La Metafisica dell'Arte attraverso l'Opera di Richard Wagner

Edizione aggiornata e corretta


Essay, 2011

176 Seiten


Leseprobe


INDICE

NOTA DI PRESENTAZIONE

INTRODUZIONE: IL PERCHÉ DELLA RIPRESA DELL'OPERA DI WAGNER

CAPITOLO I. WAGNER: L'ESTETICA E LA RIFLESSIONE FILOSOFICA TEDESCA
1.1 Wagner e la Romantik: Novalis, Hölderlin e Schiller
1.2 Wagner e Goethe: Faust e l'Eroica di Beethoven
1.3 Wagner-Schopenhauer-Nietzsche: una triade

CAPITOLO II. WAGNER: L'OPERA E LA RIFLESSIONE TEORICA
2.1 L'opera d'arte, l'avvenire e l'arte tedesca
2.2 Bayreuth
2.3 La e-vocazione, i temi e le figure

CAPITOLO III. WAGNER: LE FIGURE DELL'EROE
3.1 Lohengrin
3.2 Tristan
3.3 Parsifal

CAPITOLO IV. DER RING DES NIBELUNGEN: L'OPERA DELLA TOTALITÀ
4.1 La metafisica del Der Ring des Nibelungen
4.2 L'assoluto ed il tempo: la super-temporalità del Der Ring des Nibelungen
4.3 Der Ring des Nibelungen quale autentica rappresentazione della Gesamtkunstwerk

CONCLUSIONI: L'OPERA WAGNERIANA QUALE RAPPRESENTAZIONE DI UNA RIFLESSIONE DELLA TOTALITÀ

BIBLIOGRAFIA

NOTA DI PRESENTAZIONE

Il presente lavoro rappresenta la rielaborazione, più estesa e completa, della mia tesi discussa nella mattinata del 3 dicembre 2010, presso l'Università degli Studi di Milano. Il lavoro, La Metafisica dell'Arte attraverso l'Opera di Richard Wagner, viene presentato come un saggio monografico, con un più ampio apparato critico e bibliografico più esteso, tendendo così ad ovviare alle critiche mosse verso il mio lavoro di tesi. Lavoro di tesi che presentava alcuni passaggi, oppure delle scelte teoretiche od interpretative, che richiedevano forse più spazio, di quello che viene normalmente consentito ad un lavoro di tesi specialistica o magistrale. Problematiche che dunque hanno ottenuto, attraverso questa versione in saggio, un loro proprio ed autentico dis-velamento, per quanto abbia cercato di fornire chiarimenti in loro proposito, attraverso sia l'estensione dell'apparato in nota, sia dello stesso corpo testuale[1].

INTRODUZIONE: IL PERCHÉ DELLA RIPRESA DELL'OPERA DI WAGNER

Vogliamo in tale sede riflettere sull'opera d'arte wagneriana, evidenziando come nella sua costituzione essa si viene a porre quale una autentica metafisica dell'arte, in grado di poter avere ancora la grande forza espressiva delle forme di cui essa si fa portatrice. Quanto appena affermato è ascrivibile a quella costellazione che rappresenta la Totalità stessa, l'universalità nella sua più autentica complessità, nell'unione sia dell'idea che della manifestazione. In questa prospettiva riveste un ruolo di centralità la struttura evidenziabile a partire dal testo poetico del Der Ring des Nibelungen, dalla quale è possibile evincere la natura ultra-temporale della stessa opera wagneriana[2]. Di quest'arte vogliamo sottolineare la sua propria capacità di manifestare l' ideale nella forma, che si viene a manifestare per mezzo delle figure degli eroi, che godono della facoltà di imprimere nel trascorrere temporale la loro forza espressiva. Una capacità della forma che, nella sua complessità e possibilità dell'espressione, ha la possibilità di oltre-passare il muro del tempo[3], rendendo il gesto dell'eroe ed egli stesso eterni, immortali tra i mortali, nell'assoluta impossibilità di perire al trascorrere del tempo. La domanda che infatti bisogna porsi, in una possibile riflessione che riprende alcune opere o caratteristiche della produzione wagneriana, è come mai a distanza di tempo quest'opera, in concomitanza alle successive evoluzioni della storia dell'arte e dell'estetica, risulta ancora fortemente attrattiva oppure degna di spunti per nuove riflessioni teoriche. In verità possiamo cogliere la molteplicità dei suoi aspetti evidenziando in essa un notevole punto di incontro di quelle che furono le differenti espressioni di quel periodo, di quel particolare momento del pensiero che fu la Romantik. Gli aspetti più rivoluzionari, quanto quelli più conservatori, trovano tutti una propria manifestazione concreta nella poliedrica produzione del Compositore di Leipzig. La stessa ripresa di quelli che erano le due fronti della tradizione germanica, ovvero l'elemento esplicitamente pagano, quanto quello di matrice cristiana, ritrovano entrambi una nuova veste, in aperta unione e con-crescita[4] l'uno nell'altro, nella magnificenza della costellazione di melodia e poesia della sua opera.

Nel percorso che intendiamo seguire vogliamo dapprima portare all'evidenza i legami teorici sussistenti tra Wagner ed alcuni fondamentali autori della Romantik, in modo da poter evincere e sottolineare quelli che sono i caratteri costitutivi di questa metafisica dell'arte. Pertanto la nostra interpretazione si fa carico della necessità di dover individuare i nodi concettuali di questa struttura metafisica, attraverso alcune considerazioni volte a potare all'emersione i legami tra l'Opera di Wagner ed autori quali Novalis, Hölderlin, Schiller e Goethe. In questi casi l'analisi specifica di determinate tematiche porterà a far emergere il carattere costitutivo dell'opera wagneriana, evidenziandone i punti fondamentali, individuandone quel sotterraneo Grund der Abgrund che percorre tutta la sua riflessione e la sua produzione artistica. Nel medesimo tempo l'analisi viene ad individuare il ruolo costitutivo di queste concettualità, nella generale struttura dell'opera wagneriana, attraverso anche la considerazione dei legami concettuali con gli altri autori considerati. Queste considerazioni di carattere strutturale terminano il loro percorso nel prendere atto dei legami sussistenti tra la produzione wagneriana e quelle che sono le riflessioni di Nietzsche e Schopenhauer, necessari per una maggiore esaustività della descrizione dei caratteri eroici della produzione di Wagner.

Portati all'evidenza questi collegamenti teorici, si presenta la possibilità di affrontare direttamente il carattere teorico dell'Opera di Wagner, attraverso le sue considerazioni estetiche e di riflessione sull'arte, in concomitanza anche a quelle che sono le sfere dell' etico, del religioso e del politico. Nell'esplicazione di questi concetti si rende necessaria una considerazione dei nostri stessi strumenti interpretativi, rappresentati da alcune particolari categorie concettuali riconducibili alla stessa struttura evidenziata nell'Opera di Wagner. Tali categorie sono rappresentate dai concetti di evocazione, tema e figura, la cui importanza interpretativa sussiste nel particolare rapporto teoretico che esse intrecciano tra di loro, andando a costituire quella che è l' espressione manifestativa dei drammi stessi[5]. Attraverso questi concetti siamo in grado di proseguire nella nostra interpretazione, nella considerazione che l'Opera di Wagner conserva in sé un particolare carattere espressivo, in grado di oltre-passare la barriera del decadimento temporale, nel suo autentico recupero, per mezzo del suo spirito, di quella vena antica quanto eroica, che nuovamente assopita dimora nel fondo della modernità. Evincere questo carattere eroico, e-vocarlo, ponendolo nella sua piena e chiara manifestazione, è compito di quel particolare carattere che è l' eroe wagneriano. Di questo carattere eroico consideriamo le sue quattro grandi espressioni, ognuna con una sua peculiarità, quali sono Lohengrin, Tristan, Parsifal e Siegfried. L'analisi introspettiva delle opere, della loro struttura poetico-narrativa, insieme a quella specifica dei singoli personaggi eroici, ci riporta alla mente e nel presente, quella potenza e pienezza d'espressione e coinvolgimento di spirito, che oramai sembrano di un tempo passato e lontano[6]. Nel presente attuale, nel quale l'arte sembra avere perso la sua piena potenza d'espressione, rinunciando al suo ruolo di legislatrice dell'umano, questa ripresa sembra offrire un nuovo panorama ed una nuova possibilità alla stessa generale concezione dell'arte[7]. Quello che preme sottolineare è proprio la forza dello spirito espressivo che in essa aleggia, che con furiosa ed irruente forza trascina il suo osservatore, trasportandolo nel sublime mondo dell'idea, ponendolo dinnanzi a quelle che sono le autentiche potenze etiche ed ideali dell'umano. Una pienezza d'espressione e di capacità, di porre d'innanzi a questi concetti, che non avrebbero alcuna rilevanza senza appunto l'oggetto della loro discussione. Un'arte che dunque ha perso questa pienezza, che ha perso questa forza di rompere e prepotentemente imporsi sul proprio tempo superandolo. Un'arte che non ha nulla da condividere, sul piano del contenuto, con quella che invece si presenta come una espressione artistica priva di ogni barriera nel tempo. Bisogna quindi intendersi sullo specifico fatto che nessuna di queste componenti sussista l'una senza l'altra all'interno dell'opera wagneriana, poiché questa armonia, questa immortale unione, è ciò che spinge verso la possibile riflessione a partire da essa[8]. La raffinatezza espressiva, la pienezza della forza manifesta della forma, insieme alla ricchezza e complessità dei temi, costituisco quei caratteri che presentano l'aperto contrasto con quella che è la contemporaneità, sia nostra che quella in cui Wagner stesso visse. Già la sua epoca soffriva di quel germe che sarebbe poi sbocciato nella sua attuale pienezza, già allora si respirava il sentore di un Nihilismo imperante non solo nell'arte ma sulla stessa umanità Occidentale. Quello che sembrerebbe un'inevitabile tramonto dell'Occidente, trova ancora una sua possibile àncora di salvezza, un punto fisso al quale attraccare la propria nave e permettere un'eversione evolutiva verso una pienezza espressiva dello spirito, che nulla abbia da rimproverarsi rispetto al suo passato. La nostra analisi giunge a questo proposito nel suo fine, nella possibilità di mostrare questa potenza espressiva dell'arte che si fonda sull'annullamento del declino nel tempo, nella sua capacità, attraverso le sue figure e temi di essere essa stessa imperitura, come gli spiriti degli eroi che canta. Nonostante le tematiche o le ambientazioni appartengano pienamente al passato, od addirittura attingano la loro forma dal fiabesco o dalla leggenda, esse non sono mai scisse dal loro tempo nel mondo[9]. Wagner stesso e la sua opera si sono mostrati come ottimi osservatori di quello che era, e tutt'ora è, il dramma dell'uomo contemporaneo. Il saper porre in evidenza, in una nuova veste, il carattere faustiano ed anelatore dell'uomo contemporaneo per mezzo delle figure di Alberich oppure degli altri personaggi pieni di brama della Tetralogia. Essa rappresenta una nuova prospettiva di vedere l'umanità, nella sua dimensione mitico-simbolica, grazie al gioco dell'allegoria ed insieme la funzione rim-memorativa data dai Leitmotive, permette a Wagner non solo di distanziasi da Goethe o dai suo predecessori, ma anche di giungere ad un livello di originaria espressione, che non è ravvisabile nella produzione a lui contemporanea. La sua unicità di trasmetterci caratteri del moderno, per mezzo delle allegorie ereditate dalla cultura germanica, ci pone nella continuità delle interpretazioni, non dunque una staticità di modelli prefissati, ma piuttosto la poliedrica vastità e differenziazione del contemporaneo, attraverso elementi appartenenti ad una matrice universale. Difficilmente ritroviamo altre manifestazioni caratterizzate da una così alta espressione di quello che è il disagio dell'uomo contemporaneo, di fronte al più puro dei sentimenti, l' amore, che nella modernità ha assunto pure lui una sua venatura nihilista. Insieme all'amore ritroviamo anche quello che è il comune rapporto dell'uomo coi suoi simili, come la stessa amicizia, guastato dalla brama e dalla corruzione[10]. Basti porre l'esempio dato da questo legame tra gli uomini che si ritrova così corrotto dall'invidia e dell'impotenza, come avviene nel caso del Parsifal, oppure come questo viene invece sottomesso all'effetto del più funesto ed ambizioso movimento di anelo, nella rappresentazione che ci viene offerta per mezzo della Tetralogia. Con questa affermazione vogliamo giungere all'accenno di quello che è il progetto wagneriano della Gesamtkunstwerk, dell' opera d'arte totale, quale espressione assoluta di quella universale metafisica dell'arte. Il progetto di quell'arte che presenta la potenza di coinvolgere non solo tutti i sensi, ma anche la stessa universalità dei concetti, che sappia quindi cogliere l'idea e porla d'innanzi all'uomo nella sua più sublime rappresentazione. Sottolineiamo come questa concettualità non sia un mero concetto specifico od ascritto al particolare, ma sono delle potenze universali nelle quali l'umano pone il suo più altro riferimento.

Se dunque la ripresa di Wagner possa sembrare una proposta non tanto antiquata, quanto piuttosto restrittiva, è possibile rispondere a questo nella piena espressione che questa arte universale, dalla valenza totale e che si fregia di tacciare direttamente le potenze etiche che sovrastano l'uomo. Un'arte che presenta sempre in sé un carattere vivo, che come i suoi contenuti, è capace di scavalcare la decadenza del trascorrere temporale, non essendo solamente i suoi eroi immortali, ma anche la sua stessa costituzione si ritrova qualificata di questo titolo di Eterna nel Tempo[11].

CAPITOLO I. WAGNER: L'ESTETICA E LA RIFLESSIONE FILOSOFICA TEDESCA

Il cigno, il cigno!

Ecco ch'egli nuovamente s'avvicina!

Il cigno! Ahimè, egli s'appressa![12]

1.1 Wagner e la Romantik : Novalis, Hölderlin e Schiller

Possiamo considerare, quale punto di partenza della nostra riflessione, quello che è il legame tra Wagner con gli autori ed i pensatori della Romantik. Come alcuni critici tendono a sottolineare[13], il legame più strettamente visibile con la Romantik si evidenza a partire dal primo Wagner sino al Wagner del Lohengrin[14], per quello che riguarda la tematica e la struttura delle sue opere. Dal punto di vista della riflessione teoretica-estetica possiamo invece parlare di una estensione di questo, nel senso che possiamo considerare sempre permanente, quello che è lo Spirito della Romantik, lungo tutta la riflessione wagneriana ed anzi, come questi torni ad emergere anche nelle ultime opere del Compositore di Leipzig. Nell'evidenziare questo legame sarà sempre necessario non tanto il riferimento agli scritti teorici, quanto piuttosto ai drammi stessi, attraverso i quali il pensiero della Romantik viene portato a rappresentazione, ed in particolare il nostro punto di riferimento sarà costituito dal Der Ring des Nibelungen. Nell'osservare lo sviluppo dell'opera wagneriana, attraverso la prospettiva delineata da Thomas Mann[15], possiamo delineare una continua unità, che rafforzerebbe quelle che sono le critiche alle note nietzschiane. Riprendendo le parole di Mann osserviamo che «quando Nietzsche ci presenta l'ultimo Wagner come uno che, vinto, si abbatta improvvisamente ai piedi della Croce di Cristo, egli non vede, o vuole che non si veda, quanto l'atmosfera sentimentale di Tannhäuser preannunzi quella di Parsifal, sintesi di una produzione fondamentalmente romantica e cristiana, portata alla conclusione con perfetta coerenza»[16]. Proprio questa coerenza e continuità, che affonda le sue radici nello Spirito Romantico è ciò che anima e vivifica continuamente l'opera wagneriana; quella fonte inesauribile di spirito che sempre emerge e ritorna in ogni composizione o foglio di partitura. Se possiamo dunque parlare di origine, o di spirito che anima e vivifica l'intera opera wagneriana, lo dobbiamo fare in riferimento alla Deutsche Romantik. Origine questa che è a sua volta riconducibile, in maniera preminente, tanto all'influenza dell'opera di Novalis e Hölderlin quanto a quella di Schiller e Goethe[17]. Attraverso questi quattro fondamentali autori, tenteremo di evidenziare il legame profondo tra l'opera wagneriana e la Romantik[18]. Partendo dall'opera novalissiana possiamo notare quanto essa sia quella che possiamo definire la filosofia dell'armonia tra l'uomo e la natura. Quanto la sua poetica, quanto la sua visione della Cristianità rientrino e ritornino, in diversi momenti e prospettive, all'interno dell'opera wagneriana. Osservando attentamente l'intera produzione di Wagner possiamo affermare quanto l'ideale novalissiano delle commistioni uomo-natura, della filosofia che diviene poesia e organicamente ricostituisce la Totalità, trovi una sua propria rappresentazione nelle scene e nelle partiture del Compositore di Leipzig. Possiamo notare come, nell'intera costellazione wagneriana, questo ideale sia in particolare modo presente all'interno delle figure della natura richiamate dalla Tetralogia. Seguendo ora un percorso tracciato all'interno delle opere, possiamo constatare come l'elemento naturale in Wagner sia in totale accordo con l'intero ideale romantico della natura[19]. Se infatti per Novalis[20] la poesia può rappresentare la sintesi tra la filosofia naturale ed il sapere scientifico, ovvero la commistione ed il superamento dialettico, tra quella che è una rappresentazione organico-metamorfica ed una analitica del Tutto. Questo superamento rappresenta, ed è concatenato ad una ulteriore fase di superamento dialettico, quella più profonda dell'uomo con l'elemento naturale. Se infatti il superamento delle dif-ferenze, di quelle che sono le modalità conoscitive dell'uomo, nei confronti della natura, ha come conseguenza quella della formazione di una visione organicista della conoscenza umana, nella quale ogni elemento è preso e considerato in rapporto all'universale, alla Totalità. Nell'eguale modo la concezione wagneriana del rapporto tra umano-naturale, porta alle conseguenze di un uomo che, nel suo ritornare all'elemento naturale, supera l'iniziale contrasto dialettico e quell'iniziale incomunicabilità con la natura[21]. Questo passaggio è soggetto a differenti interpretazioni, nonché si presenta sotto forma di differenti rappresentazioni. La più significativa di queste è rappresentata nelle ultime battute della scena II dell'atto secondo del Siegfried, dal libretto wagneriano possiamo leggere:

(Fafner morendo s'è voltato sul fianco. Siegfried ora gli estrae la spada dal petto. Nel far questo, la sua mano viene irrorata dal sangue: la mano gli trasalisce con violenza) Come fuoco brucia questo sangue! (Porta involontariamente le dita alla bocca per succhiarne via il sangue. Mentre guarda pensieroso innanzi a sé, la sua attenzione viene sempre più attratta dal canto degli uccelli della foresta)[22].

A seguito di questo ciò che prima era il canto degli uccelletti[23], indistinto ed appartenente al suono della natura, diviene ora per Siegfried voce chiara e distinta, volendo precisare la natura, l'oggetto parlante, si rivolge comprensibilmente al soggetto stesso. Possiamo qua scorgere quello che è il parallelismo con il testo de I discepoli di Sais di Novalis e la fiaba di Hyazinth e Rosenblüthchen[24], in esso presente. Anche qua la natura, l'oggetto, si rivolge al soggetto sovvertendo quello che è il legame uomo-natura. Non dunque Hyazinth che si rivolge per primo ai fiori vicino alla fonte, ma questi ultimi per primi lo salutano e lo accolgono presso di loro. Non dunque l'uomo che si interroga nei confronti della natura, ma questa che è in commistione con l'uomo, non persistendo alcun distacco da esso. Questo legame, che Novalis evoca durante tutto il testo, rinvia all'elemento fiabesco, oltre che rappresentare tanto il sentimento di anelito dell'uomo romantico, quanto quello dell'eroe e uomo wagneriano. Esso rappresenta quello slancio titanico dell'uomo che rompe le proprie catene costrittive per l' oltre-di-sé, un uomo che si eleva oltre il proprio essere umano, nel contrasto col non-Io della natura, per ritornare in- sé, edificato dallo scontro di quello che era il rappresentante di un nómos vincolante. Non quindi un atto titanico di distruzione, ma l'inizio di un atto di costruzione. A questo livello possiamo notare come l'idea che il vero maestro deva essere apostolo della natura assume in Wagner una particolare connotazione[25]. Se infatti la natura, profondamente nichilista dell'opera wagneriana, sembra essere qua in contrasto con la risoluzione armonica dell'uomo con le sue proprie dicotomie, altrettanto però non è possibile affermare come questa presenti un contrasto, se rapportata alla rievocazione dell'aurea epoca passata[26]. Proprio la struttura romantica a fondamento dell'opera wagneriana è ciò che salvaguarda la natura stessa dal Nihilismo imperante nella sua opera, ovvero per mezzo ed attraverso di esso, poiché la natura si pone quale termine ultimo delle serie dialettiche presenti nelle opere stesse. La natura assurge, in tutta la sua concezione romantica, quale termine di ultimo ritorno ed anelo dell'opera wagneriana. Essa si presenta nella poesia dei libretti, quanto nella melodia delle partiture, quale armonia ed equilibrio a cui fare ritorno; ma il percorso che si delinea attraverso le opere ci presenta differenti forme della natura, ereditate proprio dalle differenti concezioni sviluppate dalla Romantik. Se infatti l'intento di Novalis è una ricongiunzione uomo-natura per mezzo di quella che è la poesia che diviene poesia, nel medesimo tempo possiamo notare come questa ricongiunzione avviene in Wagner per mezzo dell'opera stessa. Se Novalis vuole organicamente unire e far convivere, nello stesso piano, tanto la natura razionale quanto quella poetica dell'uomo, in Wagner abbiamo che l'uomo, nella sua forma iniziale contrastante con la natura[27], attraverso tanto i confronti quanto le sconfitte, nei riguardi di essa, viene al termine dell'opera a ricongiungersi nella ritrovata armonia primigenia con il mondo naturale. Una ricongiunzione questa che avviene anche al prezzo della caduta dell'ordine cosmico dell'umano. Proseguendo lo studio del legame con l'opera novalissiana possiamo scorgere ulteriori spunti di natura teorica. Rimanendo pertinenti al percorso sino ad ora delineato possiamo riprendere, dalla tematica della natura, quello che è il tema dell' evocazione e del passato. Lo sguardo rivolto al passato, volto all'unità originaria, è una delle chiavi di volta delle strutture wagneriane poiché, proprio tramite l'anelito ad esso, ed attraverso il percorso tracciato dal fato, verso quello che sembra irraggiungibile, si vengono a svolgere le intere vicende delle sue opere. Questa ricerca dell'unità e dell'armonia originaria, che tanto è d'impatto nella costituzione del Der Ring des Nibelungen, presenta un'evidente correlazione con la tematica naturale. Se in questa origine l'uomo e la natura non presentano alcun contrasto, poiché in totale unità, ma nell'ora del tempo presente risultano invece separati dal taglio della spada della moda, poiché tra di essi è venuto ad inserirsi quella che è la negazione della loro originaria organicità. La ricerca analitica dell'umano nella natura, o la volontà di possedere essa, quanto la stessa avidità di Alberich, sono il germe della rottura originaria. Una differentia abissale che viene a farsi presente quando, tra l'uomo e il suo iniziale essere, si insinua quella che è la decadenza. Una décadence che spinge l'uomo verso un'epoca in cui nella realtà la natura razionale tende alla oggettivizzazione e cosalizzazione di ciò che lo circonda, una realtà in cui il valore della tradizione tende ad essere soppresso di fronte all'impossibilità di un ritorno a quel che era-passato. Questa esperienza emerge anche dallo spirito dello stesso Novalis[28] de I discepoli di Sais, di come Egli vive il momento in cui le scienze, separandosi dalla filosofia naturale, diventano da questa sempre più indipendenti, separandosi in seguito l'una dall'altra, acquisendo una maggiore specificità ed autonomia. Attraverso questo sviluppo Novalis coglie il rischio di una frantumazione dell'originaria unità derivante dalla filosofia, con la conseguente generazione di quella che è una vera e propria crisi dell'unità della conoscenza. A questa crisi si annette in seguito quella che è la scissione dell'uomo, quale elemento naturale e di mondo, dalla stessa natura. L'uomo diviene così l' osservatore che sempre più si distanzia dal proprio luogo primigenio, che viene a porre la natura quale oggetto della propria analisi frantumatrice. L'uomo viene a ritrovarsi nella condizione di ridurre, quello che prima era un vero e proprio unico corpo, ad una indistinta quantità di parti morte, private della propria originaria unità e della completezza che le ha generate. Alla visione analitica e separatrice della modernità, che ha perso la visione unitaria della Totalità, si contrappone quello che è il desiderio del singolo di ricondursi alla originarietà, quel desiderio soggettivo di trascendere i limiti imposti dalla conoscenza e dall'umano per ritrovare la sua primordiale armonia[29]. Questo rappresenta il desiderio della soggettività stessa del soggetto, di superare la negatività nei confronti della natura in cui è posto, rappresenta il desiderio titanico di ergersi oltre di essa, di sovrastarla, per poter tornare ad essere parte ed unità con essa del tutto[30]. Queste sono le parole del poeta romantico, della ricerca del sublime confronto e ricongiungimento con la natura. A questo proposito ci si richiama tanto a Novalis quanto a Hölderlin e Schiller, nel volgere lo sguardo al passato ed alla Classicità. Quanto gli occhi di Hölderlin e Schiller sono rivolti alla Classicità greca tanto quelli di Novalis si volgono al Medioevo. Nel saggio La Cristianità, ovvero l'Europa[31] l'occhio di Novalis è particolarmente rivolto al Medioevo ed all'unità che esso rappresenta, che affonda la propria radice nella Cristianità d'Europea. Saggio questo che, seppure pubblicato solo nel 1826[32], può aver costituito una probabile lettura del giovane Wagner che, in totale accordo con la Romantik, non esclude dalle proprie opere le tematiche od i miti derivanti dal Cristianesimo medievale[33]. Nel presente saggio Novalis scorge e ribadisce la possibilità della rigenerazione dell'Europa attraverso la missione spirituale affidato al padre della Cristianità sin dal Medioevo; proprio in quest'epoca sorge quello che è il senso religioso che pervade la Storia. Attraverso questo rigenerazione e ritorno all'unità medievale si richiama non solo quello che è il senso religioso e spirituale, ma anche lo stesso bisogno dell'evocazione, della re-evocazione, di quelle che sono le figure eroiche e spirituali che pervadono la letteratura romantica. Non è un caso parlare di evocazione e re-evocazione proprio perché questa è una ricerca dello spirito e della spiritualità medievale[34]. La stessa missione spirituale pervade l'Opera di Wagner, la stessa forma e formazione dei suoi eroi, seppure evocata anche attraverso quello che è il mythos germanico ed il suono degli antichi cantori, passa attraverso questa missione di rinnovamento. Proprio attraverso lo studio proposto da Mann possiamo sottolineare e porre in primo piano il presente legame formativo nei confronti di questa sfaccettatura della riflessione novalissiana. Abbiamo già in precedenza sottolineato come Mann[35] tenda a porre in particolare evidenza il come nell'intero percorso musicale e teorico di Wagner permanga sempre, quale sostrato fondante, l'intera Weltanschauung della Romantik. Attraverso questo contesto non può venir meno l'immagine ed il richiamo al passato, in particolare, delle figure del Medioevo mitologico e cristiano. Dobbiamo ora sottolineare un passaggio teorico, che accomuna tanto Wagner ed i pensatori della Romantik, ovvero per quale motivo parlare di figure, di evocazioni e di immagini di una determinata epoca? L'intento della riflessione novalissiana, quanto l'intento dell'opera wagneriana non sono né la ricostruzione storica né quella della conservazione del passato, ma piuttosto l'estrazione dalle immagini, dalla letteratura quanto dalla musica, di quello che è lo spirito di un'epoca. Le figure di un'epoca divengono delle archè oltre-epocali, ma tale idea o costruzione non è possibile senza l'immagine dell'unità, sia essa quella di una generale Weltanschauung quanto piuttosto quella di una unità spirituale. Come possiamo rileggere questo nell'Opera di Wagner? Se l' immagine del Medioevo è re-introdotta e rivalutata da Novalis quale immagine di un'epoca in cui l'unità religiosa era anche l'unità dell'epoca stessa, riletta quale sigillo che contiene ed è contenuto nell'epoca stessa, allo stesso modo questa immagine di unità o di arché alla quale fare ritorno è rappresentata in Wagner da una legge, che potremmo definire quale nómos armonico. Nella serie delle opere wagneriane questo nómos si evidenzia in maniera esplicita e completa nella trama della Tetralogia. Attraverso la riflessione novalissiana il Cristianesimo si presenta quale rievocazione di un'epoca passata caratterizzata, in generale, da una presente unità, che forgia sia gli interessi quanto le vite stesse delle singolarità[36]. Esso si presenta non solo come continuum in cui si muovono le singole monadi, ma è anche il vettore teleologico del loro stesso avvenire; il tempo sembra essere dominato, quanto direzionato, da esso: «Erano tempi belli, splendidi quando l'Europa era un paese cristiano, quando un'unica Cristianità abitava questa parte del mondo plasmata in modo umano; un unico, grande interesse comune univa le più lontane province di questo ampio regno spirituale»[37], ed ancora leggiamo come «con che serenità ognuno poteva portare a termine il suo quotidiano lavoro terreno dato che, tramite questi uomini santi, veniva per ognuno un futuro sicuro e passo falso, cancellato e ripulito ogni punto della vita che presentasse un colore stonato»[38]. Riprendendo le parole di Korff possiamo definire la ricerca novalissiana, insieme a tutta quella romantica e wagneriana, quale ricerca del nutrimento del bisogno metafisico dell'uomo[39]. Una ricerca questa che si sviluppa attraverso lo sviluppo dell'ideale della forza creatrice dell'uomo, di una forza formativa e creatrice. Ma quale forza coesiva caratterizza quanto appena detto e come possiamo ricondurlo alla produzione ed opera wagneriana? Riprendendo ancora lo scritto novalissiano de l' Europa possiamo notare come si sviluppi quel concetto di unità arcaica, come esso sia uno dei motori e promotori della stessa direzione dello sviluppo dell'umano. Possiamo notare come Novalis sottolinei quel passaggio, da egli definito come da amore e fede a sapere ed avere, attraverso parole tanto nostalgiche, quanto allo stesso tempo protese allo sviluppo:

Per questo splendido regno l'umanità non era ancora matura, non era ancora abbastanza formata. Fu un primo amore, che si assopì sotto la pressione della vita commerciale, il cui ricordo fu soppiantato da preoccupazioni egoistiche il cui legame, proclamato a gran voce inganno e illusione e valutato secondo esperienze acquisite successivamente, fu reciso per sempre da gran parte degli Europei […] L'annientamento di quel senso immortale non è possibile, ma lo è un suo offuscamento, un infiacchimento, un soppiantamento da parte di altri sensi[40].

Ma quale era questo splendido regno? Questa è la Ordnung medievale, l'ordine dell'unità spirituale-temporale delle differenti disposizioni dell'uomo, che nel suo oltre-passarne i significati storico-politici, rappresenta il superamento delle dicotomie dell'essere umano scisso tra il soggettivo-oggettivo, il razionale-l'irrazionale. L'abbandono, Verlassen, od annientamento, Vernichtung, di questa unità o senso immortale è rappresentato dalla scelta dell'umana modernità di affidarsi ciecamente ad una singola visione analitica, ad uno solo dei sensi componenti l'unità, oppure di ridurre la realtà a sé presente quale fondo da sfruttare, dai cui attingere il sostentamento per il proprio bisogno di vitale egoismo. A tale riguardo continua Novalis:

Una convivenza prolungata degli uomini diminuisce le inclinazioni, la fede nella stirpe e li abitua a rivolgere ogni sforzo unicamente agli strumenti per garantirsi il benessere; i bisogni e gli artifici per soddisfarli si fanno sempre più elaborati […] In caso di conflitto gli sembra che l'interesse del momento sia quello più chiaro, e così cade il bel fiore della sua giovinezza, la fede e l'amore per far posto ai frutti più rozzi, il sapere e l'avere[41].

Cos'è questo se non la wagneriana décadence di Alberich ? L'essere basso e terreno, oscurato dall'avidità e dalla brama di possedere quello che non gli appartiene? Ma ora non è tanto la lezione morale della lezione wagneriana che ci interessa, quanto piuttosto il parallelo metafisico delle Ordnungen evidenziate. Arrivando verso le conclusioni di quello che è il debito di Wagner nei confronti della generale riflessione novalissiana, possiamo vedere come questa sia il Grund der Abgrund di quella che è l'idea di armonia ed ordine nella riflessione e poetica del Compositore di Leipzig. Ma ancora dalle parole di Novalis possiamo trarre quello che è lo schema di questo conflitto di spiriti, fra sapere e fede:

questa separazione si accentuò sempre più e gli eruditi conquistarono tanto più terreno quanto più il clero dell'umanità europea si avvicinava al periodo dell'erudizione trionfante, e il sapere e la fede entravano in opposizione più marcata. Nella fede si cercò il motivo del ristagno generale e si sperò di eliminarlo per mezzo di un sapere che in quel ristagno si aprisse un varco[42].

Ma dalla religione il senso moderno esteso oltre il proprio riguardo di odio e che, entrando in diretto conflitto con le altre componenti dell'idilliaca unità originaria, ha generato le contrapposizioni dell'ultima età dell'uomo:

l'odio nei confronti della religione si estese, in modo perfettamente naturale e conseguente, a qualunque cosa fosse oggetto dell'entusiasmo, dichiarò eresia la fantasia e il sentimento, la moralità e l'amore per l'arte, il futuro e il passato […] e mutò l'infinita musica creatrice dell'universo nello stridio monotono di un enorme mulino azionato dalla corrente del caso e in sua balìa, un mulino in sé, senza costruttore e senza mugnaio, un vero e proprio perpetuum mobile, un mulino che macina sé stesso[43].

È la lotta perpetuata nella modernità dalle facoltà dell'uomo[44], che insieme all'avidità produttiva ha generato ed alimentato il conflitto ideale, come anche ha promosso il processo di separazione dell'uomo dal mondo, quanto quello dell'uomo dagli altri uomini. Questa è ancora nuovamente la rottura dell'originale armonia sigillata dall' Oro del Reno, poiché sapientemente Wagner rappresenta in scena quelli che sono gli ideali romantici[45]. Ciò è simboleggiato da Alberich che cinto dall'elmo magico ha sottomesso i Nibelunghi. Egli nel suo detenere l' Oro del Reno ha accettato il verso il rifiuto dell'amore, per accettare invece il sentimento di avidità che qua simboleggia non solo il rifiuto del sentimentale, ma che pure è la perdita del carattere poetico, non solo del proprio essere, ma pure nel rapportarsi con la natura. Il suo sottomettere i Nibelunghi è rappresentazione e simbolo di quel mulino che macina sé stesso , sino alla propria auto-lacerazione. Un mulino che si lacera da sé, come l'uomo immerso in un mondo che oramai è mero oggetto della sua conoscenza ed avidità. Un mulino che nel suo rapportarsi col mondo viene a distruggere non solo l'iniziale rapporto in cui esso si trova, ovvero nella possibilità che eredita dalla passata armonia, sino a distruggere la propria essenza d'essere quale parte dell'unità, presente nella propria dialettica interiore[46]. Ma come è possibile dunque ricongiungere le due dimensioni oramai lacerate? La via è indicata da Novalis nei segni di una nuova epoca provenienti dalla Germania[47]. Lo spirito che anima questa parte dell'Europa eccelle in entrambe le dimensioni evidenziate, sia nelle scienze che nella poesia, in senso più generale si evidenzia lo sviluppo della Filosofia. Novalis evidenzia le nuove caratteristiche di questo spirito che tende alla propria crescita e formazione:

qui e là si incontrano, spesso acutamente unite, una versatilità senza pari, una profondità straordinaria, una politezza splendida conoscenze ampie e una fantasia ricca e robusta. Sembra risvegliarsi ovunque un presentimento potente dell'arbitrio creativo, dell'assenza di barriere, dell'infinita varietà, della sacra peculiarità e dell'onnicapacità dell'umanità interiore[48].

Quello che possiamo ora scorgere dalle parole novalissiane è il nuovo genio romantico, quelle che Egli qua evidenzia sono le sue peculiari caratteristiche, la creatività, la ricerca della libertà, l'anelo all'infinito, il sublime e un primo germe di quello che è il desiderio titanico della sua propria interiorità[49]. Chiudiamo ora i cerchio tematico relativo a Novalis accendo al legame sotterraneo tra l'opera wagneriana ed i versi degli Hymnen an die Nacht e la loro tematica di riflessione sulla morte, in cui affonda le proprie radici la concezione dell'amore dei personaggi wagneriani. Nel leggere gli Inni è possibile sin da subito notare il contrasto mondo del giorno-regno della notte, ma questa contrapposizione non è la semplice distinzione di luci-ombre, ma piuttosto l'identificarsi del primo con il vano quotidiano, che corrode il nostro spirito, insieme al deciduo esistere del mondo infra-mondano; mentre il secondo è da identificarsi con la quiete superiore ed un etereo abbandono amoroso. Si evince dunque il legame tra amore e morte,il loro intrecciarsi in un dis-piegarsi poetico che chiude il cerchio della Totalità. Possiamo raffrontarci alle tematiche wagneriane leggendo, a titolo d'esempio, i versi iniziali dell'inno secondo: «Deve il mattino sempre ritornare?/ La potenza terrestre avrà mai fine?/ Consuma un vano affaccendarsi il volo/ celeste della notte. E mai l'offerta/ segreta dell'amore/ arderà in eterno?»[50], ma questo non è il comune sacrificio di Tristan e Isolde ? Entrambi consacrati alla notte, ma come ci ricorda Mann il debito del Tristan verso Novalis va ben oltre, poiché la sensualità e la metafisica provengono direttamente dalla riflessione novalissiana[51]. Ancora possiamo notare come anche gli amori della Tetralogia affondino qua le loro radici. Si pensi al tradimento di Brünnhilde nei confronti di Siegfried, Ella per gelosia rivela a Hagen l'unico punto mortale dell'uomo che amava, portandolo così alla morte. Eppure è da sottolineare come l'erotica del loro amore superi questa morte, poiché in verità in quel suo desiderio di morte è celato il desiderio della loro ricongiunzione. Nel riprendere Novalis in proposito Mann afferma: «hanno più remota origine, vengono dal fervore malato di Novalis, che scrive: “Le nozze che ci dànno una compagna per la notte sono unione conclusa anche per al morte. Nella morte l'amore ha la maggiore dolcezza; per l'amante la morte è una notte nuziale, un mistero di dolci riti”»[52]. Questo legame dell'amore sacrifico, insieme ad altre tematiche, la più presente delle quali è la redenzione, è il fondo delle relazioni che si intrecciano all'interno delle opere: con un sacrificio e redenzione si conclude l' Olandese volante,[53] amore-redenzione sono lo stesso motore della poetica di Tannhäuser, infine con un ripudio dell'amore e l'intromissione del peccato nel mondo inizia la Tetralogia, che si conclude nell'incendio finale e purificatore che accoglie nel suo cerchio di chiusura la tematica del sacrificio-amore, che accoglie in sé la dimensione tematica della redenzione del mondo[54].

Proseguendo il nostro percorso possiamo ora occuparci del particolare legame che invece unisce la poetica e la riflessione hölderliniana alla produzione wagneriana. Certamente il carattere di spicco ereditato da Hölderlin è quello del titanismo insito, in particolar modo negli eroi wagneriani. Dobbiamo fare ora precisare una distinzione, infatti tale carattere si presenta pure sia nelle figure goethiane che in quelle schilleriane, assumendo in Hölderlin una costituzione del tutto differente. Come possiamo notare le figure di Wagner ereditano tutte le tre possibili sfumature del titanico. L'eroe hölderliniano si caratterizza per la sua natura prometeica di sfidare gli eventi, non tanto un atto che oltre-passa il terreno quale il gesto di Werther, o l'intera vicenda di Faust, quanto piuttosto esso rimane e permane nella sua terrea esistenza. Un eroe che supera attraverso un gesto di sfida quella che è l'avversione dei fatti o del quotidiano, riuscendo ad elevare il proprio gesto oltre le sabbie sedimentatrici del Tempo-Dimenticatore. Non tanto una gestualità eclatante, ma piuttosto un'azione semplice e pura, capace di scardinare le trame consuete dell'ordinarietà. Le due figure eroiche alle quali rifarsi sono dunque Hyperion ed Empedokles. Partendo da Hyperion notiamo come esso diviene sì una figura eroica, ma parte e rimane pur sempre una classica figura umana. Egli è vivo grazie alle proprie speranze e delusioni, è richiamato dalle figure del passato, dall'eroicità plutarchea e dai miti dell'Antica Grecia nelle quali riconosce, come fa il pensatore romantico, l'epoca e le figure alle quali rifarsi, alle quali tendere per cambiare l'attuale presente. Eppure Egli non si dona subito all'azione, deve attendere l'incontro con Diotima e innamorarsi di lei, poiché è la figura del suo amore che lo spinge infine all'azione. Esso è in sé una figura completa nello spirito, ma manca della forza per donare al suo pensiero la possibilità di tramutarsi in azione concreta. Hyperion è immerso nella condizione dell'uomo combattuto in sé, che non vuole perdere quello che concretamente è la sua possibilità. Questa sua volontà d'agire gli proviene proprio da quello che gli impedisce l'iniziale azione, l'amore per Diotima[55]. Proprio Diotima, la fonte della sua volontà d'agire ed imporsi agli eventi, è la maggiore vittima della guerra, consumata dal dolore della presunta morte dell'amato. L'eroe, senza la sua figura ispiratrice è come un poeta dimenticato dalla Musa, decade e muore nello spirito. Egli diviene spirito errante e reietto, inversamente a quanto invece accade nella vicenda dell' Olandese, nella quale è l'amore a salvare l'eroe tragico, ma piuttosto qui si ha la perdita dello spirito che più è affine all'eroe, la cui perdita lo porta alla personale dannazione[56]. Quello di Hyperion è un destino differente, un destino più affine a quello di Rienzi, egli da spirito errante diviene uno spirito solo, ma esso, nella sua solitudine raggiunge quello di cui l'azione l'ha privato, l' assoluto. Assoluto che si presenta per messo del legame con la natura e la sua riscoperta, dove egli ritrova la consolazione dello spirito di Diotima. Attraverso il riecheggiare della voce dell'amata egli ritrova il ricordo oramai perduto, trasfigurandolo in una contemplazione del proprio spirito. Proprio nel dolore e nella solitudine troviamo il gesto titanico, il superamento dell'oscurità della morte e del tempo, paragonabile all'azione di Siegfried che attraverso le proprie gesta riesce a risvegliare dal sonno di fiamme Brünnhilde.

Attraverso una differente sfaccettature ritroviamo invece la figura di Empedokles, in cui la sua morte ed il personale annientamento sono i mezzi per imporsi al mondo ed oltre-passarlo. Nel caso di Empedokles la natura non assolve più il ruolo conciliatorio per sopperire alla morte, ma piuttosto è la sua venerazione, commista alla vita troppo ristretta per l'uomo che spinge l'eroe al gesto epico della morte. La misura della vita dell'uomo non può essere in accordo con la libertà e la forza di spirito di un dio[57]. Basta solo la stessa natura decidua dell'uomo, sottostante al tempo e morente in esso, per non essere più concorde con un simile spirito. Quello che qua è da considerare è il profondo legame che si innesta tra l'eroicità del gesto di Empedokles, che ne rivela la vera natura e forza divina, con la stessa vicissitudine della complessa eroicità di Siegfried. Entrambi sono caratterizzati dall'azione che tende al divino, ma se l'eroicità di Empedokles si rivela solo alla fine della propria vicissitudine, purché nel suo agire mortale già riveli questa tendenza, in Siegfried invece essa permane sempre, egli è già frutto del divino, la sua azione è già divina, ma essa viene suggellata dal bagno nel sangue di Fafner ed il suo ricongiungimento con la Totalità. Empedokles è l'emblema del titano hölderliniano, proprio perché egli è uomo nella misura in cui già non lo è più. Empedokles è a conoscenza di quello schema che si muove sotto la natura. Empedokles è consapevole dei legami e delle leggi, che oltre-passano il senso comune di intendere la natura, poiché egli è partecipe del divine in quanto uno nel tutto. Proprio la Totalità stessa lo spinge al suo gesto oltre-epocale, che lo consacra nel mondo portandolo oltre di esso. Questo agire è ciò che lo rende simile a Prometèo, in quanto è l'uomo che per mezzo del suo gesto di sfida contro un'entità superiore si eleva oltre di essa, superando il nómos temporale, raggiungendo col suo agire l'eternità e l'assoluto oltre-mondano. In ciò è simile all'eroicità di Siegfried, che nel momento del bagno e del nutrirsi col sangue del drago diviene il Sigur ðr dalla pelle coriacea delle leggende norrene, poiché non solo il suo spirito è segnato dalle sue gesta, divenendo un simbolo immortale, ma pure il suo corpo si innalza verso i bastioni dell'immortalità[58]. Il parallelismo con le figure eroiche hölderliniane è anche un confronto di poetiche, tramite esso possiamo infatti scorgere anche il sublime delle gesta cantate. Quello che infatti caratterizza i differenti modi di rappresentare ed e-vocare l'eroe è proprio la consuetudine data dal gesto. In entrambi gli autori questo gesto non può che con-fondersi con la rappresentazione del sublime. In entrambe le poetiche il gesto titanico è un gesto di sublime evocazione, proprio perché ci pone dinnanzi ad una non misurabile gestualità. Nel porre un esempio possiamo notare come il suicidio di Empedokles, quanto le gesta di Siegfried, godano di una natura sublime rispetto l'atto del suicidio di Werther. In tutti e tre i casi non è possibile scindere il gesto dal rapporto del soggetto con la natura, poiché tutti e tre non si presentano privi di un legame poetico con essa e di una consapevolezza della Totalità, seppure in differenti misure ed accezioni. La figura di Werther è infatti una figura che gode solamente della poeticità, forse addirittura la esalta e ne è una delle massime raffigurazioni. Il suo legame con la natura è intimo quanto poetico, poiché in questo suo rapportarsi ad essa[59] si avvicina all'essere sublime, se non che questo viene a limitarsi ad un puro richiamo nell'evocazione del sublime. Esso è un soffio, un fievole anelo ad esso, troppo debole perché egli sia concettualmente o in rappresentazione veramente sublime. Empedokles quanto Siegfried godono già dell'essere sublimi, nella loro essenza eroica già hanno raggiunto questo traguardo e non potrebbero essere tali senza il sublime, questo anche all'infuori della propria rappresentazione. Già concettualmente essi esprimono questo loro carattere dell'animo; un animo che appunto titanico supera non solo la mondanità, per mezzo di una trasfigurazione, ma che pure supera i vincoli delle catene del tempo, raggiungendo quella che è l'eternità. Empedokles col suo suicidio si eleva come Siegfried ad un livello divino, il suo gesto si contrappone ad un nómos temporale e terrestre, ma non è contrario a quello della Totalità, anzi ne incarna la propria rappresentazione. Questo è quello che accomuna l'eroe hölderliniano a quello di Wagner, il corrispondere ad una legislazione suprema superiore a quella del singolo individuo o collettività terrena, in concomitanza al fatto che essi si muovono come dèi in terra, anziché come semplici uomini mortali[60].

La precedente trattazione della figura eroica, in relazione al sublime ed alla sua natura oltre-temporale, ci conduce alla trattazione del legame insito tra l'estetica ed il tragico di Schiller[61], in rapporto con la riflessione e l'Opera di Wagner. Prima di addentrarci verso la formulazione di un parallelismo tra le differenti figure eroiche è necessario raffrontarsi con la teoria estetica schilleriana ed il legame teorico d'unione con Wagner. L'estetica di Schiller è caratterizzata da un particolare sostrato metafisico che viene ad emergere attraverso le Lettere sull'educazione estetica dell'uomo[62], esse sono strutturate affinché questo sostrato, che è la matrice dominante di tutta la riflessione filosofico-estetica schilleriana, possa affiorare. Tale sostrato risulta evidente attraverso il superamento di alcuni lasciti della filosofia kantiana, che già viene puntualizzato ed affrontato da Schiller a partire dalla lettera undicesima. Attraverso questa lettera Schiller introduce la distinzione tra il concetto di persona e il concetto di stato: «Se l'astrazione si eleva quanto più può, giunge a due concetti ultimi, ai quali deve arrestarsi riconoscendovi i propri limiti. Essa distingue nell'uomo qualcosa che permane e qualcosa che si muta costantemente. Chiama persona ciò che dell'uomo permane, suo stato ciò che si modifica»[63]. Questi concetti sono correlati ad un'altra coppia concettuale, quella di permanente e mutevole che Schiller viene ad enunciare nella seguente proposizione: «“Il tempo è la condizione di ogni divenire” è una proposizione identica, non dicendo altro che: la successione è la condizione del derivare di qualcosa»[64]. Possiamo notare come in questa seconda coppia sia ripresa, in chiave temporale, la terminologia della coppia precedentemente introdotta, i cui elementi sono ora inseriti in due dimensioni metafisicamente inconciliabili di dentro/fuori dal tempo, ma simultaneamente presenti nell'uomo. Questo è uomo che, nel suo permanere come persona, presenta una continua mutevolezza dei propri stati, in cui l' essenza e l' esistere permangono in una continua discrasia[65]. Ma questo non vale per un Io assoluto, che, in permanente eternità, porta le due caratteristiche metafisiche a coincidere[66]. Nella divinità, nell'Io assoluto, in cui le due caratteristiche vanno a coincidere, si ha un oltre-passamento del tempo, di quel che ad esso deve sottostare[67]. Al di fuori del tempo non risulta dunque azzardato poter affermare non tanto Eterno, quanto piuttosto A-Chrόnico, ovvero non essente nel divenire temporale[68]. Il permanente necessita dunque di una auto-fondazione che dalla propria essenza abbia il proprio scaturire. Si presenta dunque l'idea dell' essere in sé assoluto, fondato in sé stesso, vale a dire quello della libertà. L'interdipendenza di persona e stato non permette che l'una possa avere provenienza dall'altro e viceversa. La persona assoluta presenta dunque il suo principio nella libertà così lo stato, non essendo assoluto, deve perciò derivare da altro. Tale condizione di dipendenza del divenire è il Tempo[69]. La persona che si viene a manifestare nell' Io permanente, eterno e solo unicamente in questo, non può per questa sua essenza essere o divenire nel tempo; non tanto come eternità ma piuttosto come a-chrόnicità. Veniamo a ritrovarci necessariamente o immersi nel tempo, nel divenire e nella mutevolezza, o all'infuori di esso, nell' assolutamente eterno. Il mutamento deve per questo avere origine, ma se la persona si manifesta nell' Io permanente, in eterno, il tempo deve per questo incominciare in essa[70] ; il tempo è la materia del divenire della persona. Senza tempo l'uomo non sarebbe né un fenomeno né un essere determinato, la sua personalità esisterebbe solo nella sua disposizione, ma non nella sua effettività. Solo col succedersi delle sue rappresentazioni continue, l'Io permanente, diviene fenomeno a sé stesso. «Unicamente mutando, egli esiste; solamente restando immutabile, è lui ad esistere»[71]. Per concludere, il discorso della lettera undicesima è tale per cui serve a giustificare e dedurre razionalmente la duplicità insita tra caduco-eterno e mutevole-permanente, multitudo-uno e visibile-invisibile, rapportati al soggetto nella sua finitezza. Se lo stato è una determinazione allora l'Io assoluto ne è la sua rappresentazione, tale per cui le due dimensioni metafisiche, di persona e stato, siano l'una il perché dell'altra[72]. In questa opposizione si ritrova quella differenza tra ciò che è realtà e ciò che invece è disposizione alla realtà, che è nell'essenza fenomeno. Una realtà che per Schiller è il regno degli impulsi, in particolare è necessario riprendere quello che è il Formtrieb. L'impulso formale[73] è quel movimento che procede dal proprio io verso la manifestazione esterna, che tende ad armonizzare la varietà delle rappresentazioni, portandole in libertà. L'impulso formale permette all'uomo di affermare la sua persona nonostante il continuo mutare dei propri stati. Se la natura razionale non può essere contraddittoria, poiché è ciò che è per tutta l'eternità, allora questo impulso non può che esigere che tutto ciò che esige per l'eternità, quello che decide in un determinato stato è quello che sempre vuole e che eternamente esige[74]. Si comprende così tutta la temporalità, nella successione dei continui stati discreti in cui si suddivide il mutamento degli stati, annullando sia la temporalità che il mutamento. L'impulso formale esige che il reale diventi eterno, necessario, esige l' oltre-passare di quel limite che le differenze metafisiche hanno imposto all'umano[75]. Se l'impulso ad esso contrapposto, l' impulso sensibile[76], pare generare degli accidenti, vincolato dalla contingenza, senza un'apparente legame di richiesta con una necessità, notiamo invece come l'impulso formale esige e delle leggi[77]. Esige per la natura stessa della ragione che lo spinge, si muove secondo schemi precisi, vede attraverso schemi precisi di leggi, come una madre faustiana, che nel movimento eterno e caotico vede schemi di ordine[78]. L'impulso formale dà delle leggi, affinché le continue mutevolezze e trasformazioni del sensibile e dei fenomeni rientrino a contatto con la ragione; siamo così a contatto con l'oggettivo, siamo nella condizione di determinare il fondamento del nostro stato[79]. Il luogo in cui l'impulso formale esercita il proprio potere rappresenta la massima estensione dell'essere svincolato da ogni sua limitazione. Questo è il luogo in cui agisce l'oggetto puro, quale oggettività dell'ideale, in contrapposizione ad ogni elemento dell'individualità. L'uomo non è più all'interno del tempo, ma è il tempo stesso che si pone al suo interno; non più delle singole individualità ma delle specie[80]. Schiller introduce infine, nella lettera quindicesima, l' impulso al gioco[81]. Attraverso questo impulso la soggettività viene a perdersi nel suo rapportarsi all'oggetto, come nell'intuizione pura del bello[82]. Questo è giustificabile alla luce della bellezza quale schema dell'immaginazione trascendentale, che precede la distinzione soggetto-oggetto, bellezza che per Schiller diviene la mediatrice che collega tra loro due stati contrapposti, reciprocamente auto-escludenti[83]. La ricerca del fondamento alla mediazione estetica emerge allora quale senso metafisico dell'estetica in quanto tale, ovvero ponendo la bellezza in relazione ad una specifica concezione della libertà e presentando tale relazione come una suprema ed intima necessità e non come un arbitrium[84]. Per dischiudere la struttura metafisica fondante Schiller necessita di quella che si viene a chiamare la dottrina dei quattro stati fondamentali, presentati come due coppie, attive e passive, di determinabilità e di determinazione[85], stato fondamentale è quello che Schiller viene a chiamare stadio estetico. Questo è lo stato dell'originario annunciarsi della personalità, che perviene al massimo della sua possibile manifestazione fenomenica, poiché non elimina quel che già c'è di manifesto, ma si afferma per mezzo di esso. Lo stato estetico sembra delinearsi come l'unico spazio, realmente istitutivo, del nostro essere-storico. Essere storico che si presenterebbe solo nell'evento dell'opera o in quello dell'utopia, intesa questa come l'avvenire autentico, che già è capace di ripetizione e riassunzione del già-stato dell'attimo del presente. Tale emergere dell'opera e nell'avvenire avviene di modo che sia resa assolutamente intollerabile ogni riassunzione, in totale trasparenza, della loro parte istitutiva. Essa verrebbe irrimediabilmente a rovesciarle da uno statuto di evento fondativo ad uno statuto di pretesa di dominio, rispetto il successivo svolgersi del già-recuperato. Affinché l'uomo possa riappropriarsi della propria sensibilità è necessario che esso si volga all'indietro, attraverso un movimento innaturale, perché possa riappropriarsi di quella bellezza passata che prima gli apparteneva. Attraverso un atto di riflessione l'uomo si riappropria e si fonde col sentimento, che immediatamente crede di poter percepire attraverso la forma. Bellezza è sì oggetto, ma al contempo è stato della nostra soggettività, poiché il sentimento è la condizione che ci permette di avere una sua rappresentazione[86]. Rendersi partecipe alla bellezza non significa altro che il partecipare all'unità estetica. Unità in cui accade l'unificazione e lo scambio tra materia e forma, fra attività e passività. Questa unità mostra la possibilità di unificazione di ciò che all'inizio era in assoluta inconciliabilità; è il rendersi possibile dell'infinità nella finitezza, ed è quindi la possibilità del rendersi manifesto del più sublime essere-uomini[87]. Il fondamento che le Lettere vogliono offrire è proprio quello di una Metafisica della Storia e della Natura, di quella di una struttura organico-metamorfica che del Tutto fa il suo oggetto. Un tutto al quale l'uomo vuole fare ritorno, che proprio nella sintesi estetica ha raggiunto e vuole porre come proprio apice. Sintesi estetica che per mezzo dell'azione, di un toglimento, dal nostro stato iniziale ha recuperato l'originale e l'autentico, portandoli a riconciliazione in una sola e totale sintesi armonica[88].

Quanto sopra esposto è fondamento di tutte le riflessioni mosse da Schiller, partendo infatti dal discorso sviluppato dalle Lettere notiamo come l'Io permanente è ciò che tende all'Io-tragico. Esso è quella soggettività del soggetto che viene a porsi in una perenne e statica espressione della propria potenza[89]. Questa in-differenza al divenire è conferita dall'epos tragico e si evidenzia nello scritto Über naive und sentimentalische Dichtung[90], nel quale Schiller introduce la distinzione tra la poesia ingenua e la poesia sentimentale. La poesia ingenua, è la poesia omerica, della Classicità Greca, una poesia in cui la commistione uomo-natura sembra tornare a riemergere come tratto tipico dell'uomo classico. Rappresenta quel tipo dell'umano a cui si vuole far ritorno in modo da permettere l'accadere storico, ovvero la manifestazione dell'uomo nuovo della educazione estetica. Nella riflessione schilleriana il poeta o è natura oppure ricerca[91], ciò significa che il senso insito nell'uomo è un vivo sentimento di ritorno alla natura, nonostante se ne sia allontanato per mezzo di intelletto o fantasia. La natura, pur rimanendo la principale fonte d'ispirazione poetica, l'unica fiamma di cui ancora lo spirito poetico si nutre[92], si ritrova però in un differente rapporto con l'uomo. L'uomo che, persa l'originaria unità sensibile, si ritrova ora a ricercarla nella sua attività culturale ed artistica, affinché possa avvenire quel superamento e ritorno all'unità originaria. Questo è l'uomo moderno, che deve tendere idealmente alla perfezione, all'unità originaria, senza mai giungere pienamente ad essa; ciò costituisce la differenza, che secondo Schiller, separa la poesia sentimentale da quella ingenua. Nel primo caso l'uomo tende ad elevare la realtà all'ideale, nel secondo tende piuttosto alla mimesis della realtà[93]. Schiller mostra come, nonostante la perdita dell'unità originaria, la natura umana non si ritrovi ridimensionata, piuttosto in essa sboccia un'importante dimensione creativa, tale da paragonarsi ad una nuova naturalità[94]. La tendenza alla ricongiunzione con l'identità originale fallisce, si ha comunque e sempre un'espulsione o superamento dello stato di naturalità. L'uomo, oramai come ente soggettivo ed in rapporto disarmonico con la natura, tenta di trascenderla per poter recuperare l'iniziale unità originaria. La tendenza alla ricongiunzione con l'identità originale fallisce, si ha comunque e sempre un'espulsione o superamento dello stato di naturalità. L'uomo è oramai nella condizione, come ente soggettivo ed in rapporto disarmonico con la natura, di tentare di trascenderla per poter recuperare l'iniziale unità originaria. Come già accennato l'uomo naturale, della classicità, aveva in sé la possibilità di giungere alla perfezione, contrariamente all'uomo moderno che può solo avviare un movimento che tende ad essa. In questa apparente privazione Schiller scorge la risorsa fondamentale della moderna umanità. L'uomo naturale compimento nella propria realizzazione nel finito, l'infinito invece, presentandosi sotto anche gradi differenti, con un proprio spirito del progredire, mai determinabile. Il continuo progresso dell'opera infinita rappresenta il possibile, per giungere al fine ultimo dell'umanità. Un fine questo che per essere raggiunta porta l'uomo naturale a coltivarsi, generando cultura[95]. Questo è ciò che differenzia l'uomo naturale da quello moderno, come pure lo statuto di poesia ingenua e poesia sentimentale. L'uomo della classicità è colui nel quale la scissione dei due impulsi fondamentali non è ancora avvenuta, in cui la passività dell'impulso alla materia e l'attività dell'impulso formale sono in unità. Un'unione per la quale la differenza tra i due impulsi costituisce l'unità spontanea, dell'elemento passivo della sensibilità e quello attivo di ragione ed intelletto. Unità che l'uomo moderno può recuperare solo attraverso il passaggio allo stato estetico, nel quale la bellezza assurge da tramite unificante degli stati fondamentali. L'uomo naturale insieme all'ingenuo rappresenta il momento della natura, rappresentai un'arte che, nelle categorie nietzschiane, potremmo definire apollinea[96]. Un'arte della forma, della forma plastica, che si richiama alla natura; pure nelle sue espressioni poetiche si richiama ad essa, come in una risoluzione del soggetto nell'oggetto. Il poeta della classicità è per questo natura, ma al contempo ne è pure il custode e l'evocatore all'interno dei versi. Il poeta classico viene nelle sue liriche a porre in rappresentazione sia la natura che la vita sensibile, la loro finitezza e sempre richiama il rapporto armonico instaurato con la natura, le sue misure, la sua presenza e quanto egli possa attingere dal legame con essa[97]. Il sentimentale invece è rappresentativo dell'uomo moderno, della scissione tra le facoltà dell'uomo, che riconosce il proprio io soggettivo distinto dall'oggettività del mondo che, distaccandosi dalla natura, nella quale non vi riconosce più la deità, ma piuttosto ne intravede un limite, come nella sua propria naturalezza. L'uomo moderno è pertanto l'uomo faustiano, la cui arte è un'autentica poïésis faustiana. Questa arte faustiana tende ad abbracciare la Totalità, nel continuo anelo verso l'infinità, poiché essa come la sua conoscenza, tende direttamente allo Spirito. Un uomo che svaluta i sensi, che valorizza le facoltà di ragione ed intelletto, questo è un uomo che appartiene al momento della cultura. L'uomo moderno è l'uomo colto che tende allo spirito, che riconosce nella sensibilità e nella natura i suoi propri limiti[98]. Limiti che per la sua faustiana essenza tende a superare, che nel suo continuo anelare allo spirito scavalca, superandone la parvenza, per tendere verso l'infinità dell'idea. Il poeta sentimentale è colui che anela, come la sua stessa epoca faustiana, a superare il contrasto con la natura, la dicotomia soggetto-oggetto, per giungere allo spirito, superando il limite imposto dalla forma sensibile[99]. Il soggetto assoluto si ritrova in una situazione di conflitto, di polèmos, con la realtà naturale ed oggettiva che lo circonda. Il soggetto assoluto ritiene per sé stesso la natura inadeguata, la fugge, trovando rifugio nel mondo contemplativo, colto, in cui ragione ed intelletto predominano su sensibilità e sensi. In questo dobbiamo riconosce il parallelo teorico con Wagner e la sua assimilazione della lezione Schilleriana. Egli è consapevole della grandezza del poeta classico, eppure faustianamente Egli si erge sopra i propri tempi, raccogliendone la sfida. Egli eleva i contenuti mitici dei tempi delle leggende, rendendoli sublimi. Egli supera le ostilità di una realtà oramai frammentata e per mezzo della sua arte si eleva al rango di legislatore, capace di ricongiungere le parti spezzate di una armonia. La poesia sentimentale si suddivide poi internamente in satira ed elegia. Questa suddivisione si giustifica alla luce della duplice fonte che anima lo spirito del poeta, una fonte costituita dal reale, verso il quale il poeta moderno mostra avversione poiché sentito come limitazione, e l'ideale, verso il quale il poeta propende, poiché infinito e non sentito come un limite costrittivo. Seconda la maggiore o minore prevalenza di uno dei due principi, nel sentimento ispiratore, si avrà o la poesia satirica oppure la poesia elegiaca.

[...]


[1] Voglio ricordare, come anche attraverso questa revisione editoriale, i dubbi, quanto le ulteriori questioni emergenti abbiano solo trovato nuove forme od espressioni, in quanto il testo filosofico non esaurirà mai pienamente tutto quanto il dis-porsi di queste nel mondo, ma anzi ne favorisce, e ne favorirà sempre, la piena manifestazione e dis-velamento, in quanto rappresentazione dell'infinità delle Idee che esso porta a manifestazione.

[2] Una natura che attinge la sua forza costitutiva da ogni singola opera, ma che incanala la sua propria massima rappresentazione nella Totalità espressa dalla Tetralogia.

[3] L' oltre-passare così come il dis-velare non sono il mero gesto dello oltre-passamento o dis-velamento, bensì essi sono una maggiore espressione concettuale che si rivolgono ad una più alta sfera concettuale. L' oltre-passare rappresenta quello scavalcare, quel superamento della dimensione temporale a cui l'uomo appartiene, lo scavalcamento del muro temporale che porta gli stessi elementi costitutivi dell'opera, le sue figure, dalla dimensione Chrónica-Decidua a quella Chrónica-Eterna, di elementi permanenti al divenire temporale. Il dis-velare é al tempo stesso l'espressione della separazione dal nascondimento come anche dis-siparsi dalle nebbie del tempo, ecco perché il dis-velare non é una mera apparizione, ma una emersione dalla dimensione del tempo mortale del Chónos-Deciduo. Dunque l'utilizzo della formula separativa per mezzo del trattino delle radici allude alla intromissione concettuale della dimensione temporale che da una dimensione gerarchi inferiore del temporale porta l'elemento coinvolto a quella superiore, seppure il riferimento nel testo allude solo al passaggio dalla dimensione temporale dello Chónos-Deciduo allo Chrónos-Eterno.

[4] Anche in questo caso, come in tutti quelli successivi, allude al co-temporale passaggio dalla dimensione mortale del Chrónos-Deciduo a quella della dimensione eternale, dell'eterno, che appartiene alla dimensione temporale del Chrónos-Eterno.

[5] Ovvero questi elementi si rendono parte attiva e costituente di quelli che sono i rapporti ed i soggetti partecipanti a quella che è la struttura più esterna del dramma, ovvero le sue espressioni poetiche e descrittive che andranno poi a dirigere la sua medesima rappresentazione.

[6] La considerazione proposta non sarebbe però pienamente possibile se non venissero considerate le stesse partiture o la struttura musicale e melodica delle opere prese in considerazione.

[7] Questo nell'ottica di quella che è la ri-formulazione di una legislazione che già era presente e che già apparteneva all'uomo, ma che nel passaggio alla modernità è stata eliminata, posta ai margini, nella sua influenza e forza e-vocativa nei confronti dell'umano.

[8] Ma che al contempo ci viene a porre nella possibilità di ricercare una propria base e fondamento all'interno di questa.

[9] Tenendo sempre presente il suo legame di considerazione diretta della Totalità stessa, che ne impedisce ogni suo restringimento od impossibilità di rendere conto del Tutto.

[10] Un possibile raffronto è possibile con la tematica proustiana della Recherche, nella quale emerge la stessa espressione tematica del Nihilismo del sentimento d'amore e dell'amicizia.

[11] Questo lavoro è già in progetto di revisione, insieme al mio scritto Il Tragico nella teoria estetica di Schiller, per una nuova edizione in cui entrambi i lavori sono uniti insieme in un unico scritto, in lingua inglese, probabilmente sempre presso l'editore GRIN Verlag, con il titolo: On the concept of Absolute-Time and the Metaphysics of Art. In questo scritto viene rappresenta quella che è la concezione della Metafisica dell'Arte, all'interno della sistematica del concetto di Tempo-Assoluto, o Absolute-Time. In questa prospettiva l' Arte diviene uno dei Momenti Assoluti attraverso il quale l'uomo riesce ad oltre-passare la barriera del mortale, la barriera interposta dal Muro del Tempo. La pubblicazione di questo testo verrà però preceduta dalla pubblicazione di una monografia, anch'essa in lingua inglese e probabilmente presso l'editore GRIN Verlag, nella quale illustro i fondamenti della mia riflessione, concernenti il concetto di Absolute-Time e la genesi della sua costituzione. Questo testo si dovrebbe presentare con il titolo di: On the concept of the Absolute-Time or A-Chrónos.

[12] Cit. Trd. it. Lohengrin, a cura di G. Manacorda, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 2003, pag. 163.

[13] Cfr. a tale proposito E. Kurth, Romantische Harmonik und ihre Krise in Wagners 'Tristan', Olms, Berlin, 1985; e F. Strich, Deutsche Klassik und Romantik oder Vollendung und Unendlichkeit. Ein Vergleich, Meyer & Jessen Verlag, München, 1922.

[14] A questo proposito possiamo qua solo accennare un riferimento al Tristan, nello specifico di come questo sia, dal punto di vista non solo musicale, ma anche filosofico, il culmine e la rottura con l' Arte Romantica. Se l'abbraccio tematico che presenta è la sintesi in musica dell' Ideale Romantico, è però anche vero che esso presenta quelle innovazioni e cromature, nella scrittura e nella rappresentazione musicale, che già oltre-passano la concezione Romantica dell'Arte. In esso non si riprende semplicemente il già esplicato tema del sacrificio d'amore, l' azione dell'anelo supremo, ma piuttosto essi sono congiunti con il superamento dell'eternità stessa, l' oltre-passare non solo della notte della morte, ma della stessa decadenza. Un culmine sì degli ideali che già rappresenta quel superamento del Romanticismo stesso, ma che sempre Egli riprende e com-prende nelle sue successive opere.

[15] Cfr. T. Mann, Dolore e grandezza di Richard Wagner, a cura di M. Montinari, Discanto Edizioni, Fiesole (FI), 1979. D'ora in avanti in nota come DGRW.

[16] Cit. DGRW pagg. 5-6. Confrontarsi anche con F. W. Nietzsche, Nietzsche contra Wagner, in Friedrich Nietzsche Sämtliche Werke Der «Jahrhundert-Nietzsche» in einer preisgünstigen 15- bändigen Studienausgabe, KSA VI, DTV, München ,1999; trd. it. Nietzsche contra Wagner in Scritti su Wagner. Richard Wagner a Bayreuth-Il caso Wagner-Nietzsche contra Wagner, traduzione a cura di F. Masini, Adelphi, Milano, 2006.

[17] Questo per circoscrivere la nostra interpretazione a quelli che riteniamo essere gli autori di principale e fondamentale influenza di questo periodo, poiché da essi non solo possiamo trarre riferimento per la costituzione delle singole opere musicali, ma pure per quella riguardante la riflessione teoretica ed estetica della produzione wagneriana.

[18] Da questo punto possiamo trarre le nostre prime conclusioni, anche attraverso le evidenze ed i legami teorici, sottolineati nel corso del presente scritto, che si vengono a creare con il Deutsche Idealismus, in particolare le sistematiche delle arti di Hegel e Schopenhauer.

[19] Come si potrà notare dalla nostra interpretazione il coinvolgimento con la Romantik richiama pure tematiche in apparenza lontane. Esempio è quella relativa alla dicotomia tra la visione del mondo prospettata dall'Illuminismo, di matrice analitica, rispetto la visione poetica e romantizzante di Novalis. Nonostante l'apparente lontananza tra questa e la tematica propriamente estetica, non è possibile una scissione dei due argomenti, sicché il secondo coinvolge ed è correlato al primo.

[20] Riferimento a Novalis (Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg), I discepoli di Sais, trd. it. a cura di A. Reale, Bompiani, Milano, 2001; confrontarsi anche col saggio introduttivo di A. Reale contenuto quale prefazione alla presente traduzione.

[21] Cfr. trd. it. di W. R. Wagner, Siegfried, a cura di G. Manacorda, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 2003. D'ora in avanti in nota come SM. Nota Manocorda a questo proposito, alle pagg. IV e V dell'introduzione, come la tematica della natura, quale primordiale innocenza, in perenne lotto con l'orgoglio della razionalità, si viene a costituire presso gli epigoni dell'umanità delineata dal Faust. Una tematica questa che ritorna non solamente nel Siegfried, ma pure insistentemente, tanto nel dostoevskijano Idiota, quanto nello ibseniano Peer Gynt, ma in questa raffigurazione solamente Wagner riesce ad esprimere, in tutta la sua potenza, la disparità e la frattura che affligge l'uomo moderno, tanto nei suoi rapporti con la mondanità, tanto e soprattutto nel sentimento. Non sembra dunque strano il poter accostare a questa lettura anche la visione di un Nihilismo totale, che avvolge tanto l'esistenza razionale, quanto quella sentimentale, volendo ad un Nihilismo proustiano dell'amore, poiché entrambe oramai scisse dalla primordiale ed innocente armonia.

[22] Cit. SM pag. 153.

[23] Cfr. SM pagg. 307-314, commentando questa scena del secondo atto Manacorda sottolinea come, nei successivi versi 1609-1610, attraverso il reciproco intendersi tra Siegfried e l'uccel di bosco, quella che era la fratellanza uomo-natura viene qua nuovamente suggellata e definitivamente conchiusa.

[24] Di particolare riferimento è il paragrafo intitolato Il messaggio della fonte e dei fiori, in cui emerge la dimensione simbolica di una natura amica, in cui la difficoltà dell'interpretazione viene superata dalla comunanza del medesimo linguaggio. Possiamo azzardare nell'affermare come questo testo nella sua generalità, ed in particolare questo breve paragrafo, siano il sunto del fine della Enzyklopädistik novalissiana; dell'intento di congiungere la Philosophia Naturalis e Ars poetica. Il riferimento della proposizione “la filosofia diviene poesia” è proprio a questo, ovvero un ricongiungersi all'idea di Philosophia Prima o Metafisica, in cui sotto un unico principio era coinvolto tutto il sapere, non scisso, proprio come trasposizione della Totalità stessa.

[25] Su una presentazione del rapporto della natura e della sua concezione romantica in Wagner confrontarsi con R. Gutman, Richard Wagner, Der Mensch, sein Werk, seine Zeit, Wilhelm Heyne Verlag, München, 1989, pagg. 32-59, confrontarsi anche con M. Gregor-Dellin, Richard Wagner. Sein Leben · Sein Werk · Sein Jahrhundert, Piper, München, 1991. D'ora in avanti in nota come RWLWJ.

[26] Va ora specificato come questo libero gioco di polarità opposte, tipicamente novalissiano, rientri in relazione con la struttura dell'opera wagneriana. Se infatti prendiamo quello che è il concetto di Totalità, quale trasfigurazione di tutte le antinomie, rapportandolo a quello che era il progetto novalissiano della Enzyklopädistik, nella sua genesi dialettica, vediamo come all'interno di questa, nel suo processo di poetica universale e sistematica della poesia, si realizza quello che è il suo compimento quale Totalità universale. In questo gioco si apre lo spiraglio della tendenza di un infinito in continua espansione, in vista del quale si deve abbandonare l'assoluto in virtù di quello che, secondo Novalis, è l' unico assoluto possibile, vale a dire quello della infinita libera attività, riconoscibile attraverso il lavoro delle contraddizioni. La stessa operazione di potenziamento della Romantisieren pone in atto questo libero gioco in cui le continue scissioni sono le volte di quella Totalità organica che ravvisa a sé il tutto. Questo libero gioco rientra, seppure non sempre visibile nella struttura archetipale dello svolgimento e dei personaggi delle opere, si pensi solo allo svolgimento dell'intera vicenda della Tetralogia, quest'ultima quale Totalità ultima dell'intero sistema che evidenzia e le sua narrazione, la vicenda iniziale e la rottura dell'equilibrio da parte di Alberich, rappresentano le continue antinomie, contrapposizioni all'interno dell'unità organica, così come la possibilità, da parte di ognuna delle figure che potrebbe ripristinare l'armonia iniziale, l'esempio di Wotan quando entra in possesso dell' Anello. La stessa dialettica si mostra al termine dell'opera, nella scena III dell'atto terzo del Götterdämmerung, quando il Walhalla, lo stesso regno degli déi, viene avvolto dalle fiamme,chiudendo così il cerchio delle antinomie che avvolge ognuna delle stirpi che non ha restituito l' Anello, che assurge, in questa particolare lettura, quale simbolo della Totalità stessa.

[27] Interessante è notare il possibile parallelo con le figure presenti nell' Olandese volante, nel quale la stessa tematica ritorna ad emergere, nonostante la differente sfumatura derivante dalla struttura stessa dell'opera.

[28] Dalla lettura stessa delle poesie e dei testi novalissiani lo stesso Wagner può aver attinto questa tematica, senza necessariamente rivolgersi all'intero movimento della Romantik nel suo complesso. A tale proposito si rimanda a RWLWJ capitoli I-II, ed al saggio A. Coeuroy, Wagner et l'esprit romantique: Wagner et la France - Wagnérisme littéraire, Gallimard, Paris, 1965.

[29] Questo è nuovamente correlato al già ripreso tema della Totalità e del processo di romantizzazione. Escludendo il già citato esempio della Tetralogia, possiamo generalizzare come in ognuna delle opere si generi un particolare ordine cosmico che nel corso delle intere opere si conclude con un ritorno alla Totalità iniziale. Questa lettura è giustificata in virtù del fatto che il gioco dialettico che soggiace ad ogni figura quanto ad ogni vicenda è dominato dai suoi membri antinomici che, nel loro lavoro di fondo, tessono le intere vicende. Una ulteriore esemplificazione è chiarita dall'intera vicenda dell' Olandese volante, l'intera vicissitudine è dominata dal nómos della redenzione dell'Olandese; seppure i termini teorici novalissiani siano di riferimento, forse più specificatamente gnoseologico, lo stesso può essere trasposto in virtù di una Totalità continua alle stesse vicende cosmiche dell'ordine delle figure wagneriane.

[30] Quanto qua sottolineato si riferisce allo stesso movimento di tendenza alla Totalità. Quello che abbiamo definiamo quale desiderio o sforzo titanico non è da confondersi, con quanto il termine presente tende ad indicare, nei riguardi delle figure hölderliniane quali Empedokles o Hyerion. In questa differente accezione titanico indica piuttosto l'atto stesso del processo di romantizzazione che, in trasposizione con le figure wagneriane, è l'atto stesso che caratterizza e che identifica la medesima figura dell'eroe. Questo rappresenta l'atto che lo rende immortale, che lo traspone sino alla costellazione infinita della Totalità, sollevandolo ed elevandolo al di sopra del tempo. Quanto detto si giustifica poiché questi non è un riferimento ad un atto non circoscritto dal nómos, ma piuttosto rappresenta il riferimento ad un atto che rientra nella sua stessa giurisdizione prescritta. Un atto o impresa, questa, che non tenta di scardinare la trama dell'ordine, ma piuttosto un atto che, in antinomia allo stato presente, si giustifica e rientra nella normativa stessa del gioco dialettico delle antinomie.

[31] Riferimento a trd. it. di Novalis (Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg), La Cristianità o Europa, trd. it. a cura di A. Reale, Bompiani, Milano, 2002.

[32] Cfr. W. R. Wagner, Mein Leben, Baustein Verlag, Leipzig, 1924, pagg. 288-289.

[33] Cfr. RWLWJ.cap. II, pagg. 325-345.

[34] Si confronti a tale proposito col saggio introduttivo di A. Reale in Novalis, La Cristianità o Europa, pagg. 7-57, a proposito della critica alla visione storica proposta da novalis si vedano le pagg. 10-13.

[35] Cfr. DGRW pagg. 32-35, si noti a tale proposito il riferimento ai novalissiani Inni alla notte.

[36] Cfr. Novalis, La Cristianità o Europa, pagg. 71-72.

[37] Cit. ivi pag. 71.

[38] Ibidem.

[39] Cfr. H. A. Korff, Umanesimo e romanticismo, trd. it. a cura di G. Lacchin, presentazione di S. Zecchi, Zandonai, Rovereto, 2007.

[40] Cit. Novalis, La Cristianità o Europa, pagg. 77-79.

[41] Cit. ivi pag. 79.

[42] Cit. ivi pag. 97.

[43] Cit. ivi pagg. 97-99.

[44] Riferimento all'Illuminismo, quale epoca simbolo dal distacco dalla religione e dalla poesia. Confrontarsi con Novalis, La Cristianità o Europa, pagg. 99-105.

[45] Senza ulteriormente ripetersi possiamo in generale notare come attraverso il testo poetico della Tetralogia, così come nella sua stessa rappresentazione scenica, si vengono a rappresentare quelle che sono le riflessioni novalissiane e in generale quelle della Romantik. Ognuno dei versi, ogni riga di testo, ogni nota porta con sé il peso di una riflessione metafisica-estetica; ognuna delle riflessioni trova la propria voce nell'armonia della composizione delle note. Solo a titolo d'esempio basta ricordarsi il Preludio e scena prima de L'Oro del Reno, nel quale il preludio rappresenta l'unità della Totalità stessa, la quale viene rotta per l'introduzione di quello che è il peccato di avidità di Alberich che distrugge l'iniziale equilibrio, di seguito a questo l'azione di Loge e Wotan che nel sottrarre i sigilli del potere ad Alberich. Questo atto è la possibile rappresentazione di quella possibile svolta che l'uomo potrebbe compiere, ma che invece, proprio come i due Asi rifiuta di compiere, non rigenerando l'originale equilibrio. Questo è il simbolo di quel progresso che porta, così come nel poema wagneriano a quella che è l' Età degli Eroi e poi quella degli Uomini, nell'epoca di Novalis a quella che è l'accettazione dell'accettazione dell'incontro-scontro tra quella che è, da una parte, la concezione illuminista ed analitica, e dall'altra, quello che rappresenta la metafisica intuitiva della Romantik, portatrice più consapevole e forse più vicina, a quell'iniziale unità del tutto. Cfr . trd. it. L'Oro del Reno, a cura di G. Manacorda, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 2003, pagg. 5-43.

[46] Il riferimento è qua legato all'aspetto del peccato e della corruzione che allegoricamente il gesto di Alberich simboleggia. Come Alberich rifiuta l'amore, allo stesso modo l'uomo ristretto al cerchio della conoscenza analitica, o l'uomo borghese, che ha dimenticato la poesia, perdono la dimensione della Totalità, per rifarsi ad un mondo frammentario ed incompleto.

[47] Germania storica che qua assurge al ruolo di spazio fisico in cui si rende possibile questo iniziale cammino di ritorno verso l'armonia.

[48] Cit. Novalis, La Cristianità o Europa, pag. 111. Nella riga successiva scrive ancora: «destatasi dal sogno mattutino dell'infanzia maldestra, una parte dell'umanità mette alla prova le sue giovani forze con i serpenti che circondano la sua culla e che vogliono impedirle l'uso delle sue membra», oltre ai riferimenti che si possono scorgere nella precedente citazione, possiamo qua notare come vi sia una controparte del motto illuminista del distaccamento dal tutore, in questo caso un risveglio dalla mentalità analitica e frantumatrice, dalla mentalità della non-Totalità, che congiuntamente alla precedente proposizione evidenziano al nuova figura del genio. Non dobbiamo però dimenticare il contesto del testo novalissiano, comunque sia il contesto è quello della ripresa di una coscienza religiosa, che non può essere esclusa, né negativamente, né positivamente, dalla riflessione presentata nel testo.

[49] Tutte caratteristiche queste che come vedremo caratterizzano anche il genio dello uomo-Wagner. T. Mann in Dolore e grandezza di Richard Wagner sottolinea le caratteristiche da noi evidenziate: «il suo genio è una sintesi drammatica delle arti che risponde soltanto alla Totalità, come sintesi appunto, al concetto dell'opera autentica e legittima» (cit. pag. 15); «in ogni sua opera Wagner è tutto se stesso, ogni battuta non può essere che sua, rivela la sua inconfondibile formula e fattura» (cit. pag. 21); «il sogno di liberarsi dall'arte, di poter vivere invece che di dover creare, di essere “felice”, ritorna di continuo nelle sue lettere […] affiorano nell'epistolario come concetto antitetico al destino dell'artista, insieme alla visione dell'arte quale surrogato di ogni immediatezza di piacere» (cit. pag. 25); seppure non sempre di chiaro riferimento possiamo qua scorgere, in sequenza la creatività, il sublime, l'anelo all'infinito, il desiderio alla libertà ed il titanico.

[50] Cit. trd. Novalis (Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg), Inni alla Notte/Canti Spirituali. Garzanti, Milano, 2007, pag. 13.

[51] Cfr. DGRW pag. 33.

[52] Cit. ibidem.

[53] Cfr. trd. it. di W. R. Wagner, L 'Olandese volante (Il vascello fantasma), a cura di G. Manacorda, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 1997, pag. VIII.

[54] In questo sviluppo della tematica novalissiana, e del legame con l'ermeneutica dell'Opera di Wagner, è stata posta l'attenzione alla tematica della natura e a quella della Filosofia della Storia, più che alla tematica della poetica oppure a quelle più relative alla costruzione poetica del testo wagneriano. Nelle critiche mosse alla mia discussione è emersa la questione di una differente lettura, per quel che riguarda la tematica affrontata. Quello che qua posso aggiungere è che, in virtù della lettura da me offerta, prettamente legata alla natura concettuale del testo, al suo contenuto ed alla sua interpretazione ermeneutica, è stato necessario affrontare quelle che erano le tematiche più generali e di natura teoretica, piuttosto che addentrarsi nella sfera più prettamente appartenente a quella parte dell' Estetica chiamata Filosofia dell'Arte. Infatti, quello che non bisogna dimenticare è la dimensione metafisica a cui lo scritto fa riferimento.

[55] Cfr. trd. it. di J. C. F. Hölderlin, Iperione, a cura di G. V. Amoretti, Feltrinelli, Milano, 2004, pagg. 114-123. Un possibile confronto sul tema della volontà d'azione è riscontrabile nel Tristan, seppure il tema della trasfigurazione finale e lo scambio della sequenza dei morti può indurre ad una maggiore difficoltà d'interpretazione, ma in generale possiamo riscontrare come in entrambi i casi la caratteristica dell'eroe è vincolata al sentimento, alla relazione d'amore. In particolare si noti la scena seconda dell'atto II del Tristan, nel quale emerge la dimensione dialettica dell'amore, attraverso il contrasto notte-giorno. Cfr. trd. it. Tristano e Isolda, a cura di G. Manacorda, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 2005, pagg. 238-239.

[56] Egli non può dunque nemmeno più essere una metà umana platonica, poiché egli è oramai privo di essa. Non potendola più nemmeno ricercare nel mondo egli è costretto alla solitudine del proprio sentimento.

[57] Cfr. J. C. F. Hölderlin, La morte di Empedocle, Garzanti, Milano, 2005, pagg. 193-217.

[58] In una commistione in cui sia la forma che lo spirito sono contemporaneamente la massima espressione dell' Essere-Oltre-Epocale.

[59] In concomitanza con le descrizioni paesaggistiche, che offrono suggestioni quanto motivo di riflessione all'interno del testo.

[60] Differentemente da Werther il quale è spinto verso il suo gesto per l'impossibilità di agire, non riconoscendo la sublime supremazia della natura. Egli si presenta ancora come incatenato alla temporalità ed alle ristrettezze dell'uomo terreno. Il suo gesto non lo eleva oltre il mondo, il suo gesto anzi suggella ancora di più il suo legame ed il suo essere succube ad esso, proprio perché il suo gesto non è una titanica sfida alla legislazione terrena in concordanza con un nómos superiore. Esso infatti concorda perfettamente con la legislazione terrena e bassa dell'uomo mondano, incapace di oltre-passare la barriera del mondo e del tempo.

[61] A tale proposito confrontarsi con L. Magni, Il Tragico nella teoria estetica di Schiller, GRIN Verlag, München, 2010; il presente passaggio rappresenta una rielaborazione, in chiave all'interpretazione dell'Opera di Wagner, di questo mio precedente scritto dedicato esclusivamente all'estetica schilleriana.

[62] Riferimento a J. C. F. von Schiller, Über die ästhetische Erziehung des Menschen in einer Reihe von Briefen in Friedrich Schiller Sämtliche Werke in Fünf Bände, Band Fünf: Erzählungen Theoretische Schriften, Carl Hanser Verlages, München, 1980; trd. it. L'educazione estetica dell'uomo, a cura di G. Boffi, Bompiani, Milano, 2007. D'ora in avanti indicato in nota e in testo come Lettere.

[63] Cit. Lettere, pag. 103.

[64] Ivi pag. 105; si noti come pure in Wagner ciò sia ripreso sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista più stretto della poïética musicale. A tale proposito possiamo riprendere lo scritto Über die Ouvertüre attraverso il quale possiamo notare come l'inizio stesso dell'opera deva esser capace di gettare l'osservatore nel suo iniziale svolgersi e divenire. Quindi all'interno della sua stessa legislazione del tempo e del divenire, in piena con-crescita con essa (cfr. W. R. Wagner, Gesammelte Schriften und Dichtungen, in X Bänden, C. W. Fritzsch Verlag, Leipzig, 1887, Bd. I pagg. 200-203). Si noti pure questa tematica anche negli scritti Das Kunstwerk der Zukunft, Kunst und Klima, Über die Bestimmung der Oper e Das Publikum in Zeit und Raum. Osservando invece dal punto di vista legato al contenuto delle opere possiamo, a titolo d'esempio, ricordare lo svolgimento della dinamica temporale dominante il Lohengrin (in particolare come la tematica del tempo si intrecci con quella della figura del Cavaliere del Cigno) oppure di quella insita in tutta la Tetralogia, mossa dalle gesta di Siegfried, in cui la temporalità e l'eroicità sono in stretta ed intima correlazione. Quest'ultima nota è giustificata da quello che potremmo dire un abbattimento del muro del tempo, per cui Siegfried accelerando la propria azione temporale, o andando proprio contro di essa, viene a porsi in-differenza rispetto agli altri uomini, emergendo rispetto ciò che semplicemente è caduco o mortale.

[65] Ivi pagg. 103-105.

[66] Questo perché non si verrebbe a presentare, a livello della sua costituzione, quella differenza metafisica tra l'essenza e il suo esistere: «la divinità è tutto quello che è perché è, è eternamente ciò che è, essendo essa eterna» (cit. Lettere, pag. 105).

[67] Questo è anche alla base della costituzione, tanto, dell'eroe schilleriano che di quello wagneriano.

[68] Questo non vale però per l'uomo che, per sua costituzione, è caratterizzato da finitezza, con persona e stati distinti, poiché questi non possono fondarsi l'una sull'altro e viceversa. Se ciò si verificasse o la persona o lo stato verrebbero irrimediabilmente a mutare, si verrebbe a perdere o la personalità o la finitezza, propri della costituzione dell'uomo.

[69] Cfr. Lettere pag. 105.

[70] Poiché il tempo deve incominciare in essa si ha che il mutamento deve venirsi a fondare in qualche cosa che deve permanere e permettere a questo di svolgersi in divenire, poiché per mutare e divenire serve un qualcosa che già non sia mutamento.

[71] Cit. Lettere, pag. 107. Schiller afferma anzitutto come l'uomo deva ricevere dell'attività che l'Intelligenza suprema crea da sé. Questa materia accompagna il suo io immutabile, mutando. In questo mutare della materia l'io permane, si rimanda sempre a sé stesso in ogni mutamento; ne segue poi che ogni percezione è mutata in esperienza. Questo significa che ogni manifestazione fenomenica nel tempo è ridotta a legge nel tempo, poiché questo è il precetto dato all'uomo dalla sua natura razionale. Quanto Schiller afferma non è così differente dalla concezione plotiniana dell'attività conoscitiva dell'anima, come del problema dell'eternità, posto a conclusione di questa sezione delle Lettere. Eternità che qua viene ascritta all'uomo che, nella sua completezza, è nel suo essere unità permanete, eternamente sé stessa nel mutamento come nel divenire: «Pertanto l'uomo rappresentato nella sua completezza sarebbe l'unità permanente che nei flutti del mutamento rimane eternamente la stessa» (cit. ibidem).

[72] Questo perché a causa delle loro caratterizzazioni si escludono mutuamente, essendo metafisicamente poste l'una all'antipode dell'altro.

[73] Cfr. ivi pag. 113.

[74] Ibidem.

[75] Cfr. ivi pag. 115.

[76] Cfr. ivi pagg. 109-115

[77] «Se il primo impulso produce esclusivamente accidenti, l'altro dà leggi: leggi per ogni volontà, se si tratta di azioni» (cit. ivi pagg. 113-115). Leggi che appunto abbracciano sia la sfera conoscitiva, del giudizio che la sfera della fattualità, dell'azione, quindi della volontà. Possiamo qua notare come questi impulsi siano le forze contrastanti presenti a fondo della stessa Tetralogia. Non è azzardato qua vedere come Wagner in chiave d'opera riprenda queste nozioni, come se sul fondo della musica e della partitura agisse un libero gioco di due spiriti, uno legislatore e uno accidentale, l'accidente della comparsa del peccato e dall'altra al legge costituente dell'armonia, che attraverso l'opera si scontrano, confondono e non è azzardo che la rappresentazione che se ne ha sia uno spirito che è fusione di questi due elementi, che non a caso è identificato con lo Spieltrieb, l' impulso al gioco, il cui oggetto è la forma vivente e in senso più ampio la bellezza. Si può infatti concordare con alcuni critici, quali Gutman e Cœuroy (riferimento a R. Gutman, Richard Wagner, Der Mensch, sein Werk, seine Zeit, Wilhelm Heyne Verlag, München, 1989; A. Cœuroy, Wagner et l'esprit romantique: Wagner et la France - Wagnérisme littéraire, Gallimard, Paris, 1965) nel vedere come nello spirito wagneriano non solo confluissero autori ed opere ma pure interi movimenti e spiriti. Esso è sia sintesi che compimento non solo del Geist des Romantik ma pure l'ultimo Stürmer che uomo della Klassik.

[78] Cfr. trd. it. di Johann Wolfgang von Goethe Faust, a cura di G. Manacorda, con un saggio introduttivo di T. Mann, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2005, pagg.473-475.

[79] Stato di cui siamo già a conoscenza attraverso la giurisdizione del tempo, a cui concediamo realtà e validità per tutti gli uomini e tempi; attraverso questo movimento che passa attraverso la ragione per mezzo dell'impulso.

[80] Notare il passo terminale della lettera, in cui Schiller afferma: «Dunque, dove l'impulso formale esercita il potere e in noi agisce l'oggetto puro, lì è la massima estensione dell'essere, lì scompaiono tutti i limiti, lì l'uomo si è elevato da unità di grandezza, cui il misero senso lo limitava, a unità di idea, che comprende sotto di sé l'intero regno dei fenomeni. Con questa operazione non siamo più noi nel tempo, bensì il tempo è in noi, con tutta la sua infinita successione. Non siamo più individui, ma specie; il giudizio di tutti gli spiriti è pronunciato tramite il nostro, la scelta di tutti i cuori è nuovamente presente mediante la nostra azione» (cit. Lettere, pag. 115).

[81] Cfr. ivi pag. 89 e pag. 129. «Espresso in un concetto generale, l'oggetto dell'impulso sensibile si chiama vita, nel senso può ampio; un concetto che significa tutto l'essere materiale e tutto quanto è immediatamente presente nei sensi […] l'oggetto dell'impulso formale si chiama forma [...] L'oggetto dell'impulso al gioco, esibito in uno schema generale, potrà quindi chiamarsi forma vivente; un concetto utile a designare tutte le caratteristiche estetiche dei fenomeni e, in una parola, ciò che nel significato più ampio si chiama bellezza » (cit. ivi pag. 133).

[82] Cfr. ivi, pag. 137.

[83] Cfr. ivi, pag. 155.

[84] Cfr. ivi pagg. 159-161.

[85] Cfr. ibidem.

[86] Cfr. ivi pag. 217.

[87] Cfr. ivi pagg. 235-251.

[88] Possiamo a questo proposito anticipare come la riflessione presente nelle Lettere sia di forte influsso nella riflessione, non solo di carattere specificatamente estetico, di Wagner oppure nella costituzione delle sue opere, ma anche in quelle riflessioni del Compositore di Leipzig relative alla figura dell'artista e dell'arte anche all'interno del contesto storico-culturale. Basti a questo proposito ricordare gli scritti Das Kunstwerk der Zukunft e Deutsche Kunst und Deutsche Politik.

[89] Una concettualizzazione questa che neppure è difficile ritrovare nella costituzione degli io-tragici delle opere wagneriane.

[90] Riferimento a J. C. F. von Schiller, Über naive und sentimentalische Dichtung in Friedrich Schiller Sämtliche Werke in Fünf Bände, Band Fünf: Erzählungen Theoretische Schriften, Carl Hanser Verlages, München, 1980. D'ora in avanti in nota come ÜNSD.

[91] Cfr. ÜNSD pag. 716.

[92] Ibidem.

[93] Si noti come, partendo da questa constatazione, sia possibile definire questa differenza a livello metafisico; per il quale si hanno le due inconciliabili sfere della poesia antica e moderna, che generano due differenti spettri di poetica, sottostanti a due differenti ideali. Esse generano due Weltanschauung, inconciliabili ed agli antipodi, quella dell'uomo greco e quella dell'uomo moderno.

[94] Nelle Lettere si è mostrato come l'umano, attraverso lo stadio estetico, si risolva in un'umanità in unità con la natura. Un'umanità che, per mezzo dell'educazione estetica, tramite le parole del poeta, torna a ricongiungere le differenti singolarità. Umanità che così viene riportata all'originaria unione e dimensione che caratterizzava l'uomo classico, che descriveva la natura per mezzo di dèi e che anch'esso era un divino nella natura, in unità col tutto. Notiamo come la natura rende l'uomo una cosa sola con sé stessa che poi l'arte separa, elevandone le singolarità che, per mezzo dell'ideale, ritornano all'unità originaria. Cfr. ÜNSD pag. 718.

[95] Cfr. Ibidem.

[96] Cfr. F. W. Nietzsche, Die Geburt der Tragödie aus dem Geiste der Musik, in Friedrich Nietzsche Sämtliche Werke Der «Jahrhundert-Nietzsche» in einer preisgünstigen 15-bändigen Studienausgabe, KSA I, DTV, München , 1999; trd. it. La Nascita della Tragedia, a cura di Colli-Montinari, nota introduttiva di G. Colli versione di S. Giametta, Adelphi, Milano, 2006.

[97] Nel definire il poeta ingenuo Schiller riprende la figura di che Omero (Cfr. ÜNSD in particolare pag. 719). Omero è il poeta che si nasconde nella propria opera , lasciando che sia la natura a ritrovi nell’umanità, nel mentre in cui il poeta viene risolvere l’opera nella propria intimità. Nell'Epoca Greca-Antica l’oggetto della poesia deve essere unicamente prodotto dalla natura, contrapposto alla stessa arte, poiché solo nella natura, nel legame divino con essa, vi si ritrova l'armonia, fonte ed espressione, della stessa Arte Classica-Antica (Ivi pag. 707). Lo stato di natura (ci si confronti a questo proposito con l'opera di Jean Jacques Rousseau, in particolare con i Discours sur l'origine et les fondements de l'inégalité parmi les hommes e la Lettre à d'Alembert sur les spectacles) rappresenta per questo l'armonia concreta e primigenia tra il sentire-pensare; rappresenta una sintesi del reale con l'ideale. Quella che qua si genera è l'armonia primigenia dalla quale, in seguito alla scissione dei due elementi, si genera il passaggio dal momento del Classico a quello del Moderno. Nello stesso modo possiamo ravvisare nel faustiano Wagner quella stessa consapevolezza del sentimentale del voler far ritorno all'origine, uno stesso pensiero che, vissuto nel polèmos più o meno aperto col mondo, che si ripercuote in un contenuto artistico che è proiezione di questa stessa storia sopra-umana, perché essa ripercorre sempre il percorso dell'uomo dall'armonia originaria per poi passare alla décadence della modernità e risolversi nella sperata armonia ricongiunta.

[98] Nell'uomo moderno, faustiano, non vi è un valorizzarsi dei sensi o un'appartenenza al momento della natura, è un tipo d'uomo che invece valorizza le facoltà di ragione ed intelletto, che separa la propria facoltà riflessiva rispetto quelle sensibili-emotive, un uomo che, in una prospettiva dialettica, è colui che appartiene al momento della cultura.

[99] Hegel stesso testimonia, nelle sue lezioni di Estetica, che l'Arte Romantica è caratterizzata dal contenuto in stretta vicinanza con lo Spirito, tale per cui la forma risulta inadeguata ad essa.

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Details

Titel
La Metafisica dell'Arte attraverso l'Opera di Richard Wagner
Untertitel
Edizione aggiornata e corretta
Hochschule
Università Vita-Salute San Raffaele, Milano
Veranstaltung
Metafisica
Autor
Jahr
2011
Seiten
176
Katalognummer
V172014
ISBN (eBook)
9783640916887
ISBN (Buch)
9783640916740
Dateigröße
1221 KB
Sprache
Italienisch
Schlagworte
metafisica, arte, opera, richard, wagner, edizione, filosofia
Arbeit zitieren
Luca Magni (Autor:in), 2011, La Metafisica dell'Arte attraverso l'Opera di Richard Wagner, München, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/172014

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