Il pianista accompagnatore. Una figura professionale complessa


Scientific Essay, 2021

65 Pages


Excerpt


Introduzione

Far musica, e soprattutto far musica insieme con altri musicisti, è una delle esperienze più avvincenti ed entusiasmanti che si possano vivere.

La scienza ha dato un nome specifico a questo tipo di vissuto: lo psicologo Abraham Maslow ha individuato le caratteristiche che qualificano determinate emozioni che possono essere definite di peak esperience (picco emotivo). Ne fanno parte un senso partecipato di bellezza, di completezza, di perfezione, di vibrante armonia tra il sé e l’altro da sé, il senso di stare utilizzando le proprie capacità con successo e al massimo livello, esprimendo sé stessi e comunicando armoniosamente con gli altri, il senso di stare compiutamente nel presente aprendo l’animo a cogliere l’attimo, il senso di essere gioiosamente creativi.1

Essere attivi nella musica è dunque un’esperienza entusiasmante, ma è anche una grande responsabilità, perché la musica è infinita e ci sono sempre nuove occasioni di confrontarsi con altri repertori, altri partner di esecuzione, altre situazioni di esibizione. Attraverso queste molteplici occasioni noi performer ci impegniamo a diventare musicisti man mano più completi, più preparati, più capaci di rendere e trasmettere tutte le infinte sfaccettature di una pagina musicale.

Il pianista accompagnatore è, da questo punto di vista, una delle figure professionali più complete nell’ambito musicale: sa interpretare musica di secoli e stili diversi, destinata ad artisti delle più diverse specialità vocali e strumentali, sa dialogare con loro per costruire un’interpretazione comune, sa fornire loro la certezza di una base sicura, fondandosi sulla quale entrambi possono raggiungere intensità espressive di grande rilievo.

Pur avendo una lunghissima storia, il pianista accompagnatore è una figura ancora in una certa misura misteriosa: non sempre infatti sono pienamente note le diverse competenze che compongono questa professionalità e i suoi variegati ambiti di azione artistica.

In questo lavoro mi propongo perciò di esplorare “l’universo pianista accompagnatore”, indagando i vari aspetti che lo compongono e il modo in cui i saperi che ne sono alla base vengono costruiti, consolidati ed ampliati.

Per compiere questa ricerca esaminerò pubblicazioni scritte da pianisti accompagnatori, da musicologi, da didatti del pianoforte e da pedagogisti, e documenterò le mie riflessioni mettendole in relazione con brani del repertorio del pianista accompagnatore, alcuni compresi nel programma che eseguirò durante l’esame, altri studiati in anni precedenti.

Capitolo 1

Riflessioni iniziali sulla professione del pianista accompagnatore

Questo capitolo si propone di offrire un inquadramento generale della tematica in oggetto, ossia professione e ruolo del pianista accompagnatore, indagando, sia pure a grandi linee, i “punti caldi” che più spesso sono materia di discussione, tanto tra addetti ai lavori quanto tra semplici appassionati.

Parlare della figura del pianista accompagnatore oggi significa esaminare il ruolo che egli svolge nel grande campo della musica performativa, e la considerazione in cui è tenuto dai cantanti e dagli strumentisti con i quali collabora, dal pubblico che frequenta i concerti che egli tiene, dalle società concertistiche e discografiche presso le quali egli svolge il suo operato, e dai critici musicali che valutano il livello artistico complessivo dell’esibizione.

Sicuramente, nel corso del tempo la considerazione in cui è stato tenuto il pianista accompagnatore ha subito un’evoluzione, che fin da subito possiamo qualificare come positiva.

Per comprendere appieno questa evoluzione è opportuno innanzitutto compiere una breve riflessione terminologica sulla valenza dei termini pianista accompagnatore, accompagnatore al pianoforte, e maestro collaboratore, e poi esaminare testimonianze risalenti anche al 19° secolo, in gran parte tratte da scritti di pianisti accompagnatori, che descrivevano le condizioni in cui svolgevano il loro ruolo e lo status sociale ad esso connesso.

1.1 Pianista accompagnatore, accompagnatore al pianoforte o maestro collaboratore?

Il pianista accompagnatore è una figura professionale complessa, il cui ruolo assomma in sé diverse specificità, che mi propongo di analizzare nel corso di questo lavoro.

La complessità della figura professionale è testimoniata, oltre che dai molteplici compiti che il maestro collaboratore svolge sul campo, anche dalle diverse denominazioni che i corsi di diploma accademico finalizzati a formare professionisti con questo profilo hanno avuto nel corso del tempo.

Ricordiamo infatti che l’attuale denominazione del percorso accademico, maestro collaboratore, in uso in molti Conservatori,2 è stata preceduta, negli anni passati, da altre denominazioni, come maestro sostituto e Korrepetitor,3 e accompagnatore al pianoforte.4

L’impostazione del percorso è stata ed è tuttora sostanzialmente analoga, come in effetti si rileva dalle discipline comprese nell’offerta formativa, ma le diverse denominazioni mettono in luce piccole differenze di peso date all’una o all’altra disciplina e di conseguenza alla rilevanza ad essa assegnata nel percorso di formazione. Tutto questo, a sua volta, era assai probabilmente legato ad una determinata concezione del ruolo professionale che gli studenti avrebbero svolto al termine dei loro studi, una volta divenuti professionisti del settore.

Nel prosieguo del lavoro, trattando del ruolo e dei compiti attribuiti a questa figura professionale, i termini pianista collaboratore, accompagnatore al pianoforte, e maestro collaboratore, verranno usati sostanzialmente come sinonimi.

1.2 Una scelta di ripiego?

La testimonianza storica più risalente di cui abbiamo trovato traccia riguarda una esternazione del pianista Samuel Gee, che nel 1883 esclamò:

“una vasta esperienza mi induce a pensare che non c’è ramo della scienza musicale così trascurato come l’arte dell’accompagnamento della voce, o delle voci”5

e sottolineò che il suo più grande desiderio era di esplorare questa materia in modo che essa potesse conquistare la sua giusta posizione nell’ambito della musica performativa. Questa opportuna ricollocazione avrebbe sicuramente svolto una potente funzione di stimolo, per coloro che fino a quel momento avevano accettato passivamente la situazione come un dato di fatto presumibilmente immodificabile, spronandoli a sviluppare non soltanto uno studio della parte e poi un’esecuzione della stessa fondate su un’analisi più approfondita e attenta ad ogni dettaglio; inoltre tale nuova collocazione del pianista accompagnatore avrebbe consentito di guidare all’appropriazione di nuovi angoli prospettici da cui considerare la propria professione e il proprio modo di svolgerla, anche da parte di coloro che fino a questo momento erano stati apatici, sviluppando la propria comprensione musicale dei brani loro affidati e dunque instradandoli a studiare in modo più attento e approfondito.6

Anche altri noti pianisti accompagnatori condividevano le considerazioni di Gee: tra loro possiamo citare Hubert Foss,7 Giuseppe Adami,8 Helen Hoblit,9 e Erma Loreen Rose.10

È interessante citare un pensiero di Foss che esamina la situazione dal complementare punto di vista dello strumentista o del cantante con cui il pianista accompagnatore collabora.

Foss dice infatti:

“L’accompagnamento pianistico ha un ruolo importante nella vita e nell’opera di ogni musicista performativo, sia esso cantante o strumentista, ma nonostante questo, il settore dell’accompagnamento pianistico riceve un’attenzione molto inferiore a quella rivolta a qualunque altro settore della musica. Questo, assai probabilmente, deriva dal fatto che il pianista accompagnatore svolge un ruolo considerato secondario, e dunque di minore rilievo artistico nel duo, come se fosse una semplice aggiunta al cantante o allo strumentista. Sono assolutamente convinto che questa concezione sia del tutto errata”.11

Anche Parsons mette in rilievo il fatto che i docenti di prassi esecutiva pianistica spesso non incoraggiano, o addirittura scoraggiano i loro giovani allievi dal fare pratica di accompagnamento pianistico. Questo assai probabilmente deriva dal fatto che gli studi solistici richiedono un elevato livello tecnico e bravuristico, per raggiungere il quale possiamo immaginare che l’allievo debba dedicare a quel repertorio molte ore di studio giornaliero. Se un professore di repertorio solistico demotiva il suo allievo dal far pratica di accompagnamento pianistico, evidentemente egli stesso non si rende pienamente conto di quanto la pratica dell’accompagnamento possa contribuire a far trovare il giusto equilibrio tra le parti melodiche del canto e il sostegno dell’accompagnamento, a riproporre con analogo fraseggio ciò che è stato presentato precedentemente dal cantante o dallo strumentista, a trovare il suono giusto, fatto non soltanto di precise scelte di dinamiche ma anche di accurate scelte di timbri.12

Inoltre, possiamo aggiungere alle riflessioni di Parsons la nostra considerazione che, poiché in diverse occasioni può capitare al pianista accompagnatore di eseguire parti estemporaneamente, la pratica ripetuta di questa attività migliora indubbiamente l’abilità corrispondente, il che va a vantaggio anche degli studi solistici, soprattutto nel caso di allievi che non abbiano, di per sé, un’abilità spontanea di lettura a prima vista.

Riflettendo sulle motivazioni che possono avere indotto i professori di repertorio solistico a considerare l’accompagnamento pianistico quasi una maggiore o minore perdita di tempo, possiamo immaginare che in parte questa considerazione negativa dell’accompagnamento ha radici storiche piuttosto lontane nel tempo, e dunque i professori potrebbero avere “ereditato” questo modo di vedere dai loro insegnanti, senza sottoporlo a riflessione critica. D’altra parte, potrebbe anche essere vero che alcuni professori di repertorio solistico fossero essi stessi pienamente convinti della loro posizione. Questo potrebbe essersi verificato nella loro stessa vita agli inizi della loro carriera. Nel caso di presentazione di domande di insegnamento relativamente a diverse discipline performative, se le commissioni preposte alla valutazione dei titoli dei candidati considerano, nelle graduatorie di pianoforte solistico, i concerti fatti da un candidato come pianista accompagnatore come meno artisticamente rilevanti rispetto a quelli da lui fatti come solista, è comprensibile che i professori indirizzino i loro allievi a scegliere tipi di performance che possano essere considerati “più importanti”.

Se gli stessi esperti del settore condividono (o condividevano nel passato) questo modo di vedere, possiamo immaginare come ben difficilmente gli organizzatori di concerti, i responsabili delle case discografiche, la maggior parte del pubblico dei concerti, e i critici musicali si pongano delle domande sul giusto ruolo e soprattutto sul corretto status socio-artistico da attribuire ai pianisti accompagnatori.

Vi sono diverse testimonianze, soprattutto del passato, che comprovano come al pianista accompagnatore venisse attribuito di default un ruolo ancillare rispetto ai “solisti”: spesso il nome del pianista accompagnatore sulle locandine e sui programmi di sala era scritto più in basso e in caratteri più piccoli rispetto ai solisti, frequentemente i cachet erano fortemente differenziati, e a volte si giunse perfino a nascondere pianoforte e pianista dietro una colonna o una composizione di fiori, in modo che non rubassero la scena e la luce dei riflettori ai solisti, e che l’entrata e uscita del pianista dal palco potesse passare del tutto inosservata.13

In verità, è oggi ormai pienamente noto che le abilità del pianista solista e quelle del pianista accompagnatore possono divergere in misura non trascurabile: un ottimo solista potrebbe essere un mediocre accompagnatore, e viceversa un ottimo accompagnatore potrebbe essere niente più che un mediocre solista.14

D’altra parte, vi è ormai piena consapevolezza anche del fatto che un bravo pianista accompagnatore può sostenere ed aiutare il solista con cui sta collaborando a mettere in luce tutte le sue qualità, raggiungendo standard artistici a cui difficilmente potrebbe arrivare se l’accompagnamento fosse di minore musicalità o addirittura connotato da errata interpretazione delle parti da mettere in rilievo o perfino da incertezze.

1.3 II valore aggiunto del pianista accompagnatore

A partire dagli anni Cinquanta si è cominciata a diffondere una considerazione diversa del ruolo del pianista accompagnatore: in precedenza si confrontava il ruolo del pianista accompagnatore con quello del pianista solista, e si riteneva che il primo non fosse dotato delle stesse brillanti abilità tecniche e doti bravuristiche che il solista metteva in luce nei suoi recital. Oppure si paragonava il ruolo del pianista accompagnatore a quello del direttore d’orchestra e del direttore di coro: pur avendo il primo piena conoscenza, teorica e performativa, di riduzioni per pianoforte di parti per orchestra o coro, conoscenza che spesso veniva completata dal raffronto tra la riduzione pianistica e la originale partitura per orchestra o coro, si riteneva in genere che mancassero al pianista accompagnatore alcune doti, di intraprendenza o di carisma, se non di tecnica direttoriale, che gli avrebbero potuto consentire di intraprendere le altre ben più prestigiose carriere.

Tuttavia, come si anticipava, negli anni Cinquanta alcuni autori hanno cominciato a mettere in rilievo il fatto che l’accompagnamento pianistico è uno speciale tipo di collaborazione. Scriveva infatti Zeckendorf:

“L’accompagnamento è una forma di partenariato”,15

e anche Lyle sosteneva un punto di vista analogo:

“Poter ottenere un completo successo nella collaborazione tra pianista e cantante o strumentista dipende in primo luogo dall’armonizzarsi delle peculiarità tra i due musicisti”16

E interessante notare che Lyle utilizza proprio il termine ‘collaborazione’, che, in ragione della sua etimologia latina, mette in rilievo il fatto che questa figura professionale “lavora con” l’altro partner, strumentista o cantante, ponendosi su un piano di parità performativa e artistica in generale.

Similmente Martin Katz proponeva l’uso del termine ‘collaboratore al pianoforte’, anch’esso indicante una partnership di pari livello tra strumentista solista e pianista.17

Inoltre, in ragione dei particolari compiti che il pianista accompagnatore usualmente svolge e dei diversi repertori nei quali si cimenta, vengono spesso usati altri termini, tra i quali vi è il tedesco Korrepetitor.

Il Korrepetitor è una figura poliedrica, che in alcuni casi deve essere in grado di trasporre al pianoforte una parte orchestrale o corale, ma assai più spesso deve saper ragionare sulla riduzione pianistica, sapendo scegliere se, ed eventualmente in quali casi, sia possibile snellire la riduzione stessa, in modo da renderla più agile e “pianistica”. Ovviamente per fare questo con competenza, il Korrepetitor deve possedere nozioni non superficiali di teoria della musica e composizione, e deve anche saper improvvisare quando la situazione lo richiede.18

Un altro termine oggi spesso usato è quello di vocal coach: con questo termine si indica un professionista che guida i cantanti nel ripasso dello spartito e li instrada a preparare un’esibizione, dando loro spesso consigli di natura tecnica ma soprattutto artistica. Ciò è reso possibile dal fatto che il pianista accompagnatore ha spesso una vastissima esperienza nel guidare i cantanti con i quali collabora nello studio dello spartito, e, in ragione della sua formazione, può indicare loro le particolarità a cui prestare attenzione, sia per quanto riguarda gli eventuali aspetti drammaturgici del brano, sia per quanto riguarda eventuali suoni dell’accompagnamento a cui prestare orecchio per “prendere la nota” dopo un pausa più o meno lunga, soprattutto nel caso di modulazioni o ampi salti.

In altri casi si usa piuttosto il termine di camerista', questo avviene principalmente nei casi in cui non vi è riduzione pianistica da una originaria parte orchestrale, ma la parte pianistica è stata scritta così com’è direttamente dal compositore. Ne sono esempi i brani scritti per duo strumentale, in cui lo strumento solista e il pianoforte hanno nella grande maggioranza dei casi la stessa importanza e lo stesso impegno, e i brani per voce e pianoforte, quali ad esempio Lieder, romanze, mélodies.

L’aver accennato alle molteplici sfaccettature che compongono la professione dell’accompagnatore al pianoforte ci permette di mettere qui in rilievo le abilità che l’accompagnatore al pianoforte deve possedere per poter svolgere il suo ruolo in maniera professionale e inappuntabile.

Innanzitutto, il pianista accompagnatore deve saper interpretare correttamente tutti i segni musicali inclusi nella sua parte, il modo in cui l’eventuale riduzione pianistica si rapporta con l’originale orchestrale, il modo in cui essa sviluppa l’interazione con l’altro strumentista o il cantante. Questo gli permetterà di scegliere le nuance di dinamica e di agogica più opportune in ogni singolo momento.

In secondo luogo, il pianista accompagnatore deve saper ascoltare, sapendo distinguere l’ascolto complessivo dall’ascolto analitico delle parti eseguite dai diversi performer. Entrambe queste forme di ascolto sono fondamentali per l’ottimale riuscita della performance: l’ascolto analitico deve, in un certo senso, prevalere nella preparazione del brano, in modo tale che il pianista accompagnatore possa dare al partner eventuali suggerimenti per l’approfondimento e il perfezionamento di specifici passaggi. L’ascolto complessivo può prevalere quando il brano è stato studiato in tutti i suoi dettagli tecnici e interpretativi, ed è il momento di affinare l’insieme, assicurando il necessario bilanciamento tra le parti dei diversi performer, e tra i diversi “strati” della stessa parte di accompagnamento pianistico.

Inoltre, il pianista accompagnatore deve saper eseguire estemporaneamente con la maggior possibile accuratezza ed espressione, cogliendo immediatamente le particolarità di un passaggio o di una modulazione. Ovviamente, benché questa abilità sia considerata dai più innata, è sempre possibile affinarla con una pratica costante e con l’ascolto estensivo di grandi quantità di musica. Conoscendo gli usi compositivi di un certo autore sarà più facile per il pianista accompagnatore intuire, anche eseguendo estemporaneamente, come può svilupparsi un certo discorso musicale.

Ancora, è importante che il pianista accompagnatore sappia realizzare un basso continuo, eseguendo le note richieste dal basso numerato in maniera corretta, musicale e adatta allo stile del brano.

Ultima, ma certo non meno importante tra le competenze specialistiche del pianista accompagnatore, è la sua competenza nelle lingue straniere, principalmente francese e tedesco, ma anche, seppure in misura minore, inglese, ceco e russo. Infatti il pianista accompagnatore deve saper aiutare strumentisti e cantanti a interpretare il significato delle eventuali indicazioni in lingua straniera che possono trovarsi nella loro parte. Inoltre, per quanto riguarda i cantanti che affrontano un repertorio in lingua straniera, è compito del pianista accompagnatore guidarli a pronunciare nel miglior modo i termini del brano, tenendo conto delle eventuali convenzioni che distinguono la lingua parlata dalla lingua cantata.

Infine, il pianista accompagnatore deve saper stabilire un buon rapporto umano e professionale con i suoi partner, trasmettendo loro la sicurezza che, qualunque “incidente di percorso” possa capitare in esecuzione, come può avvenire ad esempio se il solista salta alcune battute, il pianista saprà organizzare la sua esecuzione in maniera che tutto appaia perfetto.

1.4 Perché scegliere questa carriera?

Le motivazioni che possono indurre un giovane pianista in formazione, o anche un professionista dalla carriera già avviata, a scegliere la carriera di accompagnatore al pianoforte possono avere diversa origine.

In molti casi, l’origine è la scoperta del piacere di suonare insieme, che accomuna l’accompagnamento pianistico alla musica da camera. In particolare, il valore aggiunto del repertorio del pianista accompagnatore è quello relativo al fatto che il pianoforte è un degno sostituto dell’orchestra, della quale è interessante ricreare le sonorità con puri mezzi pianistici.

In varie occasioni, al giovane pianista in formazione capita di accompagnare dei cantanti in una performance, che può andare dal semplice saggio in Conservatorio alla più impegnativa esibizione concertistica: questo “incontro” apre nuove e inaspettate possibilità al pianista, che si innamora di quel particolare repertorio e decide di fame il suo campo privilegiato d’azione.

Alcune volte l’occasione di partecipare, anche come semplice o addirittura occasionale uditore, ad una masterclass di canto o di strumento, catalizza l’interesse del giovane pianista per un particolar modo di far musica insieme, in cui il suo ruolo assomma le valenze dello strumentista, dell’insegnante e del direttore d’orchestra.

In molti casi, comunque, sono le possibilità professionali che si offrono al pianista accompagnatore a suscitare l’interesse del giovane per questo tipo di figura professionale: pianisti accompagnatori sono in servizio nei Conservatori e nell’Accademia Nazionale di Danza, lo sono nei Licei coreutici e a breve, lo saranno anche nei Licei musicali, spesso sono attivi anche presso le più rinomate scuole private di canto, e sicuramente hanno un ruolo istituzionale come accompagnatori nelle prove dei concorsi di canto ed esecuzione strumentale e nello svolgimento delle masterclass.

Di grande importanza è poi il ruolo del maestro sostituto nei teatri d’opera, e ancor più in quei teatri, come La Scala di Milano, La Fenice di Venezia, e il teatro Verdi di Pisa, che hanno anche una scuola interna con corsi di perfezionamento per cantanti lirici.

Come si vede, al pianista accompagnatore si aprono diverse possibilità di utilizzare professionalmente le sue doti innate e i risultati degli studi specialistici che ha compiuto.

Capitolo 2

Visioni alternative

Dopo aver introdotto a grandi linee l’argomento centrale della mia riflessione, ritengo sia giunto il momento di andare un po’ più in profondità, riflettendo in modo più mirato su alcuni aspetti potenzialmente controversi dell’accompagnamento pianistico.

Il primo paragrafo si interroga sulla questione se l’accompagnamento pianistico debba essere considerato una scienza o un’arte, e di conseguenza con quali strumenti metodologici si debba studiare questo campo d’indagine.

Il secondo paragrafo verte sul quesito se per intraprendere questa professione sia più necessaria una fondamentale predisposizione naturale o una sagace costruzione delle proprie capacità.

2.1 Scienza o arte?

Al giorno d’oggi vi è una conclamata e diffusa fiducia nella scienza, e praticamente ogni area dello scibile viene indagata con metodologie scientifiche. Si può dire che ne forniscono la prova le denominazioni dei corsi di studi offerti dalle Università: alle tradizionali denominazioni di Scienze politiche, Scienze biologiche, Scienze agrarie, negli ultimi tempi se ne sono affiancate molte altre incentrate sulle discipline più diverse. Esempi ne sono, tra i tanti, i corsi di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione, Scienze turistiche, Scienze dell’architettura, Scienze filosofiche, Scienze giuridiche, Scienze psicologiche, e addirittura Scienze religiose.

[...]


1 Maslow, A.H. (1964). Religions, -values, andpeak experiences. London: Penguin Books Limited

2 Percorsi di diploma accademico con questa denominazione sono stati attivati, tra gli altri, nei Conservatori “Lorenzo Perosi” di Campobasso, “Giovanni Battista Pergolesi” di Fermo, “Giuseppe Martucci” di Salerno, “Guido Cantelli” di Novara, “Niccolò Piccini” di Bari, “Alessandro Scarlatti” di Palermo

3 Percorso attivato presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma

4 Percorso attivato presso l’ISSM “Gaetano Braga” di Teramo

5 Gee, S. (1883). ‘The art of accompanying vocal music’, Musical Opinion andMusic Trade Review, 6(67), 234-235

6 Ibidem

7 Foss, H. J. (1924). ‘The art of accompanying songs\ Musical 'Times, 65(981), 979-984.

8 Adami, G. (1952). ‘Accompanying-anart\MusicJournal, 10(6), 27, 40-41.

9 Hoblit, H. A. (1963). ‘The art of accompanying’, Music Educators’ Journal, 50(1), 139.

10 Rose, E. L. (1981). Competencies in piano accompanying, tesi di dottorato, North Texas State University.

11 Foss, H. J. (1924). ‘The art of accompanying songs’. Musical 'Times, 65(981), 979

12 Parsons, M. (1972). ‘The art of accompaniment’. Music Journal. 30(2), 20

13 Moore, G. (1994). ‘The Accompanist and the singer’. In K. Falkner (a cura di), Voice, London: Kahn & Averill, 270-276, 270

14 Foss, H. J. (1924). ‘The art of accompanying songs’. Musical Times, 65(981), 979-984, 979

15 Zeckendorf, S. (1953). ‘Accompanying is apartnership’, Music Journal, 11(6), 28-29, 28

16 Lyle, W. (1923). ‘Accompanying and accompanists’, Sackbut, 4, 6-8, 6

17 Katz, M. (2009), The Complete Collaborator: The Pianist as Partner, Oxford - New York: Oxford University Press, 3

18 Rovetta, M. (2006), ‘Korrepetition’. In: ChristophKammertöns, Siegfried Mauser (a cura di): Lexikon des Klaviers. Baugeschichte, Spielpraxis, Komponisten und ihre Werke, Interpreten. Mit einem Geleitwortvon DanielBarenboim. Brema: Laaber Verlag, 440-442.

Excerpt out of 65 pages

Details

Title
Il pianista accompagnatore. Una figura professionale complessa
Author
Year
2021
Pages
65
Catalog Number
V1021436
ISBN (eBook)
9783346413727
ISBN (Book)
9783346413734
Language
Italian
Quote paper
Professor Cristina Flocco (Author), 2021, Il pianista accompagnatore. Una figura professionale complessa, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/1021436

Comments

  • No comments yet.
Look inside the ebook
Title: Il pianista accompagnatore. Una figura professionale complessa



Upload papers

Your term paper / thesis:

- Publication as eBook and book
- High royalties for the sales
- Completely free - with ISBN
- It only takes five minutes
- Every paper finds readers

Publish now - it's free