La canzone politica 1940-1970. Dal colonialismo francese in Indocina alla controcultura americana


Scientific Essay, 2015

258 Pages


Excerpt


Inhaltsverzeichnis

Introduzione

1. Un periodo di forti cambiamenti (1940-1946)
1.1 Francia: dall’Empire colonial all’Union Française
1.2 La canzone francese coloniale
1.2.1 La Petite Tonkinoise
1.2.2 Qu’est-ce Que T’Attends Pour Aller Aux Colonies?
1.2.3 Le Fanion de la Légion
1.3 Stati Uniti: dalla guerra contro l’espansionismo giapponese all’amministrazione della Germania occupata
1.4 Vietnam: la lotta contro le dominazioni straniere
1.5 Conclusioni del capitolo 1

2. Comunismo e anticomunismo (1946-1954)
2.1 Francia: da guerra coloniale a guerra contro il comunismo
2.2 Il pacifismo in Francia
2.3 La canzone politica francese: la chanson à texte e i cabaret de la Rive Gauche
2.3.1 Quand Un Soldat
2.3.2 Le Déserteur
2.3.3 Le Soudard
2.4 Stati Uniti: la seconda ondata di Red Scare, la teoria del domino, e la strategia del containment
2.5 Vietnam: strategia per la vittoria
2.6 Conclusioni del capitolo 2

3. Il Vietnam diviso (1954-1963)
3.1 Vietnam del sud: dalla Conferenza di Ginevra alla fine dell’era Diệm
3.2 Vietnam del nord: la riforma agraria
3.3 Abbandono e ripresa della musica tradizionale vietnamita
3.4 Stati Uniti: Eisenhower, Kennedy e la teoria del domino
3.5 Conclusioni del capitolo 3

4. Gli Stati Uniti nel periodo del boom economico (1950-1965)
4.1 Alcune cifre del boom economico
4.2 La way of life americana negli anni ’50-’60
4.3 La Beat Generation
4.4 Il Bebop, colonna sonora della Beat Generation
4.5 La lotta per i diritti civili
4.6 La musica del Movimento per i diritti civili
4.6.1 We Shall Overcome
4.6.2 Promised Land
4.6.3 People Get Ready
4.6.4 Blowin’ In The Wind
4.7 La Great Society
4.8 Il folk tradizionale
4.9 Il rock and roll
4.10 Il doo-wop
4.11 Conclusioni del capitolo 4

5. La guerra in Vietnam: dall’ottimismo della volontà (1964-1967)
5.1 Una citazione rovesciata
5.2 Stati Uniti: una guerra non dichiarata ma reale
5.3 Il folk impegnato
5.3.1 What Did You Learn in School Today?
5.3.2 Lyndon Johnson Told the Nation
5.3.3 Saigon Bride
5.4 La musica country
5.4.1 Hello, Vietnam
5.4.2 What We’re Fighting For
5.4.3 Ballad of the Green Berets
5.5 La musica soul
5.5.1 Never Like This Before / Soldiers Good-Bye
5.5.2 Marching Off to War / Share What You Got (But Keep What You Need)
5.6 Conclusioni del capitolo 5

6. al pessimismo della ragione (1968-1970)
6.1 Stati Uniti: un radicale mutamento di prospettiva
6.2 La controcultura
6.3 Marcuse: il ruolo rivoluzionario dell’arte e della cultura
6.4 Il movimento hippie
6.5 La New Left
6.6 L’opposizione alla guerra del Vietnam
6.7 Il rock
6.8 Il folk rock
6.8.1 Eve of Destruction
6.9.Il rock psichedelico
6.9.1 I-Feel-Like-I’m-Fixin-To-Die Rag
6.9.2 The Unknown Soldier
6.10 Il blues rock
6.10.1 Fortunate Son
6.11 Il soul psichedelico
6.11.1 War
6.12 L’aumento della conflittualità interna
6.12.1 Ohio
6.13 La musica dei soldati americani in Vietnam
6.13.1 Bad Moon Rising
6.13.2 Run Through the Jungle
6.13.3 The Boonie Rat Song
6.14 Influenza delle canzoni politiche sull’opinione pubblica
6.15 Conclusioni del capitolo 6

Conclusioni generali

Bibliografia

Introduzione

La partecipazione politica può essere definita un’attività tesa ad esercitare un’influenza su decisioni collettivamente vincolanti all’interno di uno specifico sistema sociale1. Dunque fa politica sia chi, attuando determinati comportamenti, esprime sostegno alla linea seguita da coloro che detengono il potere, sia chi al contrario cerca di influenzarli affinché precisino o addirittura mutino la loro strategia di azione2

Diversamente da quanto accade nelle società autoritarie e totalitarie, in cui il consenso è organizzato dallo stesso governo o da sue ramificazioni3, nelle società democratiche è assai più usuale l’attività di persone in certa misura insoddisfatte dalla gestione politica in essere, della quale esse propugnano un parziale o addirittura radicale cambiamento. Individui e gruppi esaminano dunque preliminarmente la situazione, ne analizzano vincoli e risorse, e propongono poi delle soluzioni complementari o alternative a quelle praticate fino a quel momento. Infatti, i singoli possono agire da soli, e anche unirsi in insiemi sociali: coloro che fanno parte di questi ultimi si uniscono per sentirsi parte di una comunità e difendere gli interessi comuni4, e interagiscono fra loro influenzandosi reciprocamente5. In entrambi i casi i soggetti ricevono le informazioni sulla situazione, le selezionano, e le valutano alla luce di determinati criteri.

Nella ricezione e diffusione delle informazioni, individui e gruppi sono inseriti in una rete di relazioni, sulla base delle quali essi compiranno la loro analisi. Indubbiamente i messaggi propagati dai mezzi di comunicazione di massa hanno un forte potere persuasivo, ma esso è limitato da quello degli opinion leader percepiti dall’individuo o dal gruppo come più vicini al suo stesso modo di pensare. A tali leader viene riconosciuta una specifica competenza sull’argomento in questione, e dunque attribuito un ruolo guida nella formazione della propria opinione politica.

Sotto l’influsso degli opinion leader, gli individui, singolarmente e/o accomunati in insiemi sociali, possono attuare varie forme di partecipazione politica: tra esse vi sono votare, partecipare ad una discussione politica, prendere parte ad una manifestazione, contribuire ad una campagna politica, partecipare a riunioni in cui vengono prese decisioni di carattere politico6, scrivere commenti politici a giornali o personaggi politici, aderire a boicottaggi, praticare l’autoriduzione delle tasse, occupare edifici, bloccare il traffico, partecipare a sit-in, danneggiare proprietà altrui7.

Uno degli strumenti più efficaci per far circolare rapidamente ed efficacemente le informazioni, stabilire dei valori condivisi e sostenere la motivazione dei partecipanti ad un’attività politica, è la canzone politica. Essa costituisce un terreno privilegiato di studio e ricerca sui fenomeni politici perché può essere esaminata a diversi livelli: investigandone il testo (verbale e musicale), analizzando il contesto in cui sorge, le occasioni e i modi in cui viene cantata, le caratteristiche identitarie di coloro che elettivamente la cantano e di coloro che invece la rifiutano, le circostanze che portano ad evoluzioni nel suo uso e quelle che conducono al suo accantonamento o abbandono.

Essendo dotata di parole, che recano usualmente abbastanza espliciti riferimenti alla realtà, e di musica, che seppure in maniera più velata può ugualmente contenere riferimenti alla realtà esterna8, la canzone politica può essere considerata una forma di lettura e commento della realtà. Inoltre, per la sua precipua finalità espressivo-comunicativa, può essere ritenuta uno strumento di definizione dell’identità, un mezzo per rinforzare i legami di solidarietà sociale, un metodo per ispirare e sostenere la partecipazione, e uno step di un percorso di apprendistato politico9.

Si può ritenere quindi che lo studio della canzone politica, relativa ad un certo territorio in un determinato periodo storico, possa fornire utili indicazioni sui valori a cui molti ispiravano la loro condotta: ovviamente, una canzone mainstream alluderà ai valori della cultura dominante, una canzone underground viceversa si richiamerà ai valori della controcultura.

Una canzone può dunque stimolare il consenso degli ascoltatori ad una specifica linea politica; si può dire perciò che una canzone può influire sulle scelte politiche.

D’altra parte è anche vero che la politica può influire sulle canzoni, incidendo sulla vita e le scelte professionali dei musicisti, che a loro volta si riflettono sulla musica da essi composta ed interpretata.

L’idea da cui ha preso l’avvio questo lavoro è nata appunto dal desiderio di investigare sui seguenti punti: i) i comportamenti musicali di compositori ed ascoltatori dello specifico prodotto musicale denominato canzone politica, sono influenzati dalle loro convinzioni politiche e/o dalla linea politica assunta dal governo in carica? ii) i comportamenti politici dei fruitori di canzoni politiche sono influenzati dalla musica da essi ascoltata?

Una volta individuate le ipotesi di ricerca ho delimitato il campo della ricerca stessa, definendone le coordinate spazio-temporali: ho scelto così di concentrare l’attenzione sul trentennio 1940-1970, in quanto particolarmente vivace e ricco di avvenimenti sia nel campo politico che in quello musicale. Il periodo prescelto si caratterizza per due importanti conflitti combattuti nella penisola indocinese: la guerra di Indocina tra Francia e Viêt Minh, e la guerra del Vietnam tra Stati Uniti e Vietnam del sud, da una parte, e Vietnam del nord e Viêt cộng, dall’altra. Tali guerre non soltanto hanno coinvolto centinaia di migliaia di combattenti e civili in loco, ma hanno anche provocato il sorgere di significativi movimenti di opinione, particolarmente in Francia e negli Stati Uniti, a favore o contro la prosecuzione dei conflitti stessi.

Il termine iniziale del periodo preso in esame, 1940, corrisponde all’anno in cui, in seguito all’invasione della Francia da parte della Germania, fu instaurato il governo di Vichy, dal quale dipendeva l’amministrazione delle colonie francesi. Il termine finale, 1970, corrisponde all’anno in cui il presidente degli Stati Uniti Nixon iniziò il ritiro delle truppe americane dal Vietnam.

Ho scelto dunque di limitare lo studio alle canzoni politiche, nate in Francia e negli Stati Uniti, che presentavano dei collegamenti con i territori del sud-est asiatico. Ho riscontrato così che le canzoni hanno espresso prima un punto di vista colonialista (canzoni coloniali francesi), poi un punto di vista anticolonialista, pur se non necessariamente contrario alla guerra in Indocina/Vietnam (canzoni francesi e americane).

Tuttavia, studiando la situazione americana, è apparso subito con evidenza che il movimento pacifista era fortemente legato alla controcultura, che sollecitava una diversa attenzione a tematiche sentite come fondamentali soprattutto dai giovani: i diritti delle donne e delle minoranze, e in generale i diritti civili, il rifiuto del consumismo, l’ecologia, la sessualità, l’espansione del livello di consapevolezza attraverso la pratica di religioni orientali e l’uso di sostanze stupefacenti. Ho stabilito perciò di indagare anche sulla controcultura, analizzandone le canzoni più rappresentative.

Analogamente, per quanto concerne il campo delle canzoni, ho riscontrato che vari generi e stili erano praticati all’incirca contemporaneamente negli Stati Uniti, dando vita anche a forme ibride, e rendendo dunque il panorama musicale molto ricco e articolato. Ho deciso dunque di presentare tutti i principali generi e stili musicali, ma di analizzare solo le canzoni che avessero specifici legami con il movimento per i diritti civili o la guerra in Vietnam.

Dal punto di vista metodologico ho privilegiato un approccio diretto alle fonti primarie, esaminando testi e musica di canzoni, manifesti, lettere aperte, romanzi, discorsi di attivisti e uomini politici, statistiche e cronologie, fonti normative, relazioni e documenti militari. Allo studio delle fonti primarie ho affiancato ovviamente quello delle fonti secondarie, individuando ed esaminando opere particolarmente significative di ambito storico, politologico, musicologico ed economico.

Dal punto di vista strutturale, il lavoro è articolato in sei capitoli.

Il primo capitolo delinea il quadro socio-economico e politico del periodo 1940-1946, concentrando l’attenzione sulla Francia (par. 1.1), gli Stati Uniti (par. 1.3) e il Vietnam (par. 1.4). Il par. 1.2 inaugura il metodo di lavoro specifico sulle canzoni che verrà applicato anche nei capitoli successivi: alcune canzoni rappresentative del periodo vengono analizzate tanto sotto il profilo testuale quanto sotto quello più propriamente sonoro-musicale.

Il secondo capitolo verte principalmente sul conflitto ideologico tra comunismo e anticomunismo sviluppatosi nel periodo 1946-1954 in Francia (par. 2.1 e 2.2) e negli Stati Uniti (par. 2.4), e sottolinea come in tale conflitto ideologico si inseriscano le vicende della guerra di Indocina tra Francia e Viêt Minh (par. 2.1). Il par. 2.3 analizza esempi di canzoni pacifiste francesi dell’epoca.

Il terzo capitolo esamina la situazione del Vietnam diviso, nel periodo compreso tra il 1954 e il 1963, e l’affermarsi negli Stati Uniti della teoria del domino (par. 1.4).

Il quarto capitolo incentra l’attenzione sulla società statunitense nel periodo 1950-1965, tratteggiandone i fondamentali aspetti economico-politici e socioculturali (par. 4.1, 4.2, 4.7, 4.8, 4.9 e 4.10), ed evidenziando in particolare il sorgere di movimenti di protesta (par. 4.3 e 4.5) e il diffondersi di brani musicali ad essi legati (par. 4.4 e 4.6).

Il quinto capitolo verte sul periodo 1964-1967, corrispondente ai primi anni di vera e propria guerra tra Stati Uniti e Vietnam del sud, da una parte, e Vietnam del nord e Viêt cộng, dall’altra, delineando lo svolgersi delle principali vicende belliche (par. 5.2) e il modo in cui esse furono recepite e commentate da canzoni appartenenti a diversi generi musicali (par. 5.3, 5.4 e 5.5).

Infine il sesto capitolo delinea il quadro socio-politico-culturale relativo al periodo 1968-1970, caratterizzato dal sorgere e affermarsi negli Stati Uniti della controcultura e dell’opposizione alla guerra in Vietnam (par. 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5 e 6.6), e analizza brani rappresentativi di vari stili musicali in auge in quel periodo (par. 6.8, 6.9, 6.10, 6.11). Particolare attenzione viene posta all’aumento della conflittualità interna negli Stati Uniti (par. 6.12), alle specifiche canzoni ascoltate dai soldati americani di stanza in Vietnam (par. 6.13), e all’influenza delle canzoni politiche sull’opinione pubblica (par. 6.14).

1. Un periodo di forti cambiamenti (1940-1946)

1.1 Francia: dall’Empire colonial all’Union Française

Durante la seconda guerra mondiale la Francia viene attaccata dalla Germania e dall’Italia, che portano avanti una politica aggressiva ed espansionistica, rispettivamente il 10 maggio e il 10 giugno 1940. La Francia capitola il 25 giugno dello stesso anno. In conseguenza della disfatta militare, il territorio francese viene diviso in due zone: la parte settentrionale viene occupata direttamente dall’esercito tedesco, nella parte meridionale viene instaurata la Repubblica di Vichy, amministrata da un governo collaborazionista10. La Repubblica di Vichy controlla la maggior parte dei possedimenti coloniali francesi, inclusa la cosiddetta Indocina francese, che comprende i territori degli attuali Vietnam, Laos, e Cambogia11.

Il 5 settembre 1940 il Giappone, alleato di Italia e Germania, attacca da nord l’Indocina francese, e il 26 settembre occupa importanti basi militari intorno a Hanoi e al porto di Haiphong, acquisendo in tal modo il controllo sui territori settentrionali dei possedimenti francesi. In base agli accordi di pace tra governo francese di Vichy e Giappone, quest’ultimo completa l’occupazione militare dell’intera Indocina francese nel 1941, e la tiene fino alla fine della seconda guerra mondiale. Tuttavia sui territori corrispondenti agli attuali Vietnam, Laos, e Cambogia viene mantenuta fino al 1945 l’amministrazione coloniale francese, con un governo fantoccio simile a quello filonazista che regge la stessa Repubblica di Vichy12.

Per la Francia i territori vietnamiti hanno essenzialmente la funzione di produttori di materie prime utili alla madrepatria: si crede anzi che grazie allo sfruttamento delle risorse economiche e delle ricchezze dell’impero coloniale la madrepatria possa non solo raggiungere il benessere, ma addirittura avviare un ciclo di progresso economico di durata e ampiezza potenzialmente infinita13. Tenendo dunque presenti unicamente le necessità della madrepatria vengono disattivate molte risaie, e incentivate invece le piantagioni di alberi della gomma14. Questi producono il caucciù, la cui richiesta sale vertiginosamente in ragione della sua importanza per l’industria dei trasporti.

Il 9 marzo 1945, in un disperato tentativo di mantenere il controllo sull’Indocina, i giapponesi destituiscono l’amministrazione francese e si sostituiscono ad essa nel dominio, prendendo prigionieri tutti i francesi, sia civili che militari15.

Quando il Giappone annuncia la resa, il 10 agosto 1945, la Francia giudica possibile riprendere il controllo sui territori dell’Indocina francese, contando anche sull’appoggio già espresso all’esponente della resistenza francese Georges-Augustin Bidault dal presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, nel maggio precedente16. Per gli stessi motivi, alla Conferenza di Potsdam tenuta a luglio 1945 viene deciso che l’Indocina venga divisa in due zone, situate rispettivamente a nord e a sud del 16° parallelo. I territori settentrionali sono occupati dalle truppe di Chiang Kai-shek, quelli meridionali da truppe britanniche comandate dall’ammiraglio britannico Mountbatten. Si stabilisce inoltre che forze armate francesi subentrino a quelle britanniche stanziate nel sud del Vietnam, e in effetti a partire dal 5 settembre 1945 soldati francesi giungono in numero sempre più consistente nei territori meridionali, grazie anche al supporto logistico fornito da britannici e statunitensi17.

Nei quattro mesi successivi, grazie anche ad un accordo con Chiang Kai- Shek18, la Francia ristabilisce il suo dominio sulla Cambogia, il Laos e sulla regione situata all’estremità meridionale del Vietnam, detta Cocincina; per completare l’occupazione dell’intero territorio vietnamita alla Francia resta da riprendere possesso delle regioni del Tonchino e dell’Annam, situate rispettivamente all’estremità settentrionale e al centro del paese.

Il 6 marzo 1946 la Francia concorda con il leader vietnamita Ho Chi Minh il riconoscimento del Vietnam come stato indipendente all’interno della Union française; l’accordo prevede anche che truppe francesi rimarranno dislocate sul territorio vietnamita, e che verranno ritirate entro cinque anni19. Tuttavia a maggio dello stesso anno cominciano gli attacchi dei Viêt Minh contro i civili francesi residenti in Vietnam: di conseguenza si moltiplicano gli scontri tra truppe francesi e Viêt Minh20. Le ostilità si fanno più aspre, fino ad arrivare al bombardamento del porto di Haiphong da parte della marina francese, il 23 novembre 1946. Questo segna un punto di svolta: nessun accordo è più possibile, i Viêt Minh entrano in clandestinità e da lì organizzano l’insurrezione di Hanoi il 19 dicembre 1946 e altri attacchi a forze francesi in tutto il settentrione21.

1.2 La canzone francese coloniale

La canzone coloniale è un oggetto culturale che accompagna la conquista dell’impero francese, e contribuisce in maniera considerevole a promuovere l’ethos dell’imperialismo22. Alla base vi è l’ideologia coloniale, che prevede che lo sfruttamento di territori e persone da parte dell'uomo bianco sia del tutto giustificato: dal punto di vista economico, da sedicenti progetti di investimenti e sviluppo condiviso, e dal punto di vista culturale, da una pretesa missione civilizzatrice da attuare nei confronti delle etnie indigene23.

Benché la conquista dell’Indocina (1858-1907) e la sua successiva colonizzazione non coinvolgano l’identità nazionale, ma solo un relativamente piccolo numero di investitori e coloni, le canzoni che si incentrano su tematiche legate a tali vicende storiche sono piuttosto numerose e popolari. Infatti lo studioso Alain Ruscio rileva che vi sono almeno una dozzina di canzoni che, pur essendo state composte alcuni anni prima, continuano ad avere un vasto successo di pubblico nel periodo 1940-194624. Tra esse vi sono La Petite Tonkinoise (1906), La Fille du Bedouin (1927), Qu'est-ce Que T'attends Pour Aller Aux Colonies? (1931), Viens Dans Ma Casbah (1933), Mon Legionnaire (1936) e Le Fanion de la Legion (1936).

Il loro perdurante successo è probabilmente legato a diversi fattori: tra questi vi sono la gradevolezza delle melodie, l’esotismo evocato dai testi, e la notorietà degli autori e degli interpreti.

1.2.1 La Petite Tonkinoise

La chanson più popolare è senz’altro La Petite Tonkinoise, composta nel 1906 con testo di Henri Christiné25 e musica di Vincent Scotto. La Petite Tonkinoise (di Henri Christiné e Vincent Scotto) C'est moi qui suis sa petite Son Anana, son Anana, son Anammite Je suis vive, je suis charmante Comme un p'tit z'oiseau qui chante Il m'appelle sa p'tite bourgeoise Sa Tonkiki, sa Tonkiki, sa Tonkinoise D'autres lui font les doux yeux Mais c'est moi qu'il aime le mieux L'soir on cause d'un tas d'choses Avant de se mettre au pieu J'apprends la géographie D'la Chine et d'la Mandchourie Les frontières, les rivières Le Fleuve Jaune et le Fleuve Bleu Y a même l'Amour c'est curieux Qu'arrose l'Empire du Milieu La Petite Tonkinoise (traduzione di Rossella Marisi) Sono io la sua ragazza Sono Anna-na, sono Anna-na, sono Annamita, sono vivace e charmante come un uccellino che canta lui mi chiama la sua piccola borghese la sua Tonkiki, la su Tonkiki, la sua tonchinese altre gli fanno gli occhi dolci ma io lo amo meglio.

La sera, a causa di un mucchio di cose Prima di metterci a letto Apprendo la geografia Della Cina e della Manciuria Le frontiere, i fiumi Il Fiume Giallo e il Fiume Azzurro C’è un fiume di nome Amore, (Che strano!), che scorre in Cina. C'est moi qui suis sa petite Son Anana, son Anana, son Anammite Je suis vive, je suis charmante Comme un p'tit oiseau qui chante Il m'appelle sa p'tite Sa Tonkiki, sa Tonkiki, sa Tonkinoise D'autres lui font les doux yeux Mais c'est moi qu'il aime le mieux Sono io la sua ragazza Sono Anana, sono Anana, sono Annamita, sono vivace e charmante come un uccellino che canta lui mi chiama la sua piccola borghese la sua Tonkiki, la su Tonkiki, la sua tonchinese altre gli fanno gli occhi dolci ma io lo amo meglio.

Le parole, scritte da Henri Christiné, inquadrano il testo all’interno di quel filone che narra storie d’amore tra ragazze indigene e coloni bianchi.

In effetti la prima fase della colonizzazione coinvolge uomini giovani e celibi, pronti a unirsi (per un’avventura o, assai più raramente, per un legame più serio e stabile) con ragazze del posto. Il punto di vista espresso in questa e altre canzoni coloniali simili è fortemente razzista: le giovani donne sono descritte come subito pronte a seguire gli ufficiali bianchi, esperte nell’amore, spesso tanto semplici da suscitare il riso degli ascoltatori. La relazione è caratterizzata in modo tale non lasciare dubbi sulla gerarchia dei ruoli: la ragazza (designata, secondo la sua etnia e provenienza, come moukère, fatma, houri, bédouine, mousso, congaï) è sottomessa al piacere dell’uomo, e, nell’ideologia coloniale, deve essere così26.

Dal punto di vista musicale, la canzone presenta echi e suggestioni derivanti dalla polka, dal tango e dalla musica militare. Essa è composta da una melodia semplice e graziosa, che richiama le canzoni popolari e i canti-gioco infantili; e da un accompagnamento, quasi elementare, che evoca in alcuni passaggi il timbro degli strumenti a fiato e a percussione orientali27.

La canzone viene cantata da numerosi interpreti, tra cui Karl Ditan, Jack Lantier, Mansuelle, Victor Lejal, Raoul de Godewarsvelde, Fréjol, Maurice Chevalier, Esther Lekainen, Mistinguett, e Joséphine Baker28.

1.2.2 Qu'est-ce Que T'attends Pour Aller Aux Colonies?

La chanson29 è scritta dal cantautore e attore Félicien Tramel in occasione dell’Exposition coloniale del 1931. Questa si tiene a Parigi da maggio a novembre, e mostra al grande pubblico i prodotti delle colonie e dei possedimenti d’oltremare della Francia. Le varie sezioni presentano, all’interno di padiglioni costruiti in modo da ricordare lo stile architettonico tipico del luogo, cibi e bevande tipiche, oggetti d’arte e d’artigianato, piante ed animali esotici30.

Qu'est-ce Que T'attends Pour Aller Aux Colonies? (di Félicien Tramel)

Si vous trouvez dans la rue un raseur un créancier Pour abréger l'entrevue, y'aura qu'à lui chanter :

Qu'est-ce que t'attends pour aller aux Colonies ? En Afrique, en Asie, chez l'Rajah ou l'Sultan !

Le lion ça n'peut pas t'faire peur C'est plus doux que l'percepteur L'éléphant c'est un peu gros, Mais ça serre moins que l'métro La girafe c'est mal fichu, Mais on sèche son linge dessus Le serpent c'est bien méchant Moins qu'ta femme qui gueule tout le temps Qu'est-ce que t'attends pour aller aux Colonies ? Là-bas c'est la belle vie, mais restes-y longtemps ! Qu'est-ce Que T'attends Pour Aller Aux Colonies? (traduzione di Rossella Marisi)

Se trovi sulla strada uno scocciatore, un creditore Per abbreviare la conversazione, cantagli così:

cosa aspetti ad andare nelle colonie? In Africa, in Asia, presso il Rajah o il Sultano! Il leone là non può fare paura È più tenero del funzionario delle imposte L’elefante è un po’ grosso Ma costringe meno del metrò La giraffa è antipatica Ma lassù si asciuga la biancheria Il serpente è cattivo Ma meno di tua moglie che grida tutto il tempo Cosa aspetti ad andare nelle colonie? Là si fa la bella vita, restaci a lungo! Il testo della canzone fa riferimento proprio agli animali esotici messi in mostra all’Exposition coloniale, in un invito scherzoso a non lasciarsene intimorire, perché “nelle colonie si fa la bella vita”. Il tono leggero è confermato da una strofa successiva, in cui il testo si limita ad un allegro “parà-parà-parà-parà”31.

La musica contribuisce a conferire al brano un’atmosfera briosa: il ritmo è quello di una marcetta abbastanza veloce, le frasi melodiche sono semplici e ripetute più volte, la strumentazione è di tipo bandistico32.

1.2.3 Le Fanion de la Légion

Le Fanion de la Légion è una canzone del 1936: la musica è di Marguerite Monnot e il testo è del paroliere Raymond Asso, che in gioventù aveva fatto parte degli Spahis, reggimenti di cavalleria leggera formati soprattutto da abitanti di Algeria, Tunisia e Marocco33.

Le Fanion de la Légion (di Raymond Asso e Marguerite Monnot) Tout en bas, c'est le Bled immense Que domine un petit fortin. Sur la plaine, c'est le silence, Et là-haut, dans le clair matin, Une silhouette aux quatre vents jette Les notes aiguës d'un clairon, Mais, un coup de feu lui répond.

Ah la lala, la belle histoire. Y a trente gars dans le bastion, Torse nu, rêvant de bagarres, Ils ont du vin dans leurs bidons, Des vivres et des munitions. Ah la lala, la belle histoire. Là-haut sur les murs du bastion, Dans le soleil plane la gloire Et dans le vent claque un fanion. C'est le fanion de la légion ! Les "salopards" tiennent la plaine, Là-haut, dans le petit fortin.

Depuis une longue semaine, La mort en prend chaque matin. La soif et la fièvre Dessèchent les lèvres. A tous les appels de clairon, C'est la mitraille qui répond. Ah la lala, la belle histoire, Ils restent vingt dans le bastion, Le torse nu, couverts de gloire, Ils n'ont plus d'eau dans leurs bidons Et presque plus de munitions.

Ah la lala, la belle histoire, Claquant au vent sur le bastion Et troué comme une écumoire, Il y a toujours le fanion, Le beau fanion de la légion ! Comme la nuit couvre la plaine, Les "salopards", vers le fortin Se sont glissés comme des hyènes

Le Fanion de la Légion (traduzione di Rossella Marisi) Là, il deserto immenso È dominato da un piccolo fortino C’è silenzio sulla piana E là, nel chiaro mattino, Una figura getta ai quattro venti Le note acute di una tromba militare Gli risponde un colpo d’arma da fuoco Oh la la, che bella storia Vi sono trenta ragazzi dentro il bastione A torso nudo, sognano i combattimenti Hanno vino nelle loro borracce, viveri e munizioni oh la la, che bella storia. Lassù sulle mura del bastione Nel sole plana la gloria E nel vento schiocca una bandiera È la bandiera della Legione! Gli sporchi bastardi tengono la pianura Là, nel piccolo fortino Dopo una lunga settimana La morte prende qualcuno ogni mattino La sete e la febbre Seccano le labbra A tutti i segnali della tromba È la mitraglia che risponde Oh la la, che bella storia!

Restano in venti nel bastione, a torso nudo, coperti di gloria non hanno più acqua nelle loro borracce e hanno quasi finito le munizioni Oh la la, che bella storia! Schiocca al vento sul bastione È bucata come un colino E sta sempre là la bandiera La bella bandiera della Legione! Quando la notte copre la piana Gli sporchi bastardi, verso il fortino Sono scivolati, come delle iene, Ils ont lutté jusqu'au matin : Hurlements de rage, Corps à corps sauvages, Les chiens ont eu peur des lions.

Ils n'ont pas pris la position. Ah la lala, la belle histoire, Ils restent trois dans le bastion, Le torse nu, couverts de gloire, Sanglants, meurtris et en haillons, Sans eau ni pain, ni munitions. Ah la lala, la belle histoire, Ils ont toujours dans le bastion Mais ne peuvent crier victoire : On leur a volé le fanion, Le beau fanion de la légion ! Mais tout à coup, le canon tonne : Des renforts arrivent enfin. A l'horizon, une colonne Se profile dans le matin Et l'écho répète l'appel des trompettes Qui monte vers le mamelon. Un cri de là-haut lui répond.

Ah la lala, la belle histoire, Les trois qui sont dans le bastion, Sur leurs poitrines toutes noires Avec du sang crénom de nom Ont dessiné de beaux fanions. Ah la lala, la belle histoire, Ils peuvent redresser leurs fronts Et vers le ciel crier victoire. Au garde-à-vous sur le bastion, Ils gueulent "présent la légion."

hanno lottato fino al mattino: urla di rabbia corpo a corpo selvaggi i cani hanno paura dei leoni Non hanno preso la postazione Oh la la, che bella storia! Restano in tre dentro il bastione A torso nudo, coperti di gloria Sanguinanti, feriti e coperti di stracci Non hanno più acqua, né pane né Oh la la, che bella storia Sono sempre dentro il bastione Ma non possono gridare vittoria: gli hanno rubato la bandiera la bella bandiera della Legione! Ma, di colpo, tuona il cannone: arrivano finalmente dei rinforzi. All’orizzonte, una colonna Si profila nel mattino E l’eco ripete il segnale delle trombe Che sale verso la collina Un grido di là gli risponde.

Oh la la, che bella storia! I tre sono dentro il bastione Sui loro petti tutti neri Col sangue, oh no! Hanno disegnato delle belle bandiere Oh la la, che bella storia! Possono risollevare la loro fronte E gridare vittoria al cielo. Sull’attenti sul bastione, Essi urlano «la Legione: presente!» Il testo34, scritto da un ex-appartenente agli Spahis, veicola l’emozione di una vicenda realmente accaduta, narrando la storia di un avamposto della Legione straniera, situato in un punto isolato del Sahara. Il fortino, difeso da una guarnigione composta da trenta giovani, viene attaccato da un’orda di salopards (sporchi bastardi). I legionari difendono il forte eroicamente, soffrendo la fame e la sete, e subendo forti perdite. Quando finalmente si profila all’orizzonte l’arrivo dei rinforzi, solo tre legionari sono sopravvissuti alla battaglia, ma sono coperti di gloria, e la bandiera della legione è ancora indomita. Il testo è diviso in diverse sezioni: quelle narrative sono recitate, mentre quelle che esprimono il vissuto dei legionari sono cantate, secondo un modello che si richiama alle convenzioni del teatro musicale.

La retorica coloniale glorifica il valore militare, ed è opportunamente abbinata a ritmi marziali, scanditi da squilli di trombe e rulli di strumenti a percussione35.

1.3 Stati Uniti: dalla guerra contro l’espansionismo giapponese all’amministrazione della Germania occupata

Un importante momento della guerra sino-giapponese, in atto, benché non formalmente dichiarata, fin dal 1937, era stato l’invasione e l’occupazione giapponese di Shanghai, Nanchino e della regione dello Shanxi. Come deterrente nei confronti delle mire espansionistiche del Giappone, il presidente statunitense Roosevelt decide di trasferire gran parte della flotta militare a Pearl Harbor, sul Pacifico36.

Il Giappone, che mira alla supremazia nel Pacifico, a partire dal settembre 1940 inizia l’invasione dell’Indocina; gli Stati Uniti, in risposta, cessano di fornire al Giappone ferro, acciaio e componenti meccanici, confidando che tali azioni dissuadano il Giappone dal proseguire la sua strategia aggressiva37. Le armate giapponesi estendono però le loro operazioni militari in Indocina, minacciando così i possedimenti coloniali britannici e olandesi; questo induce gli Stati Uniti e la Gran Bretagna ad effettuare un embargo totale di petrolio nei confronti del Giappone38.

Nel frattempo, si moltiplicano gli sforzi per trovare una soluzione diplomatica alla crisi Giappone-Stati Uniti. Il 20 novembre 1941 il Giappone presenta la sua ultima offerta, chiedendo che gli Stati Uniti cessino di inviare aiuti alla Cina, parzialmente occupata dalle armate giapponesi, affinché abbia fine la guerra tra Cina e Giappone e si pervenga ad un trattato di pace tra questi due paesi; inoltre, il Giappone chiede che gli Stati Uniti riprendano a fornirgli petrolio. In cambio, il Giappone si impegna a ritirare le proprie truppe dall’Indocina meridionale e a collaborare con gli Stati Uniti nello sfruttamento delle risorse naturali delle Indie orientali olandesi (Sumatra, Borneo, Giava)39. Il 26 novembre gli Stati Uniti presentano la loro controproposta: il Giappone deve abbandonare immediatamente e senza condizioni l’occupazione della Cina e siglare patti di non aggressione con tutte le potenze che si affacciano sul Pacifico40.

Il Giappone però afferma di sentirsi minacciato dagli accordi stipulati dagli Stati Uniti con la Gran Bretagna (utilizzo delle basi navali britanniche da parte degli americani, progressiva chiusura dei commerci col Giappone fino ad arrivare all’embargo totale) e con l’Olanda (utilizzo delle basi navali situate nelle Indie olandesi da parte di navi americane, blocco della vendita al Giappone di materie prime prodotte nelle Indie olandesi, ivi compreso il petrolio). In questo quadro, la prospettiva di rinunciare ai territori cinesi occupati, considerati di fondamentale importanza strategica, viene considerata inaccettabile.

Il Giappone intanto attua azioni militari aggressive allo scopo di impadronirsi rapidamente delle colonie europee in Asia: ne sostiene comunque il puro scopo difensivo, mirante cioè a crearsi una vasta zona sicura, grazie alla quale beneficiare di importanti risorse, che gli vengono negate da altre fonti41.

Il 7 dicembre 1941, nel quadro delle operazioni belliche miranti alla supremazia nel Pacifico, il Giappone attacca la base di Pearl Harbor, distruggendo buona parte della flotta militare statunitense, e altre basi in Tailandia e Malesia. Questo induce Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia e altri paesi con loro alleati a dichiarare guerra al Giappone42.

La guerra si svolge con alterne vicende fino alle battaglie delle Midway e delle isole Aleutine (1942)43, delle isole Gilbert e Marshall (1943-1944)44, delle Marianne e Palau (1944)45, delle Filippine (1944-1945), delle Vulcano e Ryukyu (1945)46, che sanciscono la sconfitta militare del Giappone, ma non la fine della guerra.

Comprendendo che l’uso contro il Giappone degli ordigni nucleari da poco sviluppati avrebbe posto fine alla guerra, gli Stati Uniti lanciano due bombe atomiche contro le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente il 6 e il 9 agosto 1945. Contemporaneamente, secondo gli accordi presi a Yalta da Roosevelt, Churchill e Stalin, l’Unione Sovietica dichiara guerra al Giappone l’8 agosto 1945, e il giorno seguente attua una massiccia operazione militare contro le truppe giapponesi d’occupazione stanziate fuori dalla madrepatria. In pochi giorni l’esercito sovietico sconfigge l’esercito nipponico e si sostituisce ad esso nell’occupazione della Manciuria, della Corea e dell’isola di Sakhalin47. La capitolazione del Giappone viene resa nota il 15 agosto 194548. La seconda guerra mondiale è finita.

Alla fine della guerra in Europa (maggio 1945), la Germania sconfitta subisce grandi modificazioni territoriali: perde, a titolo di riparazioni di guerra alla Polonia e all’Unione Sovietica, tutti i suoi territori a est dei fiumi Oder- Neisse, mentre i territori a ovest di tale confine naturale vengono divisi in diverse zone, ognuna delle quali è assegnata ad uno degli eserciti di occupazione statunitense, britannico, francese, e sovietico49. Il piano originario, secondo il quale l’intera Germania avrebbe dovuto essere governata da un singolo organismo partecipato da tutti gli Alleati, naufraga a causa di tensioni interne, incentrate soprattutto sulle riparazioni di guerra dovute ai paesi vincitori, sulle questioni collegate dei tedeschi affluiti dai territori a est del confine Oder-Neisse e dei rifornimenti necessari al loro sostentamento, e sulla moneta da introdurre. Mentre Stati Uniti e Gran Bretagna trovano presto un accordo, a cui si unisce poi anche la Francia, l’Unione Sovietica persegue una propria linea, attuando nella sua zona di occupazione delle riforme politico-economiche di tipo comunista (espropriazioni di terreni, nazionalizzazione di industrie). Le relazioni tra gli Alleati occidentali e l’URSS si fanno sempre più tese50.

Ciò conduce, nel 1949, alla formazione di due diversi stati tedeschi: la Repubblica Federale di Germania e la Repubblica Democratica Tedesca. Quest’ultima, la Cecoslovacchia, l’Ungheria, la Polonia, la Romania, e la Bulgaria, sono governate autoritariamente da regimi comunisti strettamente legati all’URSS, e sono di fatto paesi satelliti dell’Unione Sovietica.

Si evidenzia la divisione dell’Europa in due blocchi, uno sotto l’influenza sovietica (paesi del Patto di Varsavia) e l’altro sotto l’influenza statunitense (paesi della North Atlantic Treaty Organization): i paesi appartenenti ai due blocchi sono caratterizzati da aspetti territoriali, economici, socio-politici, e soprattutto ideologici che li rendono sempre più distinti e distanti.

1.4 Vietnam: la lotta contro le dominazioni straniere

Nonostante le ricche risorse naturali a sua disposizione, la società vietnamita era diventata povera e disgregata sotto la dominazione francese, iniziata nel 1858; il governo coloniale aveva incentivato gli investimenti nei settori del caucciù e del carbone51, e molti agricoltori che avevano perso la loro terra erano divenuti manodopera salariata in piantagioni, fabbriche e miniere di proprietà francese, ingrandendo la classe del proletariato52.

La resistenza contro il governo coloniale francese, attuata al fine di riconquistare l’indipendenza e spazzare via le strutture feudali, comincia agli inizi del ventesimo secolo, raccogliendo adesioni sia tra i nazionalisti che tra i comunisti. Molti, tra i vietnamiti in patria e all’estero, sostengono la necessità di unire le forze contro la dominazione straniera e di avviare una radicale riforma agraria: tra essi Ho Chi Minh, che ritorna in Vietnam nel 1941, dopo oltre trent’anni di assenza. Viene creata la Lega per l’Indipendenza del Vietnam, denominata Viêt Minh, che comprende appartenenti a tutte le forze anticolonialiste, e si giova delle esistenti strutture organizzative operaie, contadine, studentesche, e mercantili53.

Nel 1940 il Giappone invade il Vietnam e alla fine del 1941 attacca Pearl Harbor. Gli americani cominciano a bombardare i campi di aviazione giapponesi situati nel Vietnam settentrionale, e Ho Chi Minh ottiene dagli americani attrezzature, armi e consiglieri militari per combattere i giapponesi stanziati in Vietnam. Grazie anche a questo sostegno, nel dicembre 1944 viene creata l’armata di liberazione vietnamita. Nel 1944-1945 una fortissima carestia causa centinaia di migliaia, forse milioni di vittime. La provoca un insieme di fattori diversi: eventi naturali, quali siccità, attacchi di parassiti, e inondazioni, scelte umane, quali sostituzioni di risaie con piantagioni di alberi della gomma, volute dei francesi, e vendita coatta di milioni di tonnellate di riso al Giappone, ed eventi legati alla resistenza contro i giapponesi, come l’impraticabilità di molte strade che, collegando il nord e il sud del paese, in epoche precedenti rendevano possibile far affluire i rifornimenti da altre zone del paese. I Viêt Minh assaltano i depositi di riso gestiti dalle potenze coloniali e distribuiscono il riso alla popolazione, conquistandone il sostegno54.

Il 15 agosto 1945 viene comunicata la resa del Giappone; il 19 agosto scoppia in Vietnam la Rivoluzione di agosto, contro i regimi coloniali. I Viêt Minh assumono il controllo di molti villaggi e città del centro e nord del Vietnam, compresa Hanoi. Il 2 settembre Ho Chi Minh proclama la nascita della Repubblica Democratica del Vietnam, stato indipendente, con capitale Hanoi. Al sud, invece, i Viêt Minh non hanno la stessa forza di penetrazione, e gruppi di ideologie assai diverse tra loro competono per la supremazia. Il 13

settembre arrivano in Vietnam truppe britanniche e francesi, grazie alle quali i francesi, approfittando anche delle divisioni tra i vari movimenti indipendentisti, riprendono rapidamente il controllo del Vietnam meridionale55.

Ho Chi Minh tratta con la Francia, e nell’accordo del 6 marzo 1946 si stabilisce che il Vietnam è uno stato libero all’interno della Union Française, avente diritto ad un proprio parlamento, governo, esercito e tesoro. In cambio il Vietnam accetta che truppe francesi permangano sul proprio territorio, finché appositi negoziati non definiscano gli interessi economici e culturali della Francia in Vietnam56, e un referendum non stabilisca se i territori meridionali del Vietnam siano parte dell’unico stato del Vietnam o costituiscano un’entità a parte57.

1.5 Conclusioni del capitolo 1

Il capitolo 1 ha esaminato la situazione in Indocina nel periodo compreso tra il 1940 al 1946 analizzandola dal punto di vista dei principali attori: la Francia, che aveva stabilito un’amministrazione coloniale sui territori corrispondenti agli attuali Vietnam, Laos e Cambogia fin dagli ultimi decenni del 19° secolo, vede il suo predominio minacciato non soltanto dalla resistenza Viêt Minh, ma anche dall’espansionismo giapponese. Pure gli Stati Uniti vedono con disfavore il tentativo, attuato dal Giappone durante la seconda guerra mondiale, di acquisire la supremazia nel Pacifico. Oltre che alleati nel conflitto mondiale, Francia e Stati Uniti sono uniti da una comune visione politica relativa al sud-est asiatico: essi intendono scoraggiare la piena indipendenza di quei territori, mantenendo su di essi una decisa influenza occidentale, al fine di proteggere i propri investimenti economici e interessi strategici. Le canzoni coloniali francesi del periodo esprimono un punto di vista decisamente imperialista, che identifica le chance di progresso economico e culturale dei territori occupati con il perdurare dell’amministrazione francese.

2. Comunismo e anticomunismo (1946-1954)

2.1 Francia: da guerra coloniale a guerra contro il comunismo

Quasi immediatamente dopo la firma dell’accordo del 6 marzo 1946, le relazioni tra Vietnam e Francia iniziano a peggiorare; ciascuna parte accusa l’altra di non aver mai voluto davvero tenere fede ai patti, ed entrambe si preparano alla guerra. Quest’ultima effettivamente scoppia il 19 dicembre 194658.

Il 26 novembre la flotta francese bombarda la città portuale di Haiphong, causando migliaia di vittime civili59. Le ostilità si estendono alla capitale, Hanoi: le forze vietnamite, benché più numerose, sono peggio armate, e devono ritirarsi, lasciando la città e rifugiandosi sulle montagne.

A gennaio 1947 il nuovo presidente del consiglio francese Paul Ramadier, succeduto a Leon Blum, decide di impiegare la forza per liberare l’area di Hanoi dai Viêt Minh60. Negli anni 1948 e 1949, le operazioni militari francesi continuano, limitate però dalla scarsità di truppe e dall’instabilità dei governi della Quarta Repubblica61.

Nel 1949 la Francia propizia il sorgere, nei territori meridionali, dello Stato del Vietnam, con a capo l’imperatore Bảo Đại62, a tale stato è attribuita sovranità in materia di politica internazionale, e la facoltà di creare un proprio esercito, addestrato da ufficiali francesi. La Francia riconosce inoltre l’indipendenza di Laos e Cambogia (che restano comunque all’interno della Union Française), rispettivamente nel 1950 e nel 1953.

Nel mese di gennaio 1950 la Cina e l’Unione Sovietica riconoscono il governo di Ho Chi Minh come l’unico legittimo, lo sostengono con forniture di armi e attrezzature, e mettono a sua disposizione depositi situati in zone sicure e consiglieri militari63.

In ragione di ciò, a partire dal 1950 gli attacchi dei Viêt Minh e dell’esercito regolare della Repubblica Democratica del Vietnam contro le truppe francesi si fanno più organizzati, frequenti, ed intensi. Le postazioni francesi di Lai Khê, Cao Bằng, Đông Khê, Lạng Sơn, sono attaccate e distrutte, e simile sorte tocca anche ad un battaglione di paracadutisti lanciatisi a sud di Cao Bằng. Gli insuccessi militari demoralizzano le truppe francesi64, che non si sentono adeguatamente sostenute né dalle indecisioni e contraddizioni dei

[...]


1 Paolo Ceri, “Partecipazione sociale”, Enciclopedia delle Scienze Sociali, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1966, vol. 6, pp. 508-516, 512.

2 Lester W. Milbrath, Political Participation: How and Why Do People Get Involved in Politics?, Chicago: Rand McNally College Publishing Company, 1965, p. 198.

3 Rossella Marisi, Musica e politica nel primo Novecento: conformismo, iconoclastia, mitopoiesi, München - Ravensburg: Grin Verlag, 2012, p. 42.

4 Émile Durkheim, La divisione del lavoro sociale, Milano: Edizioni di Comunità, 1971, p. 21.

5 Umberto Galimberti, “Gruppo”, in Id., Enciclopedia di psicologia, Milano: Garzanti, 2003, p. 483.

6 Milbrath, Political Participation …, p. 18.

7 Alan Marsh e Max Kaase, “Measuring Political Action”, in S. H. Barnes and M. Kaase (a cura di), Political Action: Mass Participation in Five Western Democracies, Beverly Hills: Sage, 1979, pp. 57-96, 59.

8 Vi sono, secondo gli studiosi, vari meccanismi di associazione suono-significato. In base ad essi, sonorità prodotte da strumenti musicali possono alludere ad elementi della realtà esterna, quali movimenti (ad esempio correre velocemente, o procedere a fatica), sonorità ambientali (ad esempio lo scorrere di corsi d’acqua, o i versi di certi animali), e rumori di macchine (ad esempio il ronzio dei motori, la frenata improvvisa di un autoveicolo, o i colpi esplosi da armi da fuoco). Alessandra Padula, Comunicazione sonora e musicoterapia, München - Ravensburg: Grin Verlag, 2008, pp. 106-108.

9 Thomas Turino, Music as Social Life: The Politics of Participation, Chicago: University of Chicago Press, 2008, p. 36.

10 Ronald J. Cima (a cura di), Vietnam: A Country Study. Washington: GPO for the Library of Congress, 1987, http://countrystudies.us/vietnam/20.htm (accesso 17 febbraio 2015). Marc Frey, Storia della Guerra in Vietnam, Torino: Einaudi, 2008, pp. 6-7.

11 Eugenie M. Blang, Allies at Odds: America, Europe, and Vietnam, 1961-1968, Plymouth: Rowman & Littlefield Publishers, 2011, p. 30.

12 Jean-Philippe Liardet, L’Indochine française pendant la Seconde Guerre mondiale, http://www.net4war.com/e-revue/dossiers/2gm/indochine-sgm/indochine-sgm-01.htm (accesso 7 gennaio 2015).

13 Sandrine Lemaire, Catherine Hodeir e Pascal Blanchard, “The colonial economy: Between Propaganda Myths and Economic Reality (1940-1955)”, in Pascal Blanchard, Sandrine Lemaire, Nicolas Bancel, Dominic Thomas (a cura di), Colonial Culture in France since the Revolution, Bloomington: Indiana University Press, 2013, p. 329.

14 George D. Moss, Vietnam, an American Ordeal, New Jersey: Prentice Hall, 2007, pp. 11-12.

15 Kim Khanh Huynh, “Vietnamese August Revolution Reinterpreted”, Journal of Asian Studies 30 (4), agosto 1971, pp. 761-782, 764.

16 Stanley Karnow, Vietnam: A History, New York: Penguin Books, 1997, p. 137.

17 Frey, Storia ..., p. 10.

18 Van Nguyen Duong, The tragedy of the Vietnam War: a South Vietnamese officer's analysis, Jefferson: McFarland, 2008, p. 21.

19 Anthony Clayton, The Wars of French Decolonization, New York: Longman, 1994, p. 44.

20 Clayton, The Wars…, p. 46.

21 Stein Tønnesson, Vietnam 1946: How the War Began, Berkeley e Los Angeles: University of California Press, 2010, p. 128.

22 Paul Reynaud “L’empire français”, Exposition colonial internationale - L’effort colonial dans le monde, in Le Sud-Ouest économique, 213, agosto 1931, p. 689. Pierre Mendés France, L’empire français, La Dépeche de Louviers, 14 dicembre 1934.

23 Sandrine Lemaire, Catherine Hodeir, e Pascal Blanchard, “The Colonial Economy: Between Propaganda Myths and Economic Reality (1940-1955)”, in Pascal Blanchard, Sandrine Lemaire, Nicolas Bancel, Dominic Thomas (a cura di), Colonial Culture in France since the Revolution, Bloomington: Indiana University Press, 2013, p. 330.

24 Alain Ruscio, Que la France était belle au temps des colonies. Anthologie des chansons coloniales et exotiques françaises, Parigi: Maisonneuve & Larose, 2001. Alain Ruscio, Le credo de l’homme blanc: Regards coloniales XIXe - XXe siécles, Parigi: Complexe, 1995; Alain Ruscio (a cura di), Amours coloniales. Aventures et fantasmes exotiques de Claire de Duras à Georges Simenon, Parigi: Complexe, 1996.

25 La Petite Tonkinoise, http://www.lyricsmania.com/lapetitetonkinoiselyricsjosephinebaker.html (accesso 7 gennaio 2015).

26 Maryse J. Bray, Agnes Calatayud, “La chanson populaire en France au temps des colonies: de l’insouciance à la contestation”, Remembering Empire, 1, 2002, pp. 81-98.

27 Joséphine Baker - La petite Tonkinoise, https://www.youtube.com/watch?v=BfONhdg3aiE (accesso 13 febbraio 2015).

28 Lucien Sicard, “L’histoire des cabarets avant la guerre de 14 (Deuxième partie : de 1907 à 1910)”, L’Heure aux Mordus, no 33, gennaio-marzo 2008, p. 6.

29 Nénufar : Un regard sur la chanson et l’Exposition coloniale de 1931 http://www.ac-grenoble.fr/lycee/vincent.indy/IMG/pdfNenufar.pdf (accesso 7 gennaio 2015).

30 France : l'exposition coloniale de 1931 et des chansons coloniales, http://icp.ge.ch/po/cliotexte/annees-20-30-crises-totalitarisme/france.colonisation.30.html (accesso 7 gennaio 2015).

31 Nénufar. Un regard sur la chanson et l’Exposition coloniale de 1931, http://www.ac- grenoble.fr/lycee/vincent.indy/IMG/pdfNenufar.pdf (accesso 13 febbraio 2015).

32 Qu'est-ce Que T'attends Pour Aller Aux Colonies? http://player.qobuz.com/#!/track/14717797 (accesso 13 febbraio 2015).

33 Robert Belleret, Piaf, un mythe français, Parigi: Fayard, 2013, p. 20. 25

34 Le Fanion de la Légion, http://www.angolotesti.it/E/testicanzoniedithpiaf2574/testocanzonelefaniondelal egion396885.html (accesso 13 febbraio 2015).

35 Edith Piaf - Le Fanion de la Légion, http://www.dailymotion.com/video/x3bnkqedith- piaf-la-fanion-de-la-legion-1music (accesso 13 febbraio 2015).

36 Pearl Harbor Raid, 7 December 1941, http://www.history.navy.mil/photos/events/wwii- pac/pearlhbr/pearlhbr.htm (accesso 26 dicembre 2014).

37 Samuel Eliot Morison, History of United States Naval Operations in World War II, vol. 14: Victory in the Pacific, 1945, Champaign: University of Illinois Press, 2002, p.60.

38 Irvine H. Anderson Jr., “The 1941 de facto Embargo on Oil to Japan: A Bureaucratic Reflex”, The Pacific Historical Review, 44(2), 1975, p. 201.

39 The Decision for War, http://www.ibiblio.org/hyperwar/USA/USA-P-Strategy/Strategy- 5.html (accesso 26 dicembre 2014).

40 The United States Replies, http://www.ibiblio.org/pha/pha/congress/app-d.html#363 (accesso 26 dicembre 2014).

41 John W. Dower, War Without Mercy: Race and Power in the Pacific War, New York: Pantheon Books, 1986, p.5.

42 Marco Fossati, Giorgio Luppi, Emilio Zanette, La città dell’uomo: il Novecento, vol. 3, Milano: Paravia Bruno Mondadori, 2003, p. 191

43 Martin Gilbert, La grande storia della seconda guerra mondiale, 1989, pp. 480-481.

44 David M. Kennedy, Freedom from Fear: The American People in Depression and War, 1929-1945, New York: Oxford University Press, 2001, p. 610.

45 Henri Michel, La seconda guerra mondiale, Roma: Newton Compton, 1993, pp. 174-176.

46 Gilbert, La grande storia…, pp. 737-738, 752, 757.

47 Gianfranco Dellacasa, La controrivoluzione sconosciuta, Milano: Jaca Book, 1977, p. 452.

48 Bernard Millot, La Guerra del Pacifico, Milano: BUR, 1967, pp. 987-990.

49 Hanns Buchholz, “The Inner-German Border”, in Carl Grundy-Warr (a cura di), Eurasia: World Boundaries, vol. 3, Londra: Routledge, 1994, p. 56.

50 Ray Salvatore Jennings, The Road Ahead: Lessons in Nation Building from Japan, Germany, and Afghanistan for Postwar Iraq, Washington: United States Institute of Peace, 2003, pp. 13-15.

51 George D. Moss, Vietnam, an American Ordeal, New Jersey: Prentice Hall, 2007, pp. 11- 12.

52 Melanie Beresford e Chris Nyland, “The Labor Movement of Vietnam”, Labor History, 75 (novembre 1998), pp. 57-58.

53 Jean Sainteny, Ho Chi Minh and His Vietnam: A Personal Memoir, Chicago: Cowles Book Company, 1970, pp. 22-24.

54 Geoffrey Gunn, “The Great Vietnamese Famine of 1944-45 Revisited”, The Asia-Pacific Journal, 9(5), 4, 31 gennaio 2011, http://www.japanfocus.org/-Geoffrey-Gunn/3483 (accesso 7 gennaio 2015).

55 Jessica M. Chapman, Cauldron of Resistance: Ngo Dinh Diem, the United States, and 1950s Southern Vietnam, New York: Cornell University Press, 2013, pp. 30-31.

56 The Pentagon Papers, Gravel Edition, vol. 1, cap. 1, Boston: Beacon Press, 1971, pp. 1-52, 18-19.

57 Stein Tønnesson, Vietnam 1946: How the War Began, Berkeley e Los Angeles: University of California Press, 2010, p. 70.

58 Peter Worthing, Occupation and Revolution; China and the Vietnamese August Revolution of 1945, Berkeley: Institution of East Asian Studies - University of California Berkeley, 2001, p. 170.

59 Richard J. Barnet, Intervention and Revolution: The United States in the Third World, New York: The World Publishing Company, 1968, p. 185.

60 Clayton, The Wars…, p. 48.

61 Clayton, The Wars…,p. 52.

62 Bernard Lefèvre, L’occident en péril, Parigi: Nouvelles Éditions Latines, 1961, p. 125.

63 “China and Soviet Union recognize Democratic Republic of Vietnam”, http://www.history.com/this-day-in-history/china-and-soviet-union-recognize-democratic- republic-of-vietnam (accesso 27 dicembre 2014).

64 Clayton, The Wars…, p. 53.

Excerpt out of 258 pages

Details

Title
La canzone politica 1940-1970. Dal colonialismo francese in Indocina alla controcultura americana
Author
Year
2015
Pages
258
Catalog Number
V295839
ISBN (eBook)
9783656937562
ISBN (Book)
9783656937579
File size
2013 KB
Language
Italian
Keywords
indocina
Quote paper
Rossella Marisi (Author), 2015, La canzone politica 1940-1970. Dal colonialismo francese in Indocina alla controcultura americana, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/295839

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