Buddhismo e psicologia evolutiva

L'insegnamento originale del Buddha e lo sviluppo della quarta personalità


Bachelorarbeit, 2007

65 Seiten, Note: 110 e lode


Leseprobe


Content

PREMESSA

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1
Buddhismo originale come disciplina pratica
1.1 Informazioni preliminari
1.2 Il Buddha “storico” come medico
1.3 L’insegnamento originale

CAPITOLO 2
Il vero modo in cui le cose sono
2.1 I veleni radicali
2.2 Originazione dipendente, impermanenza e “non-Sé”
2.3 La vacuità

CAPITOLO 3
Il pensiero di Giulio Cesare Giacobbe
3.1 Le seghe mentali
3.2 Le coccole
3.3 La quarta personalità: lo stato di Buddha

APPENDICE

RINGRAZIAMENTI

BIGLIOGRAFIA

PREMESSA

Gli uomini si sono storicamente interrogati circa il problema esistenziale e ciò si è mostrato strettamente connesso alla ricerca di un equilibrio psichico, nonché determinante nella formulazione degli aspetti soteriologici - spesso fondamentali - di religioni, sistemi metafisici e discipline morali.

È proprio nelle sue caratteristiche di soteriologia gnostica[1] che il buddhismo originale, volendo condurre l’uomo, attraverso una forma maggiormente adeguata di conoscenza, alla liberazione dall’insieme di esperienze negative (sofferenza, insoddisfazione e imperfezione) racchiuse dal termine duhkha[2], si mostra come l’approccio orientale più vicino agli intenti occidentali della scienza psicologica novecentesca. Lo stesso Dalai Lama ha recentemente (1993) definito il buddhismo «a science of mind»[3], una scienza della mente.

Uscendo da categorie prettamente occidentali (europee soprattutto), quali “religione” e “filosofia”, può essere maggiormente comprensibile come tali concetti siano inapplicabili alla cultura orientale, dove la religione, la metafisica e la morale si compenetrano, differenziandosi solamente per il tipo di salvezza promesso – generalmente intesa come liberazione da uno stato o da una condizione non desiderata – e per le modalità del suo conseguimento[4].

Sia il buddhismo originale che la psicologia rappresentano una teoria sulla natura dell’uomo, e al contempo una prassi finalizzata al conseguimento del suo benessere, inteso – nelle parole di Erich Fromm - come un «essere in armonia con la propria natura»[5]. Il primo è un’espressione caratteristica del pensiero orientale, mentre la seconda del pensiero occidentale. Il buddhismo fonde la razionalità e la capacità di astrazione proprie della cultura indiana, mentre la psicologia ha le sue basi nella sapienza greca e nell’etica ebraica[6].

La vita pone quindi un problema esistenziale nei confronti del quale l’uomo, gettato nel mondo e poi strappato da questo non per sua volontà, è tenuto a dare una qualche risposta. Secondo Fromm[7] le soluzioni che si possono dare agli interrogativi esistenziali sono diverse, ma fondamentalmente riconducibili a due. Una consiste nella scelta di una regressione allo stato di armonia primordiale esistente prima che affiorasse la consapevolezza (prima della nascita), e conduce alla nevrosi, nelle sue svariate forme. L’altra consiste nella decisione di nascere completamente, potenziando la propria consapevolezza, la propria ragione e la propria capacità di amare fino a giungere ad una nuova armonia e comunione con il mondo.

Fromm non fu l’unico a sottolineare che «la nascita non è un atto unico, ma un processo»[8]. Per l’autore, «vivere significa nascere in ogni istante, e lo scopo della vita è nascere completamente, anche se la sua tragedia risiede nel fatto che la maggior parte degli uomini muore prima di nascere davvero»[9].

Per riuscire a capire qualsiasi essere umano è necessario sapere qual è la sua risposta all’interrogativo dell’esistenza[10], e quindi scoprire qual è l’oggetto di tutti i suoi sforzi e di tutte le sue passioni. Come sottolineato anche da F.W.J. Schelling nelle sue lezioni del 1854, «se l’uomo è privo di senso, ogni altro essere cade nell’abisso di un nulla senza fondo»[11].

Per comprendere il paziente ed al contempo aiutarlo nel suo processo di nascita continua, la psicoterapia novecentesca – con la psicoanalisi - si pone l’obiettivo di rendere conscio l’inconscio[12]. Il contenuto della nostra esperienza non può però divenire conscio se non a condizione di poter essere percepito, correlato e ordinato nei termini di un sistema di concetti e delle sue categorie. Tale sistema è un prodotto dell'evoluzione sociale e opera come un filtro socialmente condizionato (diverso per ogni società), da elementi quali il linguaggio, la logica e i tabù[13]. Le esperienze che non possono esser filtrate restano esterne alla consapevolezza, cioè rimangono inconsce.

L’uomo è consapevole della realtà solo nella misura in cui gli obiettivi istintuali della sopravvivenza e della riproduzione rendono tale consapevolezza necessaria[14]. Divenire consci di ciò che è inconscio significa quindi ampliare la propria coscienza ed entrare in contatto con la realtà, sia dal punto di vista teoretico che da quello affettivo. Nelle parole di Fromm[15], «rendere l’inconscio conscio trasforma la pura idea dell’universalità dell’uomo nell’esperienza vivente di questa universalità». Chi vive in uno stato di rimozione è un “alienato”[16], in quanto proietta i propri sentimenti e le proprie idee sugli oggetti, non sperimenta se stesso quale soggetto dei propri sentimenti, ma si lascia soggiogare dagli oggetti gravati dei suoi sentimenti.

Finché il paziente mantiene l’atteggiamento di un osservatore distaccato, facendosi oggetto della propria indagine, egli non è mai a contatto con il proprio inconscio, se non nel senso che lo pensa, senza però sperimentare la realtà più vasta e più profonda che è in lui. Lo stesso Freud[17] dovette fare propria l’affermazione di Spinoza secondo cui una conoscenza intellettuale in quanto tale non produce alcun mutamento, se non nella misura in cui sia anche una conoscenza affettiva[18].

Scoprire il proprio inconscio non è un atto intellettuale, bensì un’esperienza affettiva e totale, che difficilmente può essere espressa a parole. L’importanza di questo genere di conoscenza esperienziale risiede nel fatto che essa supera la concezione razionalistica occidentale del conoscere[19]. E in cosa consiste tale tipo di esperienza, che trasforma la non-coscienza in coscienza, se non in una sorta di “risveglio” o “illuminazione”?

Buddhismo e psicoanalisi non tendono affatto a far sì che un uomo conduca una vita virtuosa, sopprimendo ogni desiderio “malvagio”, bensì si attendono che questi possano dissolversi e sparire alla luce (teoretica) ed al calore (affettivo) di un allargamento della “coscienza”. Il mutamento di un tratto nevrotico del carattere non è possibile senza perseguire il fine ben più radicale di una completa trasformazione della persona, e tale è anche la condizione essenziale della soteriologia buddhista[20].

Ciò che accomuna il buddhismo originale e la terapia psicanalitica è che questa trasformazione altri non è che un “apprendere ciò che è sempre stato”. Non vi è nessun elemento contaminante che debba essere rimosso, come nessun elemento purificatore che debba essere aggiunto, affinché si possa raggiungere il “risveglio”, e questo perché la coscienza possiede una purezza intrinseca, che si mostra quando, con l’“illuminazione”, si apprende semplicemente ciò che è, ed è sempre stato. Le qualità del Buddha non vanno indotte, basta lasciarle risplendere, e poiché sono intrinseche alla natura umana, non cesseranno mai[21].

Il presente lavoro riprende - dal punto di vista buddhista - la domanda esistenziale fondamentale, nonché – dal punto di vista psicanalitico - le condizioni psichiche che derivano dalle possibili risposte fornite dai singoli individui. La tematica viene affrontata nella convinzione che l’approccio buddhista - secondo cui l’unica verità fondamentale è che non esiste alcuna verità fondamentale[22] - sia l’unica risposta in grado di mediare tra l’eternalismo ed il nichilismo delle filosofie occidentali[23], concretamente traducibile in una psicoterapia fondata sui principi della psicoanalisi di Freud, della psicosintesi di Assagioli e della teoria dell evoluzione della personalità di Berne. Da questi presupposti[24] nasce e si sviluppa il pensiero di Giulio Cesare Giacobbe e della disciplina da lui fondata, la terapia evolutiva.

INTRODUZIONE

Il testo si propone di illustrare l’insieme di osservazioni e scoperte effettuate dal Prof. Giulio Cesare Giacobbe nel campo del buddhismo, inteso, non come religione, ma come una gnoseologia di impronta filosofica (soteriologia gnostica) ed al contempo una pratica curativa. A partire dalle basi che verranno esposte egli ha sviluppato un vero e proprio nuovo sistema psicologico di terapia, denominato terapia evolutiva, ma l’intera impostazione teorico-psicologica è innanzitutto un insieme di indicazioni, radicate nel pensiero filosofico orientale, che permettono l’autoterapia o l’autorealizzazione di ogni singolo individuo, e hanno perciò risvolti pratici.

Giulio Cesare Giacobbe ha conseguito la laurea italiana in Filosofia e il Ph.D. USA con specializzazione in Psicologia e Counseling Psicoanalitico. Ha praticato analisi personale e formazione in psicoterapia presso l’Istituto di Psicosintesi di Firenze. Ha svolto attività di docente di Lettere Italiane e Latine nella Scuola Media, nonché attività di ricercatore in storia della scienza nel CNR. È autorizzato all’esercizio della psicoterapia in Italia e negli USA ed iscritto all’Albo degli Psicologi Italiani. Dal 1999 pubblica saggi di psicologia divulgativa ed è attualmente titolare dell’insegnamento di Fondamenti delle Discipline Psicologiche Orientali presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova, dove ha tenuto anche insegnamenti di Storia delle Matematiche, Storia del Rinascimento Scientifico e Storia della Logica.

I libri maggiormente diffusi di Giulio Cesare Giacobbe sono, nell’ordine, Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita (2003), Alla ricerca delle coccole perdute. Una psicologia rivoluzionaria per il single e per la coppia (2004) e Come diventare un Buddha in cinque settimane. Manuale serio di autorealizzazione (2005). Tali titoli dal tono simpatico e accattivante contengono in realtà contenuti scientifici e divulgativi innovativi ed estremamente attuali. L’autore però, essendo fermamente convinto che «Convincere gli specialisti è difficile. Con poche eccezioni essi sono fedeli alla loro "scuola" e sono poco disponibili a prendere in considerazione nuove terapie. Specialmente in Italia»[25], ha deciso di esporre le proprie teorie con un linguaggio ed una terminologia che fossero, non solo alla portata di tutti, ma anche quotidiani ed ironici.

Il primo capitolo del presente scritto è dedicato ad un’inquadratura teorica e culturale del buddhismo originale, della figura storica del Buddha e del suo insegnamento. Il secondo capitolo è intitolato “il vero modo in cui le cose sono” in quanto vuole sottolineare come, per il buddhismo originale, la verità fondamentale circa la realtà sia esperibile solo in una situazione di passività nei confronti della realtà stessa. In esso espongo ciò che il Buddha stesso indicò essere le modalità di sofferenza degli esseri umani, le loro cause e l’approccio gnoseologico, psicologico e spirituale per liberarsene. Il terzo ed ultimo capitolo è infine dedicato alla fusione tra buddhismo originale e psicologia evolutiva presente nei testi di Giacobbe. I tre paragrafi di cui è composto sono principalmente incentrati sulla trilogia di opere prodotte dall’autore negli anni 2003, 2004 e 2005, esposte in ordine cronologico.

CAPITOLO 1

Buddhismo originale come disciplina pratica

«Possa io essere il dottore e il farmaco

E possa essere l’infermiere

Di tutti gli esseri infermi del mondo

Finché ognuno di loro sia guarito»

Canti di Śāntideva

1.1 Informazioni preliminari

Il buddhismo è una tradizione spirituale seguita e praticata da circa trecentosessanta milioni di persone, presenti in vario numero e nelle diverse parti del mondo, ma soprattutto nell’Asia meridionale, sudorientale, centrale e orientale[26]. Il movimento è nato in India ma, tra la fine del primo ed i primi secoli del secondo millennio d.C., si è estinto nel suo Paese d’origine, pur essendosi già espanso in vari Paesi dell’Asia, dove ha rivestito un ruolo di particolare importanza e si è integrato con la cultura locale, modificando e adattando la propria dottrina.

Il buddhismo è convenzionalmente inteso come un insieme di tutte le pratiche, conoscenze, credenze, visioni ed esperienze, sostenute ed espresse in un dato contesto e ritenute come derivanti da un Buddha. Fin dalle sue origini si articolò in varie scuole (diciotto, secondo la tradizione), ma attualmente viene diviso in tre correnti[27] (detti anche “veicoli”) quali la Theravãda, diffusa principalmente in Laos, Cambogia, Thailandia, Sri Lanka e Birmania, la Mahãyãna, diffusa in Nepal, Cina, Giappone, Corea e Tibet, e la Vajrayãna (o buddhismo tantrico), diffusasi più recentemente in Nepal e Tibet.

Il sostrato del buddhismo originale - solitamente ritenuto il buddhismo “basilare” della più antica scuola Theravãda[28] - è però fondamentalmente una soteriologia gnostica dai risvolti pratici. Esso è infatti una dottrina della salvezza che intende condurre ad una concreta liberazione dall’insieme di esperienze negative racchiuse dal termine duhkha (sofferenza, insoddisfazione e imperfezione) attraverso la conoscenza del “vero modo in cui le cose sono”. Nella sua lunghissima storia questa via di perfezionamento spirituale ha avuto significativi sviluppi, sia religiosi che filosofici; del resto, nessuna grande tradizione spirituale può essere soltanto religiosa, senza sviluppi speculativi o ripercussioni sociali. Anche una grande via di distacco dal mondo come il buddhismo ha avuto una forte incidenza sulla società, sulle istituzioni (come famiglia e Stato) e sulla cultura[29].

Più che una religione o una filosofia, il buddhismo originale è però un “Sasana” (insegnamento) che viene esposto ciclicamente da diversi Buddha e per l’eternità. Tale insegnamento è detto “Dhar ma” e consiste in una serie di indicazioni di carattere pratico derivate dalla comprensione della verità circa il vero modo d’essere delle cose, e questa verità, proprio in quanto oggettiva, è indipendente anche dallo stesso Buddha («che appaiano o no dei Buddha, il Dharma esiste dall’eternità»[30] ). Come altri grandissimi maestri dell’umanità (Socrate, Gesù), il Buddha non scrisse mai i suoi insegnamenti[31] e si rifiutò di nominare un suo successore, se non il suo insegnamento stesso[32] (il Dharma).

La sua dottrina si diffuse solo attraverso una immensa produzione letteraria, filosofica e religiosa, redatta in molte lingue diverse (nessuna delle quali è però quella originale del Buddha[33] ), di cui le principali sono il sanscrito e il pāli. Il sanscrito appartiene alla famiglia idiomatica indoeuropea ed è una lingua ufficiale dell’India, con cui furono scritti molti testi classici, come i Veda; con il pāli invece è stato compilato l’unico Canone buddhista completo (Tripitaka).

La dottrina buddhista ci è pervenuta solo dopo secoli dalla morte del Buddha storico, e fu accompagnata dalla dispersione geografica dei suoi praticanti[34]. Si formarono così versioni diverse del corpus canonico, a seconda di quello che le varie scuole reputavano essere il vero Canone, cioè la registrazione autentica dell’insegnamento del Buddha, scritta, subito dopo la sua morte, durante il Primo concilio buddhista (V secolo a.C.).

L’unico Canone completo, conservatosi nella sua lingua originaria ed utilizzato per delineare il “buddhismo di base”, è il Canone Theravāda o Canone pāli. Risalente all’80 a.C., questo Canone è chiamato Tripitaka o Triplice canestro, in quanto consta di tre parti, quali il Vinayapitaka (canestro della disciplina), che tratta della disciplina monastica, il Suttapitaka (canestro dei discorsi), che tratta dei discorsi e contiene varie sezioni, ed il Abhidhammapitaka (canestro della dottrina), che tratta del Dharma ed è composto da sette libri[35]. Viste le numerose scuole, vi sono tre approcci[36], tra gli studiosi, su come e quanto sia possibile utilizzare queste fonti per risalire a ciò che il Buddha avrebbe effettivamente insegnato. Un primo approccio riscontra omogeneità e sostanziale autenticità tra i diversi canoni, soprattutto il Canone pāli o Theravāda, mentre un secondo approccio manifesta un forte scetticismo sulla possibilità di risalire alle dottrine del buddhismo primitivo.

Secondo un terzo approccio sarebbe invece possibile, attraverso un’attenta analisi critica, individuare nei testi a nostra disposizione elementi più antichi ed elementi aggiunti successivamente, potendo così delineare le caratteristiche principali del più antico buddhismo originale o “buddhismo basilare”. Tale è l’approccio di Giulio Cesare Giacobbe, il quale ritiene che l’insegnamento originale del Buddha fosse un metodo psicologico pratico[37] - volto a eliminare la sofferenza e a vivere con serenità - che la tradizione ha poi trasformato in teoria[38].

[...]


[1] P. Williams e A. Tribe, Il buddhismo dell’India (2000), trad. it. di G. Fiorentini, Ubaldini Editore, Roma 2002, pp. 11-15.

[2] Ivi, p. 12.

[3] Gyatso Tenzin (Dalai Lama), H. Benson, R. Thurman, H. Gardner, D. Goleman, La scienza della mente. Un dialogo oriente-occidente (1993), trad. it. di E. Peyretti, Chiara Luce Edizioni, Pomaia 1993, pp. 39-41.

[4] Gyatso Tenzin (Dalai Lama), Salvare il domani. Conversazioni sul Buddhismo e sulla vita (2006), Mondadori, trad. it. di L. Taddeo, Milano 2006, pp. 41-52.

[5] E. Fromm, Psicoanalisi e buddhismo zen (1960), trad. it. di E. Alverà, Oscar Saggi Mondatori, Milano 2004, p. 25.

[6] Ivi, p. 7.

[7] Ivi, p. 26-28.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] Ivi, p. 32.

[11] F.W.J. Schelling, Filosofia della rivelazione (1856), trad. it. di A. Bausola, Milano, Bompiani 2002, p. 13.

[12] E. Fromm, op. cit., p. 41.

[13] Ivi, p. 55.

[14] Ivi, p. 62.

[15] Ivi, p. 60.

[16] Ivi, pp. 41-70.

[17] Ivi, p. 65.

[18] B. Spinoza, Etica (1677), a cura di R. Cantoni e F. Fergnani, UTET Libreria, Torino 2005, p. 340.

[19] E. Fromm, op. cit., p. 66.

[20] Ivi, pp. 112-116.

[21] P. Williams, Il Buddhismo Mahayana. La sapienza e la compassione (1989), trad. it. di G. Milanetti, Ubaldini Editore, Roma 1990, pp. 114-136.

[22] P. Williams e A. Tribe, op. cit., pp. 139-140.

[23] P. Williams, op. cit., pp. 69-93.

[24] G. C. Giacobbe, Alla ricerca delle coccole perdute. Una psicologia rivoluzionaria per il single e per la coppia, Ponte alle Grazie, Milano 2004, pp. 9-13.

[25] G. Proietti, Miracoli e nevrosi. Intervista al Prof. Giulio Cesare Giacobbe (2006), <http://www.

psicolinea.it/i_e/giulio_cesare_giacobbe.htm>, consultato il 11/11/2007 (ore 23:30).

[26] G. R. Franci, Il buddhismo, Il Mulino, Bologna 2004, p. 10.

[27] Ivi, pp. 27-36.

[28] P. Williams e A. Tribe, op. cit., pp. 118-119.

[29] G. R. Franci, op. cit., p. 13.

[30] Ivi, p. 16.

[31] Ivi, p. 15.

[32] P. Williams e A. Tribe, op. cit., p. 34.

[33] Ivi, p. 35.

[34] G. R. Franci, op. cit., pp. 13-16.

[35] P. Williams e A. Tribe, op. cit., pp. 35-38.

[36] Ivi, pp. 36-38.

[37] Ibidem.

[38] G. C. Giacobbe, Come diventare un Buddha in cinque settimane. Manuale serio di autorealizzazione, Ponte alle Grazie, Milano 2005, p. 11.

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Details

Titel
Buddhismo e psicologia evolutiva
Untertitel
L'insegnamento originale del Buddha e lo sviluppo della quarta personalità
Hochschule
Università degli Studi di Milano  (Facoltà di Lettere e Filosofia)
Veranstaltung
Corso di laurea triennale in Filosofia Morale
Note
110 e lode
Autor
Jahr
2007
Seiten
65
Katalognummer
V127640
ISBN (eBook)
9783640341900
ISBN (Buch)
9783640342075
Dateigröße
598 KB
Sprache
Italienisch
Schlagworte
Buddhismo, Psicologia, Giulio Cesare Giacobbe, Filosofia, Terapia Evolutiva, Filosofia Orientale, Matteo Andreozzi, Buddhismo e Psicologia, Psicologia e Buddhismo
Arbeit zitieren
Dott. Matteo Andreozzi (Autor:in), 2007, Buddhismo e psicologia evolutiva, München, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/127640

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