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Indice Pagina
1. Introduzione
2. L’impegno di Danilo Dolci
2.1 Le lotte non violente
2.2 Il metodo maieutico e il lavoro educativo
2.3 La lotta contro la mafia e il sistema politico
2.4 Il Centro Studi e Iniziative
3 Il limone lunare. Poema per la radio dei poveri cristi
3.1 L’impegno di Dolci attraverso poesie scelte
3.2 Poesia sulla nonviolenza
3.3 Poesia sulla maieutica
3.4 Poesia contro la mafia
4. Conclusione
5. Bibliografia
1. Introduzione
Fu paragonato a Gandhi (cfr. Dirks 1959: 287), ripetutamente candidato al Premio Nobel per la Pace (cfr. Fontanelli 1984: 180) e Walter Dirks lo descrive come uno dei rari sociologi che si disturbò a vivere tra i poveri (cfr. Dirks 1959: 286). Si parla di Danilo Dolci, un uomo che a 27 anni si trasferì nella Sicilia occidentale, nel posto più povero che avesse mai visto fino ad allora per aiutare la popolazione con le proprie mani. Ma chi era questo Danilo Dolci?
Dolci nacque il 29 giugno 1924 a Sesana (Trieste) (cfr. Fontanelli 1984: 7). Già da adolescente aveva una grande sete di sapienza, che soddisfava con libri quando poteva:
[…] il bisogno di leggere, di conoscere l’esperienza e il pensiero degli uomini che mi avevano preceduto, si è fatto così forte che se non avessi trovato attorno a me dei libri – nello scarso armadio di mio padre, nelle biblioteche, dagli amici, comprandoli quando potevo – li avrei rubati. Poiché la giornata non mi bastava più, mi alzavo alle quattro ogni mattina (d’inverno col cappotto addosso per non tremare dal freddo, vicino allo scarso tiepido della stufa della cucina, ormai spenta), e ogni mattina, prima di iniziare la giornata comune ad ogni studente, per tre ore nel silenzio incontravo i miei: prima un poco alla rinfusa, poi quasi sistematicamente, ogni mattina ero in un dialogo di Platone; o in una tragedia di Euripide, Shakespeare, Goethe, Schiller, Ibsen, a tappeto; […]
(Fontanelli 1984: 8)
Studiò Architettura, ma poco prima di discutere la tesi abbandonò l’università. Dopo essere scappato dall’arresto dei nazisti andò a Nomadelphia, una comune allora sorta nell’Emilia Romagna nella quale si prendeva cura di orfani di guerra. Nonostante si trovasse bene nel modenese, partì per Trappeto nel 1952, spinto da qualcosa che non riuscì mai capire (cfr. Vitiello 1980: ix); una motivazione probabilmente fu la sua “naturale apertura oltre «la patria»“ derivata probabilmente dal fatto che ebbe il padre italiano, la madre slovena e un nonno tedesco. (cfr. Fontanelli 1984: 7)
In questo lavoro analizzerò: la vita di Danilo Dolci dall’arrivo a Trappeto fino all’uscita della sua raccolta di versi Il limone lunare. Poema per la radio dei poveri cristi; l’impegno pratico che si manifestò nelle numerose proteste non violente e nei congressi di sensibilizzazione al problema della mafia; le iniziative del suo Centro Studi e Iniziative con particolare attenzione per il metodo educativo da lui proposto: la maieutica. Infine prenderò in esame il lavoro poetico di Dolci strettamente legato al suo impegno sociale.
2. L'impegno di Danilo Dolci
Nel febbraio 1952 Dolci arrivò a Trappeto e cominciò subito la costruzione di una casa per orfani senza tetto, due anni dopo viene completata una seconda casa-asilo per i bambini più poveri del paesino (cfr. Spagnoletti 1977: 227). Dolci descrive così il suo arrivo a Trappeto in Conversazione con Danilo Dolci:
Arrivato a Trappeto, mi guardo in giro. Non una strada che fosse una strada, non c'erano fogne, non c'erano giornali, non una farmacia, non un telefono. Non un bagno. La miseria disperata non era di qualcuno; una massa di gente ne era in gran parte sommersa. Dopo avere incontrato i vecchi amici, domandavo a uno, domandavo all'altro: « Si può cambiare? », « Come si può cambiare? ». Scuotevano la testa e i più saggi rispondevano: « Bisognerebbe pensarci » Era evidente, almeno per me, che quei problemi si potevano comprendere meglio con le ossa che con la testa. (Spagnoletti 1977: 39)
Nei prossimi paragrafi descriverò in maniera più dettagliata come Dolci proseguì il suo impegno nella Sicilia occidentale negli anni seguenti.
2.1 Le lotte non violente
Dolci è diventato famoso per le sue lotte non violente che si concretizzarono soprattutto in digiuni e scioperi da lui organizzati.
Solo otto mesi dopo il suo arrivo a Trappeto Dolci organizzò il suo primo digiuno per un bambino morto di fame; egli non avrebbe smesso di digiunare finché lo Stato non avesse dato occupazione alla popolazione della Sicilia occidentale (cfr. Spagnoletti 1977: 227). Il problema era che l’elevata disoccupazione aveva reso povera la gente che non riusciva più nemmeno a comprarsi da mangiare, come la madre di quel bambino morto di fame, che per la malnutrizione non aveva più latte nel suo seno. Dolci in quell’occasione provò a salvare il bambino, trovando del latte per la famiglia, ma era troppo tardi e l’infante morì. Purtroppo allora certi casi erano frequenti. Dolci e i suoi più intimi compagni decisero di digiunare fino alla morte uno dopo l’altro, se lo Stato non avesse salvato il paese da quella miseria (cfr. Spagnoletti 1977: 42). Nonostante il suo coraggio Dolci rimase modesto e disse ”Non si tratta di eroismo, ma di un certo istinto.” (Spagnoletti 1977: 43). Il digiuno durò otto giorni e attirò l’attenzione di altri attivisti come Aldo Capitini, Carlo Levi o Elio Vittorini. Alla fine il governo riconobbe la necessità urgente di un aiuto per questa zona e stanziò dei finanziamenti per provvedere ai bisogni primari della popolazione. (cfr. Vitiello 1980: xi)
Tre anni dopo, nel novembre 1955, Dolci fece un altro digiuno per una settimana a Spine Sante di Partinico, per premere per la costruzione della diga sul fiume Jato, necessaria per i fabbisogni della popolazione (cfr. Spagnoletti 1977: 227). Quest’opera avrebbe avuto due enormi vantaggi: da un lato aiutava il popolo ad avere più acqua, dall’altro indirettamente contrastava la mafia, che gestiva la distribuzione dell’acqua tra la popolazione fino ad allora. (cfr. Spagnoletti 1977: 82)
Solo quasi tre mesi dopo, a fine gennaio 1956, Dolci fece un digiuno assieme a mille pescatori sulla spiaggia di San Cataldo, per protestare contro la pesca abusiva di tanti pescherecci (cfr. Spagnoletti 1977: 277). Inoltre questo digiuno si svolse anche contro il connesso traffico di stupefacenti della mafia, che era tollerato dalle autorità locali (cfr. Vitiello 1980: xi).
In quest’occasione organizzarono anche lo “sciopero alla rovescia” che avvenne solo tre giorni dopo a Partinico. Assieme a centinaia di persone senza lavoro Dolci riparò una strada comunale dismessa in paese, giustificando quest’azione con il diritto al lavoro dell’articolo 4 della Costituzione italiana. Nonostante avessero agito in modo non violento, Dolci e sei sindacalisti finirono in galera per due mesi (cfr. Spagnoletti 1977: 277). Il ridicolo motivo dell’arresto fu la presunta illegalità di digiunare in pubblico (cfr. Vitiello 1980: xii). Quando i poliziotti vennero per arrestarli, i manifestanti si sedettero a terra e praticarono resistenza passiva, come gli fu insegnato da Dolci. Egli stesso aveva un grande fisico e ci vollero otto poliziotti per portarlo via (cfr. Dirks 1959: 284). Per il processo 50 avvocati offrirono a Dolci i loro servizi gratuitamente e tanti intellettuali vennero da tutta l’Italia per perorare la causa di Dolci. Davanti al Tribunale egli dichiarò di non essere un anarchico, ma semplicemente una persona che vuole per il prossimo una vita civile. Lo scrittore siciliano Elio Vittorini disse davanti alla corte che i metodi di Dolci, che erano simili a quelli dell’India, andavano benissimo anche per la Sicilia. Secondo lui i due posti di per sé erano simili, ad esempio per la divisione in classi sociali; in India però il governo aiutava i loro riformisti, al contrario dell’Italia. (cfr. McNeish 1965: 124 – 127)
Alla fine di quest’anno seguì un altro digiuno e l’anno seguente Dolci organizzò il “Congresso per la piena occupazione” a Palermo. Tecnici, economisti, sociologi, urbanisti e tanti altri vennero assieme per discutere sul grave problema della disoccupazione della zona. Due settimane dopo il congresso, per dare enfasi ai suoi risultati, digiunò con il suo intimo amico Franco Alasia per dodici giorni a Cortile Cascino (Palermo).
Quasi cinque anni dopo, nel settembre 1962, fece un altro digiuno a Spine Santo, ancora per la diga sullo Jato, per la quale aveva digiunato già sette anni prima. Seguì una grande manifestazione e dopo nove giorni di digiuno venne il sì da Roma per la costruzione della diga e altri cinque mesi dopo cominciarono i lavori.
Nell’ottobre 1963 ebbe luogo il digiuno a Roccamena per una diga sul fiume Belice, più una occupazione della piazza del municipio del paese.
Più di due anni dopo si svolse un digiuno a Castellamare del Golfo (Trapani) per una settimana, durante la stessa vennero letti e discussi documenti che denunciavano il clima mafioso nella Sicilia occidentale.
Per il marzo 1967 organizzò una marcia di sei giorni e duecento chilometri per la Sicilia occidentale e per un nuovo mondo.
Più di quattro anni dopo, nel novembre 1971, arrivarono a Roma trecento mila persone da tutta Italia per una manifestazione antifascista (cfr. Spagnoletti 1977: 228 – 231), Dolci la pianificò assieme al pittore Ernesto Treccani. Questa manifestazione era il culmine di un mese di azioni antifasciste. (cfr. Vitiello 1980: xiii)
2.2 Il metodo maieutico e il lavoro educativo
Nelle discussioni di gruppo o nell'educare in generale Dolci faceva uso del metodo maieutico (cfr. Dolci 1979: 27). Il nome maieutica deriva dal greco e significa levatrice (Vitiello 1980: xiv). In Il ponte screpolato descrive questo metodo:
[…]quando parliamo di maieutica, cioè della necessità di sviluppare in ciascuno la capacità di scoprire, di creare, di promuovere necessari conflitti, pensiamo necessario anche ampliare il campo dell'esperienza, senza mitizzare il bambino, senza mitizzare alcuno. (Dolci 1979: 27)
Dolci avrebbe voluto che gli insegnanti usassero il metodo maieutico, ma non per alleggerire il proprio lavoro. Egli intendeva la sua maieutica in un modo diverso da Socrate, che originalmente la inventò; disse che “la maieutica era giustificata da Socrate in quanto il conoscere era per lui reminiscenza di quanto aveva già saputo” (Dolci 1979: 218). Per lui la questione principale del metodo educativo era:
[…] come approfondire ed allargare l'osservazione; come esercitarla ed esprimerla in forme diverse; come approfondire e valorizzare l'esperienza personale per cercare di risolvere i problemi che la vita ci chiede di risolvere. (Dolci 1979: 218)
A partire dagli anni settanta Dolci si concentra più sull’educazione, soprattutto nel Centro sperimentale di Mirto che fondò in quegli anni (cfr. Fontanelli 1984: 180). Questa scuola era collocata in un ambiente naturale e ideale per i bambini. Si cercò di fare uso della maieutica e di creare un centro educativo antimafia e antifascista. Dolci era dell’opinione che per cambiare la società bisognava cominciare a educare i bambini in considerazione della loro creatività, della loro curiosità intellettuale e della loro capacità di fare scelte in modo consapevole. (cfr. Vitiello 1980: xiv)
2.3 La lotta contro la mafia e il sistema politico
Con le sue lotte non violente nella Sicilia occidentale Dolci aiutò la popolazione a migliorare le proprie condizioni di vita. Il suo impegno per lo sviluppo anche combattè la mafia, che controllava risorse essenziali nella zona. Comunque la sua lotta antimafia non rimase soltanto indiretta, ma addirittura fu dichiarata ed eclatante.
Nel settembre 1965, in una conferenza al Circolo della Stampa di Roma, Dolci e il suo intimo amico Franco Alasia accusarono un ministro, un sottosegretario di Stato e alcune altre autorità, di essere in contatto con la mafia. La denuncia si basò sul loro studio dei rapporti fra politici a mafiosi nella Sicilia occidentale (cfr. Spagnoletti 1977: 229). L’obbiettivo della conferenza fu quello di documentare ufficialmente le vicende che coinvolgevano la politica con la mafia in quella zona. Nei giorni seguenti tanti giornali in Italia e all’estero pubblicarono i risultati riportati da Dolci e Alasia (cfr. Dolci 1967: 329). Già due mesi dopo cominciò un processo contro i due da parte dei politici che si sentirono diffamati.
Nonostante il processo in corso, nel gennaio 1966, Dolci fece il già nominato digiuno a Castellamare del Golfo a Trapani (vedi 2.1), nel quale vennero letti e discussi pubblicamente documenti contro la mafia (cfr. Spagnoletti 1977: 229). A causa dei volantini distribuiti durante la protesta Dolci ricevette due nuove querele da parte dei politici Mattarella e Volpe. (cfr. Dolci 1967: 329)
Nel giugno 1967 Dolci e Alasia vennero condannati dal Tribunale di Roma: Dolci a due anni e Alasia a un anno e sette mesi di galera, entrambi però ricorsero in appello. Tre mesi dopo la condanna venne pubblicato Chi gioca solo, nel libro Dolci oltre a documenti antifmafia presentava le carte processuali contro di lui e Alasia. In seguito avvenne una manifestazione contro la mafia davanti al Parlamento e alla Sede della Commissione antimafia, organizzata da Dolci e Alasia. (cfr. Spagnoletti 1977: 229)
Il processo d’appello cominciò nell’aprile 1971. Quasi un anno dopo la Corte del Tribunale d’Appello di Roma non accettò nessuna prova presentata contro Mattarella e Volpe. Dopo quasi otto anni di processo la Corte di Cassazione di Roma confermò la pena (cfr. Spagnoletti 1977: 231). Solo grazie a un’amnistia Dolci e Alasia non vennero incarcerati. (cfr. Dolci 2007: 35)
Nella premessa di Chi gioca solo Dolci dichiarò che la malavita è infiltrata nel governo italiano a tutti i livelli (cfr. Dolci 1967: 9) e per questo egli lottò sempre contro chi faceva parte di questo sistema corrotto:
[…] ritengo semplicemente che la loro azione sia negativamente esemplare nel ritardare, nell’impedire lo sviluppo della zona; e che gli organi preposti a garantire la vita democratica sono finora intervenuti in modo gravemente insufficiente. (Dolci 1967: 11)
Nessuno, incluso egli stesso, sa perché la mafia non prese mai Dolci come obiettivo, a parte qualche singolo avvertimento (cfr. McNeish 1965: xvi). Anche il suo fidato compagno di lotta, Franco Alasia, si schierava apertamente contro la mafia e sosteneva che per sconfiggerla fosse fondamentale la fiducia del popolo nelle istituzioni:
[...]