La Rivoluzione Lucana del 1860 Tra Progetto, Azione E Mito


Habilitationsschrift, 2018

143 Seiten, Note: 10,00


Leseprobe


Indice

Introduzione

Capitolo Primo

Dalla «primavera dei popoli» all’insurrezione

Capitolo Secondo

Il governo dell’emergenza

Capitolo Terzo

La Prodittatura e l’Unificazione

tra integrazione e resistenze

Capitolo Quarto

Memoria e rappresentazione del

in Giacomo Racioppi

Capitolo Quinto

Dalla memoria al mito del

tra Ottocento e Novecento: alcuni casi

Appendice

Introduzione

Nell’ambito del più generale contesto storiografico inerente il processodi Unificazione nazionale, particolare attenzione riveste, per i ruoli e lefunzioni svolti da gruppi e classi dirigenti nel Mezzogiorno d’Italia ed in Basilicata, l’insurrezione lucana del 1860, punto terminale del percorso diunificazione e di concreta partecipazione politica iniziata dal cruciale 1799.La storia politica e culturale della provincia della Basilicata è senza dubbiocaratterizzata dagli avvenimenti dell’Età napoleonica e dai bienni del 1820-21, del 1848-49 e del 1860-61 che si inseriscono, con elementi peculiari,nelle vicende del Mezzogiorno d’Italia soprattutto in riferimento al per-corso risorgimentale. Essi possono definirsi come “anni d’apertura” versol’Italia unita, nei quali la progettualità politica si sposò ad un’azione sem-pre più concreta ed operante sul e per il territorio provinciale.

Oggi, infatti, nell’ambito di un’accurata delineazione di contesti etracciati, generali e locali, di progettualità e di pratica politico-istituzionaleche contraddistinsero il concreto operare sul campo di gruppi e classidirigenti, la più recente storiografia ha focalizzato l’attenzione su una seriedi elementi che caratterizzarono il percorso risorgimentale e, in questocontesto, il determinante periodo compreso tra la «primavera dei popoli» el’insurrezione lucana del 1860. In tale contesto, particolare rilievoassunsero le reti, visibili e invisibili, dell’associazionismo politico sulterritorio, con la compartecipazione, diretta ed indiretta, di singoli e digruppi, sul piano della progettualità politica non solo a livello locale, finoalla centralità della “rivoluzione” e della peculiare esperienza della Prodittatura del 1860 in Basilicata.

Una provincia peculiarissima, questa, anche per l’immagine mentale che iviaggiatori e, in genere, il resto degli italiani, avevano di essa: una provinciaquasi del tutto “intatta”, nella quale l’opera dell’uomo aveva solamente“scalfito” la natura, senza incidervi, ma anzi armonizzandovisi.Un’immagine di natura incontaminata in una terra quasi utopica, nellaquale il richiamo all’antico trovava «un repertorio di luoghi, una lista dimonumenti, una serie di valori che dovevano costituire una sorta di Campi Elisi sottratti […] all’aggressiva presenza della macchina»1. Così, nel 1847,Edward Lear visitava la Basilicata alla ricerca di memorie del passatooraziano e federiciano. Melfi e Castel Del Monte, Venosa e San Micheledel Vulture rientravano nell’osservazione dell’artista britannico, attentoagli aspetti naturali e alle «rovine verdeggianti» in una prospettiva dipaesaggista, volta a mettere in evidenza la solitudine dell’uomo in unaprovincia dominata dalla natura, in contrasto con la “civiltà” dei suoiospiti. Non a caso, queste sue impressioni “pittoresche” sarebbero apparsecon il titolo di Journal of a Landscape Painter in Southern Calabria (1852)2.

Aspetti, quelli del contrasto tra la natura quasi “selvaggia” e la bontà“naturale” dei lucani, evidenziati, in quello stesso anno, da Cesare Malpica(1804-1852), poeta, romanziere e giornalista capuano che, nel maggio1847, era partito da Napoli alla volta della Basilicata, visitando centri in cuirisiedevano persone a lui note o allievi che lo avevano invitato a constatarecon i suoi occhi la vita della media ed alta borghesia lucana. Il tutto svoltoin forma giornalistica, con il titolo La Basilicata. Impressioni (1847), questavolta con particolare attenzione non soltanto agli aspetti paesaggistici,quanto, piuttosto, a quelli come nel caso di Potenza, di trasformazione e“redenzione” dell’ambiente, in un particolare momento di attività socio-economica e politico-istituzionale3.

Il tragitto di Karl Wilhelm Schnars, medico amburghese, nel novembre-dicembre 1857, lo condusse dalla Puglia, attraverso nella zona ofantina.Visitata ampiamente la zona vulturina, lo Schnars, attraverso il capoluogodella provincia e con una deviazione per il Vallo di Diano, si spinse fino a Saponara (odierna Grumento Nova)4. Le rapide annotazioni dello Schnars, pubblicate con il titolo Eine Reise durch neapolitanische Provinz Basilicata un die angrenzenden Gegenden (1859)5, di carattere aneddotico,

Abbreviazioni: ASCP = Archivio Storico Comunale di Potenza; ASFR =Archivio Storico Filippo Rondinelli; ASP = Archivio di Stato di Potenza; DPL = T.PEDIO, Dizionario dei Patrioti Lucani. Artefici e oppositori (1700-1870), vol. I. A-C,Trani 1969; vol. II. D-I, Trani 1972; vol. III. L-O, Bari 1979; vol. IV. P-R, Bari 1990;vol. V. S-Z, Bari 1990.

spesso rapide ed essenziali, anche se in molti casi arricchite da dati desuntidalle descrizioni del Regno e da eruditi locali, danno la misura dellacatastroficità (anche a livello socio-economico e culturale) del sisma del1857. Pubblicate, infatti, con riferimenti al terremoto, si situano al confinetra la descrizione erudita e l’elegia per un mondo scomparso, una «terraincognita» paragonata ai luoghi di fiaba della nativa Germania. Nella Basilicata di metà XIX secolo, infatti, lo Schnars registrò l’immobilitàsuggestiva dei luoghi, al di là, forse oltre la grande storia, immemori delpassato e del presente. Le osservazioni erudite sembrano soverchiare, ineffetti, quelle di carattere antropologico e socio-economico, sicchél’immagine, pur suggestiva, che ne emerge è quella di una terra, appunto, borderline, ulteriormente separata dal mondo dal tragico terremoto del1857.

Eppure, come vedremo, in questa provincia apparentemente segregatadal resto del Regno delle Due Sicilie si sarebbe consumato l’ultimo atto, ilpiù determinante, dell’Unificazione italiana e del conflitto tra moderatismoe democratismo, che con il 1860 avrebbe trovato una conclusione soloapparentemente definitiva, aprendo nuove vie per la lotta politica.

Lotta che, in effetti, aveva contraddistinto la Basilicata fin dal fatale 1799,un momento di «scoperta della politica» che sarebbe continuato nel Decennio napoleonico, che, nel quadro di un rideterminato rapporto tracentro e periferia, anche a livello geografico-territoriale: l’Età napoleonicanel suo complesso aveva concretizzato riforme appena abbozzate nelcorso del 1799, dalla legge eversiva della feudalità al riassetto territorialealla nuova maglia istituzionale-amministrativa nei territori provinciali6. Lanuova borghesia di tradizione agraria, spina dorsale della nuova classedirigente provinciale, la cui condizione sociale si connetteva all’eserciziodelle professioni civili ed impiegatizie, si rafforzò nel Decennio grazie alleopportunità provenienti dal mercato dei beni ecclesiastici e demaniali,oltre che dal controllo stesso della gestione amministrativa locale7,specchiandosi, infine, nell’autorappresentazione del proprio potere eimpostando le basi per ridiscutere l’assetto economico-sociale provinciale,come evidente dalla breve stagione rivoluzionaria e costituzionale del Basilicata, Venosa 1991. 1820-21.

Si era, dunque, innescato un processo di conflittualità politica nel qualenon piccola parte ebbero i legami familiari e clientelari, che connotaronole schermaglie dei diversi schieramenti fin da subito. Dietro la bandierademocratica e quella moderata, in effetti, si agitarono, lungo tutto iltortuoso percorso che avrebbe portato all’Unità, schieramenti familiari,legami economici e socio-culturali e che, esplicitatisi dapprima nel biennio1848-49 (quando la maturazione delle classi dirigenti consentì maggiordibattito politico di quanto non fosse avvenuto nell’immaturità del ’20-21),avrebbero trovato più robusta espressione nell’ultimo triennio del Regnodelle Due Sicilie e, soprattutto, in quel notevole esperimento che fu il Governo Prodittatoriale Lucano.

Chiusi i giochi, la legittimazione dell’operato dell’una e dell’altra partesarebbe passata dal campo di battaglia allo scrittoio, con una fioritura dimemoriali, ricordi, cronistorie, cronache che avrebbe riproposto, certocon più acredine, la disillusione di quanti avevano agito con alacre lavoriopensando di ottenere posti di rilievo nell’amministrazione del nascente Stato unitario. L’autorappresentazione di questi “vinti” avrebbe, dunque,insistito fortemente sull’«ardore di libertà» e contribuito, come si vedrà(specie nel primo cinquantenario dell’Unità) alla mitizzazione del 1860lucano accanto a quello nazionale ed altrettanto oleografico dellapropaganda sabauda.

Capitolo Primo Dalla «primavera dei popoli» all’insurrezione

1. Dal 1848 alla tragedia di Sanza

L’ampio periodo tra gli snodi delle rivoluzioni del 1820-21 e del 1848-49,pur se ampiamente riconducibile ad un significativo cambio generazionale,non mise in discussione l’evoluzione, in senso costituzionale, dello Statonapoleonico, fermo restando, da parte dei gruppi radicali, «un forte accen-to sul democratismo della carta di Cadice», mentre, da parte dei moderati,attestati sul costituzionalismo, il «valore di garanzia», con l’obiettivo dicontemperare le richieste dei nuovi gruppi sociali meridionali con quelliche erano gli interessi della monarchia1. Sicché lo stesso progetto federati-vo sarebbe stato, di fatto, praticato in una logica fondata piùsull’apparenza che sulla sostanza. In tal modo si diluivano nel più grandeed unificante tema della nazionalità i motivi di tensione tra i patrioti e ciòspiegherebbe anche la rapidità con la quale, come detto, sia in Sicilia chesul continente, proprio nel corso della «primavera dei popoli», si assunserodistanze dal radicalismo, per non rischiare, proprio in nome della causanazionale ed in presenza di mobilitazioni di massa, l’estremizzazione delprocesso politico-istituzionale2.

La generazione di Bonaparte aveva, in effetti, lasciato il passo ad unanuova classe dirigente che espresse, con la «primavera dei popoli» del1848, un passaggio epocale in vista del 1860. Moderati e democratici,infatti, avrebbero visto fallire le loro idee ispiratrici e, inevitabilmente,sarebbero stati costretti a correggere il proprio progetto di pratica politica,in modo da supportare un programma più attuabile e perseguibile.

I fermenti democratico-costituzionali furono, in effetti, sopiti ma nonspenti nel decennio precedente al 1848: tuttavia, nel Regno delle Due Sicilie, Ferdinando II continuava a negare ogni richiesta liberale ecostituzionale e reprimeva energicamente ogni manifestazione in tal senso,anche se nei primi anni del suo regno aveva avviato un tentativo diconciliazione con i sudditi ma, per una serie di disordini, fu costretto adabbandonare l’iniziale apertura a favore di un più accentuato paternalismo.

La Sicilia, in questo contesto, scontenta dell’annessione al Regno e maiveramente accontentata dopo la rivoluzione del 1820-1821, divenne teatrodi un vera e propria rivoluzione: infatti il 12 gennaio del ’48 a Palermo imanifestanti innalzarono le barricate e riuscirono a impadronirsi dellacittà3, tanto che il re, nel tentativo di tamponare l’azione degli insortisiciliani, il 18 e 19 gennaio emanò una serie di provvedimenti di aperturaalle istanze dei separatisti.

Le notizie raggiunsero inevitabilmente Napoli, provocando una serie diforti contrasti tra il sovrano ed i sudditi entrarono durante lo stesso mesedi gennaio, finché il 27 un’imponente manifestazione liberale si svolsenella capitale e gli alti ranghi dell’esercito si rifiutarono di disperdere lafolla. Le circostanze non permettevano ulteriori indugi, sicché il re dovetteconcedere la costituzione, che rese nota con l’atto sovrano del 29, con ilquale si impegnava a concedere la carta costituzionale entro dieci giorni e,nell’occasione, ne anticipava alcuni tratti. L’atto regio del 29 gennaio 1948fu accolto da manifestazioni di giubilo e affetto dai sudditi, anche nelleprovince e l’opinione pubblica europea venne favorevolmenteimpressionata dall’apertura democratica di Ferdinando4, ma il 15 maggiodel 1848 le promesse costituzionali del sovrano borbonico non furonomantenute, poiché egli non permise la riunione del Parlamento, minandol’attuazione del programma liberale e decise per l’intervento armato anchein Sicilia: infatti, nel mese di settembre del 1848 il generale Filangieriavrebbe conquistato Messina e Palermo e solo l’intervento congiunto di Francia e Inghilterra portò ad un armistizio pacifico.

L’evoluzione degli avvenimenti italiani ed europei incoraggiavano lapolitica reazionaria del Borbone5, che scelse la linea dura: dopo aversciolto le camere il 12 marzo del ’49, facendo, altresì, proseguire l’epurazione con l’esautorazione del governo moderato-costituzionale,sostituito da una presidenza del parlamento più vicina ai suoi interessi.I liberali lucani si erano riuniti in un Circolo Costituzionale fondato nel1848 aveva diramato le direttive che partivano da Napoli, in cui erastabilito che nelle sede di tale Circolo si sarebbero dovuti esaminare gliaffari pubblici provinciali e istituire una rete di “mini-organizzazioni” sulterritorio provinciale6. Il Circolo Costituzionale Lucano, operanteprincipalmente a Potenza, manteneva rapporti con i comuni limitrofi, oltreche con le province più vicine7: riunitisi per la prima volta il 29 aprile del1848, i componenti il Circolo elessero presidente l’avvocato di Palazzo San Gervasio Vincenzo D’Errico8, esponente di una cultura politica affineagli affiliati del circolo, principalmente uomini legati alla professioneforense, oltre che professori e esponenti del clero9. In realtà, comunque, inseno al Circolo, esisteva una corrente più radicale, che faceva capo alsacerdote Emilio Maffei e che attaccava direttamente il monopolioscolastico detenuto per secoli dal clero, sostenendo un’istruzione su baselaica: concetti, questi, specchio della linea politica di alto profilo intrapresaa Potenza.

Il bene di una Costituzione rigeneratrice, che concilia ed armonizza lapotenza, il lustro ed i principii della Monarchia coì più cari pegni diordine e di temperata libertà, e col benessere de’ popoli, è donoinestimabile di Re clemente e generoso, che ogni altra Grazia Sovranasupera e vince10.

Così si leggeva nel messaggio inviato da Potenza al re il 16 febbraio1848. Era, quindi, l’offerta della nuova classe alla monarchia borbonica, era la candidatura a prendere il posto della vecchia aristocrazia ormaidecaduta. E perché la monarchia non avesse a dubitare del caratterepacifico e niente affatto rivoluzionario di questa nuova classe, eccol’offerta di garanzie. Al Circolo potevano essere ammesse soltanto certecategorie, mentre venivano escluse le classi minori. L’art. 5 dello Statutodel Circolo prescriveva infatti che di esso potevano far parte solo i«professori, i proprietari galantuomini, gli impiegati e gli ecclesiastici»11.

La provincia di Basilicata venne, dunque, fortemente sollecitata dallarivolta, al che va aggiunta la presenza di Ferdinando Petruccelli della Gattina in Calabria, già redattore del critico periodico «Mondo Vecchio e Mondo Nuovo» ed ora in fruttuosi rapporti con alcuni esponenti del Circolo12, tanto che, nei comunicati stampati tra il 9 e il 10 giugno, siallegavano notizie su quanto avvenuto a Cosenza e si valutava un possibileinvio di truppe13. Le stampe del 9 contenevano, altresì, indicazioni sullaconvocazione di una Dieta Provinciale, indetta per il 15 giugno, cheimponeva alla Guardia Nazionale e a quanti si fossero spontaneamenteuniti per la causa costituzionale di trasferirsi nella città capoluogo, dandoseguito alle indicazioni del 21 maggio.

Alla riunione della Dieta parteciparono quasi tutti gli emissari dellaprovincia invitati. Gli argomenti affrontati furono principalmente due emisero in luce la già prevedibile scissione del circolo in liberali edemocratici: il primo argomento riguardava il mantenimento dellacostituzione ed era sostenuto dai democratici, mentre il secondo, comeprevedibile, riguardava l’intervento armato in Calabria, fortementesostenuto dalla corrente liberale14.

Tuttavia l’intervento ufficiale in Calabria non ebbe seguito, dato che lerisorse erano poche e si preferì investire gli sforzi del Circolo in favore diuna federazione interprovinciale, con scambi assai fitti con gli altri distrettie alcuni associati che contattarono altri Circoli per organizzare una Dieta Federale. L’azione dell’organizzazione presieduta dal D’Errico eralungimirante, con un giusto equilibrio tra le correnti del Circolo, senzacedere mai il passo alla fazione capitanata dal Maffei, convinta di essere

vicina all’azione armata15 ; inoltre la corrente derrichiana seppe, conestrema lucidità, controllare anche i rapporti con le associazioni delleprovince contermini, comprendendo quali spazi fornire in vista della Dieta Federale che si sarebbe riunita a Potenza il 25 giugno del 1848.

A tale Dieta presero parte ai lavori gli emissari di Basilicata, Terrad’Otranto, Bari, Capitanata e Molise, mentre quelli di Principato Citrapreferirono non partecipare, dichiarando di voler agire autonomamente16.L’incontro diede buoni segnali, poiché il coordinamento basilicatese riuscìa produrre un Memorandum che, seguendo la linea moderata e quinditentando il dialogo con la monarchia, chiedeva di rivedere molte delleazioni politiche assunte a partire dal 15 maggio e di ristabilire la dignità dicostituzione e parlamento, non escludendo, in caso contrario, una reazionearmata17.

L’8 luglio, nel corso di altra congiunta riunione tra componente radicalee moderata del Circolo Costituzionale Lucano, si tentò, dal versante piùradicale, l’istituzione di un Governo Provvisorio per la Provincia di Basilicata che però fu letto, dal campo moderato largamente maggioritario,come vero e proprio atto di guerra nei confronti di Ferdinando II. Intanto,dal febbraio 1849 aveva non pochi proseliti anche in Basilicata la Grande Società dell’Unità Italiana che era stata costituita con l’obiettivo di«liberare l’Italia dalla tirannide interna dei principi» e da ogni potenzastraniera, riunirla e renderla forte ed indipendente per poi pensare allaforma monarchica o repubblicana. Primo Presidente di tale Circolo fu, a Potenza, Emilio Maffei.

Cosicché, nonostante vari Circoli della Basilicata fossero pronti arispondere all’appello calabrese, in assenza del Circolo Costituzionale di Potenza, tale spinta rimase vana, nel mentre nel mese di luglio le armatedel Generale Nunziante spegnevano le ultime resistenze degli insorti.

La classe moderata, di fatto, dunque, non raccolse mai i frutti della poli-tica dettata nel Memorandum: la realtà riservò una violentissima reazione daparte dei Borbone e la classe politica del biennio 1848-49 subì una serie interminabile di processi. La maggior parte dei protagonisti venne incarce-rata, esiliata per numerosi anni, mentre altri si diedero alla latitanza18.Un notevole impulso alla rinascita della rete associazionistica dopo lastasi del 1848 fu dato dalla «Grande società dell’unità italiana», che, comespecificato nella sua Costituzione, era erede della Carboneria e della Giova-ne Italia, allo scopo di «liberare l’Italia dalla tirannide interna de’ principi eda ogni potenza straniera»19. Nel 1854 si costituiva a Napoli un comitatocomposto da Luigi Dragone e Giuseppe Fanelli, affiancati da Giovanni Matina e Giacinto Albini20. Il direttivo Fanelli-Dragone aveva sede opera-tiva nella casa della moglie di quest’ultimo ed operò, di fatto, nel biennio1856-1857, lavorando attivamente per ricostruire una rete associazionisticatra Cilento, Basilicata e Terra d’Otranto, grazie all’azione di Giacinto Al-bini, che aveva organizzato vari “sub-comitati”, soprattutto ad Altamura e Bitonto, intavolando stretti legami con il Comitato provinciale di Bari, nel-le persone di De Laurentis, Francesco Terranova, Candido Turco.L’Albini, in Basilicata, aveva istituito un “sub-comitato” a Corleto Pertica-ra, con la collaborazione di Domenico Ruggiero e padre Alessandro da Tricarico, Carmine Senise, Domenico De Pietro, Giuseppe De Franchi, ipotentini Camillo Motta e Orazio Petruccelli, il laurenzanese Domenico Asselta21. Si veniva, dunque, a delineare, seppur in forma ancora nebulosa,il progetto politico di una rivoluzione democratica anti-borghese, fondatosu una sorta di «partito nazionale»22 e su un «esercizio della vita collettivadi un popolo costituito nell’ordine dei suoi elementi di vitalità interna, e diforza rimpetto allo straniero»23.

La rete si estese, come detto, tra Cilento, Basilicata, Calabria Citra e Pu-glie, organizzata in quattro compartimenti geografici e in sezioni rette daun Commissario. In una Dichiarazione, firmata dal Lafarina, era esplicita-mente sostenuto che «la [...] società è stata fondata a fine di dare un lega-me di unità, con il motto: “Italia e Vittorio Emanuele”», contemperandol’aspirazione unitaria di stampo mazziniano con la guida dei Savoia e po-nendo alla guida di tale società due personalità di rilievo come il Garibaldie il Manin. Nel 1856 il Lafarina precisava, altresì, che il problema principa- le dell’unificazione era evitare un “cortocircuito” tra il Napoletano e la Si-cilia, orientando entrambe sul comune obiettivo di unificare l’Italia24.Quando nel 1857 moriva Manin e alla presidenza della Società nazionalegli succedeva proprio Lafarina, ben si comprende come la lotta almurattismo crescesse di tono; e in un quadro siffatto diviene possibileconiugare l’intesa tra il Piemonte e la Sicilia con la preoccupazione discongiurare tanto lo “spauracchio napoleonide” che l’ipotesi di una ripresapolitica del democratismo meridionale. Così, la soluzione del problemaitaliano nella forma di un allargamento del Piemonte alla penisola avvennegrazie alla convinta adesione di più ampi settori della classe dirigentesiciliana, che scorsero in essa l’opportunità di mettere fuori gioco il Borbone e di contrattare, questa volta da posizioni di forza, le condizionidella loro adesione al nuovo Stato.

La ramificazione del Comitato di Fanelli e Dragone sul territorio provinciale di Basilicata è evidenziata dal ritrovamento, da parte della polizia borbonica, di «carte sediziose» che avevano lo scopo di promuovere gli ideali mazziniani, in special modo una fitta corrispondenza tra Napoli e Giacinto Albini, nominato commissario promotore della provincia di Basilicata25. Da queste lettere si evidenzia come, alla fine del 1856, la Basilicata fosse considerata dal Comitato di Napoli una delle province più pronte ad insorgere ed uno snodo fondamentale, data la sua caratteristica di “cerniera” tra province campane, pugliesi e calabresi:

Le notizie relative alle ottime disposizioni di cotesta provincia ci arriva-no consolantissime. Ci auguriamo che mercè la continua operosità ebuon volere de’ rappresentanti di ciascuna sezione sarà questa la pro-vincia che avrà il primato in dare il grande segnale dell’insorgimento na-zionale, che verrà seguito dalle altre province, dalla capitale istessa, e re-sto d’Italia26.

Eppure, nonostante questi fermenti, il 1857, in particolare, può essereconsiderato l’ annus horribilis per l’associazionismo di stampo democratico.Innanzitutto, nel corso di quell’anno ci fu una ripresa della vigilanza del-la polizia nei confronti dell’associazionismo settario, che si concretizzò innumerosi interrogatori di sospetti e in perquisizioni domiciliari: a Corleto fu perquisita anche la casa della famiglia Lacava, ma senza esito27. Anchese questa operosità investigativa si risolse, nella maggioranza dei casi, in unnulla di fatto, essa concorse a ostacolare le comunicazioni fra i patrioti.

In secondo luogo, un evento ben più grave sembrò disperdere le filadella progettata insurrezione che sarebbe partita dalla zona di confine tra Principato Citra e Basilicata. La spedizione guidata da Carlo Pisacane,infatti, risulta, in tale contesto, un “fallimento” emblematico degli“esperimenti” di stampo democratico radicale28: l’estrema velocità con cuifu organizzata e fallì, infatti, rispecchia l’idea della rivoluzione rapida, chebasava molto sull’effetto sorpresa e la lenta risposta delle autorità regie29.

La preparazione logistica, grazie anche all’attivismo di Albini in Basilica-ta e Vincenzo Padula nel Vallo di Diano, fu spostata in tali aree, poichél’iniziale decisione di sbarcare a Napoli era, di fatto, impossibile e, dunque,si preferì una posizione più percorribile, quale quella del golfo di Polica-stro, con la previsione di tappe intermedie per recuperare armi e uomini.Eppure, Giacinto Albini sollevò subito delle perplessità dopo essere statoinformato del piano, che affermava perentoriamente «come avete un cen-no dello sbarco […], concentratevi subito ad Auletta»30.

Il 16 aprile la corrispondenza dell’attivista Vincenzo Padula con lucani ecalabresi fu intercettata dalla gendarmeria di Montemurro: il sacerdotevenne trattenuto e, poiché era l’unico depositario delle direttive cospirativenella provincia di Salerno, irrimediabilmente, si dovette scegliere unanuova data31. Il 28 giugno, la barca Cagliari, con a bordo i volontari,raggiunse il golfo di Policastro. Sbarcati a Sapri in tarda serata, adattenderli non vi era nessuno, dato che il gioco delle comunicazioni erafallito e Magnone, il contatto salernitano, non aveva allertato lepopolazioni del Cilento.

Il giorno 29 partirono da Sapri, spostandosi rapidamente verso la vicina Torraca, dove in molti erano fuggiti verso le campagne per paura del loropassaggio e chi, non avendo avuto il tempo di abbandonare il centro, erarimasto lì barricato in casa. Lo stesso giorno, il Pisacane spostò i suoi uomini verso il Fortino, crocevia tra la provincia di Principato Citra equella di Basilicata, dove furono accolti da pochi uomini32.Il Pisacane, tuttavia, decise di non continuare sul piano concordato,ossia puntare sulla Basilicata, che avrebbe portato gli uomini troppolontano dall’obiettivo. Al fine di non sembrare in fuga avrebbero fattorotta su Padula33, dalla quale erano giunti incoraggianti segnali di consensodurante la fase preliminare del viaggio34. Tuttavia, la decisione del Pisacaneavviò la spedizione verso una fine violentissima. La spedizione, infatti,praticamente si concluse dopo uno scontro a Padula, ma l’epilogoriservato agli uomini più vicini a Pisacane, consumatosi nell’abitato di Sanza, sarebbe stato un terribile massacro35. Il mattino del 2 luglio, infatti,raggiunsero Sanza, con la bandiera tricolore in testa e al grido di «vival’Italia»; un rumore cupo accompagnato dal frastuono delle campane liinterruppe e, senza il tempo di orientarsi, una folla li travolse, armata diarnesi da campo e armi improvvisate, sterminandoli36.

La disfatta di Sanza fu, dunque, un durissimo, fatale colpo per i progetti di stampo mazziniano. La rivoluzione “improvvisa” mazziniana non poteva essere vincente: il mancato supporto delle popolazioni locali era solo una componente e la politica internazionale era ancora troppo lontana dal voler supportare una soluzione ”italiana”.

La disfatta evidenziò la difficoltà di coordinare su scala nazionaleun’insurrezione armata37: sicché, piuttosto che puntare ancora suimprobabili insorgenze popolari stimolate da azioni di forza come quelladi Pisacane, per il biennio successivo si iniziò a pianificare un’insurrezione“dall’interno”, cercando di portare a compimento e, ove possibile, diorganizzare in maniera più capillare, una rete di comitati locali modellatasu quella dei Circoli Costituzionali del 1848, che avevano comunquesortito un notevole successo organizzativo.

A questi eventi si aggiunse un’ulteriore battuta d’arresto nella notte tra il 16 e il 17 dicembre 1857, quando un tremendo sisma di grande magnitudo, tra i 7 e gli 11 gradi della scala MCS, si abbatté su una vasta area, compresatra Principato Citra e Basilicata, con una violenza per cui le scosse furonoavvertite anche a Napoli e registrate dal Real Osservatorio di Capodimonte38. Come avrebbe ricordato l’Intendente Achille Rosica, neldiscorso per l’apertura del Consiglio Provinciale a Potenza il 6 maggio1858, «si ebbe a conoscere che la Provincia intera aveva risentito i danni de’fatali scuotimenti e che, oltre le immense perdite di animali di granaglie dieffetti preziosi e di edifizi, ben 9.732 vittime erano a deplorarsi in 42Comuni, oltre tra feriti e mutilati»39.

A ciò si unì anche un processo che si svolse nel clima tipico del decennio post-1848, con notevoli condanne ed indagini inattendibili, che sfociarono in rastrellamenti anche in direzione della Basilicata, fino a toccare Lecce. In tal modo, sembrava tramontasse definitivamente la speranza di una rivoluzione democratica e repubblicana, chiudendo le strade alle reti dell’associazionismo basilicatese40.

2. Verso la stretta finale

Le prime testimonianze di un concreto e solido operaredell’associazionismo politico sul territorio di Basilicata, comunque,risalgono già al periodo immediatamente successivo al tragico fallimentodell’impresa di Pisacane, quando, il 5 luglio del 1857, Giacinto Albini,incaricato in Basilicata dell’organizzazione dell’insurrezione, indirizzava al Comitato napoletano una lettera nella quale evidenziava il cauto attendismodegli esponenti rivoluzionari del capoluogo della provincia, probabilmentememori del fallimento dell’ala radicale nella rivoluzione del 184841. Tuttaviale espressioni più radicali dell’associazionismo post-quarantottino avevanocomunque intavolato qualche tentativo, come sembrerebbe risultare dalla testimonianza del missanellese Pier Luigi De Petrocellis, che ricordava:

Era il 1857. Mio fratello Luciano con quindici volontarii, ai quali eranoaggregati altri quindici venuti da Gallicchio, si avanzò verso Montemurro, ma dovette indietreggiare per la notizia della sconfitta di Padula42.

In un primo momento, tuttavia, da Napoli si progettava che «otto o diecigiorni pria del tempo in cui il Generale avrà determinato, e fatto conoscere,che una poderosa spedizione di armati entrerà nel continente, le Calabrie,le due Province di Teramo, e d’Aquila insorgeranno […]. A questainsurrezione terrà dietro l’insorgere della Basilicata», indicando, tra l’altro,in Albini, De Bonis, Petruccelli e La Capra gli uomini chiave perl’organizzazione dell’insurrezione «d’appoggio»43. Il Comitato unitario,tuttavia, rivedendo i propri progetti, puntò sul fatto che l’insurrezionedovesse partire da una provincia centrale come la Basilicata, vero croceviaper controllare un’eventuale reazione delle truppe borboniche.

Nonostante - e forse anche grazie - al terremoto, si potrebbe dire, suproposta del corletano Carmine Maria Senise44, infine, si decise distrutturare l’insurrezione su solide basi militari e avendo come capi civilipersonaggi di spicco della rete cospirativa basilicatese. Rete che intanto siesprimeva nei modi e nelle forme di una «cospirazione alla luce delgiorno», con numerose manifestazioni, nel 1859, con innalzamento dibandiere tricolori, represse e processate dagli uffici dell’Intendenza. Ilsemplice prospetto redatto dalla polizia borbonica serve a dare un’idea ditale fenomeno come punta dell’iceberg cospirativo45: tra il 30 settembre edil 21 ottobre, il tricolore veniva innalzato a Viggiano, Grottole, Cirigliano,Corleto, Tricarico, Rotonda, Pietrapertosa, Lauria, Castelmezzano,Grassano, Pomarico. Quella che probabilmente appariva, alla polizia, unacoincidenza, era una precisa strategia, una sorta di «prova generale» del movimento cospirativo nella zona centrale della Basilicata, con significativepropaggini nelle aree di passaggio tra Calabria, Campania e Basilicata.Già il 14 maggio del 1860, il Comitato, in piena sintonia con le propostedel Senise, scriveva: «dovrebbesi, da Genzano o da Corleto, e da altri duepaesi dei distretti di Lagonegro e Matera, che fisserete, con una mano diuomini risoluti marciare su Potenza»46. Dunque, le coordinate del progettoerano fissate: convergere, dopo una capillare organizzazione militare nellaprovincia, sul capoluogo, centro fondamentale dal punto di vistaistituzionale e amministrativo.

Il 21 giugno 1860, in tale direzione, venne istituito, a Corleto Perticara, il Comitato Centrale Insurrezionale Lucano. Il Comitato si strutturòimmediatamente in modo ben preciso47, con un direttivo di novecomponenti e diversi delegati che avrebbero avuto il compito di girare neicomuni della provincia per organizzare i comitati locali e raccogliere fondied armi per marciare sul capoluogo, Potenza, in modo da costituire ungoverno provvisorio di appoggio ai volontari di Garibaldi, in modo daprevenire la raccolta dei militari borbonici nelle aree di passaggio verso Napoli.

Il Presidente del Comitato, Carmine Senise, era coadiuvato dal«sottocapo» Domenico De Pietro48 e, tramite lo studente Pietro Lacava,intavolò da subito una fitta corrispondenza con il Comitato dell’Ordine,che già da luglio intese dare una “forma legale” a questa organizzazione.Difatti, il Comitato corletano non fu sostanzialmente modificato e, fermerestando le caratterizzazioni stabilite nell’assemblea costitutiva, venneratificata una ramificazione di esso in più “sottocentri” costituiti pervotazione.

La sede del Comitato fu posta in casa del Senise: ferveva l'opera della cospirazione [...] in due stanze [...]. Tutti quanti eravamo giovani studenti e patrioti, scrivevamo corrispondenze o copiavano istruzioni, opuscoli articoli di giornale. Carmine Senise era l’anima di tutti. Una stanza della medesima casa era addetta ai corrieri che andavano e tornavano dai paesi della provincia49.

Corriere “di base”, si potrebbe affermare, del Comitato era il già citatostudente Pietro Lacava, stabilitosi a Napoli dal 1854 per gli studi di giuri-sprudenza ed entrato ben presto, come molti giovani lucani, in contattocon i circoli dei conterranei nella capitale, in special modo con quellodell’abate Antonio Racioppi, come egli stesso avrebbe ricordato:

L’Abate Racioppi era uno di quei sacerdoti, non pochi nel Mezzogior-no, i quali al sentimento della religione uniscono, indissolubilmente,quello della patria. Distinto professore di letteratura italiana e latina,mantenne viva nella scuola, anche sotto il Governo assoluto di queitempi, la fiamma delle aspirazioni patriottiche e ne ebbi la prova, neimiei giovani anni in Napoli quando frequentavano la casa del dotto pre-lato, il quale ebbe non ultima parte nell’azione che preparò quei Moti di Basilicata50.

Il ruolo di spola tra Napoli e Corleto svolto dal Lacava fu attuato, co-munque, non senza rischi. Per comunicare, infatti, senza correre il rischiodi venire scoperti dalla polizia, venivano messi in atto diversi espedienti:talvolta, all’interno delle lettere, si faceva ricorso a termini e concetti pre-cedentemente concordati, in maniera tale che il testo palese nascondesse ilreale contenuto del messaggio; in altri casi, si indirizzavano le lettere acontadini analfabeti oppure a persone inesistenti e, arrivate all’ufficio po-stale, le missive venivano ritirate da coloro ai quali erano effettivamentedirette. Spesso Pietro Lacava, usando lo pseudonimo di «Carlo Manina»,indirizzava le sue lettere per Carmine Senise a donne immaginarie («Caro-lina Pisani» oppure «Angiola» erano i nomi più ricorrenti in questi casi),fingendo di esserne il fidanzato. Molto più raramente, egli simulava unacorrispondenza con la madre e in queste missive si firmava «Aniello Can-tore». Un altro degli espedienti più comuni utilizzati per eludere la censurapostale della Polizia borbonica fu il ferrocianuro di potassio, un compostochimico invisibile all’occhio umano: facendolo reagire con il solfato di fer-ro, i cospiratori ottenevano un precipitato dal caratteristico colore azzur-rognolo, stabile nel tempo, che permetteva l’agevole lettura dei messaggiricevuti. In pratica, si redigeva con inchiostro usuale una missiva di conte-nuto generale, avendo, però, l’accortezza di lasciar fra le righe sufficiente spazio da riempire con il comunicato “sovversivo” da rendere leggibile al momento opportuno.

Il presidente del Comitato, Carmine Maria Senise, uomo di notevolicapacità organizzative, era riuscito a instaurare, come si è visto, relazioni trauomini e luoghi tra loro distanti, come Corleto, Napoli, Potenza. Egliorganizzò il movimento rivoluzionario sotto il profilo più propriamentemilitare, costruendo la logistica degli altri comitati locali. Infatti, la Basilicata venne divisa in 12 «sottocentri»: Rotonda, Castelsaraceno, Senise,Tramutola, Tricarico, Miglionico, Potenza, Genzano, Avigliano, Ferrandina,Bella. Si trattava di una rete capillare, organizzata in maniera quasigeometrica, comprendente 11 comuni per sottocentro in quelli più ampi estrategicamente rilevanti (Rotonda, Senise, Tramutola, Corleto, Miglionico,Tricarico, Potenza, Avigliano), con soli 7/8 centri per Genzano e Castelsaraceno. A capo di queste «maglie di rete» associativa erano personedi comprovata esperienza e capacità: da Berardino Fasanelli per Rotonda a Vito Cascini per Castelsaraceno; da Giovanni Costanza, per Senise, a Luigi Marrano, per Tramutola; dallo stesso Carmine Senise a Giambattista Matera, per Miglionico, a Francesco Paolo Lavecchia per Tricarico, Orazio Petruccelli (Potenza), Federico Mennuni (Genzano), a Nicola Mancusi per Avigliano51.

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Fig. 1. Distribuzione dei comuni nei sottocentri insurrezionali.

Quello aviglianese era il sottocentro più grande tra i 12 istituiti con ben 17

centri in un’area strategicamente rilevante, a cavaliere tra la montagna del Potentino e il Vulture, nella quale il controllo delle comunicazioni con lavicina Puglia era fondamentale per mantenere le fila dei contatti con altripatrioti. E non era un caso che questa “maglia” fosse affidata a Nicola Martinelli Mancusi, che fin dal 1857 aveva stretto rapporti con i circoliliberali napoletani. Altri componenti del Comitato subcentrale di Avigliano furono Nicola Telesca, Camillo Stolfi, Donatantonio Lorusso e Giuseppe Corbo, tutti inclusi nel comitato insurrezionale comunale,composto da 22 ‘patrioti’, 3 dei quali, oltre allo stesso Nicola Mancusi,erano ecclesiastici. Un comitato, questo, numericamente secondo solo aquello Centrale; il che evidenzia il ruolo fondamentale di Avigliano e del Mancusi nel mantenere la presa su un’area ritenuta fondamentale nelcollegamento tra il capoluogo e il nord della provincia.

In tale direzione, infatti, il Mancusi era stato incaricato di mantenere irapporti tra alcuni altri sottocentri insurrezionali e di organizzare icomitati comunali. Risulta documentata, fin dai primissimi giornisuccessivi alla costituzione della rete insurrezionale, una sua missione diorganizzazione dei subcomitati comunali da completarsi entro il 30 luglio.Infatti, il Mancusi, in una missiva indirizzata al Senise, riferiva dei suoispostamenti nell’area del sottocentro di sua competenza: tra il 24 ed il 25luglio, aveva delegato Tommaso Pisanti di organizzare i comitati di Ruoti,Baragiano e Balvano. Il giorno dopo, Mancusi si portò a Bella, perstabilirvi un ulteriore nodo nevralgico di organizzazione dei comitatidell’area del Marmo-Melandro, fondamentale per il controllo dellecomunicazioni con la vicina provincia di Principato Citra ove, ad Auletta,erano stanziate le guarnigioni borboniche. Infine, il 27 luglio, incontrò, a Forenza, Luigi Veltri e Giovanni Bochicchio per organizzare i comitaticomunali di Lavello, Venosa, Maschito, Montemilone e Palazzo San Gervasio, che avrebbero svolto funzioni di appoggio al sottocentro di Genzano, affidato a Davide Mennuni. All’inizio del XX secolo,l’insegnante Vincenzo Granata avrebbe ricordato nelle sue memorie: «iostesso avevo visto più volte il signor Nicola Mancusi venire d’Avigliano a Forenza e starsi con noi in Convento; e sotto pretesto che viaggiasse peraffari di commercio, veniva veramente a portar notizie, e ad intenderselacoi liberali»52.

Da una lettera tra Francesco Paolo Lavecchia di Tricarico e Nicola Albini di Montemurro, inoltre, sembrerebbe che alcuni centri gravitanti su Potenza, tra i quali Acerenza e Pietragalla, vere porte verso la Puglia,dovessero essere di fatto inclusi nel sottocentro di Avigliano53. Lo stesso Mancusi, in una missiva a Carmine Senise, informava il presidente del Comitato Centrale che il centro di Vaglio, incluso nel sottocentropotentino, gli aveva esplicitamente richiesto di avere lui stesso, e nonl’organizzazione insurrezionale di Potenza, come referente.

La macchina insurrezionale di Basilicata, dunque, si avviava con regolarità, estendendo sul territorio provinciale una fitta rete organizzativa ed economica, come evidenziato dagli accurati conti tenuti dal Comitato e registrati in appositi verbali dai segretari Pietro Lacava, Giovanni De Filippis e Giuseppe De Franchi54.

Il 13 agosto, dopo due mesi di fruttuoso lavoro organizzativo, si tenneuna riunione, proprio a Corleto Perticara, tra Giacinto Albini, Camillo Boldoni55 e Nicola Mignogna56 per stabilire il piano d’azionedell’insurrezione in Basilicata, di concerto con esponenti degli altri centriinsurrezionali.

Camillo Boldoni era partito l’11 agosto da Napoli, con il compito diassumere «il comando supremo della rivoluzione […] operata in quellaprovincia e nelle province di Avellino, Salerno, Molise […]. Il piano di Boldoni è quello di stancare la truppa, non offenderne il decoro, offrire uncentro per la diserzione numerosa, e non perdere forze, sollevare in massale popolazioni, imporsi più col numero, non mettersi in attacchi senzasicurezza di riuscita»57. Del resto, lo stesso Comitato dell’Ordine avevascritto:

Il Comitato Centrale-Ordine - di Napoli - Comitato dell’UnitàNazionale - Il Colonnello Boldoni, che à date chiare prove del suo patriottismo in Venezia e in Lombardia, è destinato ad assumere ilcomando militare del movimento insurrezionale della Basilicata e dellelimitrofe provincie. I Comitati localo lo riconosceranno in tale qualità, eprenderanno con essi gli opportuni accordi - 10 Agosto 1860. Napoli -Il Comitato Centrale58.

Proprio dopo la riunione del 13 agosto, su tali basi, Boldoni aveva stesol’ordine di marcia per gli insorti, che si sarebbero riuniti a Potenza,“preparata” all’insurrezione dal radicale Rocco Brienza, ex prete e già tra ipiù attivi partecipanti alla rivoluzione del 1848, che agì in modoparticolarmente incisivo, anche attraverso proclami59, come, lo stesso 13agosto, ebbe modo di constatare Emilio Petruccelli, avvocato radicale eanch’egli tra i componenti il Governo del 1848, inviato a Potenza peresaminare la situazione60.

Il 17 agosto 1860, si tenne una Riunione tra i capitani della Guardia Nazionale, Vincenzo Scafarelli ed Angelo Maria Addone, esponenti del Comitato cittadino, e il comandante della guarnigione borbonica, il capitano Salvatore Castagna, mentre Nicola Mignogna chiedeva, inutilmente, all’Intendente di appoggiare l’insurrezione.

Nel frattempo, mentre la rete associazionistica iniziava ad avviare lamacchina insurrezionale61, il 15 agosto il nuovo Intendente, Cataldo Nitti,era stato accolto dal Lavanga e dal Consiglio Comunale con pubblicacerimonia serale. In mancanza della disponibilità della sede istituzionale, siinsediava a palazzo Ciccotti, raccomandando al popolo, in un fogliopubblico, di riunirsi per eleggere i rappresentanti ad un’Assemblea Costituente che avrebbe dovuto redigere la Costituzione tardivamenteconcessa da Francesco II62. Il sentimento diffuso tra i gruppi dirigentilocali, tuttavia, come annotava, nelle sue Memorie, il capitano della guardianazionale di Barile, Angelo Bozza, era quello di una Costituzione «tantodesiderata, e che ora non ci ha fatto né caldo né freddo, aspirando queste province a ben altri fati; sapendosi già che Garibaldi coi suoi «filibustieri»,tiene quasi tutta la Sicilia ed avanzerà in breve su tutto il Regno»63.Nel contempo, la rete associativa basilicatese aveva cominciato ad attuareil secondo step insurrezionale: un vasto progetto di raccolta degli armati a Corleto, dove, intanto, si radunavano, gli armati da Aliano, capitanati da Giambattista Leo; da Armento, al comando di Domenico Sassone; da Ferrandina, capeggiata da Carmine Sivilia e Giacomo De Leonardis, con«due giovanissimi monaci, con la bandiera e il crocifisso in mano […] acapofila dei fanti»64 ; da Miglionico, con a capo Giambattista Matera; da Missanello, al comando di Rocco De Petrocellis; da Gallicchio, capeggiatida Giambattista Robilotta; da Montemurro, con a capo Nicola Albini; da Spinoso, comandati da Pietro Bonari.

Il 16 agosto, giorno della fiera di san Rocco, santo patrono di molticomuni lucani, fu il giorno cruciale per l’avvio delle operazioni: mentre Giambattista Matera dava il segnale all’area nord-orientale, innalzando iltricolore a Miglionico65, a Corleto, dopo una discussione alle cinque delpomeriggio, i capi civili e militari dell’impresa, i componenti i Comitatiprovinciali e municipali ed il clero uscirono dalla casa del Senise perproclamare in forma solenne l’Unità d’Italia66. Infatti, in unamanifestazione in piazza Del Fosso, furono deposti gli stemmi e le insegneborboniche, sostituite da immagini di Vittorio Emanuele II e bandiere delregno sabaudo.

La data del 16 agosto diventava significativa per i patrioti poiché, inconcomitanza con una festività religiosa, si sfruttava l’adunanza di follaper pubblicizzare la volontà insurrezionale, dando, in tal modo, un segnaleforte di partecipazione popolare. Non fu un caso che la data prescelta perla cosiddetta “insurrezione” corletana coincidesse con una festa da sempreconsiderata occasione propizia per accendere gli animi, tanto che più vol-te, negli anni precedenti, le autorità borboniche avevano inviato gli inten-denti delle province ad esercitare la massima sorveglianza sullo spirito pubblico in occasione di feste patronali e pellegrinaggi67. Infatti, come det-to, anche altri Comitati provinciali sfruttarono questo consesso di popoloper pubblicizzare l’avvio dell’insurrezione: da Miglionico, con la già citatamanifestazione di Giambattista Matera, che di fatto dava il segnale ai Co-mitati del Materano, alla zona della Val Sarmento, in particolare a San Paolo Albanese, dove «durante la fiera di san Rocco [...] era giunta, dal sot-tocentro di Senise, una missiva che informava i volontari di convergere su Potenza per l’insurrezione» ed Agostino Scutari aveva radunato, nel corsodi un’infiammata assemblea nella chiesa madre, circa 150 volontari68.

Senise ed Albini, in questo senso, avevano avviato una proficua intesasulla quale riuscirono a far convergere sia il Comitato centrale dell’UnitàNazionale che il Comitato Unitario Nazionale69: in particolare, Senise offrìper primo la collaborazione a Camillo Boldoni, mentre Nicola Mignogna,di orientamento garibaldino, esponente del Comitato dell’Unità Nazionale,promise ad Albini di sostenere l’insurrezione lucana con l’invio di armi econ il parallelo avvio del moto delle altre province. Alla buona riuscita delpiano contribuì non poco la diversità dei ruoli attribuiti a ciascuno: a Camillo Boldoni il comando militare delle forze insurrezionali mobilitatedai proprietari liberali lucani, mentre a Giacinto Albini e a Nicola Mignogna la guida politica.

Gli armati delle comunità arbereshe della Val Sarmento, intanto, seppurallertati fin dal 16 agosto, sarebbero giunti solo il 24. Infatti, durante la fieradi san Rocco nel comune di San Paolo Albanese, era giunta, dal sottocentrodi Senise, una missiva che informava i volontari di convergere su Potenzaper l’insurrezione. Nonostante il comandante Agostino Scutari avesseimmediatamente riunito ben 150 armati, nel corso di un’infiammataassemblea di popolo nella chiesa locale, gli arbereshe giunsero nelcapoluogo della provincia solo otto giorni dopo, avendo deciso diattendere la risposta degli albanesi di Calabria, tuttavia destinati adaspettare e rinforzare l’arrivo di Garibaldi, diretto verso Rotonda70.

Ovviamente, la città capoluogo della provincia viveva momenti dinotevole tensione, senza che, peraltro, il locale comitato presieduto da Orazio Petruccelli, anch’egli radicale come il fratello Emilio71, potesseorganizzare una vera e propria insurrezione armata. Il 18 agosto unaguarnigione borbonica composta da quattrocento soldati, comandata dalcapitano Salvatore Castagna, si accampò sulla collina di Montereale perpresidiare le vie di accesso dal fronte occidentale alla città di Potenza,bloccandone, altresì, gli ingressi72. All’avvistamento dei primi drappelli, letruppe rientrarono in città dall’ingresso meridionale, concentrandosi inpiazza del Sedile, sede del Comune e delle milizie cittadine e unico spaziodisponibile all’adunanza, dato che la centrale piazza dell’Intendenza eraoccupata dalle baracche installate dopo il terremoto del 1857.

Il contrasto con la popolazione, accorsa ad osservare l’entrata della guarnigione, era inevitabile e, secondo i cronisti, voluto dal capitano Castagna per soffocare qualsiasi movimento popolare73.

Il popolo correva loro incontro festevole per abbracciarli ed il Castagnagridò: Viva il Re, Morte alla Nazione, ordinando alla sua gente facessefuoco sul popolo. Era lì vicino un picchetto di Guardia Nazionale,appena forte di 30 individui, prese subito le difese del popoloattaccando i gendarmi di fronte. Giunta la nuova del fatto al capoopposto della strada detto Porta Salsa (sic), si mossero altre 20 Guardie Nazionali in difesa della propria arma ed attaccarono alle spalle la Gendarmeria. Il popolo, comunque sfornito di armi, fu sollecito apigliare parte al fatto, ed energicamente attaccando i Gendarmi, limetteva in fuga. [...] dei gendarmi ne rimasero 14 estinti, 40 prigionieri ediversi feriti.

I Gendarmi violentarono la casetta di un povero contadino e mettevano a morte quella famiglia composta de’ genitori ed un figlio74.

La reazione, guidata da Domenico Asselta, che, tra l’altro, rimaselievemente ferito75, fu, dunque, violenta e sanguinosa, svolgendosi tra lestrade e i vicoli del centro, con l’inevitabile coinvolgimento della «Corriere Lucano», giornale ufficiale della Prodittatura.

[...]


1 G. SETTEMBRINO-M. STRAZZA, Viaggiatori in Basilicata (1777-1880), Potenza 2004, p. 263.

2 Trad. it., E. LEAR, Viaggio in Basilicata (1847), Venosa 1990.

3 Cfr. G. SETTEMBRINO-M. STRAZZA, Viaggiatori in Basilicata …, cit., pp. 99-108.

4 Ivi, pp. 137-143.

5 Trad. it., K. W. SCHNARS, La terra incognita. Diario di un viaggiatore tedesco in

6 A. SPAGNOLETTI, Storia del Regno delle due Sicilie, Bologna 1997, p. 41.

7 T. PEDIO, La Basilicata durante la dominazione borbonica, in Primo centenario dello Stato Italiano contributi e ricerche storiche, a cura dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Matera 1961, pp. 25-157.

1 A. DE FRANCESCO, Ideologie e movimenti politici, in Storia d ’ Italia, a cura di G. Sabbatucci e V. Vidotto, 1. Le premesse dell ’ unit à, Roma-Bari 1994, p. 281.

2 Ivi, pp. 305-306, 310-311.

3 M. LACAVA, Cronistoria documentata della rivoluzione in Basilicata del 1860 e delle cospirazioni che la precedettero, Napoli 1895, pp. 718-719.

4 A. SCIROCCO, Dalla seconda restaurazione alla fine del Regno, in Storia del Mezzogiorno, diretta da G. Galasso e R. Romeo, vol. IV/2, Il Regno dagli Angioini ai Borboni, Napoli 1986, p. 722.

5 Ivi, pp. 744-748.

6 R. LABRIOLA, Alle radici del percorso politico di Giacinto Albini. Il circolo costituzionale di Montemurro, in «Bollettino Storico della Basilicata», XXVII (2011), n.27, p. 201.

7 La libert à che vien sui venti. La Basilicata per l ’ Unit à d ’ Italia: idealit à , azione politica, istituzioni (1799-1861), a cura di V. Verrastro, Lagonegro 2011, p. 74.

8 F. ECHANIZ, Atto di accusa e conclusioni date dal procuratore generale del Re Francesco Echaniz nella causa per reit à di stato consumate in Potenza nel corso dell ’ anno 1848, Potenza 1852, p. 9.

9 ASP, Processo per la Setta …, b. 16, f. 38 bis, Circolo Costituzionale Lucano, Maggio 1848, n. 1, Verbale.

10 G. RACIOPPI, Storia dei moti della Basilicata e provincie contermine nel 1860, Napoli 1867, p. 394.

11 Ivi, p. 395.

12 F. ECHANIZ, Atto di accusa e conclusioni … , cit., p. 29.

13 Ivi, pp. 25-27.

14 ASP, Archivio famiglia d ’ Errico di Palazzo San Gervasio, b. 5, fasc. 28, sottofasc. 11, Verbale della seduta della Dieta provinciale lucana, 15.06.1848.

15 ASP, Processo per la Setta dell ’ Unit à d ’ Italia, b. 14, «Il Corriere di Calabria», a. 1, 04.07.1848.

16 G. RACIOPPI, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, rist. anastatica, Matera 1970, vol. 2, p. 299.

17 ASP, Processo per la Setta dell ’ Unit à d ’ Italia, b. 3, f. 5, “Memorandum delle province confederate”, 25.06.1848.

18 G. RACIOPPI, Storia dei popoli …, cit., p. 302.

19 ID., Storia dei moti..., cit., pp. 46-47.

20 Ivi, pp. 39-41.

21 Ivi, p. 280.

22 Ivi, pp. 48-49.

23 Ivi, p. 47.

24 A. DE FRANCESCO, Ideologie e movimenti politici, cit., pp. 329-330.

25 ASP, Carte Albini, fasc. 1, “Governo Borbonico (1848-1857)”.

26 La libert à che vien sui venti..., cit., pp. 113-114, doc. 69.

27 Ivi, pp. 122 ss.

28 L. CASSESE, La spedizione di Sapri, Bari 1969, p. 1.

29 Ivi, p. 23.

30 Ivi, p. 30; D. ALBINI, La Lucania e Garibaldi nella Rivoluzione del 1860.Comunicazione al VII Congresso della Societ à Nazionale per la Storia del Risorgimento, Roma1912, pp. 20-23.

31 L. CASSESE, La spedizione di Sapri, cit., pp. 24-25.

32 Ivi, pp. 56-57.

33 Il Risorgimento. Storia, documenti, testimonianze, a cura di L. Villari, Bergamo 2000, vol. VI, p. 97.

34 L. CASSESE, La spedizione di Sapri, cit., p. 62.

35 Il Risorgimento. Storia, documenti, testimonianze, cit., p. 97.

36 G. RACIOPPI, La spedizione di Carlo Pisacane a Sapri, Napoli 1863, p. 48.

37 G. PECOUT, Il lungo Risorgimento. La nascita dell ’ Italia contemporanea (1770-1922), Milano 2011, p. 160.

38 Viaggio nelle aree del terremoto del 16 dicembre 1857, a cura di G. Ferrari, Bologna2004, vol. I, p. 159. Sulle ricadute amministrative del sisma, cfr. A. LERRA, Il terremoto del 1857 in Basilicata: il ruolo delle istituzioni, in «Ricerche di Storia Sociale e Religiosa», XIII (1984), n. 25/26, pp. 69-91; una notevole sintesi, basata anche sudocumenti inediti, è ora in E. DAGROSA, Il terremoto del 1857 a Potenza e le ricadute sull ’ amministrazione comunale, Università degli Studi della Basilicata, Tesi di Laureain Storia Moderna, a.a. 2014-2015, relatore prof. A. D’Andria.

39 Viaggio nelle aree del terremoto..., cit., p. 115.

40 G. RACIOPPI, La spedizione … , cit., p. 53.

41 D. ALBINI, La Lucania e Garibaldi …, cit., pp. 20-23.

42 P. L. DE PETROCELLIS, Dopo cinquant ’ anni. Ricordi storici di Basilicata, in «Il Lucano», XVIII (1910), 23-24 aprile 1910, p. 1.

43 MUSEO NAZIONALE DEL RISORGIMENTO DI MILANO, Fondo Bertani, cart. 49, plico 13.51, «Delle condizioni, dei bisogni, e delle forze vive delle province continentali per attuare la Rivoluzione», f. 1r.

44 Sul quale cfr. T. RUSSO, Pietro Lacava e Carmine Senise. Due lucani patrioti e uomini di Stato, in Interviste sul Risorgimento lucano, Potenza 2011, pp. 74-75.

45 ASP, Intendenza, b. 7, fasc. 78bis.

46 D. ALBINI, La Lucania e Garibaldi …, cit., p. 29.

47 Verbali del Comitato Centrale Insurrezionale di Corleto Perticara. 21 giugno-10 ottobre 1860, Potenza 1960, p. 7.

48 «Il Lucano nel Cinquantenario della Rivoluzione lucana», Potenza 1910, p. 16.

49 M. LACAVA, Cronistoria..., cit., p. 353.

50 M. LACAVA, Cronistoria..., cit., pp. 44-45.

51 Cfr. Fig. 1.

52 V. GRANATA, Memorie di un insegnante privato, Trani 1900, p. 78.

53 M. LACAVA, Cronistoria..., cit., pp. 376-377.

54 Cfr. Verbali del Comitato Centrale Insurrezionale di Corleto Perticara. 21 giugno-10 ottobre 1860, Potenza 1960.

55 Sul Boldoni, cfr. la voce di F. MOLFESE in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1969, vol. 11.

56 Sul Mignogna, cfr. ora V. LISI, L ’ Unit à e il Meridione. Nicola Mignogna (1808- 1870). La cospirazione antiborbonica, il processo, l ’ esilio, i Mille, Copertino 2011.

57 Lettera di Nicola Nisco a Cavour (Napoli, 13 agosto 1860), in A. LO FASO DISERRADIFALCO, Nelle Due Sicilie dal maggio 1859 al marzo 1861 (dai documenti dell ’ Archivio di Stato di Torino). Parte II . Gennaio-Agosto 1860, Palermo 2011, p. 286.

58 G. RACIOPPI. Storia dei moti …, cit., p. 109.

59 Cfr. R. BRIENZA, Ai Fratelli Lucani, in «Il Corriere Lucano. Giornale Uffizialedella Insurrezione», n. 1 (23 agosto 1860), p. 2. Pur non datato, il proclama risultasicuramente scritto dopo i fatti del 18 agosto a Potenza, narrati distesamente.

60 R. RIVIELLO, Cronaca Potentina dal 1799 al 1882, Potenza 1888, pp. 199-203.

61 Se ne veda la cronologia in Potenza Citt à Capoluogo e del Risorgimento. 1799-1861, a cura di A. D’Andria, Potenza MMX, pp. 11-14.

62 In M. LACAVA, Cronistoria …, cit., pp. 490-492.

63 A. BOZZA, Memorie, a cura di E. Bozza, Barile 2008.

64 G. RACIOPPI, Storia dei moti …, cit., pp. 112-113. Dovrebbe trattarsi dei due «monaci studenti» Leonardo Montemurro e Francesco Lategana citati da M. LACAVA, Cronistoria …, cit., p. 984.

65 T. RICCIARDI, Notizie storiche di Miglionico precedute da un sunto sui popoli dell ’ antica Lucania, Napoli 1867, p. 249.

66 Ivi, p. 112.

67 La libert à che vien sui venti..., cit., p. 169.

68 A. D’ANDRIA, Dall ’ insurrezione del 1860 alla Prodittatura: cultura e azione politica, in La Basilicata per l ’ Unit à d ’ Italia. Cultura e pratica politico-istituzionale (1848-1876), a cura di A. Lerra, Milano 2014, pp. 152-153.

69 La libert à che vien sui venti..., cit., p. 454.

70 L. SCUTARI, Gli albanesi di San Costantino e San Paolo nei moti insurrezionali nel 1848-1860, Stabilimento Tipografico Arcangelo Pomarici, 1899, pp. 41-48,contiene una dettagliata narrazione desunta dai ricordi personali dell’autore e dal

71 DPL, IV, p. 135.

72 R. RIVIELLO, Cronaca Potentina …, cit., p. 203.

73 Ivi, p. 205.

74 «Il Paese», II (23 agosto 1860), n. 19, p. 1.

75 «Il Paese», II (30 agosto 1860), n. 22, p. 2.

Ende der Leseprobe aus 143 Seiten

Details

Titel
La Rivoluzione Lucana del 1860 Tra Progetto, Azione E Mito
Hochschule
Università degli Studi della Basilicata  (DICEM)
Veranstaltung
Modern History
Note
10,00
Autor
Jahr
2018
Seiten
143
Katalognummer
V428526
ISBN (eBook)
9783668746510
ISBN (Buch)
9783668746527
Dateigröße
8939 KB
Sprache
Italienisch
Schlagworte
#risorgimento #basilicata #1860 #revolution #garibaldi #cavour
Arbeit zitieren
Antonio D'Andria (Autor:in), 2018, La Rivoluzione Lucana del 1860 Tra Progetto, Azione E Mito, München, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/428526

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