corte.

La revisione del Codice della Galizia portata a termine da Bernhard Horten e Franz Zeiller, che erano stati allievi di Martini, costituì il modello per il Codice Civile Generale austriaco (ABGB) del 1811, che è in Austria ancora in vigore. I ripetuti accenni al diritto naturale presenti nel Codice sono dovuti a Martini.

È quasi impossibile descrivere in poche parole che cosa sia il diritto naturale, la cui concezione si è sviluppata nel corso dell’umanità. Per “diritto di natura” o “giusnaturalismo” si intende una corrente filosofico-giuridica che presuppone l’esistenza di norme di condotta universalmente valide e immutabili, sulla cui struttura dovranno essere modellati i diversi diritti positivi (scritti, creati dagli uomini o validi per consuetudine).153 Accanto al diritto “positivo” esiste altresì un diritto non positivo, implicito nella “natura” (in un qualche senso del termine: natura come creazione divina, come cosmo oppure natura razionale specificamente umana). Il diritto naturale è un diritto “giusto”, assiologicamente superiore a quello positivo, di modo che il diritto positivo merita obbedienza se, e soltanto se, è conforme al diritto naturale.

12.2. Il diritto naturale

L’idea dell’esistenza di un diritto naturale risale già alla cultura greca antica.

Da Aristotele a Cicerone (“De re publica”), da Tommaso d'Aquino (“Summa theologiae”) a Ugo Grozio (“De jure belli ac pacis”) e a John Locke (“Trattati sul governo civile”), si sviluppò la dottrina della legge naturale fino alla Rivoluzione francese. La dichiarazione francese del 26 agosto 1789 sui diritti dell’uomo e del cittadino proclama, che “gli uomini nascono e vivono liberi e uguali nei diritti”, e che tali diritti inviolabili sono “la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”154. Secondo la legge naturale dell’Illuminismo, basata sulla ragione, il sovrano deve prendersi cura anche del benessere e della felicità dei suoi sudditi, che hanno il diritto di progettare la vita secondo proprie idee, poter scegliere la confessione ed essere protetti dalla legge.155

Secondo Michael Hebeis, la visione che Martini ha del diritto naturale deriva da quella del suo maestro Riegger, che deduce la legge naturale dalla volontà divina.156

La dottrina della legge naturale di Martini si rivolge "non contro lo Stato“, ma "solo contro la nobiltà e la chiesa"157 e contro norme non corrispondenti alla “ragione”. La legge naturale secolarizzata, libera dai condizionamenti imposti dalla religione e dall’autoritarismo, è sostenuta dal pensiero illuminista.

Come esempio dell’applicazione dei principi del diritto naturale possiamo citare la disposizione del § 7 ABGB sull’interpretazione della legge che stabilisce: “Qualora un caso non si possa decidere né secondo le parole, né secondo il senso naturale della legge, si avrà riguardo ai casi consimili precisamente dalle leggi decisi ed ai motivi di altre leggi analoghe. Rimanendo nondimeno dubbioso il caso, dovrà decidersi secondo i principi del diritto naturale, avuto riguardo alle circostanze raccolte con diligenza e maturamente ponderate.”

Questa disposizione riflette anche la questione dell'indipendenza giudiziaria contro la rivendicazione del potere del monarca (assoluto).158 Martini cercò di concedere al giudice una più vasta area decisionale, mentre i successivi legislatori preferivano o preferiscono anche oggi una regolamentazione più concreta dei casi, cioè una casistica più ampia. E’ chiaramente una lotta tra l'indipendenza giudiziaria e il potere sovrano.

Come è già ricordato nel capitolo 2.1. anche il § 16 ABGB si basa sul principio della legge naturale. In questa disposizione viene stabilito che “ogni uomo ha dei diritti innati che si conoscono con la sola ragione, perciò è da considerarsi una persona”. In questa norma anche il riferimento alla schiavitù (la proprietà dell’uomo sull’uomo) che non può essere tollerata trova un precedente giuridico nel codice della Galizia. Con il riconoscimento dei diritti "innati" nella legge civile, per la prima volta nell'età moderna si indica la suscettibilità di un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri o più in generale di situazioni giuridiche soggettive.159

Un'altra norma dell’ABGB ispirata alla legge naturale sostenuta da Martini è il § 19 relativo all’autodifesa. Se lo Stato non fornisce al cittadino l’aiuto necessario, questi ha diritto alla legittima difesa. Il § 19 ABGB stabilisce: “Ad ognuno che si crede leso ne’ suoi diritti è libero di portare le sue querele alle autorità stabilite dalla legge. Chi le preterisce e si fa giustizia da sé, o chi eccede i limiti della necessaria difesa, si rende per ciò responsabile.” Da questa norma si deduce quindi che anche il sovrano ha il dovere di rispettare i fondamentali diritti umani e civili. Da ciò deriva un diritto moderato di resistenza, che può anche essere diretto contro il sovrano.160

L’espressione “diritti innati”, anche in connessione con l'ampio spettro di significati che essa riveste (secondo § 285 ABGB anche un diritto va considerato come una "cosa"), si estende a comprendere la protezione della proprietà e quindi la libertà di acquisire proprietà. Questo sistema alla fine portò alla libertà contrattuale.

Per chi volesse approfondire i punti di contatto fra il Codice della Galizia e il Codice Generale austriaco si rimanda alle considerazioni di Heinz Barta.161

12.3. L’opera giuridica di Martini

Le opinioni religiose e politiche di Martini, che ne influenzarono l’attività, poggiavano su un cattolicesimo riformista e moderatamente illuminato.162

Dopo che l’amico paterno Riegger vi aveva rinunciato, all’età di 28 anni ottenne la cattedra di Diritto naturale e Istituzioni presso l‘Università di Vienna. Questi insegnamenti non erano obbligatori soltanto per gli studenti di giurisprudenza, ma anche per quelli di teologia.

Dopo essere stato sostituito da Zeiller nell’attività di docenza, Martini trovò il tempo per dedicarsi alle riforme politiche. Come cattolico moderatamente illuminato, Martini riteneva che la Chiesa avesse necessità di riforme. A tale proposito entrò in conflitto con i riformatori giuseppini, in quanto, come fermo sostenitore del primato del papa, si opponeva a quanti auspicavano la nascita di una Chiesa nazionale.

Nel 1760, dopo la nomina a membro della Commissione aulica per gli studi, cercò di impedire che i Gesuiti continuassero ad esercitare la loro massiccia influenza nell’ambito dell'istruzione superiore e prese parte alla commissione preposta alla riforma dell'Università di Innsbruck (1765). Accolse con favore l’abrogazione dell’Ordine dei Gesuiti nel 1773, che rese possibile riorganizzare l'intero sistema educativo nell’Impero asburgico. Redasse pertanto un piano per la riforma delle scuole e delle università, a favore delle quali vennero istituiti i fondi provenienti dai beni espropriati ai Gesuiti.

Nel 1782 venne chiamato a far parte del Consiglio di Stato da Giuseppe II. Ma la collaborazione non fu senza conflitti.

Martini fu incaricato di occuparsi dei problemi inerenti alla censura, alla politica ecclesiastica, a questioni studentesche e alla revisione giudiziaria. Per convinzione religiosa contrastò la riforma del diritto matrimoniale auspicata da Giuseppe II, che mirava ad introdurre il matrimonio civile. Si oppose inoltre all’abolizione dei monasteri, purché questi svolgessero compiti utili. Nell’ambito della legge penale era contrario all'uso della tortura per estorcere una confessione e persino - prima di Sonnenfels - alla pena di morte. Nel 1785 fu inviato da Giuseppe II a Milano perché si occupasse effettuare la riforma giudiziaria. Il suo progetto di riforma fu però respinto. Successivamente riuscì a portare a termine la redazione del Codice della Galizia e di commissionare la traduzione in tedesco delle sue opere Positiones de lege naturali e Positiones de jure civitatis. Il 12 gennaio 1797 si ritirò da tutte le sue funzioni e, dopo alcuni anni di malattia, morì l’8 agosto 1800.

Martini fu sempre convinto che solo una Costituzione dello Stato ispirata alla legge naturale possa essere la base per un "buon governo"163.

Vorrei ancora ricordare che Cesare Beccaria pubblicò nel 1764 il suo trattato “Dei delitti e delle pene” che aprì un grande dibattito sulla tortura e la pena di morte. Come fautore del diritto naturale, Martini condivideva il punto di vista di Beccaria, ma non lo difese in modo esplicito nei suoi scritti. Come osserva Hebeis, non era ammissibile che la richiesta di abolire questi crudeli provvedimenti dall’ordinamento giudiziario fosse presentata in un testo ufficiale.164

All’epoca di Giuseppe II il codice penale prevedeva la pena di morte per il delitto di alto tradimento e anche per alcuni reati comuni come l’omicidio, l’incendio doloso e la falsificazione di carte di pubblico credito.165

Per chi volesse approfondire la posizione di Martini sulla pena di morte si rimanda ai commenti di Rudolf Palme, Einführung in ein Gutachten der Obersten Justizstelle samt Bemerkungen Martinis gegen die Todesstrafe.166

Martini ha curato con grande perizia e sensibilità linguistica l’adattamento del testo del codice della Galizia a quello dell’ABGB, cercando di utilizzare un linguaggio generalmente comprensibile, privo di forestierismi, che potesse essere compreso anche da un cittadino di media istruzione. Nell’intento di creare un testo di leggi per il popolo (Volksgesetzbuch) perseguì anche obiettivi educativi.

Martini è stato il primo che in Austria abbia cercato di rendere chiaro e comprensibile il linguaggio legale tedesco. Perché il codice potesse essere compreso dal maggior numero possibile di cittadini ha fatto in modo di rendere accessibile l’arido linguaggio tecnico, per garantire la chiarezza e la certezza del diritto.167

Il § 2 ABGB ribadisce l’antico principio del diritto romano: “ignorantia legis non excusat” con le parole: “Tosto che una legge è stata debitamente promulgata, nessuno può allegarne ignoranza a sua scusa”. Questa disposizione rimanda al § 11 del Codice della Galizia occidentale di Martini. Per poter rispettare questa disposizione occorre che la legge sia comprensibile, il che è possibile solo con una chiara disposizione legale.

L’art.10 della promulgazione dell’ABGB il 1° luglio 1811 stabilì la lingua tedesca come autentica. Però lo Stato asburgico multietnico doveva rispettare attraverso traduzioni ufficiali le singole lingue. Al tempo della promulgazione del Codice esisteva già una traduzione italiana che ne fu quindi considerata la versione ufficiale. Il Codice Generale austriaco entrò in vigore nei territori italiani della monarchia dopo il Congresso di Vienna e in seguito comparve una serie di traduzioni; la versione ufficiale è quella edita da Pinelli e Andreola, Venezia, 1815.

L’introduzione dell’ABGB nel Regno lombardo-veneto che sostituiva il Code Civil (in vigore dal 1806) ottenne il consenso dei giuristi italiani, che considerarono l’ABGB un codice moderno ispirato ai principi del diritto naturale e della corrente culturale teresiano-giuseppina, mentre erano stati scettici nei confronti del Code Civil, che non conservava lo spirito del diritto romano e delle leggi statutarie. Dopo il 1815 fu pubblicata in lingua italiana una vasta letteratura sull’ABGB. Furono inoltre edite anche riviste italiane che si occupavano di diritto privato (per es. Giurisprudenza pratica, Milano e Venezia, 1817-1845) e raccolte di giurisprudenza (per es. Giurisprudenza dei tribunali civili del Regno lombardo-veneto, Venezia, 1821).168

Martini è indubbiamente stato un personaggio di spicco e la sua effigie compare quindi in numerosi ritratti e illustrazioni. In particolare sono da ricordare due sue immagini.

La prima è il busto posto in una nicchia del cortile delle arcate dell’Università di Vienna, che ricorda il suo prestigio e i suoi meriti in campo accademico. Molti furono i suoi allievi che raggiunsero a loro volta la fama, fra i quali Horten e Zeiller. Inoltre Martini, in qualità di presidente della Commissione aulica per gli Studi, adottò numerosi provvedimenti a favore dell’università, in occasione dell’emanazione del regolamento scolastico del 1773. Il busto fu realizzato da Hans Mauer e inaugurato il 7 agosto 1917. Nel febbraio 1912 il rettore dell’università aveva così comunicato alla commissione artistica: “Secondo l'annuncio del Sig. Decano della Facoltà di Giurisprudenza, il Comitato per il Centenario dell’ABGB dedicò un importo di 4.153 corone alla costruzione di un monumento al Barone von Martini, l'ex professore di diritto naturale all'Università di Vienna e il Collegio dei professori della facoltà menzionata alla riunione del 11 dicembre 1911 decise di accettare questa dedica" 169.

La seconda immagine vuole invece ricordare che Martini fu anche collaboratore e consigliere di Maria Teresa: si tratta di un ritratto bronzeo posto sul basamento di un monumento dedicato all’imperatrice. Questo monumento, opera di Kaspar von Zumbusch, è situato al centro di Maria Theresienplatz e si trova tra i musei di storia dell’arte e di storia naturale. Il monumento riunisce ventiquattro ritratti in bronzo delle più eminenti personalità del regno di Maria Teresa, la cui statua colossale torreggia su un alto basamento centrale. Sui quattro lati spiccano le statue equestri di quattro marescialli della sovrana e le effigi dei quattro principali statisti e consiglieri. Il monumento fu inaugurato il 13 maggio 1888, anniversario della nascita della sovrana. L’effigie a tutto tondo di Martini occupa il lato sudorientale del basamento ed è affiancata dai ritratti degli altri maggiori rappresentanti della giurisprudenza, fra i quali Riegger e Sonnenfels.170

Il Martini Colloquium di Innsbruck, menzionato sopra, ha avuto il merito di rivalutare la figura di Martini, che fino ad allora non aveva avuto il giusto riconoscimento. Nel corso del convegno si è chiarito come Martini sia stato uno dei più importanti giuristi austriaci della seconda metà del XVIII secolo nonché profeta della scuola di diritto naturale tedesco in Austria.171 172

12.4. Il Codice Civile austriaco, una valutazione e il rapporto con Garibaldi

Ritengo opportuno citare le parole di Giuseppe Gandolfi, Professore emerito dell’Università degli Studi di Pavia, e, fra altro, membro dell’Académie internazionale de droit comparé, sul tema: Nel secondo centenario del “codice austriaco” 173 .

“Il codice civile austriaco è entrato in vigore il 1° giugno 1811 ed ha quindi compiuto duecento anni. È stato il codice civile dell’Impero dell’oriente europeo (Austria). […] Si tratta di un codice eccellente, che ha una chiara impronta illuministica e giusnaturalistica. Questi suoi caratteri risultano dalla comparazione con altri codici europei in tema di: rendita fondiaria, vendita e trasferimento della proprietà, conversione del contratto nullo, errore nel contratto, fatto dannoso imputabile a più persone. Nel corso dell’Ottocento questo codice è stato in vigore in Italia nel Regno Lombardo-Veneto e in altre regioni dell’Italia sino alla prima guerra mondiale. Invocando il codice austriaco Giuseppe Garibaldi ha chiesto e ottenuto nel 1880 l’annullamento del suo matrimonio rato e non consumato con la marchesina sedicenne Giuseppina Raimondi.”

Di seguito, l’autore come specialista di diritto privato comparato, spiega perché il codice civile austriaco sia considerato “eccellente”, pur non avendo avuto quell’influenza sui legislatori nazionali e europei che il suo pregevole contenuto gli avrebbe consentito di esercitare. In una recensione storica Gandolfi descrive la storia della creazione di un codice austriaco, partendo dall’epoca di Maria Teresa. Il progetto del Codex Theresianus fu giudicato però prolisso e venne respinto per la sua eccessiva lunghezza. Sotto Leopoldo II fu redatto il progetto di Martini, che entrò in vigore nella sola Galizia occidentale e orientale. La divisione tripartita della legge (delle persone, delle cose e delle azioni) risale al giurista romano Gaio (II secolo). Gandolfi sottolinea che ciò rivela l’impronta del diritto naturale sostenuto da Martini.

Il codice della Galizia venne per altre tre volte sottoposto a revisione ad opera dell’allievo di Martini, von Zeiller, e venne promulgato come Codice austriaco nel 1811. Con i suoi 1502 paragrafi ha una particolare snellezza in confronto al mastodontico codice prussiano pubblicato nel 1794, cioè 17 anni prima, che ha un’impostazione casistica e analitica: e talora più che enunciare delle norme, presenta dei casi indicandone la soluzione.

Gandolfi illustra anche le influenze del diritto naturale sul codice austriaco nelle norme del § 7 (interpretazione secondo i principi del diritto naturale) e del § 16 (“ogni uomo ha dei diritti innati”). Confronta inoltre il codice civile austriaco con il Codice Napoleone e sottolinea che il primo si attiene al diritto classico romano, secondo il quale per trasferire la proprietà sono necessari due atti: oltre al consenso occorre la consegna del bene. Invece, secondo il diritto francese, il trasferimento si perfeziona mediante l’accordo delle parti sul bene e sul prezzo.

Gandolfi richiama infine l'attenzione sulla relazione di un fatto storicamente curioso, vale a dire l’annullamento del matrimonio di Garibaldi con la sedicenne marchesina Raimondi, reso possibile dall’applicazione del codice generale austriaco. Garibaldi, profondamente ostile verso l’Impero asburgico, invocò l’applicazione di questo codice a suo favore per una vicenda personale: una vicenda penosa, che venne trattata in un macchinoso processo.

“Rimasto vedovo nel 1849 di Anita, Garibaldi conobbe nel 1859, quasi sessantenne, la marchesina sedicenne Giuseppina Raimondi di Fino Mornasco, nel Comasco. Se ne innamorò; ebbe con lei dei momenti di intimità; e avendogli lei confessato che attendeva un figlio (che poi risultò non concepito con lui), si sposò con lei il 24 gennaio 1860 nella cappella del palazzo del padre di lei, il marchese Raimondi. Ma, immediatamente dopo la cerimonia nuziale, ricevette una lettera che lo informava dei trascorsi, veramente inaccettabili, della sedicenne: che quindi egli non volle più vedere, tentando anzi in tutte le maniere possibili di porre nel nulla il matrimonio. Assistito dai suoi legali, Garibaldi affermò anzitutto che l’invalidità del suo matrimonio doveva stabilirsi in base alle norme del codice austriaco. Questo infatti nel 1860, dunque al momento delle nozze, era ancora in vigore in Lombardia, anche se questa non apparteneva più all’Impero austriaco, e il codice restò qui in vigore sino a tutto il 1865, quando ad esso subentrò col 1° gennaio 1866 il primo codice civile del Regno d’Italia, il famoso codice Vacca del 1865. Garibaldi instaurò la causa davanti al Tribunale solo nel 1878 e chiese in via principale l’applicazione del § 58 del codice austriaco, in forza del quale: “Se il marito dopo il matrimonio trova la moglie già fecondata da un altro, può domandare … che il matrimonio sia dichiarato invalido”. Ma la sua domanda venne in primo grado respinta, perché era ormai scaduto il termine di decadenza previsto, per far valere l’invalidità, da una Patente imperiale austriaca dell’8 ottobre 1856. Propose appello; e sostenne questa tesi. In seguito al Concordato concluso fra l’Imperatore d’Austria e la Santa Sede, e in forza della stessa Patente imperiale del 1856, le disposizioni del codice austriaco relative alla validità del matrimonio fra cattolici erano state sostituite con le norme del diritto canonico. Le quali prevedevano l’annullamento del matrimonio “rato e non consumato”, dunque liberamente voluto ma non seguìto dall’amplesso. Garibaldi aveva avuto, sì, dei momenti di intimità con Giuseppina prima delle nozze; ma essi non potevano valere come consumazione di un matrimonio non ancora esistente.

Questa tesi venne accolta dalla sentenza della Corte d’appello che fu letta pubblicamente il 14 gennaio 1880.

Così l’Eroe dei due mondi, fortemente ostile verso l’impero austriaco e fieramente anticlericale, poté risolvere il suo angoscioso problema grazie al diritto austriaco e al diritto canonico. E non perdette tempo. Dodici giorni dopo la lettura della sentenza, il 26 gennaio 1880, a Caprera, a settantatré anni, malfermo e dolorante anche per i postumi delle ferite di Aspromonte, si sposò con la trentaduenne piemontese Francesca Armosino, la sua fedele amante-infermiera, che gli aveva anche fatto costruire una più stabile carrozzina a tre ruote. Poté anche dare il proprio cognome ai figli: Clelia di tredici anni e Manlio di sette. Ma dopo due matrimoni religiosi, a Montevideo con Anita e a Fino Mornasco con Giuseppina, questa volta vi fu il solo rito civile. Subito dopo spedì un telegramma al Re Umberto I. Scrisse: “Grazie alle leggi di cui vostra Maestà è geloso custode, io quest’oggi ho potuto adempiere un sacro dovere ed essere felice per tutta la vita”, firmandosi: “Vostro milite”. Il Re gli rispose formulando “l’augurio sincero… per la sua felicità che sta a cuore di ogni italiano”.

“Ma qual era in realtà la legge che ha reso Garibaldi felice per tutta la vita? Era una Patente imperiale austriaca che rendeva applicabili le norme del diritto canonico”174.

Quanto riguarda il Concordato, ritengo opportuno ricordare che Antonio Salvotti collaborò come membro del consiglio imperiale (Reichsrat) al Concordato del 1855.

13. Conclusioni

Salvotti fu un “perfido austriacante” o solo l’esecutore della rigorosa legge asburgica? Questa è la domanda che sorge quando si pensa all’attività del giudice che istruì i processi a carico dei cospiratori anti-austriaci. Salvotti era un italiano a perseguire altri italiani e ad emettere contro loro quelle dure sentenze. In realtà Salvotti applicava la legge penale austriaca che prevedeva la pena di morte per il reato di alto tradimento. Questa pena era prevista anche da un editto dell’Imperatore Francesco I del 21 agosto 1820 contro i Carbonari e i loro fiancheggiatori.

Salvotti è stato dipinto come spietato inquisitore dai patrioti italiani, che vedevano in lui il proprio “carnefice”; lo descrivevano come il “geniale aguzzino” al soldo dell’Austria. La sua figura negativa fu rivalutata dallo storico Alessandro Luzio.175 Ma anche altri storici hanno cercato delineare oggettivamente la personalità di Salvotti, come per esempio Augusto Sandonà176.

Lo storico Alessandro D’Ancona ha mantenuto invece un atteggiamento critico verso il giudice Salvotti, di cui scriveva che “con astuzia avesse indotto i sospetti a confessare”177.

Nei cinque anni che visse a Vienna (1893-1898) come corrispondente del Corriere della sera Alessandro Luzio si dedicò allo studio del Risorgimento. A proposito di Salvotti scrive:178

“È innegabile che Antonio Salvotti fu uno de’ più zelanti servitori dell’Austria, e ciò doveva giustamente attirargli, nel periodo delle lotte nazionali, l’odio e l’esecrazione del patriottismo sdegnoso. Ma ormai le passioni sono sbollite, ed anche per lui si impone alla storia il dovere di proferire un verdetto imparziale, scevro dalle esagerazioni della leggenda. Sul Salvotti, come il più scaltro e formidabile dei giudici austriaci, l’opinione pubblica contemporanea riversò molte colpe de’ suoi colleghi, nelle quali egli non ebbe la minima parte; peggio ancora a lui e a sua pervicace malvagità furono riferiti gli effetti di una procedura odiosa, che il Salvotti era chiamato ad applicare, e da cui non era in poter suo dipartirsi. Giustizia vuol dunque che sia scemata la sua responsabilità personale, che sia determinato alla luce de’ fatti il suo vero carattere: ed è ciò che io mi propongo su la scorta di nuovi preziosi documenti, in parte da me rintracciati a Milano ed a Trento, in parte liberalmente affidatimi dagli eredi del Salvotti.”

Quindi, secondo Luzio, Salvotti aveva eseguito il suo compito giudiziario con correttezza e onestà.

La fedeltà alla Casa asburgica può essere considerata la causa del suo atteggiamento giudiziale.

Luzio fa un chiaro riferimento alle opinioni politiche e alle aspettative di Salvotti, il quale auspicava un’unificazione dell’Italia sotto l’Austria, che preferiva alla casa sabauda. Il conflitto con il figlio Scipione, che sosteneva idee mazziniane, traeva origine anche da questa visione politica. Che Salvotti non fosse il “geniale aguzzino al soldo dell’Austria” risulta anche dalle lettere che alcuni condannati gli inviarono per ringraziarlo della sua comprovata correttezza e umanità.

Anche F. Garavini, l’autrice del romanzo “In nome dell’Imperatore”, condivide questa visione, come si può dedurre dalle pagine del romanzo. Emerge che Salvotti non fu quindi un “aguzzino” (cfr. il capitolo 10).

Il romanzo fa un ritratto di Salvotti che è quello di un giurista eccellente e scrupoloso, attento alle riflessioni politiche e criminali. Nello stesso tempo era un giudice rigoroso, ma anche pronto alla compassione.

Particolarmente interessante per me, considerata la mia passata professione di magistrato presso la Corte d’Appello di Vienna, è l’attività di Salvotti come deputato del Reichsrat e come principale referente di una commissione legislativa in relazione al disegno di legge della procedura non contenziosa. La legge fu firmata dall’imperatore il 9 agosto 1854. Che tale legge sia rimasta in vigore per 150 anni dimostra la competenza del suo ideatore.

L’eccellente opera di Salvotti come giurista è conosciuta anche in Austria solamente da coloro che si occupano della storia del diritto, in particolare dell’ambito civile procedurale.

14. Riassunto in tedesco, Deutsche Zusammenfassung

Zum Thema meiner Masterarbeit wählte ich „Antonio Salvotti, ein Richter aus Trient, im Spannungsfeld zwischen Österreich und Italien“.

Salvotti stand als österreichischer Richter italienischer Muttersprache im Dienste der habsburgischen Monarchie, als Richter und zuletzt als Berater des österreichischen Kaisers Franz Josef insbesondere bei Erlassung des „Außerstreitgesetzes 1854“ (genannt auch „Außerstreitpatent“). Er war als Hauptreferent für den Entwurf dieses Gesetzes beteiligt. Dieses Gesetz war ursprünglich als Provisorium gedacht, stand aber in Geltung seit 21.9.1855 und wurde durch das neue Außerstreitgesetz BGBl. I 111/2003, das am 1. Jänner 2005 in Kraft trat, ersetzt. Als österreichischer Richter, zuletzt als Senatspräsident beim OLG Wien, war es für mich sehr überraschend, als ich – nunmehr in Pension - beim Studium der Romanistik erfuhr, dass Antonio Salvotti der österreichische Richter war, der die Strafprozesse gegen die italienischen Patrioten geführt hatte. Diese endeten entsprechend dem österreichischen Strafrecht mit einem Todesurteil, das der Kaiser in schwere Kerkerstrafen änderte. Bekannt ist die Verurteilung von Silvio Pellico wegen Hochverrates, welcher nach seiner Entlassung durch kaiserliche Begnadigung im Jahre 1830 seine Hafterfahrungen in Festungshaft am Spielberg in Brünn in „Le mie prigioni“ („Meine Gefängnisse“) festhielt. Auf diese Umstände und auf den österreichischen Richter Salvotti wurde ich durch den Roman von Fausta Gravini „ In nome dell’Imperatore “ beim Studium der italienischen Literatur aufmerksam. Während er von italienischer Seite als genialer „ aguzzino al soldo dell’Austria “ (genialer Folterknecht im Solde Österreichs) betrachtet wurde, war er als korrekter Richter im Dienste des Kaisers durch Verleihung des Freiherrentitels („von Eichenkraft und Bindeburg“) und des Rittertitels des Leopoldordens geehrt worden.

Als Ironie des Schicksals anzusehen ist, dass der Vater, der Richter Salvotti, eine völlig andere politische Richtung als sein Sohn Scipione vertrat, der als italienischer Patriot für die Einigung Italiens im Sinne Mazzinis eintrat und als solcher auch verurteilt wurde.

Die aufgezeigten Umstände, nämlich die Tätigkeit Salvottis als Richter, der die italienischen Patrioten verurteilte, seine Arbeit für das Außerstreitgesetz 1854 sowie auch sein privates Schicksal bewogen mich, Antonio Salvotti zum Thema meiner Masterarbeit zu wählen.

Zum Verständnis der Persönlichkeit Salvottis, welcher von 1789 bis 1866 lebte, bedarf es einer grundsätzlichen Kenntnis des historischen Hintergrundes dieser Epoche, die als das Risorgimento, der Weg zur Einigung Italiens, bezeichnet wird.

Historische Grundlagen: Auszugehen ist von der französischen Revolution, die mit dem Sturm auf die Bastille am 14.7.1789 datiert wird, und die neue Ideen brachte, die mit den Schlagwörtern wie Freiheit, Gleichheit und Brüderlichkeit gekennzeichnet werden. Nach der Besetzung Italiens durch Napoleon im Jahre 1796 war die Enttäuschung der Italiener groß, weil sie sich von Napoleon, der eigene Interessen verfolgte, als ausgenützt ansahen. Im Friedensvertrag von Campoformido am 17.10.1797 anerkannte Österreich die Cisalpinische Republik und erhielt große Teile Venetiens. In dem Zeitraum 1797 bis 1799 spielt der Briefroman von Ugo Foscolo „ Le ultime lettere di Jacopo Ortis “, der von Goethes „ Die Leiden des jungen Werthers “ (1774) inspiriert ist. Die unglückliche Liebe zu Teresa und der Verlust der Heimat Venetiens führen zu dem tragischen Ende des jungen Ortis. Auch in Vittorio Alfieris Werk „Il Misogallo“ kommt die Kritik an Frankreich und an der Aufklärung zum Ausdruck.

Nach dem Sieg bei Marengo im Jahre 1800 erobert Napoleon zum zweiten Mal Oberitalien, die Cisalpinische Republik wird 1805 zum „Regno d’Italia “. Nach dem Frieden von Preßburg 1806 und der Gründung des Rheinbundes legte der Kaiser des Heiligen Römischen Reiches Deutscher Nation die römische Kaiserkrone zurück und nannte sich „Franz I., Kaiser von Österreich“.

Die Niederlagen Napoleons in der Schlacht von Leipzig 1813 und in der Schlacht bei Waterloo 1815 führten zum Wiener Kongress 1815, der auch einer Neuordnung Italiens diente. Drei Prinzipien standen im Vordergrund, die Restauration (die Herstellung des politischen Zustandes vor Napoleon), die Herstellung des politischen Gleichgewichtes der Völker sowie der Legitimität (Einführung von Verfassungen auf demokratischer Grundlage).

Als Folge des Wiener Kongresses wurden der Kirchenstaat und das Königreich Sardinien-Piemont sowie das Königreich beider Sizilien unter bourbonischer Herrschaft wieder hergestellt, das bis zur Eroberung durch Garibaldi im Jahre 1860 bestand (vgl. den Roman „ Il Gattopardo “ von Giuseppe Tomasi di Lampedusa). Es verblieben die Lombardei bis 1859 (zweiter Unabhängigkeitskrieg; Schlacht bei Solferino und San Martino) und Venetien bis 1866 (dritter Unabhängigkeitskrieg, Schlacht bei Königgrätz) bei Österreich.

Mit den Ergebnissen des Wiener Kongresses vor allem mit der Rückkehr zum Absolutismus waren aber viele italienische Patrioten nicht einverstanden. Sie strebten eine Verfassung auf demokratischer Grundlage mit festgelegten Freiheitsrechten sowie die Unabhängigkeit der Völker und die nationale Einheit Italiens (unter dem Hause Savoyen) an. Infolge der strengen österreichischen Zensur zur Erreichung ihrer Ziele gründeten sie Geheimbünde.

Die Verfassung in Österreich schwankte im 19. Jahrhundert zwischen Absolutismus und parlamentarischer Monarchie; dies hing vom Vorliegen der politischen Voraussetzungen ab. War der Kaiser stark, reagierte er absolut, bei politischer Schwäche oder bei Niederlagen musste er zu Zugeständnissen bereit sein. So erklärt sich nach der Niederlage von Königgrätz die „Dezemberverfassung 1867“, die sich aus 6 Staatsgrundgesetzen zusammensetzt. Das Staatsgrundgesetz über das allgemeine Recht der Staatsbürger für die im Reichsrat vertretenen Königreiche und Länder RGBl. 1867, 144, regelt im Artikel 17 die Freiheit der Wissenschaft und ihrer Lehre.

Von den Geheimbünden wären hervorzuheben:

Die Freimaurerei - in Italien wurde die erste Freimaurerloge 1738 auf Initiative von Franz Stephan von Lothringen, dem Gemahl von Maria Theresia, in Florenz gegründet.

Für die Einigung Italiens war die Freimaurerei von Bedeutung, waren doch die „quattro Padri della Patria“ Freimaurer. Großmeister des „Grande Oriente d’Italia“ war Giuseppe Garibaldi (1807–1882), der 1860 mit dem „Zug der Tausend“ das Königreich beider Sizilien erobert und Viktor Emanuel als König des geeinten Italiens anerkannt hatte. Giuseppe Mazzini (1805–1872) strebte die italienische Einigung in einer demokratischen Republik an, wobei er davon ausging, dass eine Revolution nur vom Volke ausgehen sollte. Zur Verwirklichung seiner Ziele gründete er 1831 in Marseille die Vereinigung „Giovine Italia“. Camillo Benso Conte di Cavour (1810–1861) war ein geschickter Diplomat, der erkannte hatte, dass Italien zur Erlangung der Unabhängigkeit der Hilfe eines anderen starken Staates bedurfte. Viktor Emanuel II. (1820–1878) wurde am 17.3.1861 zum König Italiens „per grazie di Dio e volontà della nazione“ ausgerufen, wobei Venetien, der Kirchenstaat und Trient-Triest nicht umfasst waren.

Die Carbonari bildeten einen Geheimbund italienischer Patrioten mit dem Ziel, für Italien die Unabhängigkeit und eine liberale Verfassung zu erkämpfen. Sie waren ähnlich wie die Freimaurer hierarchisch organisiert, ihre Mitglieder nannten sich Cousins. Kaiser Franz I. fürchtete sie so sehr, dass er in einem Edikt vom 2l.8.1820 bereits bei bloßer Mitgliedschaft und ihrer Begünstigung die Todesstrafe androhte. 1818 gründeten einige Carbonari, darunter Federico Confalonieri und Luigi Porro Lambertenghi die Zeitschrift „Il Conciliatore“ mit dem Ziel der Verbreitung liberalen Gedankengutes, auch mit antiösterreichischer Tendenz. Diese Zeitschrift war als Gegenstück zur “Biblioteca Italiana“ (herausgegeben in Mailand von 1816 bis 1840) gedacht, welche um Sympathien für Österreich werben sollte. Die Zeitschrift “Il Conciliatore“ wurde im Oktober 1819 von der österreichischen Zensur eingestellt.

Zur strafgerichtlichen Verfolgung der Carbonari gründete der Kaiser eine Spezialkommission mit dem Sitz anfänglich in Venedig, der später nach Mailand verlegt wurde. Zu deren Richter war auch Antonio Salvotti aus Trient ernannt worden.

Am 11.11.1818 entdeckte die österreichische Polizei in Fratta Polesine eine Carbonarigruppe, deren Mitglieder von der Spezialkommission entsprechend dem damaligen Strafrecht zum Tode verurteilt wurden. Diese Strafe wurde jedoch vom Kaiser in lange Kerkerstrafen umgewandelt, die am Spielberg in Brünn zu verbüßen waren. Zu dieser Gruppe gehörten u.a.:

Felice Foresti, selbst Richter, seit 1817 Carbonaro, Antonio Fortunato Oroboni, welcher als einziger in der Haft am 13.6.1823 verstarb und am Friedhof der Festung Spielberg beerdigt wurde, Antonio Solera, ebenfalls Richter und eine Reihe weitere Patrioten, die von Antonio Salvotti verurteilt wurden: Silvio Pellico (1789–1854), Schriftsteller, Verfasser u.a. der Tragödie „Francesca da Rimini“. Dieser gelangte über den Musiker Piero Maroncelli zum Geheimbund der Carbonari. Mit diesem gemeinsam wurde Pellico am 22.2.1822 verurteilt, wobei das Urteil öffentlich am Markusplatz verkündet wurde. Pellico aber auch Maroncelli schrieben dem Richter Salvotti nach der Verurteilung dankbare Briefe. Hinzuweisen ist, dass die Verhaftung Pellicos dem Ungeschick Maroncellis zu verdanken ist, weil eine kompromittierende Liste mit den Namen von Karbonari in die Hände der österreichischen Polizei gelangte. Pellico konnte während der Haft mit seinem Freund Maroncelli eine Haftzelle teilen. Als Maroncelli wegen eines Tumors ein Bein amputiert werden mußte, war es Pellico, der seinem Freund zur Seite stand. Pellico und Maroncelli wurden auf Grund eines kaiserlichen Gnadenaktes am 1.8.1830 aus der Haft entlassen.

Nach der Entlassung begann Pellico über seine Hafterfahrungen in seinem Werk „Le mie prigioni“ (Meine Gefängnisse) zu schreiben, das im November 1832 veröffentlicht wurde. Es handelt sich dabei keineswegs um eine antiösterreichische Kritik, vielmehr liegt das Schwergewicht in der Beschreibung der inneren psychologischen Entwicklung eines Gefangenen, seines moralischen Reifeprozesses und seiner religiösen Meditationen.

Federico Confalonieri, seit 1818 Freimaurer, war Mitbergründer des „Il Conciliatore“. Nach Auffassung Salvottis habe er sich ungeschickt in seinem Prozess verteidigt, er hätte nur schweigen müssen. Kaiser Franz I. lehnte trotz vehementen Einsatzes seiner Gattin eine Begnadigung ab; diese erfolgte erst Ende des Jahres 1835 durch den neuen Kaiser Ferdinand.

Bei Alexander Andryane, einem französischen Anhänger des italienischen Patrioten Filippo Buonarroti, wurden kompromittierende Unterlagen vorgefunden, die zur Verhaftung von Patrioten u.a. von Confalonieri führten. Andryane verfasste nach seiner Begnadigung 1832 und dem Erfolg von Silvio Pellicos „Le mie prigioni“ die “Mémoires d’un prisonnier d’Ètat au Spielberg “, deren Wahrheitsgehalt aber von Patrioten wie Confalonieri, Pallavicino und Solera angezweifelt wurde.

Die rechtliche Grundlage für die Verurteilung der Patrioten war “Das österreichische Strafgesetz aus dem Jahre 1803“, welches im § 52 den Tatbestand des Hochverrates regelte. § 53 sah für dieses Verbrechen, wenn es auch nur beim Versuch geblieben ist, die Todesstrafe vor. Bereits Vorbereitungshandlungen waren für die Begehung des Verbrechens strafbar. Diese Strafe verlangte auch der Kaiser in einem Edikt vom 21.8.1820 für die Mitglieder und Förderer der staatsfeindlichen Gesellschaft der Carbonari.

Die politischen Spannungen vor allem wegen der Einigung Italiens führten zu den Unabhängigkeitskriegen Italiens. Der erste Unabhängigkeitskrieg begann nach den Aufständen in Mailand im März 1848, die zur Vertreibung der Österreicher aus der Stadt führten. Der König von Sardinien Karl Albert erklärte Österreich den Krieg. Nach der Niederlage in der Schlacht von Novara dankte er zugunsten seines Sohnes Viktor Emanuel II. ab. Der zweite Unabhängigkeitskrieg führte nach italienischem Siege bei San Martino und Solferino zur Abtretung der Lombardei. Garibaldi eroberte das Königreich beider Sizilien und am 17.3.1861 wurde Viktor Emanuel II. zum König Italiens proklamiert. Der dritte Unabhängigkeitskrieg führte trotz österreichischer Siege (Schlachten bei Lissa und Custozza) infolge der Niederlage Österreichs in der Schlacht bei Königgrätz 1866 im Krieg mit Preußen zur Abtretung Venetiens an Italien. Im September 1870 mit der Eroberung Roms (Breccia di Porta Pia) endeten die italienischen Unabhängigkeitskriege. Manche Autoren sehen im Ersten Weltkrieg, der zum Erwerb der Gebiete um Triest und Trient führte, das Ende der Unabhängigkeitskriege.

Antonio Salvotti (1789–1866) wurde am 10.11.1789 in Mori, einer kleinen Stadt zwischen Rovereto und Riva am Gardasee geboren, verstorben am 17.8.1866 in Trient. Seine Jugendzeit fiel in die Zeit der napoleonischen Kriege. Im Frieden von Preßburg fiel Tirol an das mit Napoleon verbündete Bayern. Salvotti begann seine juridischen Studien in Innsbruck, die er 1808 in Landshut, Bayern, fortsetzte. Sein Lehrer war Karl Friedrich von Savigny, Professor für römisches Recht, mit dem er lebenslang befreundet war. Savigny war Begründer der historischen Schule der Rechtswissenschaft, wonach das Recht auf dem “Volksgeist“ beruhen sollte und daher Savigny sich gegen das Vernunftrecht und damit gegen die Rechtskodifikation wandte.

Nach der Promotion im Dezember 1810 in Pavia war Salvotti in Mailand in der Advokatur tätig. Nach der Schlacht bei Leipzig 1813 kehrte er nach Trient zurück, wo er 1815 unerwartet zum Richter des Landesgerichtes Trient ernannt wurde. 1819 setzte der Kaiser in Venedig eine Spezialkommission zur Verfolgung der Carbonari ein und ernannte Salvotti zu deren Richter. Dieser war an der strafgerichtlichen Verfolgung u.a. von Antonio Villa, Antonio Solera und Felice Foresti, welche ebenfalls Richter waren, beteiligt. Nach Verlegung dieserr Kommission nach Mailand war Salvotti in den Jahren 1819 bis 1824 weiterhin an der strafgerichtlichen Verurteilung vieler Carbonari beteiligt, darunter u.a. Silvio Pellico, Piero Maroncelli, Federico Confalonieri, Alexandre Philippe Andryane . Trotz seiner Korrektheit und auch Menschlichkeit als Richter erwarb er sich den Unmut der italienischen Patrioten, die ihn als „perfiden Österreicher“ bezeichneten. Die Autorin Fausta Garavini beschäftigt sich in ihrem Roman „In Nome dell’Imperatore“ mit diese Problematik und weist darauf hin, dass Salvotti immer bestrebt war, ein guter und gerechter Richter zu sein.

Im April 1824 wurde Salvotti, 34jährig, zum Hofrat des Veroneser Senates der Obersten Justizstelle ernannt. Es handelte sich hierbei um eine Außenstelle des Wiener Obersten Gerichtshofes für die lombardisch-venezianischen Gebiete, wo Salvotti mehr als 20 Jahre tätig war. Die Oberste Justizstelle war unter Maria Theresia im Jahre 1749 als Oberster Gerichtshof, aber auch als oberstes Justizverwaltungsorgan aus praktischen Gründen gegründet worden. In seiner 20-jährigen Tätigkeit beim Veroneser Senat hatte sich Salvotti mit zivil-, strafrechtlichen und auch Justizverwaltungssachen in oberster Instanz zu befassen. Für seine Tätigkeit wurde er mit Diplom vom 15.1.1842 mit dem Ritterkreuz des Leopold-Ordens ausgezeichnet und im Jahre 1846 in den erblichen Ritterstand mit dem Prädikate von Eichenkraft erhoben; (1854 erfolgte seine Ernennung zum Baron von Bindeburg). Seine Mitgliedschaft zum Veroneser Senat nahm nach einem Vorfall im Jänner 1846 vor dem philharmonischen Theater in Verona ein jähes Ende. Wegen Unruhen verständigte Salvotti die Polizei, was in eine offene Auseinandersetzung mit den Patrioten ausartete. Als Folge davon erhielt Salvotti 1846 den eigens für ihn geschaffenen Posten des Vizepräsidenten des Appellationsgerichte in Innsbruck. 1849 wurde Salvotti zum Vorsitzenden des italienischen Senates des Innsbrucker Oberlandesgerichtes in Trient ernannt.

Im April 1851 gab Salvotti durch seine Berufung in den Reichsrat nach Wien die richterliche Laufbahn auf und war maßgeblich an der Entstehung des Außerstreitgesetzes 1854 beteiligt.

Besonders tragisch für Salvotti war, dass sein ältester Sohn Scipione nationalliberale Ideen vertrat.

Scipione Salvotti (1830–1883) war als Anhänger Mazzinis aktiv und stand wegen seiner liberalen antiösterreichischen Einstellung im Widerspruch zu seinem dem Kaiser treu ergebenen Vater. Trotz der politischen Gegensätze bestand aber zwischen ihnen ein gutes Vater-Sohn-Verhältnis. Scipione wurde 1853 in Wien wegen Beteiligung an einer antiösterreichischen Verschwörung unter Berücksichtigung seines jugendlichen Alters zu einer Kerkerstrafe von 12 Jahren verurteilt. Auf Grund der Verdienste des Vaters begnadigte ihn Kaiser Franz Josef. Bereits Doktor der Rechtswissenschaften studierte er in Berlin Medizin, wo er 1859 mit einer lateinischen Dissertation über die Heilwirkung von „Hanf“ promovierte. Die Dissertation war dem Vater “Patri optimo, dilectissimo“ gewidmet.

Der politische Vater-Sohn Konflikt zeigte sich vor allem in der unterschiedlichen Einstellung zur Einigung Italiens, welche im Grunde beide wollten. Der Vater als treuer Untertan des Hauses Habsburg vermeinte, dass eine Einigung unter der Herrschaft Österreichs als einem multiethnischen Staat für Italien günstiger sei als unter dem Haus Savoyens.

Von besonderer Bedeutung für Österreich ist die Arbeit Salvottis an der Entstehung des Außerstreitgesetzes 1854, Kaiserliches Patent vom 9. August 1854. Dieses ursprünglich nur provisorisch vorgesehene Gesetz ist in den letzten Kronländern der Donaumonarchie am 21.9.1855 in Kraft getreten und wurde durch das Außerstreitgesetz aus dem Jahre 2003, in Kraft getreten am 1.1.2005, ersetzt. Zahlreiche Reformbestrebungen waren ohne Erfolg geblieben zumal das Gesetz aus dem Jahre 1854 sich in der Praxis bewährt hat und daher kein dringender Reformbedarf bestand. Die gesellschaftlichen Änderungen und die rechtsstaatlichen Grundsätze zur Wahrung des Rechtes auf ein faires Verfahren im Sinne des Art. 6 der Europäischen Menschenrechtskonvention, somit die gesetzliche Verankerung rechtsstaatlicher Prinzipien führten zu neuerlichen Reformbestrebungen und schließlich zum Außerstreitgesetz 2003.

Schwierig war schon die Abgrenzung zwischen streitigem und nicht-streitigem Verfahren. Der Entwurf Salvottis kannte keine klare Trennung zwischen diesen Verfahrensarten; etwa konnte ein in einem bestimmten Verfahren begonnenes Verfahren unterbrochen und in der anderen Verfahrensart fortgesetzt werden. Oder der Außerstreitrichter verteilte die Parteienrollen und forderte diese auf, einen streitigen Zivilprozess einzuleiten, dies insbesondere dann, wenn die Entscheidung von der Klärung strittiger Fragen abhängig war, die nur in einem streitigen Verfahren geklärt werden konnten.

§ 1 des Entwurfes von Salvotti lautete:

„In nicht streitigen Angelegenheiten hat das Gericht von Amtswegen oder auf Ansuchen der Parteien nur insofern vorzugehen, als es die Gesetze anordnen.“

Das neue AußStrG. bestimmt im § 1:

(1) Dieses Bundesgesetz regelt das Verfahren außer Streitsachen (Außerstreitverfahren).
(2) Das Außerstreitverfahren ist in denjenigen bürgerlichen Rechtssachen anzuwenden, für die dies im Gesetz angeordnet ist.
(3) Soweit nichts anderes angeordnet ist, sind die Allgemeinen Bestimmungen dieses Bundesgesetzes auch auf Außerstreitverfahren anzuwenden, die in anderen gesetzlichen Vorschriften geregelt sind.

Nunmehr ist durch das neue Gesetz ein Bedeutungswandel eingetreten.179

- Ein Anspruch ist entweder im Zivilprozess oder im Außerstreitverfahren geltend zu machen. Die Trennlinien Die Entscheidungen des Außerstreitverfahrens haben dieselbe Wirksamkeit wie solche des Zivilprozesses.
- Eine Verweisung auf den streitigen Rechtsweg gibt es nicht mehr.

Für die Grenzziehung zwischen Streit- und Außerstreitsachen ist demnach gemäß § 1 des neuen Gesetzes eine formelle Abgrenzung entscheidend, ob eine Rechtssache kraft gesetzlicher Anordnung ausdrücklich oder zumindest aufgrund ihrer Beschaffenheit unmissverständlich dem außerstreitigen Verfahren zuzuordnen ist oder nicht. Insbesondere jene Rechtssachen, die vom Rechtsfürsorgegedanken erfasst werden, gehören in das Außerstreitverfahren. Fehlt es an einer eindeutigen Zuordnung, ist die Streitsache im streitigen Verfahren zu erledigen. Streitfragen über die Verfahrensart sind im Rechtsweg auszutragen. Die Abgrenzung des außerstreitigen Verfahrens gegenüber dem Zivilprozess ist zwingend und durch Parteienvereinbarung nicht abänderbar.

Im Übrigen sind der Gedanke der Rechtsfürsorge, des Wohles Minderjähriger sowie des streitschlichtenden Charakters des Außerstreitverfahrens unverändert geblieben.

15. Abstract

15.1. Deutsche Fassung

Antonio Salvotti (1789–1866) war ein Richter aus dem Trentino, das damals zur österreichischen Monarchie gehörte. Er war daher ein österreichischer Richter italienischer Nationalität. Als Richter hatte er die Mitglieder des Geheimbundes Carbonari gerichtlich zu verfolgen, welche die Einigung Italiens unter dem Haus Savoyens anstrebten. Dies erfüllte nach dem österreichischen Strafrecht den Tatbestand des Hochverrates, der mit dem Tod zu bestrafen war. Als Richter einer vom Kaiser eingesetzten Spezialkommission zur Verfolgung der Carbonari verurteilte er Personen wie, Confalonieri, Pellico und Maroncelli. Silvio Pellico war der Autor von „Francesca da Rimini“. Nach seiner Begnadigung durch den Kaiser im Jahre 1830 begann Pellico über seine Erfahrungen im Kerker von Spielberg in Brünn in seinem Werk „Le mie prigioni“ (Meine Gefängnisse) zu schreiben.

Trotz seiner Korrektheit und Menschlichkeit als Richter zog er sich infolge der strengen Verurteilungen den Unmut der italienischen Patrioten zu, die ihn den „Folterknecht“ im Dienste Österreichs nannten.

Tragischer Weise für denVater war auch der Sohn Scipione Anhänger nationalliberaler Ideen, weswegen auch er verurteilt wurde.

Im Jahre 1824 war Salvotti zum Richter des “Veroneser Senates“ bestellt worden, einer Außenstelle des Wiener Obersten Gerichtshofes für die lombardisch-venezianischen Gebiete, wo er mehr als 20 Jahre tätig war.

1851 wurde Salvotti zum Abgeordneten des Reichsrates ernannt, wo er als Hauptreferent an der Entstehung des Außerstreitgesetzes 1854 maßgebend beteiligt war. Dieses Gesetz war 150 Jahre in Geltung.

Für seine Verdienste wurde Salvotti in den Adelsstand als “Freiherr von Eichenkraft und Bindeburg“ erhoben.

15.2. English Version

The topic of the master thesis is „Antonio Salvotti (1789-1866), a judge from Trentino within the scope of tensions between Italy and Austria. “

Salvotti was born in 1789 in the province of Trentino, at that time part of the Austrian Monarchy and Empire. Therefore, he was a citizen of Austria of Italian descent. After his study of law he became a member of the Austrian judiciary, initially at the court in Trento and later at the Special Commission for the prosecution of members of the “Carboneria”. This clandestine society aimed at the unification of Italy under the auspices of the House of Savoy. Their insurgent activities were regarded - under the provisions of Austrian penal law - as high treason punishable by death, although the Emperor Franz I usually commuted the death penalties imposed on defendants convicted by the Special Commission into long prison sentences.

As a judge Salvotti convicted people like Oroboni, Confalonieri, Pellico, Maroncelli and others. Silvio Pellico authored the tragedy “Francesca da Rimini”. After he had been pardoned by the Emperor in 1830, Pellico wrote about his experiences in the dungeon of Spielberg in Brno, Moravia. With his work „Le mie prigioni” (My prisons) he contributed to the Italian unification against Austrian occupation.

Salvotti, characterized by consummate loyalty to the Emperor, practiced his profession extremely conscientiously. Despite his fairness and humanity as a judge he incurred the displeasure of Italian patriots calling him henchman in the service of Austria.

Tragically, furthermore, his son Scipione, - in oppositiona to his father’s views a liberal and an adherent of a movement advocating Italian independence - was also convicted of high treason because of his revolutionary activities.

On account of the conflicts between te Austrian Authorities and the Italian patriots Salvotti was in 1824 appointed judge of the of the “Verona Senate“, a branch of the Supreme Court of Vienna competent for the provinces of Lombardy and Venice. In this function Salvotti served for more than 20 years.

In 1851 Salvotti became a member of the “Reichsrat”, the Imperial Council, located inVienna, where he acted as mastermind concerning the creation of the Codex relating to Voluntary Jurisdiction in 1854.

In appreciation of his services Salvotti was raised to the peerage bearing title “Freiherr von (baron of) Eichenkraft und (and) Bindeburg“.

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16.3. Sitografia

http://lefrasi.com/autore/klemens-von-metternich (19.04.2018).

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17. Appendice

17.1. Dr. Robert Fucik, autore della nuova legge die procedura civile non contenziosa

Vorrei ricordare l’autore principale della nuova legge di procedura civile non contenziosa dell’anno 2003, entrata in vigore il 1°gennaio 2005. Si tratta del mio ex collega Dr. Robert Fucik, capo della sezione legislativa del Ministero di Giustizia. Il Dr. Fucik viene presentato in un articolo del dicembre 2005 intitolato “Portrait des Monats” della rivista “RECHTaktuell”, Manz. Faceva la carriera di giudice nel settore della procedura non contenziosa fino alla sua nomina al Ministero di Giustizia nel 2005. Insegna alla facoltà di giurisprudenza ed è impegnato in scrivere commenti editi da Manz, come “Zivilverfahrensrecht” edito nel 2011, “Das Verlassenschaftsverfahren”, edito nel 2016, “Einführung in die Verfahren außer Streitsachen, del 2019.

Quando gli ho detto che sto scrivendo una tesi su Salvotti mi ha mandato un messaggio come segue:

Caro Werner

Hier findest Du meine "Wortspende":

Das legistische Team für das neue Außerstreitgesetz, das 2003 beschlossen wurde, hat sich bemüht, nicht „das Rad neu zu erfinden“, sondern bewährte Praxis so weit wie möglich in das einfließen zu lassen und damit, wie die Erläuterungen ausdrücken, praktische Vernunft in gesetzliche Vernunft umzugießen. Daher ist das neue Gesetz keine Antithese zum alten Außerstreitpatent, sondern folgt dem Grundansatz dieses langlebigsten aller österreichischen Provisorien, freilich in einer dem heutigen Konzept von Gesetzesbestimmtheit angemessenen, größeren Regelungsdichte. Wo eine Verfahrensordnung auch nach modernem Verständnis des Bestimmtheitsgebotes den selbstständigen, verantwortungsbewussten, engagierten und kreativen Richterinnen und Richtern Gestaltungs- und Auslegungsspielraum einräumen kann, hat das neue Außerstreitgesetz ihnen ein vergleichbares Maß an Freiheit gelassen wie Salvottis Schöpfung etwa 150 Jahre zuvor.

Viel Erfolg

Robert

La traduzione sarebbe:

“Caro Werner,

qui trovi il mio contributo:

Il gruppo di lavoro che si è occupato della nuova legge di procedura non contenziosa non ha cercato di formulare la legge ex novo, ma - come indicano i chiarimenti - ha tenuto conto della prassi consolidata e per quanto possibile ha travasato la ragione pratica nella ragione legale.

La nuova legge pertanto non è un’antitesi della vecchia, ma segue il principio basilare di quella legge provvisoria che è stata la più longeva fra tutte le leggi provvisorie austriache, certo in riferimento ad un più ampio campo normativo, commisurato al concetto attuale di determinazione legislativa.

Laddove un ordine procedurale può concedere a giudici indipendenti e responsabili spazio di impostazione e interpretazione anche nel senso di una moderna comprensione del requisito di determinatezza, la nuova legge di procedura non contenziosa ha concesso loro un grado di libertà paragonabile alla creazione di Salvotti di circa 150 anni prima.

Molto successo

Robert”

[...]


1 cfr. Angelo Siciliano in una recensione del romanzo di Fausta Gravine, In nome dell’Imperatore, riguardante il giudice Salvotti, link: http://www.angelosiciliano.com/IN%20NOME%20DELL%27IMPERATORE%20-%20Antonio%20Salvotti%20-%20F.%20Garavini.htm (09.12.2018).

2 Alessandro Luzio, Antonio Salvotti e i processi del Ventuno, Società editrice Dante Alighieri, Roma; 1901, p. 4. Augusto Sandonà, Contributo alla storia dei processi del Ventuno e dello Spielberg, Bocca, Milano-Torino- Roma, 1911, p. 114.

3 Alessandro D’Ancona, Frederico Confalonieri, Treves, Milano, 1898, p. 114, pp. 252 e segg.

4 http://www.treccani.it/enciclopedia/salvotti-von-einchenkraft-und-bindeburg-antonio-barone_%28Enciclopedia-Italiana%29/ (19.7.2018).

5 cfr. Angelo Jacomuzzi (a cura di), Silvio Pellico, Le mie prigioni, Mondadori, Milano, 1986, p. 19.

6 www.lefrasi.com/autore/klemens-von-metternich (19.4.2018).

7 Anna Detassis/Emilio Zanette, Ottocento Novecento, Mondadori, Milano,1994, p. 23.

8 Wolfgang Altgeld, Kleine italienische Geschichte, Reclam Universalbibliothek, Stuttgart, 2002, p. 249 segg.

9 Andrea Grewe, Einführung in die italienische Literaturwissenschaft, Metzler’sche Verlagsbuchhandlung, Stuttgart, 2009, p. 233.

10 Attilio Momigliano, Storia della letteratura italiana, Principato, Milano, 1959, pp. 379–394.

11 cfr. Erich Zöllner/Therese Schüssel, Das Werden Österreichs, Tosa Verlag, Wien, 1995, p. 180.

12 Detassis/ Zanette, 1994, p. 75.

13 Codice civile generale austriaco, http://www.antropologiagiuridica.it/abgb.pdf

14 cfr. Heinz Barta, Naturrecht und Privatrechtskodifikation, Tagungsband des Martini-Colloquiums 1998 , Manz-Verlag, Wien, 1999, passim. Molto istruttivo è anche il libro di Roberto Pancheri, Carlo Antonio Martini, Ritratto di un giurista al servizio dell’Impero, Edizione U.C.T., Trento, 2000.

15 cfr. Gerichtszeitung 1899, pp. 23 segg. e anche Juristische Blätter, 1889, pp. 39 segg.

16 cfr. Friedrich von Maasburg , Geschichte der Obersten Justizstelle, Bellmann’s Verlag, Prag, 1891, p. 89.

17 Detassis/Zanette, 1994, 78.

18 cfr. Ernst C. Hellbling, Österreichische Verfassungs-und Verwaltungsgeschichte, Springer-Verlag, Wien-New York, 1974, pp. 346–365, p. 387 segg.

19 Hellmut Andics, Das österreichische Jahrhundert, 1804–1900, Molden, Wien, 1976, p. 193.

20 cfr. Detassis/Zanette, 1994, p. 82.

21 Renato Soriga in http://www.treccani.it/enciclopedia/carboneria (Enciclopedia-Italiana)

22 Fulvio Conti in http//www.treccani.it (enciclopedia/la-massoneria (Dizionario die Storia).

23 cfr. Salvatore Lupo, L’unificazione italiana, Donizelli, Roma, 2011, p. 152. Gian Mario Cazzaniga/Marco Marinucci, Carbonari del XX secolo, fra rituali adelfici e intransigenza repubblicana, Edizione ETS, Pisa, 2015, p. 9 segg.

24 Altgeld, 2002, p. 287. cfr. Paul Frischauer, Garibaldi, Der Mann und die Nation, Bibliothek Zeitgenössischer Werke, Zürich, 1934.

25 https://www.grandeoriente.it/chi-siamo/la-storia/gran-maestri/giuseppe-garibaldi-24-05-1864-08-08-1864/.

26 cfr. Altgeld, 2002, p. 305.

27 www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-mazzini_%28Il-Contributo-italiano-alla-storia-del- Pensiero: -Filosofia%29 (19.4.2018). Fulvio Conti, La Massoneria, Dizionario di Storia, 2010, online: http://www.treccani.it/enciclipedia/la-massoneria (13.4.2019). cfr. Detassis/Zanette, 1994, p. 85, p. 99.

28 cfr. Maasburg , 1891, p. 255 segg. Sandonà, 1911, p. 75.

29 cfr. Renato Soriga, Carboneria, Enciclopedia Italiana, 1930.

30 cfr. Cazzaniga/Marinucci, 2015, pp. 44 segg.

31 http://www.carboneria.it/rituale_carbonaro.htm

32 http://www.treccani.it/enciclopedia/moti-del-1820/21 (Dizionario-di-Storia) (19.6.2018).

33 cfr. Detassis/Zanette , 1994, p. 85.

34 http://www.treccani.it/enciclopedia/il-conciliatore/.

35 cfr. Gualtiero Boaglio, Identità, Präsenz Verlag, Wien, 2008, pp. 137, 186.

36 cfr. Ettore Dezzi, Lezioni di storia del processo penale, University Press, Pavia, 2013.

37 cfr. Umberto Corsini, Decentramento e pubblicità nella amministrazione della giustizia: Antonio Salvotti 1850–1852, Atti dell’Accademia roveretana degli Agiati, s. 6, fasc. A, v..29, Rovereto, 1989, pp. 71–96.

38 cfr. Matteo Boscarolli, Il codice penale generale del 27 maggio 1852, RGBl. Nr. 117, Innsbruck 1907, XXXIII.

39 Ignaz Maucher, Das österreichische Strafgesetzbuch, Braumüller und Seidel, Wien, 1844.

40 Maucher, 1844, §§ 52–56.

41 cfr. Alessandro D’Ancona, Federico Confalonieri, Treves, Milano, 1898, p. 114.

42 http://carboneriarovigo..altervista.org/fratta-polesine-e-ia.htmla-carbonerl (26.9.2019).

43 LombardiaBeniCulturarali in http://www.lombardiabeniculturali.it/archivi/soggetti-produttori/ente/MIDB000704.

44 http: treccani.it/enciclopedia/eleuterio-felice-foresti (19.6.2018).

45 ibidem

46 http://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-villa (19.6.2018).

47 http://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-fortunato-oroboni (19.6.2018).

48 ibidem

49 http:// www.treccani.it/enciclopedia/antonio-solera) (19.6.2018 ).

50 cfr. Jacomuzzi, 1986, pp. 8 segg. e 19 segg.

51 cfr. Stefano Verdino, Dizionario Biografico degli Italiani, www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-eligio-silvio-felice-pellico_(Dizionario-Biografico) (19.11.2018).

52 cfr. Luzio, 1901, pp. 39–40.

53 Luzio, 1901, pp.199–206.

54 Jacomuzzi, 1986, p. 19.

55 cfr. Luzio, 1901, pp. 43 segg.

56 Luzio, 1901, p. 32.

57 Luzio, 1901, p. 34. Archivio di Stato di Milano a cura di Anna Lucia Brunetti, online www.archiviodistatomilano.beniculturali.it Silvio Pellico (1.10.2019).

58 cfr. Sandonà , 1911, p. 316.

59 cfr. Piero Maroncelli, a cura di Albano Sorbelli, Il primo abbozzo della “Mia prigionia di Spielberg” di Piero Maroncelli, Nicola Zanichelli, Bologna, 1922, p. 55.

60 http://www.treccani.it/enciclopedia/ federico-confalonieri_(Dizionario-Biografico) (3.7.1919).

61 ibidem.

62 Luzio, 1901, p. 98.

63 Luzio, 1901, p. 98–99.

64 Luzio, 1901, p. 156.

65 cfr. D’Ancona, 1898, pp. 110 segg.

66 cfr. Sandonà, 1911, p. 171 segg.

67 cfr. Sandonà, 1911, p. 166 segg.

68 cfr. Giorgio De Fort, Pallavicino Trivulzio, in Dizionario Biografico degli Italiani, http:www.treccani.it/enciclopedia/pallavicino-trivulzio-giorgio (19.10.2018).

69 Sandonà, 1911, passim.

70 cfr. Francesca Brunet, Pena di morte e grazia sovrana nel Regno Lombardo-Veneto, Trento-Innsbruck, 2013, p. 163.

71 Sandonà, 1911, pp. 2 segg. (si rimanda anche al capitolo 10).

72 https://www.casasandona.com/la-storia/la-famiglia-sandonà (3.7.2019), cfr. Gauro Coppola/Antonio Passerini/Gianfranco Zandonati ( a cura di): Un secolo di vita dell'Accademia degli Agiati: (1901–2000) Volume 2, Le memorie, l'attività. Accademia Roveretana degli Agiati, Rovereto 2003.

73 Sandonà, 1911, pp. 111 segg.

74 Storia d’Italia, Dal primo Settecento all‘Unità, Einaudi, Torino, 1973, p. 382 segg. Altgeld, 2002, pp. 257–324.

75 cfr. Alberto Mario Banti, Storia contemporanea, Donizelli, Roma, 1997, p. 329.

76 cfr. Maasburg, 1891, p. 255 e segg.

77 cfr. ibidem, p. 255 e segg. Mario Laich, Salvotti von Eichenkraft und Bindeburg, ÖBL 1815-1950, Bd. 9, 1998, p. 398. Constatin von Wurzbach , Silvio Pellico, Bibliographisches Lexikon des Kaiserthums Österreich , Wien, 1874. Karl Heinrich Hugelmann, Salvotti, Allg. Deutsche Biographie , Leipzig, 1890. Francesca Brunet, Antonio Salvotti, Dizionario biografico degli Italiani, online http://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-salvotti (Dizionario-Biografico) (19.7.2018 ).

78 cfr. Bettina von Arnim, Goethes Briefwechsel mit einem Kinde, Berlin 1857, online: http://www.zeno.org/Literatur/M/Arnim,+Bettina+von/Romane/Goethes+Briefwechsel+mit+einem+Kinde/Zweiter+Teil?hl=salvotti Bettina v Arnim), in italiano: Brol, Lettere inedite di Antonio Salvotti degli anni 1844–1852, 1942, p. 224.

79 cfr. Maasburg, 1891, pp. 12–13, 347–35. Christian Neschwara, Die Oberste Justizstelle in Wien (1749–1848), 2016, p. 266.

80 Herbert Spehar, Das Justizministerium , 1985, p. 118–123.

81 cfr. König, in Juristische Blätter 1974, Nr. 303 sul § 9 Abs.4 AußStrG.

82 www.archiviodistatomilano.beniculturali.it ( 19.11.2018).

83 www.archiviodistatomilano.beniculturali.it/getFile.php?id=148 (19.11.2018).

84 cfr. Hellbling, 1974, pp. 365–369.

85 Luzio, 1901, p. 8.

86 Laich, ÖBl. 1815-1950, p. 398.

87 Fausta Garavini, In Nome dell‘ Imperatore, Cierre edizioni , Verona, 2008, p. 248.

88 Alfred Fischer, Der oberlandesgerichtliche Außensenat in Trient, ÖRZ, Wien, 1969, p. 55.

89 A. Fischer, ibidem, 1969, p. 58.

90 Hugelmann, 1890.

91 Luzio, 1901, p. 188.

92 cfr. Siciliano, 2008.

93 Giorgio Dal Bosco, sul giornale ”Trentino“ del 9 dicembre 2018.

94 Luzio, 1901, p. 105.

95 cfr. Brol, 1942, p. 7.

96 Siciliano, 2008.

97 Luzio, 1901, p. 188.

98 ibidem, p. 284 segg.

99 Corsini, 1989, p. 78.

100 Corsini, 1989, pp. 79, 84 segg.

101 Maria Garbari, Il Risorgimento come scontro generazionale. Antonio e Scipione Salvotti, Atti dell’Accademia Roveretana degli Agiati, 2013, p. 39.

102 Mario Laich, ÖBL. 1815–1950, p. 398.

103 Garbari, 2013, p. 34.

104 Luzio, 1901, pp. 26–30.

105 Luzio, 1901, p. 7.

106 cfr. Francisca Brunet, in http://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-salvotti_(Dizionario-Biografico).

107 Dieter Nörr, Carl von Savigny, Neue Deutsche Biographie, 2005, p. 470–473.

108 Vincenzo Arangio-Ruiz, Savigny Friedrich Karl, Enciclopedia Italiana, 1936, online: http://www.treccani.it./enciclopedia (friedrich-karl-von-savigny (19.1.2019).

109 cfr. Gerhard Dulckeit/Fritz Schwarz/Wolfgang Waldstein, Römische Rechtsgeschichte, 1966, p. 248 segg.

110 Ennio Cortese, Irnerio, Dizionario Biografica degli Italiani, online: http://www.treccani.it/enciclopedia/irnerio_(Dizionario-Biografico) (15.1. 2019).

111 cfr. Emil Ott, Rechtsfürsorgeverfahren, Manz, Wien, 1906, p. 255.

112 cfr. Felician Rauch, Instruktion für die Landgerichte in Tirol und Vorarlberg in den Geschäften außer Streit, Rauch , Innsbruck, 1824.

113 Rainer Sprung/Peter G. Mayr, Symposion Außerstreitreform, Manz, Wien, 1992, p. 3 e segg.

114 cfr. König, 1979, Nr. 50, notazione a piè di pagina 35 con ulteriori citazioni.

115 cfr. Sprung/Mayr, 1992, pp. 8 segg.

116 ibidem, pp. 52 e segg.

117 Bernhard König, Zur Stellung des AußStrG im Zivilverfahren, in Juristische Blätter 1978, Nr. 67.

118 Robert Fucik/Barbara Kloiber, Außerstreitgesetz, 2005, pp. 5 segg.

119 Österreichisches Parlament, Außerstreitgesetz-AußStrG, consultabile in https://www.parlament.gv.at/PAKT/VHG/XXII/I/I_00224/fnameorig_008727.html(19.2.2019).

120 Giovanni Waller, Manuale della procedura civile non contenziosa, Libreria accademica wagneriana, Innsbruck, 1880.

121 cfr. Neumayr , 2017, p. 90.

122 cfr. D’Ancona, 1898, pp. 110–114.

123 cfr. ibidem.

124 D’Ancona, 1898, p. 119.

125 cfr. D’Ancona, 1898, pp. 93–95.

126 D’Ancona, 1898, p. 119.

127 cfr. ibidem, pp. 93–95.

128 Sandonà, 1911, pp. 2 segg.

129 https://austria-forum.org/Wiener Justizpalastbrand.

130 Sandonà, 1911, p. 41.

131 cfr.Sandonà, 1911, p. 43.

132 Luzio, 1901, p. 72.

133 ibidem, pp. 81, 92 segg.

134 Luzio, 1901 pp. 95, 100 segg.

135 Garavini, In nome dell’Imperatore, 2008, p. 323.

136 Giovanni Teresi, Contro e in nome dell’Imperatore, Presentazioe all’ università Sacro Cuore, Milano, 2013.

137 Garavini, 2008, p. 112 segg.

138 Garavini, 2008, p. 182.

139 ibidem p. 183.

140 Luzio, 1901, p. 8.

141 cfr. Garavini, 2008, p. 248.

142 ibidem, p. 283.

143 ibidem, p. 204.

144 ibidem, p. 282.

145 cfr. Teresi, 2013.

146 Garavini, Presentazione, Contro e in nome dell’Imperatore, 2013, https://www.youtube.com/watch?v=EK1EjB49mtU (19.10.2018).

147 Heinz Barta (a cura di et al.): Naturrecht und Privatrechtskodifikation, Martini Colloquium 1998, Manz, Wien, 1999, pp. 15 segg.

148 L’errore era già stato rilevato da Wurzbach, 1856–1891, p. 36.

149 Roberto Pancheri, Carlo Antonio Martini, Ritratto di un giurista al servizio dell’Impero, U.C.T., Trento, 2000, pp. 42 segg.

150 Hermann Klenner, in: Naturrecht und Privatrechskodifikation, Martini Colloquium, a cura di Barta H. et al., Manz, Wien, 1999, p. 202.

151 Michael Hebeis, in Naturrecht und Privatrechtskodifikation, a cura di Barta Heinz et al., Manz, Wien, 1999, pp. 97, 100.

152 Theodor Veiter, Die Italiener in der österreichisch-ungarischen Monarchie, Verlag für Geschichte und Politik, Wien, 1965, pp. 67 segg.

153 http://www.treccani.it/enciclopedia/giusnaturalismo_(Dizionario-di-filosofia) (3.7.2019).

154 http://www.treccani.it/enciclopedia/giusnaturalismo (Dizionario-di-Storia) (3.7.2019).

155 Rudolf Palme, Naturrecht und Privatrechtskodifikation, Martini Colloquium 1998, a cura di Barta H. et al. Manz, Wien,1999, p. 127.

156 Michael Hebeis, Karl Anton von Martini (1726–1800), 1996, pp. 23 segg.

157 Barta, 1999, p. 343.

158 Barta, 1999, pp. 335 segg.

159 ibidem, p. 69, pp. 347 segg., p. 357.

160 ibidem, pp. 76 segg.

161 Barta, 1999, pp. 54 segg., p. 82, pp. 371 segg.

162 Hebeis, 1999, pp. 97 segg.

163 Hebeis, 1999, p. 104.

164 Hebeis, 1996, p.183, nota 50.

165 Brunet, 2013, pp. 20 segg.

166 Palme, 1999, pp. 221 segg.

167 Barta, 1999, pp.18–92.

168 Eccher, pp. 510–513.

169 Roberto Pancheri, Carlo Antonio von Martini, Ritratto di un giurista al servizio dell’Impero, Edizioni U.C.T., Trento, 2000, p. 77. Traduzione da me dal testo „Karl Anton von Martini - Die Denkmäler im Arkadenhof “, online https:// monuments.univie.ac.at/index.php? title=Denkmal Karl Anton von Martini (5.7.2019).

170 Pancheri, 2000, p. 74.

171 Barta, 1999, passim.

172 Silvio Furlani/Adam Wandruszka, Österreich und Italien, Ein bilaterales Geschichtsbuch, öbvethpt, Wien, 2000, p. 76.

173 Giuseppe Gandolfi, Nel secondo centenario del codice austriaco. Istituto Lombardo-Accademia di Scienze e Lettere-Rendiconti di Lettere,volume 145 2011, pp. 297–300. Recuperato da http://www.ilasl.org/index.php/Lettere/view/98. (16.7.2019).

174 Gandolfi, ibidem.

175 cfr. Luzio, 1901. pp. 70–92.

176 cfr. Sandonà, 1911, pp. 40 segg., 114 segg., 173 segg.

177 D’Ancona, 1898, p. 114 segg.

178 Luzio, 1901, p. 4.

179 vgl. Matthias Neumayr, Außerstreitverfahren, , LexisNexis, Wien, 2017, p. 1

Excerpt out of 105 pages

Details

Title
Antonio Salvotti (1789-1866): un giudice trentino nelle tensioni fra Italia e Austria
College
University of Vienna
Author
Year
2019
Pages
105
Catalog Number
V1004550
ISBN (eBook)
9783346389350
ISBN (Book)
9783346389367
Language
Italian
Notes
Antonio Salvotti (1789-1866), ein Richter aus Trient, im Spannungsfeld zwischen Italien und Österreich
Keywords
Richter aus Trient verurteilt ital. Patrioten, Hauptreferent des Gesetzes über die freiwillige Gerichtsbarkeit 1854
Quote paper
Werner Manica (Author), 2019, Antonio Salvotti (1789-1866): un giudice trentino nelle tensioni fra Italia e Austria, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/1004550

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