Il ruolo della musica nella gestione delle emozioni

Il tema del distacco


Doktorarbeit / Dissertation, 2010

190 Seiten, Note: 110/110 mit Auszeichnung


Leseprobe


INTRODUZIONE

Il pensiero razionale e le emozioni costituiscono un’unica entità complessa che non è opportuno separare: per comprendere e interpretare noi stessi e il nostro ambiente abbiamo bisogno della ragione, che ci consente di discernere e programmare in modo logico e razionale, e delle emozioni, che ci fanno agire e reagire in modo spontaneo e immediato.

Le emozioni permettono appunto a ciascuno di noi di reagire in fretta ad avvenimenti inattesi, prendere decisioni con prontezza, e stabilire con gli altri forme di comunicazione immediate, che si snodano soprattutto sui piani paraverbale e non verbale.

E’ proprio la coordinazione tra mente e affetti che consente a noi esseri umani la nostra vasta gamma di possibilità espressive, unica in natura. Ed è noto che proprio grazie alle nostre capacità espressive e comunicative ha avuto origine l’evoluzione della nostra specie.

Ma non sempre le emozioni sono vissute positivamente: a volte esse investono l’individuo con una potenza tale che egli ha difficoltà a farvi fronte. Per questi motivi i razionalisti come Cartesio[1] e Kant[2] diffidano delle passioni incontrollate, ritenendole capaci di effetti devastanti sui processi mentali.

Proprio al fine di individuare le emozioni, conoscerle, modularle e gestirle, le comunità hanno formulato, nel corso del tempo, degli obiettivi e delle strategie: gli obiettivi sono i comportamenti considerati accettabili, e le strategie per raggiungere questi obiettivi sono i percorsi seguendo i quali gli individui possono abbandonare i comportamenti socialmente riprovati e far propri comportamenti e qualità socialmente apprezzati.

La fissazione degli obiettivi e la scelta delle strategie con le quali perseguirli è compito dell’educazione, che viene impartita in maniera sistematica e intenzionale in famiglia e nelle istituzioni educative. Ma anche l’intera società ha un ruolo educante, che svolge principalmente attraverso i messaggi diffusi dai mezzi di comunicazione.

Nei tempi più antichi questa funzione è svolta principalmente dai prodotti artistici, che propongono ai fruitori dei valori da perseguire e dei comportamenti mediante i quali mettere in atto tali valori. A tal fine vengono quindi proposti a modello gli eroi, i santi, i condottieri, e così via.

Il percorso può snodarsi mostrando l’auspicabilità del traguardo positivo, o anche mostrando le conseguenze negative cui può andare incontro chi devia da quella che è considerata la retta via. Il fruitore dell’opera d’arte ha dunque modo di individuare nel personaggio rappresentato il sorgere di un’emozione, i suoi effetti e i possibili esiti della vicenda. In tal modo il fruitore è instradato a riconoscere le emozioni in sé stesso e negli altri, e ad acquisirne sufficiente conoscenza per potersi avviare a gestirle. A tale funzione, denominata “catartica” è finalizzata soprattutto la fruizione della tragedia.

In essa vengono proposte storie di personaggi che vivono determinate emozioni; il fruitore, immedesimandosi in parte nel personaggio, è indotto a sperimentare nel suo animo l’emozione rappresentata, ma ad un grado di intensità attenuato “rispetto alla vita vera”. Il minore coinvolgimento innesca nel fruitore un processo di allontanamento emotivo dall’emozione sperimentata, e gli rende così possibile, quando se ne presenti la necessità “nella vita vera”, lo stabilire una corretta distanza tra sé stesso e l’emozione in oggetto[3].

In seguito, mentre nelle prime comunità cristiane e nel Medioevo l’uomo è visto prevalentemente come viator mundi e la sua anima come terreno di scontro tra forze celestiali e forze demoniache[4], l’Umanesimo concepisce l’uomo come faber mundi, e ne postula una nuova centralità.

Proprio in ragione di questo nuovo ruolo si ritiene ora che l’essere umano armonicamente sviluppato abbia la responsabilità della propria mente e dei propri affetti, e debba dunque essere in grado di gestirli correttamente.

Viene quindi affidata ai prodotti artistici (principalmente ai drammi, ma anche alle opere d’arte visiva e ai brani musicali) la rappresentazione di alcune emozioni. Ai prodotti delle arti visive e musicali viene riconosciuta sempre maggiore importanza nel processo di generale educazione del fruitore: l’esperienza estetica, che è proprio un’esperienza di percezione mediata dai sensi (àisthesis) costituisce un’occasione di formazione culturale e valoriale.

Inoltre le opere d’arte pongono l’attenzione del fruitore sull’altro da sé, diverso ma anche simile nelle emozioni. Dunque il fruitore dell’opera d’arte impara ad individuare le emozioni e a riconoscerle in sé e negli altri, divenendo sempre più capace di trovare la giusta distanza emotiva da esse.

Diversi momenti della vita possono essere connotati da forti emozioni; tra questi vi sono indubbiamente quei momenti che segnano una separazione, un distacco dal noto per affrontare l’ignoto. Quando questi distacchi investono i nuclei fondanti di una persona, ossia i valori e le relazioni in base ai quali essa si autodefinisce (ad esempio “sono un italiano”, “sono la moglie di Massimo”), possono essere vissuti come esperienze fortemente dolorose.

Oltre a questo c’è da tener presente che vi sono epoche nelle quali i valori generalmente condivisi sono sottoposti a revisione, critica, e spesso radicale mutamento. Allora, quando ai mutamenti generali di vasta portata si aggiunge il distacco dal proprio ambiente e/o dalle persone di riferimento, l’individuo può vivere una profonda crisi.

Varie considerazioni fanno ritenere che il tempo presente sia appunto una di queste epoche, nelle quali l’intero sistema dei valori di una persona viene continuamente messo in discussione: in tale situazione generale, il subire un distacco può essere vissuto come esperienza altamente destabilizzante.

Il presente lavoro intende perciò indagare sulle seguenti ipotesi:

-l’ascolto e l’interpretazione di brani musicali relativi al tema del distacco possono delinearsi come tappe di un percorso che, oggi come secoli fa, aiuta l’individuo

- a esprimere e comunicare i suoi sentimenti più profondi
- a gestire i propri vissuti negativi
- ad acquisire un migliore equilibrio emotivo

-questi brani possono costituire per la persona dei veri e propri momenti di “educazione affettiva”.

Il lavoro è strutturato in tre parti: la prima esplora il tema delle emozioni connesse al distacco e alla separazione, la seconda indaga la gestione delle emozioni per mezzo della musica, e la terza analizza brani di varie epoche connessi al distacco. Completa il saggio un’appendice, in cui sono riportate le riflessioni sul portato emotivo di intervalli e tonalità, compiute da studiosi di diversa formazione, epoca storica e ambiente.

1.1 Unione e separazione

Unione e separazione costituiscono delle esperienze fondamentali nella vita di un individuo, e influiscono assai profondamente sul suo sviluppo. L’unione alla madre, alle figure familiari di riferimento, al gruppo familiare allargato e poi al gruppo sociale realizza il bisogno fondamentale dell’individuo di star vicino a qualcuno che gli assicuri le migliori chance di sopravvivenza e dispiegamento delle proprie potenzialità, attraverso comportamenti di protezione, sostegno e stimolo alla crescita globalmente intesa.

In effetti, l’unione e la rassicurazione che da essa deriva sono forme di comportamento sociale, utili all’individuo e alla specie, e per tale motivo si sono conservate e rinforzate nel corso del tempo, attraverso meccanismi biologici e modelli culturali.

Di conseguenza la separazione e la perdita sono esperienze che originano vissuti di inquietudine e ansia, perché per l’individuo di qualsiasi età la solitudine rappresenta un rischio per la sopravvivenza o almeno per il benessere fisico e/o psicologico.

Eppure, nel percorso di sviluppo dell’individuo, l’esperienza della separazione è fondamentale quanto l’esperienza dell’unione. Nella vita di un individuo si verificano tante separazioni: alla nascita, nel momento in cui da bambino egli amplia la sua autonomia cominciando a camminare, quando si inserisce nell’ambiente extrafamiliare amicale e scolastico, quando si confronta con l’ambiente lavorativo e la società più vasta.

Ognuna di queste situazioni porta con sé nuovi compiti e responsabilità: nel momento in cui affronta per la prima volta il nuovo, e dunque l’ignoto, l’individuo percepisce la solitudine, la mancanza del sostegno costituito dalla consuetudine e dalla protezione fisica e affettiva che avevano caratterizzato lo stadio precedente. Dunque egli si confronta con la propria difficoltà nell’appagare i suoi bisogni, e ciò suscita in lui vissuti, di titubanza, inquietudine e non raramente sofferenza e dolore.

1.2 L’emozione del dolore

Il termine “dolore” deriva dal latino “dolor ”, che aveva vari significati: dolore fisico, sofferenza, dolore morale, pena, tormento, afflizione, dispiacere; ma poteva indicare anche l’emozione e la passione.

Il greco invece disponeva di due termini diversi: “alghèo”, che mette in rilievo l’esperienza sensibile, e “pathos”, che pone l’accento sul vissuto individuale. Infatti già Platone (428 a.C. - 348 a.C.) asserisce, che il dolore può essere causato non soltanto da una stimolazione periferica, ma anche da un’esperienza emotiva dell'anima, che risiede nel cuore. Partendo da questa considerazione, Platone considera piacere e dolore come affetti, ossia come emozioni, sentimenti e passioni dell’anima, che, condividendo una stessa origine, sono strettamente connessi tra loro, pur se di portato antitetico.

Epicuro (341 a.C. - 271 a.C.) attribuisce una grande importanza al piacere e al dolore, poiché l’individuo li usa come criteri per discriminare ciò che sceglierà e ciò che invece rifiuterà. Infatti è in base alla valutazione preliminare del piacere e/o del dolore che egli si attende da un’azione, da una relazione, e così via, che l’individuo compie le sue scelte. Dunque piacere e dolore costituiscono gli elementi fondanti sui quali l’individuo costruisce il suo rapporto con la realtà materiale ed umana. In particolare piaceri e dolori dell’anima hanno sull’individuo nella sua totalità un impatto molto maggiore dei semplici piaceri e dolori del corpo. Il corpo infatti gioisce e soffre solo di ciò che sperimenta nel presente, mentre l’anima può gioire e soffrire sia per il presente, che per il passato e per il futuro, perché solo l’anima è capace di anticipazioni e ricordi.

Gli stoici (attivi tra il III sec. a.C. e il III sec. d.C.) considerano le passioni come turbamenti inopportuni dell’animo, e cause di ogni infelicità, e ne distinguono quattro specie fondamentali: desiderio, paura, dolore e piacere. Sia il dolore che il piacere vanno dunque il più possibile evitati.

Per S. Agostino (354-430) l’esperienza del dolore, sia del corpo che dell’anima, è universale, e non può essere evitata; né d’altra parte, potendo evitare il dolore, sarebbe saggio farlo, perché è per mezzo di esso che Dio richiama l’attenzione degli uomini e li induce a riflettere sulla loro vita. Il dolore in effetti, discende dal peccato, ma può dare origine ad un cambiamento, ad una conversione Anche secondo S. Tommaso (1225-1274) il dolore è una passione dell'anima, poiché anche nel caso di afflizioni fisiche è l’anima che porta le tracce della sofferenza. Ma è proprio attraverso l’anima che è possibile lenire il dolore: infatti per ridurre il dolore occorre sperimentare un piacere più grande, e poiché la contemplazione di Dio dà il massimo piacere, la fede ha il potere di consolare da ogni sofferenza[5].

Oggi si ritiene comunemente che l’individuo che sperimenta situazioni di frustrazione, di impotenza alla risposta, di separazione, di perdita, ossia situazioni strettamente legate alle relazioni che lo legano all’ambiente e agli altri, ne derivi vissuti dolorosi, che possono modificare fortemente la sua percezione di se stesso e dell’ambiente che lo circonda. Il provare dolore emotivo testimonia la capacità di riconoscere la perdita di qualcosa di importante e significativo, ed è dunque un segno di corretto funzionamento psichico e mentale. Anche cercare di evitare il dolore è un comportamento corretto, eppure proprio l’esperienza del dolore può essere l’occasione che dà il via a cambiamenti rivoluzionari.

1.3 I vissuti connessi a separazione e distacco

Ogni separazione (da un luogo, da una persona, da una fase della propria vita) può originare sofferenza interiore: l’individuo è legato ad un mondo di relazioni e abitudini, che magari non è ottimale, ma che è comunque conosciuto, e dunque fonte di qualche sicurezza. Se questo mondo entra in crisi e viene stravolto, l’individuo perde importanti punti di riferimento, sperimentando l’assenza là dove prima c’era una rete di presenze.

Il distacco origina quindi una specie di terremoto emotivo, che comporta il sorgere e a volte il perdurare di particolari emozioni ed affetti connessi col senso di perdita, che provocano spesso ansia e sofferenza.

Gli effetti del distacco si estendono su ogni aspetto del vissuto, e dunque possono amplificare l’ “inquietudine”, che, secondo gli esistenzialisti è tipica della vita umana, ma che può amplificarsi parecchio in circostanze stressanti[6].

L’individuo che sperimenta il distacco ne vive il gorgo di instabilità, solitudine, e sofferenze che mette in crisi il sistema di significati e valori che l’individuo stesso si era costruito, e la rete di luoghi, relazioni interpersonali ed attività che di questo sistema era la concretizzazione.

Tuttavia è necessario che l’individuo affronti la perdita delle sue certezze, ridefinendo se stesso e i ruoli che si trova ad agire, e dunque rinegoziando e ridefinendo i suoi rapporti con l’ambiente e con gli altri. Il mondo del presente, che di attimo in attimo si trasforma in mondo del passato, non può dunque essere visto come certezza immutabile, ma piuttosto come sponda dalla quale darsi la spinta propulsiva ad andare avanti, a progredire, crescendo e maturando.

Indubbiamente però un distacco può essere vissuto come una grave minaccia alla propria esistenza, quasi come un’amputazione di una parte di sé. L’individuo è costretto a ridefinirsi proprio partendo dalla scoperta della misura della sua vulnerabilità.

Il distacco ha il potere di scuotere fortemente l’individuo, perché spezza uno degli istinti più radicati, comune all’uomo e ad alcune specie animali: l’attaccamento.

2.1 L’attaccamento

Il primo momento della nostra vita comincia con un distacco, dall’originaria fusione col corpo della madre, che garantiva la massima protezione e sicurezza. Assai precocemente il neonato comprende che la madre, da cui è ora fisicamente distaccato, ma che comunque fa parte della sua vita e si prende cura di lui, è in grado di affrontare il mondo in modo adeguato. E’ nei confronti della madre, perciò, che si sviluppa la prima esperienza di attaccamento, che intende sopperire al distacco fisico per mezzo di un legame intenso, complesso e in ogni caso profondamente significativo.

L’attaccamento alla madre costituisce il primo forte legame emotivo del bambino con un’altra persona, e dalla sua riuscita dipende in larga misura la capacità dell’individuo (anche ormai adulto) di relazionarsi positivamente con gli altri.

E’ anche grazie ad un positivo rapporto con la madre che un individuo, bambino o adulto, dispone di energia psichica, fiducia e voglia di agire da investire nel volgersi verso l’esterno. Gli studi dello psicanalista John Bowlby (1907- 1990) hanno dimostrato che uno sviluppo adeguato dell’attaccamento costituisce una premessa indispensabile per l’armonico sviluppo e la salute, olisticamente intesa, di un individuo. In realtà ogni essere umano presenta già dalla nascita una predisposizione innata a mantenere una stretta relazione con la figura genitoriale di riferimento: la motivazione innata di tale comportamento risiede principalmente in una ricerca di contatto, di conforto e di protezione, piuttosto che in una strategia volta a soddisfare le proprie necessità fisiologiche.

La figura di riferimento ha dunque il compito biologico e psicosociale di fungere da “base sicura” , dalla quale il bambino possa partire per entrare nel mondo esterno, e alla quale possa ritornare in caso di bisogno, sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato.

Questo compito può essere realizzato al meglio se la figura di riferimento aiuta il bambino a distinguere e identificare le emozioni che sta vivendo: nella prima età infantile, infatti, le emozioni sono esperite in termini essenzialmente somatici, e la verbalizzazione aiuta il bambino a far chiarezza in se stesso, a comprendere il suo vissuto e a dargli strumenti per poterlo gestire efficacemente.

Il comportamento di attaccamento si manifesta con maggiore evidenza quando il bambino percepisce se stesso come bisognoso di vicinanza, attenzione e cure, ossia quando si sente preoccupato, spaventato, affaticato o malato. Appena ricevuta l’attenzione e le cure considerate necessarie, il soggetto riduce i suoi comportamenti di attaccamento, e manifesta, nel gioco, nell’esplorazione dell’ambiente e così via, comportamenti di maggiore indipendenza.

Le esperienze effettivamente vissute da ciascun individuo nell’infanzia, influiscono profondamente sul suo sviluppo. Secondo Bowlby si possono strutturare i seguenti tipi di configurazione:

Configurazioni di tipo A (distanzianti)

Il bambino ha un genitore che lo accudisce nei bisogni pratici, ma, di fronte a richieste di conforto, non è in grado di fornire empatia. Il bambino interiorizza allora il disagio del genitore di fronte all’intimità e al contatto emotivo e considera la distanza come l’unica modalità efficace per relazionarsi all’altro. Le persone distanzianti affermano la propria indipendenza, sono orientate al compito e cercano di fare tutto da sole. Mantengono un atteggiamento di distanza e possono sviluppare forti difficoltà a comunicare sul piano dei sentimenti. La difficoltà a riconoscere ed esprimere le emozioni fa sì che esse vengano spesso somatizzate dando luogo a disturbi fisici.

Configurazioni di tipo B (sicure/autonome)

I soggetti sicuri/autonomi hanno vissuto nell’infanzia esperienze di protezione, conforto, condivisione emotiva che hanno fornito loro una base sicura. Essi riconoscono il proprio bisogno degli altri e contemporaneamente la propria autonomia. In una situazione di separazione sono in grado di gestire le emozioni negative, e hanno la fiducia di trovare nuovi rapporti gratificanti.

Configurazioni di tipo C (invischiate/preoccupate)

La figura di riferimento si mostra imprevedibile, incostante, a volte intrusivo. Perciò i soggetti invischiati/preoccupati possono manifestare forte ansia nelle relazioni intime, con paura di essere abbandonati e forti spinte al controllo e alla gelosia, oppure sviluppano atteggiamenti di dipendenza e compiacenza. Cercano di controllare l’altro con la rabbia, di mantenere viva l’attenzione anche quando non ne hanno bisogno, alternando comportamenti aggressivi e comportamenti di richiesta di contatto e consolazione.

Questi soggetti hanno difficoltà a crearsi un’identità autonoma, a separare il passato dal presente, ad integrare sentimenti negativi e positivi. Hanno bisogno dell’altro per regolare le proprie emozioni e mantenere un senso di sé stabile: per tali motivi vivono la separazione con ansia estrema

Configurazioni di tipo D (irrisolte/disorganizzate)

Questa categoria è caratterizzata dalla presenza di lutti e traumi non risolti: questi possono appartenere alla vita del soggetto stesso (ad esempio, in conseguenza di episodi di maltrattamento infantile) o anche alla vita della madre (ad esempio, in conseguenza di sindromi depressive della madre). Il bambino presenta frequentemente comportamenti disorganizzati, stereotipie stato di iperallerta.

Risulta evidente che è indispensabile che il bambino impari a distinguere innanzi tutto tra esperienze somatiche ed esperienze psicologico-emotive, e in secondo luogo, tra le diverse esperienze psicologico-emotive. Questo gli permetterà di comprendere che emozioni intense e contraddittorie possono sorgere da un unico sé. L’integrazione del sé si sviluppa quando il soggetto riconosce ed accetta le varie componenti del sé, ed egli può farlo appunta se il suo modello, la sua figura di riferimento, le riconosce e le accetta in lui[7].

Quando invece la figura di riferimento non riconosce gli stati affettivi del bambino, o li percepisce come pericolosi e dunque li respinge, anche il bambino non riesce a far chiarezza dentro di sé, e devia gli stati affettivi al di fuori della consapevolezza[8]. Se il bambino non è consapevole dei propri stati emotivi, non potrà identificare con sicurezza i propri desideri e bisogni, e questo ulteriore elemento di confusione può condurre, oltre che al disconoscimento del mondo emotivo, anche ad una sua parziale relegazione nel registro somatico, contribuendo alla difficoltà di integrazione fra elementi somatici, emotivi, cognitivi e comportamentali.

Poiché la corretta percezione delle sensazioni e delle emozioni è indispensabile per far fronte alle situazioni di pericolo, un inadeguato sviluppo di essa espone il soggetto ad una maggiore difficoltà nella regolazione e gestione delle proprie emozioni, aumentandone la vulnerabilità[9].

Si evince dunque che la percezione e la gestione delle emozioni hanno un’importanza fondamentale nella formazione dell’identità.

2.2 L’identità

Il concetto di identità riguarda la relazione reciproca che vi è fra due insiemi: da un lato c’è l’insieme dei modi in cui l’individuo considera e costruisce se stesso come membro di determinati gruppi sociali: la nazione, la classe sociale, il gruppo culturale, l’etnia, il genere, la professione, ecc.

Dall’altro c’è l’insieme dei modi in cui le norme di quei gruppi consentono a ciascun individuo di pensarsi, muoversi, collocarsi e relazionarsi rispetto a sé stesso, al gruppo a cui afferisce e ad altri gruppi, percepiti come esterni.

Analogamente, il processo di formazione dell'identità si può distinguere in due componenti: una di identificazione e una di individuazione. Con la prima il soggetto prende a modello le figure rispetto alle quali si sente uguale e con le quali condivide alcuni caratteri; produce il senso di appartenenza a un'entità collettiva definita come "noi" (famiglia, gruppo di pari, comunità locale, nazione, correligionari, ecc.). Con la componente di individuazione il soggetto fa riferimento alle caratteristiche che lo distinguono dagli altri, sia dagli altri gruppi a cui non appartiene (e, in questo senso, ogni identificazione/inclusione implica un'individuazione/esclu- sione), sia dagli altri membri del gruppo. Anche da questi, infatti, il soggetto si distingue, per le sue caratteristiche fisiche e morali e per una propria storia individuale (biografia) che è sua e di nessun altro.

Ciascun individuo, per la molteplicità di relazioni affettive, amicali, professionali in cui è coinvolto, riveste più ruoli; la sua identità è dunque composta da svariati elementi, che discendono dal modo in cui l’individuo definisce se stesso all’interno delle varie relazioni.

Proprio il gran numero di relazioni che ciascun individuo intreccia ha un effetto equilibratore: anche se una delle relazioni dovesse venire a mancare, originando una crisi, non per questo l’individuo smarrirebbe il senso della sua identità. Tuttavia bisogna considerare anche l’investimento emotivo che il soggetto pone in una relazione: più egli considera importante la sua relazione con una persona, con il suo gruppo di riferimento, con la sua terra natale, più centrale diventa questa relazione nella sua vita, e dunque potenzialmente più destrutturante se ne rivela il distacco.

C’è poi da considerare che, per l’unicità del soggetto e la natura di sistema delle relazioni sociali che egli instaura, ogni relazione è in un certo senso un nodo di un’unica rete, e ogni mutamento che si verifica all’interno di un elemento del sistema non può che riflettersi sull’equilibrio del sistema stesso. Così, ad esempio, il distacco da una terra non comporta soltanto l’abbandono di un luogo fisico, ma anche di tutti i rapporti personali che il soggetto ha sviluppato, all’interno dello spazio in questione, con sé stesso, con gli altri individui e con i vari gruppi sociali che a questo luogo sono collegati[10].

2.3 Il senso di perdita e l’elaborazione del lutto

Il momento del distacco, che sancisce la separazione, può dunque essere connotato da un forte senso di perdita, che pone al centro del vissuto il limite, la finitezza della relazione con un luogo, un periodo della propria vita, un altro da sé. Quando tale distacco investe i valori più profondi di un individuo, ossia destabilizza e modifica le relazioni che l’individuo ritiene essenziali nella concezione che egli ha di se stesso, è vissuto come un evento traumatico che scuote le fondamenta stesse dell’identità.

Ma nel momento stesso in cui l’individuo riconosce la sofferenza per la perdita, avvia il processo detto “di elaborazione del lutto”, e inizia un nuovo periodo, che prelude al cambiamento.

L'"elaborazione del lutto" consiste nel lavoro di rielaborazione emotiva dei significati, dei vissuti e dei processi sociali legati alla perdita dell'"oggetto relazionale": essere vivente, luogo, oggetto con cui l’individuo aveva sviluppato un legame affettivo significativo.

Questo comporta grandi trasformazioni delle immagini mentali di sé, dell’oggetto relazionale perduto (che potrà essere conservato come ricordo) e del legame che connetteva il sé all’oggetto relazionale stesso. Il processo di elaborazione del lutto conduce gradualmente a una progressiva consapevolezza della perdita subìta una sua accettazione profonda, maturata attraverso l'integrazione di ogni aspetto di sé implicato nella perdita una stabile ristrutturazione emotivo-cognitiva della percezione di sé, che tenga pienamente conto della perdita un riconoscimento schietto del dolore che si sta vivendo un rinnovato accogliere, stimare e volere bene al sé sofferente.

Quando il processo si svolge positivamente conduce a “collocare nel passato” ciò che è effettivamente passato, e dunque a “lasciarlo andare”. L’individuo che sa “lasciar andare” il passato senza perdere l’integrazione del sé ha compreso che deve mantenere la solidità del legame non tanto con l’oggetto relazionale che ha perduto, quanto piuttosto con tutte le parti dell’intimo sé. Un sé integrato ed armonico è segno di salute psichica e mentale, e al suo interno possono anche trovar posto la memoria e il ricordo, che consentono una speciale forma di permanenza dell’oggetto relazionale perduto e della relazione che lo legava al soggetto.

Per essere in grado di raggiungere questo traguardo l’individuo deve sviluppare il proprio mondo interiore, ossia saper riconoscere e gestire non soltanto i processi e i prodotti della sua razionalità, ossia il pensiero logico, ma anche i processi e i prodotti a-razionali, e cioè le emozioni, i sentimenti, gli affetti.[11]

3.1 Percezione, individuazione e gestione delle emozioni

L'intelligenza emotiva è la capacità di un individuo di percepire, individuare e gestire le emozioni proprie e altrui. Si fonda sull’introspezione, che permette di acquisire la consapevolezza dei moti del proprio animo, e sull’”ascolto empatico” dei propri interlocutori, che consente di cogliere nel loro comportamento tracce e indizi delle emozioni da essi vissute. Sviluppare la propria intelligenza emotiva dà all’individuo l’opportunità di vivere meglio, perché gli dà gli strumenti per scegliere i comportamenti più opportuni, attuando i quali egli potrà raggiungere gli obiettivi personali e sociali che egli considera importanti.

Secondo Salovey e Mayer[12], i cui studi vengono poi continuati da D. Goleman[13], dà prova di intelligenza emotiva chi

- è consapevole delle proprie emozioni
- sa individuare i motivi profondi che le originano
- sa regolare le proprie emozioni
- è capace di empatia nei confronti degli altri
- sa attuare comportamenti che tengono conto delle emozioni degli altri e dei motivi profondi che le originano.

In effetti, gli stimoli esterni che pervengono al cervello vengono elaborati cognitivamente nella neo-corteccia. Ma prima di arrivarvi passano attraverso il sistema limbico e il talamo, detto cervello emozionale.

Dunque, prima ancora di poter concepire un pensiero, l’individuo reagisce velocemente agli stimoli esterni per mezzo delle emozioni, reazioni affettive in genere brevi ma intense, che insorgono all’improvviso in risposta agli stimoli ambientali. Sono queste che gli permettono di distinguere rapidamente ciò che può giovargli da ciò che può danneggiarlo, e dunque consentono la distinzione degli stimoli in positivi, negativi, piacevoli, nocivi, e così via. In base a questa quasi istantanea valutazione il soggetto può decidere se affrontare la situazione che ha originato lo stimolo, allontanarsene o al contrario ricercarla nuovamente.

E’ evidente che, se un soggetto è incapace di distinguere e interpretare le sue emozioni, può facilmente adottare comportamenti che si rivelano per lui svantaggiosi o addirittura nocivi, originando uno stato di disagio o addirittura di malessere, fisico oltre che emotivo. Viceversa, il benessere fisico influisce su sentimenti ed emozioni, orientandoli alla positività, e a loro volta le emozioni positive influiscono beneficamente sul corpo.

Le emozioni hanno un aspetto oggettivo, in quanto sono originate da stimoli esterni, e un aspetto soggettivo, in quanto soggetti diversi possono reagire in modi assai differenti ad una stessa situazione-stimolo. Ciò avviene perché sono diversi da persona a persona i modelli operativi interni, che a loro volta derivano da schemi mentali ed esperienze pregresse.

In definitiva, le emozioni dirigono gran parte dei processi decisionali, e dalle scelte compiute dipende in larga misura il benessere presente e futuro di un individuo e del gruppo in cui questi è inserito.

In effetti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la “promozione della salute” come “il processo che consente alle persone e alle comunità di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e di migliorarla".

Nel documento "Life Skills Education" (1993) l’OMS individua le competenze psico-sociali o capacità di vita che permettono di disporre di una vasta gamma di comportamenti versatili e positivi, grazie ai quali affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita dì tutti i giorni.

Tra esse vi sono:

- l'autoconsapevolezza
- la gestione delle emozioni
- la comunicazione efficace
- l'empatia[14].

Quindi promuovere la salute della persona e della comunità significa anche promuovere la salute interiore, psichica ed emozionale: la salute e il benessere sono strettamente collegati anche allo stile di dialogo con sé stessi, allo stile di relazione con gli altri e agli stili pro-sociali di partecipazione alla vita di comunità.

E’ fondamentale dunque non soltanto per ciascun individuo, ma anche per la stessa comunità promuovere attività e percorsi che instradino al raggiungimento di tali traguardi.

L’educazione alla consapevolezza, comprensione e gestione delle proprie emozioni e dei propri comportamenti avvia nell’individuo un percorso di crescita e sviluppo del sé olisticamente inteso, grazie al quale egli potrà dirigere l’energia emozionale ai fini desiderati, raggiungendo più agevolmente un efficace equilibrio psicosomatico. A sua volta questo è la premessa indispensabile affinché l’individuo stesso possa porsi, e poi raggiungere, nuovi e più ambiziosi traguardi di self-efficacy[15].

3.2 La gestione delle emozioni per mezzo dell’arte

La promozione della capacità di gestire le emozioni è stata affidata, nel corso dei secoli, a vari strumenti e percorsi; alcuni di essi sono fondati sull’utilizzo di quegli specialissimi strumenti che sono i processi e i prodotti artistici. Grazie a opere poetiche e letterarie, opere d’arte visiva, brani musicali, e grazie naturalmente a tutti gli eventi multi-arte (spettacoli coreutici, opere liriche, ecc.), il fruitore è guidato a

- sviluppare l’ ascolto e il riconoscimento delle emozioni altrui, identificandole nei prodotti artistici
-ad accrescere l’empatia
-saper esprimere in modo artistico, e cioè creativo e costruttivo, i propri stati d’animo

e dunque ad acquisire l’abilità di modulare e gestire le proprie emozioni e di regolare il proprio comportamento.

Attraverso la rappresentazione artistica, infatti, il fruitore può prendere contatto e comprendere gli aspetti profondi della sua realtà psicologica ed esistenziale, smorzandone l’effetto emotivo immediato. Vedere le passioni da una certa distanza, ossia vederle rappresentate, senza esserne né il soggetto né l’oggetto, può infatti contribuire alla comprensione del loro significato, in quanto il fruitore può esperire l'emozione senza esserne sommerso. Nello stesso tempo la comunicatività del prodotto artistico evita il rischio dell’eccesso di distanza, che si tradurrebbe per il fruitore in un distacco privo di emozioni.

[...]


[1] Cfr. Cartesio, Le passioni dell ’ anima, a cura di S. Obinu, Bompiani, Milano, 2003

[2] P. Giordanetti, L ’ estetica fisiologica di Kant, Mimesis, Milano, 2001, pp. 177-9

[3] R.J. Landy, Drammaterapia. Concetti, teorie e pratica, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 1999, p. 138

[4] G.B. Ladner, Homo viator: Mediaeval Ideas on Alienation and Order, in Speculum - A Journal of Mediaeval Studies, XLII (1967), 2, pp. 233-59

[5] Cfr. G. Reale e D. Antiseri, Storia della filosofia, 3 voll., La Scuola, Brescia, 1997

[6] Cfr. V. Frankl, La sofferenza di una vita senza senso. Psicoterapia per l'uomo d'oggi, ElleDiCi, Torino, 1992; M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 2005; R. May, Psicologia esistenziale, Astrolabio, Roma, 1970; J.P. Sartre, L ’ esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano, 1990,

[7] Cfr. J. Bowlby, Attaccamento e perdita, vol. I: L ’ attaccamento alla madre, Bollati Boringhieri, Torino, 1999; J. Bowlby, Attaccamento e perdita, vol. II: La separazione dalla madre, Bollati Boringhieri, Torino, 2000; J. Bowlby, Attaccamento e perdita, vol. III: La perdita della madre, Bollati Boringhieri, Torino, 2000

[8] Cfr. D.N. Stern, Il mondo interpersonale del bambino, Boringhieri, Torino, 1987

[9] Cfr. G. Liotti, Le opere della coscienza. Psicopatologia e psicoterapia nella prospettiva cognitivo-evoluzionista, Milano, Cortina, 2001.

[10] P. Terenzi, Identit à, in S. Belardinelli, L. Allodi (a cura di), Sociologia della cultura, Franco Angeli, Milano, pp. 89-104

[11] Cfr. L. Stephen, Il dolore inascoltato. Elaborazione del lutto e percorsi per la rinascita del cuore, Sensibili alle Foglie, Roma, 2006

[12] P. Salovey, J.D. Mayer, “Emotional intelligence , in Imagination, Cognition and Personality, 9 (1990), pp. 185 - 211

[13] Cfr. D. Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1999

[14] Cfr. P. Marmocchi, C. Dall'Aglio e M. Zannini, Educare le life skills. Come promuovere le abilit à psico-sociali e affettive secondo l'organizzazione Mondiale della Sanit à, Erickson, Trento, 2004

[15] Cfr. A. Bandura, Self-efficacy: the exercise of control, New York, Worth Publishers, 1997; J.E. Ormrod, Educational Psychology, Developing Learners 5th Edition, Upper Saddle River, N.J/Columbus, OH, Pearson/Merrill Prentice Hall, 2006

Ende der Leseprobe aus 190 Seiten

Details

Titel
Il ruolo della musica nella gestione delle emozioni
Untertitel
Il tema del distacco
Note
110/110 mit Auszeichnung
Autor
Jahr
2010
Seiten
190
Katalognummer
V153078
ISBN (eBook)
9783640652488
ISBN (Buch)
9783640652884
Dateigröße
4466 KB
Sprache
Italienisch
Anmerkungen
Il lavoro è strutturato in tre parti: la prima esplora il tema delle emozioni connesse al distacco e alla separazione, la seconda indaga la gestione delle emozioni per mezzo della musica, e la terza analizza brani di varie epoche connessi al distacco. Completa il saggio un’appendice, in cui sono riportate le riflessioni sul portato emotivo di intervalli e tonalità, compiute da studiosi di diversa formazione, epoca storica e ambiente.
Schlagworte
distacco, attaccamento, identità, elaborazione del lutto, intelligenza emotiva, gestione delle emozioni, teoria degli affetti, figure retoriche, intervalli, tonalità
Arbeit zitieren
Professor Alessandra Padula (Autor:in), 2010, Il ruolo della musica nella gestione delle emozioni, München, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/153078

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