L'ABC delle emozioni

Intervento cognitivo-comportamentale sui pazienti con disturbo dell'umore


Ensayo, 2013

83 Páginas


Extracto


INTRODUZIONE

Esistono in psichiatria una serie di malattie che intaccano numerosi aspetti della vita delle persone che soffrono. Nel caso dei disturbi dell’umore sono stati evidenziate delle interferenze con la capacità delle persone di individuare e gestire le proprie emozioni. Tali patologie colpiscono generalmente tutte le fasce di età riducendo drasticamente la qualità di vita.

Nel presente lavoro si è cercato di illustrare come le caratteristiche dei disturbi dell’umore possano incidere sull’intelligenza emotiva ed in particolare sulla capacità di riconoscere le emozioni principali e trasformare i pensieri disfunzionali in altri più funzionali all’individuo.

A tale scopo, si è ritenuto opportuno suddividere il lavoro in 5 parti:

- la parte 1: “Cosa sono le emozioni?” definisce l’esperienza emotiva e descrive le principali classificazioni.
- la parte 2: “Funzionamento delle emozioni a livello neurologico” analizza le componenti essenziali dell’emozione ed il processo neurologico che sta alla base.
- la parte 3: “I disturbi dell’umore” descrive le principali caratteristiche dei disturbi dell’umore e le varie classificazioni di essi.
- la parte 4: “La RET ed il Metodo ABC delle emozioni” descrive i punti essenziali del metodo ideato da Albert Ellis, il quale viene applicato ad una vasta gamma di problemi emotivi e di comportamento che ostacolano ed impediscono la crescita e lo sviluppo delle umane potenzialità personali. La RET si focalizza sulla situazione attuale del paziente, i suoi atteggiamenti correnti, le emozioni inappropriate ed i comportamenti inadeguati che reprimono e inibiscono la sua capacità di vivere serenamente la quotidianità. È proprio dalla RET che deriva l’ABC delle emozioni, come metodo di alfabetizzazione socio-affettiva volto a migliorare il riconoscimento delle emozioni, la comunicazione dei propri sentimenti , il riconoscimento dei propri pensieri irrazionali e la sostituzione dei pensieri irrazionali evidenziati con altri più funzionali.
- la parte 5: “Intervento cognitivo-comportamentale sui pazienti con disturbo dell’umore” descrive il lavoro sperimentale ovvero i materiali ed i metodi che sono stati utilizzati al fine di indagare la capacità di riconoscere le emozioni in un gruppo di 31 pazienti ricoverati con diagnosi di disturbo dell’umore e depressione.

Lo scopo del lavoro è quello di verificare la compromissione della capacità di riconoscimento delle emozioni ed individuare i livelli di miglioramento a seguito di un breve training.

PARTE 1
Cosa sono le emozioni?

1.1 Definizione di emozione

È difficile definire in maniera univoca il concetto di emozione, considerati i numerosi studi e le differenti ipotesi che si sono succedute nel corso degli anni. Le emozioni sono una caratteristica prevalentemente umana che implica una reazione cognitiva e fisica, solitamente improvvisa, ad uno stimolo. In altre parole si tratta di una risposta acuta, diretta a migliorare la possibilità di sopravvivenza dell’individuo e della specie, che il cervello mette in atto per affrontare uno stimolo interno o esterno.

Le emozioni hanno un valore evolutivo ed adattivo per l’individuo e per la specie infatti esse preparano all’azione, e permettono di comunicare e percepire messaggi importanti per la sopravvivenza, promuovendo inoltre l’agire sociale delle persone.

Svolgono una funzione essenziale nelle decisioni che mettono in gioco la nostra condizione psicofisica attuale, permettendo una risposta acuta, rapida anche se non esatta e precisa e non implicano necessariamente la consapevolezza e coscienza. L’etimo della parola è latino e deriva da “ex”, uscire e “motio”, muoversi; pertanto provare un’emozione significa smuovere, portare da dentro a fuori.

Attualmente, il termine emozione viene spesso confuso con quello di “sentimento”.

In realtà esiste una chiara differenza di cui Damasio[1] ci ha dato spiegazione. Per sentimento s’intende il vissuto soggettivo, meno intenso e più durevole, dell’emozione originata nel cervello. Secondo Ekman[2] (1984) le emozioni sono reazioni della durata di qualche secondo e si differenziano quindi dagli affetti che hanno una durata molto maggiore.

Egli ritiene inoltre che le emozioni si caratterizzino anche per il fatto di comprendere componenti motorie quali l’espressività facciale o il tono della voce, componenti vegetative quali la frequenza respiratoria e cardiaca e componenti soggettive ovvero il tipo di vissuto che costituisce il segno distintivo dell’esperienza emozionale.

Sebbene l’emozione si realizzi all’interno della complessa relazione tra l’individuo e l’ambiente, è utile, per chiarirne gli aspetti, considerarla come indotta da una specifica condizione stimolo.

In altre parole, l’emozione è un esempio di comportamento rispondente, comportamento cioè dove può essere individuato uno stimolo scatenante, legato alle motivazioni profonde. L’emozione può essere definita quindi come quella complessa catena di eventi compresa tra la comparsa dello stimolo scatenante (INPUT) e l’esecuzione del comportamento rispondente (OUTPUT).

Tre sono i diversi livelli o sistemi di risposta attraverso i quali si manifesta l’emozione:

- Il primo sistema, detto psicologico, comprende le espressioni verbali relative all’esperienza soggettiva, come ad esempio: “ho provato una intensa sensazione di rabbia quando ..”.
- Il secondo sistema, denominato comportamentale, riguarda invece le manifestazioni motorie dell’emozione, come ad esempio il comportamento di avvicinamento, di esitamento, di attacco e la fuga ecc., e le modificazioni dell’atteggiamento posturale e dell’espressione facciale.
- Infine, vi è il livello fisiologico, prevalentemente rappresentato delle modificazioni fisiche: ad esempio negli effettori innervati dal sistema nervoso autonomo, quindi alterazioni della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, dell'irrorazione vascolare facciale (l’arrossire), l’aumento della sudorazione delle mani, o le modificazione del ritmo respiratorio. Tutte queste variazioni sono connesse con, e anche indotte da, modificazioni di tipo endocrino, per esempio del sistema ipofisi-corticosurrenale (ACTH e cortisolo) o della midollare del surrene (adrenalina e noradrenalina).

Nessuno di questi tre sistemi (psicologico, comportamentale e fisiologico) è prioritario rispetto agli altri, ma piuttosto ognuno risulta strettamente connesso agli altri in una globale risposta emozionale.

I tre sistemi cioè interagiscono tra loro pur essendo parzialmente indipendenti. Kleinginna e Kleinginna (1981) definirono l’emozione come un insieme complesso di interazioni fra fattori soggettivi e oggettivi, mediati da sistemi neuronali/ormonali che può suscitare esperienze affettive come senso di eccitazione, di piacere e dispiacere; generare processi cognitivi come effetti percettivi emozionalmente rilevanti, valutazioni cognitive, processi di etichettamento; attivare adattamenti fisiologici diffusi di fronte a condizioni di eccitamento; condurre ad un comportamento che spesso, ma non sempre è espressivo, diretto ad uno scopo ed adattivo. Un’emozione non è mai neutra, è sempre spiacevole o piacevole.

L’emozione è il punto di incontro fra il corpo e la mente, la quale veicola la rappresentazione mentale della realtà.

Si tratta di una funzione che ha origine da alcuni presupposti, che determinano la competenza emozionale della persona. Il primo presupposto, in ordine di importanza, è la capacità di riconoscere le emozioni.

L’individuo consapevole del sentimento, nel momento in cui insorge presta attenzione ai propri stati interni e riesce a definirli.

Dall’autoconsapevolezza si sviluppa la capacità di autocontrollo.

Le emozioni stimolano la persona all’azione, stabilendo priorità fra gli obiettivi. Ognuno di noi ha un modo del tutto personale di reagire agli eventi, anche in relazione alla personalità ed alle esperienze di vita. Studi sempre più numerosi evidenziano la centralità della comunicazione emotiva, sia verbalmente che attraverso la gestualità del corpo.

L’incapacità nel farlo costituisce un vero e proprio disturbo, l’alessitimia, responsabile dell’origine di patologie psicosomatiche, tra le quali l’ansia, le malattie della pelle, alcuni disturbi gastrointestinali, alcune forme di diabete, di asma, i disturbi alimentari.

E’ stato inoltre dimostrato che il non rendersi conto di provare emozioni porta le persone ad assumere comportamenti nocivi per la salute, ad esempio l’abuso di sigarette, alcool o psicofarmaci sono tentativi di tenere sotto controllo la tensione o disagio quando non si riesce ad alleviarli diversamente.

1.2 Classificazione delle emozioni

Le emozioni hanno diversi gradi di complessità. Si parte da un livello base, in cui l’emozione si fonda su una valutazione molto semplice sino ad arrivare ad emozioni che richiedono processi cognitivi più complessi che implicano una capacità di consapevolezza e di auto-osservazione.

La classificazione delle emozioni definite come primarie, ovvero non scomponibili in altre emozioni, varia in relazione alla teoria di riferimento che scegliamo di considerare. Mowrer ad esempio considera 2 emozioni primarie nella sua teoria (piacere e dolore), mentre altri ricercatori sono arrivati ad individuarne addirittura 12 (Gateway Psychiatric, 2005).

Tra le teorie più diffuse sono certamente degne di menzione quella di Ekman e quella di Plutchik. Paul Ekman fondò la sua teoria sull’assunto che un’espressione emozionale all’interno di una specifica popolazione era interpretata correttamente e uniformemente all’interno di qualsiasi altra, e viceversa.

L’espressione facciale legata alla felicità veniva cioè interpretata come felicità all’interno di tutte le popolazioni studiate. Se in ogni parte del mondo esistono delle espressioni innate e trasversali, significa che esistono delle emozioni comuni che le generano, pertanto queste possono essere definite “primarie”.

Le emozioni primarie identificate da Ekman sono sei:

- la collera (o ira);
- la tristezza;
- la paura;
- la gioia;
- la sorpresa;
- il disgusto.

Secondo vari autori, dalla combinazione di queste sei derivano le altre 64 emozioni attualmente riconosciute (secondarie o complesse):

- la vergogna;
- l’ansia;
- la rassegnazione;
- la gelosia;
- la speranza;
- il perdono;
- l’offesa;
- la nostalgia;
- il rimorso;
- la delusione;
- ...

Robert Plutchik avvia la sua teoria da considerazioni di natura evolutiva.

Egli ritiene che le emozioni primarie siano biologicamente primitive e che siano evolute in modo da consentire alla specie di sopravvivere (Plutchik, 1980). Si potrebbe quindi sostenere che l’emozione è uno stato centrale dell’organismo in cui si verificano queste diverse componenti in forma innata, predeterminata. In questo senso esistono descrizioni “psicoevolutive” di un nucleo di emozioni primitive.

Ognuna delle emozioni primarie attiva o meno un comportamento con un alto valore di sopravvivenza (es. paura: fight or flight). Plutchik ritiene che esistano 8 emozioni primarie definite a coppie:

- Gioia – tristezza;
- Fiducia – disgusto;
- Rabbia – paura;
- Sorpresa – anticipazione.

La ruota delle emozioni da lui creata evidenzia gli opposti e l’intensità via via decrescente, delle emozioni, più i vari stati intermedi. Decrescendo di intensità le emozioni si mescolano più facilmente con le altre.

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Figura 1: la ruota delle emozioni di Robert Plutchik

Riprendendo le ormai confermate ricerche di Darwin, Plutchik sottolinea il ruolo comunicativo delle emozioni.

Plutchik (1970, 1980) ha suggerito un modello efficace (parzialmente verificato sul piano empirico per la classificazione delle espressioni facciali). Tre sono le fondamentali dimensioni rappresentate in questo modello: intensità, polarità e somiglianza.

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Il cerchio rappresenta la somiglianza e la polarità delle otto emozioni primarie. L’intensità può variare su un asse ortogonale al cerchio, per esempio la paura aumentando può divenire terrore, diminuendo può divenire apprensione.

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Il modello sembra essere in grado di spiegare la maggior parte delle emozioni umane, ciascuna delle quali può essere considerata come una combinazione di queste emozioni primarie. Probabilmente questa seconda teoria risulta un po’ forzata per ottenere l’accoppiamento delle emozioni; infatti ad oggi non vi è alcuna prova concreta che avvalori questa tesi piuttosto che quella di Ekman.

PARTE 2
Funzionamento delle emozioni a livello neurologico

2.1 Tappe storiche nello studio delle emozioni

L’interesse nei confronti delle emozioni esiste da sempre. Cartesio le definiva “passioni dell’anima” (1949).Venivano considerate come delle affezioni, modificazioni passive causate nell’anima dal movimento degli spiriti vitali, cioè dalle forze meccaniche che agiscono sul corpo tramite un’azione mediata dalla ghiandola pineale. Hanno la funzione di incitare l’anima a volere le cose a cui esse predispongono il corpo.

Sino all’Ottocento, il concetto di emozione è rimasto nell'ambito di teorie filosofiche, quindi di un qualche cosa che riguardava delle speculazioni sull'animo umano, sullo spirito degli animali, e così via.

Ma è soprattutto nell'Ottocento, insomma, che le emozioni entrano in un campo più solido e soprattutto si avvicinano fortemente alla biologia, con Charles Darwin.

Darwin è stato il primo a dare delle basi solide a delle emozioni, ad indicare il loro significato, il loro valore adattativo, ad interpretarle in termini di utilità, di comunicazione.

Le emozioni hanno infatti un significato utile in quanto la paura, ad esempio, segnala un pericolo che è bene comunicare ad altri.

Darwin ha inoltre cercato di capire come questi correlati fisiologici delle emozioni avessero ugualmente un significato adattivo: egli sosteneva che molti degli aspetti delle nostre emozioni, che ritroviamo in qualche misura anche negli animali, sono delle specie di “fossili comportamentali”, cioè qualcosa che un tempo, in una lontana preistoria dell’evoluzione, aveva una sua funzione, serviva a qualcosa, e che oggi invece ha minor significato.

Darwin nel novembre del 1872 pubblicò a tal proposito il libro “Expression of the emotions in man and animals”, ottenendo un successo di pubblico immediato che però si esaurì dopo i primi mesi.

Verso la fine dell'Ottocento e a cavallo tra questo secolo ed il Novecento, si è arrivati a due schieramenti opposti:

- Da un lato coloro che affermavano che le emozioni sono un qualche cosa di istintivo, che nasce in rapporto a degli stimoli particolari, a qualche cosa che induce in noi paura o che induce in noi piacere, gioia e così via, e il cervello, reagendo a questi, stimoli, fa sì che il suo corpo, si emozioni; quindi dal centro, - una teoria centrale delle emozioni - la periferia ne risente.
- Mentre invece i fautori di una teoria periferica ritenevano che noi reagiamo in modo automatico ad alcuni stimoli, però, quando reagiamo, il nostro corpo ha delle reazioni.

Per esempio, di fronte ad un brusco rumore noi possiamo fare un salto, o scappare o correre, come spesso avviene anche nella vita quotidiana.

E allora, dicevano i sostenitori della teoria periferica, queste reazioni dell'organismo vengono lette dal cervello come un segno di emozione. Quindi il cervello riceve dai territori periferici, dai muscoli, dai vasi, e così via, dei segnali che lo fanno emozionare.

Pertanto da un lato, Cannon, fisiologo sostenitore della teoria centrale, per cercare di dimostrarla negli animali cercava di bloccare gli input, i segnali che provenivano dai territori periferici, dall'intestino, dai vasi, dai muscoli, e così via, per dimostrare che le emozioni stanno nel cervello; e dall'altra invece altri sostenevano che le emozioni nascono dalla periferia e fanno emozionare il cervello del corpo.

Quindi in qualche modo siamo di fronte ad un quesito:è il cervello che induce un'emozione nel corpo o è il corpo che lo fa nel cervello?

Tra i primi ad affrontare il concetto di emotività vi fu William James (1884) il quale sul finire dell’Ottocento teorizzò le esperienze emotive come l’esito della percezione dei cambiamenti delle sensazioni fisiche.

In base a questo modello ad esempio, noi non tremiamo perché abbiamo paura ma abbiamo paura perché tremiamo.

In realtà questa teoria però non era sufficiente a spiegare come mai , in alcune condizioni (febbre, iniezione di adrenalina,...) non venivano indotte esperienze emotive nonostante si inducessero sensazioni somatiche identiche a quelle prodotte dalle emozioni.

Nel 1927 Walter Cannon affermò una nuova teoria proponendo che uno stimolo portatore di emozioni possa simultaneamente provocare cambiamenti fisiologici e l’esperienza soggettiva dell’emozione. I cambiamenti corporei e le sensazioni che accompagnano un’emozione avvengono allo stesso tempo.

Intorno agli anni ’60 si affermò la teoria del Juke-box di Schachter e Singer (teoria cognitivo-attivazionale) , mediata dalle due precedenti posizioni, secondo la quale per provare un’emozione è fondamentale che l’attivazione fisiologica (o arousal) sia affiancata da un’interpretazione cognitiva della attivazione stessa. L’interpretazione cognitiva può essere estratta dall’ambiente.

Nel loro esperimento veniva iniettata epinefrina a dei soggetti. Ad alcuni fu detto che si trattava di un composto vitaminico, mentre ad altri venne spiegato l’effetto dell’epinefrina (tremolio delle mani, sensazione di calore in faccia, aumento del ritmo cardiaco,…).

Dopo l’iniezione ogni soggetto veniva fatto accomodare in un’altra stanza, in cui era presente un secondo soggetto ad aspettare che il composto avesse effetto.

In realtà il secondo soggetto era un collaboratore dello sperimentatore, ed agiva in due modi diversi: fingeva euforia oppure fingeva ira.

I soggetti che pensavano di aver preso il composto vitaminico conformarono il loro comportamento a quello del collaboratore dello sperimentatore (pensavano di essere euforici o arrabbiati); coloro che erano stati informati correttamente si comportarono in maniera “normale”.

L’attivazione fisiologica è importante ma non è sufficiente. Quando i soggetti sanno che reazioni attendersi interpretano correttamente i loro cambiamenti fisiologici; quando non hanno spiegazione per ciò che sentono interpretano questi effetti nei termini della situazione. L’effetto dell’epinefrina fornisce energia ma l’emozione che si prova dipende dal “tasto che si preme”(juke-box).

Un altro importante contributo è stato fornito da Joseph Le Doux (1998) che suggerisce il ruolo centrale dell’ amigdala e del sistema limbico nei processi emotivi considerandoli il vero motore del comportamento umano.

Antonio Damasio (1994,2003) ha concentrato i suoi studi e il suo interesse sul ruolo delle emozioni nel processo decisionale dell’essere umano sviluppando l’ipotesi del marcatore somatico, la cui funzione sarebbe quella di equilibrare il rapporto tra sistema limbico/amigdala e corteccia cerebrale.

Alla comparsa di uno stimolo emotivo i canali sensoriali attivano l’amigdala ed il sistema limbico, i quali inducono una risposta somatica piacevole o spiacevole. La reazione del soma stimolerebbe di conseguenza il cervello emotivo e la corteccia somatosensoriale ed insulare a creare una mappa della reazione fisica allo stimolo.

La corteccia orbito-frontale legherebbe lo stimolo alla mappa sensoriale creando il marcatore somatico.

Se dovesse ripresentarsi uno stimolo emotivo simile a quello che ha innescato la risposta precedente, la corteccia orbito-frontale e l’amigdala riattiverebbero le mappe legate allo stimolo originario e produrrebbero la sensazione spiacevole o piacevole ovvero il marcatore somatico, che ci aiuterebbe a prendere una decisione al riguardo. Questo processo viene appreso e può essere modificato dall’esperienza.

Nel 1999 Edmund Rolls ha articolato la sua teoria secondo i concetti di premio e punizione. In questa accezione premio è tutto ciò per cui il soggetto lavora mentre la punizione è ciò che è necessario sfuggire o evitare.

Le emozioni sono pertanto stati mentali suscitati da premi e punizioni o da condizioni a esse legate basandosi essenzialmente sui meccanismi di condizionamento classico ed operante.

2.2 Neurologia delle emozioni

Quando si parla di emozioni è bene avere una certa conoscenza sul funzionamento a livello neurologico delle emozioni. L’esperienza emotiva nel suo complesso è costituita da tre stati distinti: uno stato di attivazione fisiologica (vegetativa o ormonale), una componente comportamentale (attivazione muscolare) e una componente cognitiva. Esistono due teorie fisiologiche delle emozioni:

- Teoria di James – Lange (1884, 1887)
- Teoria di Cannon – Bard (1900)

Le due teorie individuano l’esistenza di tre elementi caratteristici nel processo emotivo (modello ABC):

A. percezione (arousal)
B. reazione fisiologica (behavioural activation)
C. sensazione emotiva (cognition)

La teoria di James – Lange afferma che la sensazione emotiva è postuma al feedback fisiologico; mentre la seconda teoria ritiene che la reazione fisiologica è sincrona alla sensazione emotiva. L’ipotalamo è la struttura necessaria per l’elaborazione delle risposte emotive e la corteccia ha la funzione di esprimere e rendere consapevoli le emozioni.

Le prove sperimentali hanno avvalorato invece una situazione intermedia alle due teorie, nel senso che seppure ci sia una forma di sincronismo, c’è anche un rinforzo della reazione fisiologica in seguito alla percezione emotiva e viceversa, amplificandone gli effetti.

Anche l’osservazione degli impulsi nervosi sembra confermare questa ipotesi: gli impulsi sensoriali passano per più stadi di elaborazione, prima di arrivare ad un punto che possiamo considerare di “sensazione emotiva”. È probabile che nel percorso si attivino delle reazioni automatiche o autoapprese.

Nello studio delle emozioni il rapporto tra attivazione fisiologica dell’organismo (arousal) e valutazione cognitiva del dato emozionale (appraisal) costituisce un punto nodale del processo emozionale. Tale processo prevede diverse fasi, disposte in modo gerarchico, che consentono un’elaborazione dei dati sempre più complessa nella misura in cui si allontana dal piano delle esigenze biologiche per accedere a dinamiche interpersonali più sofisticate.

Il sistema limbico (limbus: “bordo”) è responsabile delle emozioni, della motivazione e delle associazioni emozionali con la memoria.

È stato definito per la prima volta da Paul Broca nel 1878 ed è stato considerato da subito, importante nella gestione delle emozioni da parte di Papez. Appartiene alla parte “vecchia” del cervello e si è sviluppata per gestire situazioni del tipo “fight or flight” cioè risposte di attacco o fuga di fronte ad una minaccia. Il neuroanatomista James Papez (1883-1958) descrisse un percorso interno al cervello che sembra implicato nel controllo corticale dell’emozione.

Questo percorso prende ora il nome di Circuito di Papez e segue l’ordine:

1. Ipotalamo (funzioni vegetative, espressione delle emozioni);
2. Nucleo talamico anteriore (reattività emozionale);
3. Corteccia cingolata ( dolore, regolazione dell’aggressività);
4. Ippocampo (memoria).

Nel 1949 Paul MacLean ha rielaborato il Circuito di Papez, aggiungendovi fra l’altro:

1. Amigdala;
2. Corteccia pre-frontale (corteccia orbitofrontale e mediofrontale).

Osservando le funzionalità dei nuclei interessati, si nota che le parti che elaborano le emozioni sono a stretto contatto con:

- Memoria a lungo termine (ippocampo);
- Piacere, attività sessuale (tramite le connessioni con il nucleo accumbens);
- Comportamento sociale (corteccia pre-frontale).

L’aspetto interessante del Circuito di Papez è che le emozioni non avrebbero origine in un punto preciso del cervello ma al contrario vi sia una azione armonica di più nuclei. Questi non solo contribuiscono alla formazione delle emozioni, ma anche all’espressione esterna.

L’ amigdala è una struttura localizzata in due nuclei dalla forma di mandorla nei due emisferi cerebrali. Il suo ruolo è di mediazione e controllo delle emozioni. Riceve connessioni direttamente dalla corteccia sensoriale e dal talamo sensoriale, nonché dalla formazione ippocampale. Questo tipo di connessioni sembra suggerire che elabori informazioni ambientali dirette (talamo sensoriale), pre-elaborate (corteccia sensoriale) e attinga dalla memoria ulteriori dati (ippocampo). In uscita si connette con ipotalamo, mesencefalo, ponte, bulbo, striato ventrale, nucleo dorsomediale del talamo e sostanza grigia periacquedottale.

La lesione bilaterale dell’amigdala fa perdere la percezione della dimensione affettiva del mondo esterno: il soggetto sa esattamente chi sia la persona, ma non è in grado di dire se le piace o meno.

Esperimenti di questo genere sembrano avvalorare la tesi che l’amigdala abbia anche un ruolo importante nell’apprendimento del significato emozionale degli stimoli. La zona pre-frontale non è inclusa nella definizione originale del Circuito di Papez ma ne è fortemente interconnessa bidirezionalmente. Sembra essere implicata nella genesi e nell’espressione degli stati affettivi.

Inoltre, danni a questa parte del cervello sembrano fare perdere al soggetto il suo senso di responsabilità sociale, assieme alla capacità di concentrarsi ed astrarre.

La corteccia pre-frontale sembra costituire quello che normalmente definiamo il carattere di una persona, in quanto controlla il suo umore, il suo stato emotivo, il suo modo di porsi, la sua responsabilità e anche capacità superiori di ragionamento.

È importante considerare come questo insieme di abilità caratterizzanti per gli esseri umani, fra cui anche la capacità di astrazione, sia localizzato in una zona così fortemente connessa con il sistema limbico e quindi così correlata con gli stati emozionali.

L’espressione delle emozioni avviene per mezzo dell’attivazione dei muscoli facciali. Negli animali, così come nell’uomo. Quest’ultimo possiede una maggiore abilità nel controllo delle espressioni facciali, tramite 46 unità d’azione (FACS[3], elaborate da Ekman e Friesen), che risultano il principale vettore di comunicazione emozionale.

Seppure l’uomo possa adottare una particolare espressione facciale volontariamente, esistono due diversi circuiti nervosi per i muscoli facciali, di cui uno involontario.

L’attivazione di una particolare emozione è in grado di attivare anche i circuiti involontari che altrimenti non si esprimerebbero. Osservando le ricerche di Ekman sembrano esserci due tipologie differenti di espressioni involontarie: la prima implica l’attivazione di muscoli controllati involontariamente, mentre la seconda implica le cosiddette “microespressioni”, ovvero brevissimi istanti in cui la vera emozione viene espressa.

Per questo motivo è impossibile negare completamente l’espressione di una emozione: alcuni muscoli si attiveranno comunque anche se magari solo per un breve istante.

È interessante notare come ci sia anche una sorta di feedback di ritorno: l’attivazione dei muscoli facciali necessari per riprodurre una particolare espressione permettono di individuare con chiarezza uno stato emotivo. Anche questo comportamento è stato rivelato inizialmente da Ekman e Friesen durante i loro allenamenti nel controllo dei muscoli facciali ( le 46 unità d’azione).

Dopo una giornata in cui stavano provando delle espressioni di tristezza si sono accorti di stare male entrambi.

Una scoperta recente (Rizzolatti[4], 2001) è quella dei neuroni specchio, ovvero un particolare tipo di neurone che reagisce sia quando si compie un’azione sia quando si osserva la stessa azione compiuta da altri. È interessante che anche questa scoperta che si ritiene fondamentale sia stata fatta per caso: mentre un ricercatore prelevava una banana per un esperimento sulla corteccia pre-motoria, i neuroni della scimmia cavia reagirono, nonostante la scimmia fosse immobile.

Si ritiene che questi neuroni siano fondamentali ad esempio nell’apprendimento, in quanto consentirebbero la comprensione delle azioni ed emozioni altrui, contribuendo ad una teoria della conoscenza e permettendo di entrare in empatia. In uno studio condotto su bambini autistici (Dapretto, 2005) a cui sono stati presentati volti che esprimevano emozioni, non vi è stata l’attivazione dei neuroni specchio: per questo motivo si ipotizza il collegamento fra neuroni specchio ed empatia.

Inoltre è stato localizzato un raggruppamento di neuroni a specchio intorno all’area di Broca, struttura deputata al linguaggio. Pertanto si ritiene possibile una implicazione di tali neuroni nella funzione linguistica.

PARTE 3
I disturbi dell’umore

3.1 Cosa sono i disturbi dell’umore

Quotidianamente, l’umore può subire oscillazioni fisiologiche tra gioia e tristezza, determinate generalmente da eventi esterni, con ruolo adattivo poiché consentono ad un individuo di adeguare le proprie reazioni alle condizioni ambientali; è bene distinguere questi "fisiologici" cambi d'umore, generalmente saltuari o addirittura eccezionali, da quelli caratterizzanti i disturbi dell'umore, inteso come il tono affettivo che colora l'esperienza soggettiva, che costituiscono una patologia molto diffusa tra la popolazione, interessandone ben il 20%.

In base alla teoria cognitiva, l’affetto (o emozione) è uno stato soggettivo risultante dalla stima o valutazione di stimoli interni o esterni. Al pari di altre teorie cognitive sull’affetto, o emozione, la TC postula che il modo in cui un evento o uno stimolo viene stimato o valutato determina il tipo, l’intensità e la persistenza dell’emozione provata. Inoltre, l’esperienza emozionale si sviluppa nel contesto di un interazione dinamica, o transazione tra soggetto e ambiente. In base alla teoria cognitiva, quattro sono le emozioni principali che motivano o rinforzano il comportamento adattivo implicato nel raggiungimento di obiettivi vitali per l’uomo quali la sopravvivenza, la sicurezza, la procreazione e la socializzazione. Inoltre, esiste una specificità tra emozioni e attribuzioni dei significati. La tristezza è evocata dalla percezione di una perdita, di una privazione o di un fallimento, mentre la felicità o euforia, comporta la valutazione di un guadagno. La paura è il suo correlato emozionale, l’ansia sono la risposta ad una valutazione di pericolo e di vulnerabilità personale; la rabbia, invece, rappresenta la risposta a percezioni di offesa e di ingiustizia (A.Beck, 1991). La teoria cognitiva è applicabile all’intera gamma delle emozioni, dal momento che abbraccia una visione dimensionale delle esperienze emozionali e considera i disturbi affettivi come la rappresentazione di una forma sproporzionata e persistente del normale funzionamento emozionale.

La teoria cognitiva riconosce, inoltre l’esistenza di una stretta connessione tra personalità, emozione e disturbi psicologici. La teoria cognitiva della depressione adotta come paradigma del funzionamento umano un processo di elaborazione delle informazioni fondato su schemi. Con l’espressione elaborazione delle informazioni si intendono le strutture, i processi e i prodotti coinvolti nella rappresentazione e nella trasformazione del significato basati sui dati sensoriali derivati dall’ambiente esterno e da quello interno. Si tratta di strutture e processi che selezionano e trasformano, codificano, immagazzinano, recuperano e ricostruiscono le informazione dotandole di significato. Tuttavia, tutte le operazioni cognitive coinvolte nel sistema di elaborazione delle informazioni si fondano sull’esistenza di strutture simboliche deputate alla rappresentazione del significato.

[...]


[1] Nato a Lisbona e laureato in medicina, Antonio Damasco opera negli USA. Rappresenta una delle figure di maggior spicco a livello mondiale nel campo delle neuroscienze. Il punto di partenza di Damasco, sostenuto dall’osservazione di diversi casi clinici, è che il cervello non può essere studiato senza tener conto dell’organismo a cui appartiene e dei suoi rapporti con l’ambiente.

[2] Nato a Washington DC nel 1934. Professore di psicologia al Dipartimento di Psichiatria dell’Università della California (UCSF). Pioniere negli studi delle emozioni e delle espressioni facciali Al contrario di molti antropologi del suo periodo, compreso Margaret Mead, Ekman, scoprì che alcune espressioni facciali e le corrispondenti emozioni, non erano culturalmente determinate, ma erano universali alla cultura umana, quindi di origine biologiche, come precedentemente aveva teorizzato Charles Darwin. Tale scoperta ora è ampiamente accettata da tutti gli scienziati. Nel progetto “Diogene” Ekman fa riferimento alle “microespressioni”, e ritiene che queste siano affidabili nello scoprire le bugie. Egli sviluppò anche il Sistema di Codifica delle Espressioni Faciali (FACS) per la loro classificazione.

[3] Acronimo di «Facial Action Coding System». Il FACS è un sistema di misura comprensivo, completo e versatile, sviluppato per determinare come le contrazioni di ogni muscolo facciale, singolarmente o in combinazione con altri muscoli, cambiano le sembianze di una faccia.

[4] Giacomo Rizzolatti è nato a Kiev, Ucraina. Laureato in Medicina e Chirurgia a Padova, specialista in Neurologia; nel 1999 gli è stata conferita la laurea honoris causa dall'Università Claude Bernard di Lione per i suoi studi sulle funzioni cognitive del sistema motorio.

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Título
L'ABC delle emozioni
Subtítulo
Intervento cognitivo-comportamentale sui pazienti con disturbo dell'umore
Autor
Año
2013
Páginas
83
No. de catálogo
V209865
ISBN (Ebook)
9783656377573
ISBN (Libro)
9783656377733
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Italiano
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Federica Di Pietro (Autor), 2013, L'ABC delle emozioni, Múnich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/209865

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Título: L'ABC delle emozioni



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