Il racconto della torre come chiave ermeneutica del fenomeno migratorio

Esegesi e lettura simbolica di Gen 11,1-9


Mémoire de Licence (suisse), 1999

108 Pages, Note: 10/10


Extrait


INTRODUZIONE

Il presente lavoro si propone di individuare, sulla base dell’esegesi e dell’ interpretazione simbolica 1 di Gen 11,1-9, una nuova chiave per la lettura di fede del fenomeno migratorio. Ciò che mi ha motivato ad affrontare questa tematica è il carisma che la congregazione religiosa a cui appartengo ha ereditato dal suo fondatore Mons. Giovanni Battista Scalabrini 2 .

L’ampiezza limitata di questa ricerca mi ha obbligato a fare una scelta chiara per quanto riguarda gli autori consultati. Così ho lasciato da parte tutta l’interpretazione patristica per concentrare l’attenzione sull’esegesi contemporanea. Gli studi di alcuni autori mi hanno portato poi sulla pista dell’interpretazione rabbinica. Per questo mi servo, a volte, delle narrazioni midrashiche che sottolineano l’uno o l’altro aspetto del racconto biblico e che molte volte confermano i risultati dell’interpretazione simbolica del racconto della torre.

Quanto al metodo, inizio il mio lavoro con un’esegesi della narrazione in quattro passi successivi. Una prima parte riguarda lo sviluppo del racconto lungo il tempo (analisi diacronica). Benché non si siano trovati racconti propriamente paralleli a Gen 11,1-9, possiamo constatare che in questa narrazione sono confluiti molti elementi attinti da altri racconti talora molto antichi e largamente diffusi a livello mondiale. Oltre a questi elementi universali vi sono alcuni richiami alla cultura e alla letteratura mesopotamiche. Questo dato combacia con il luogo indicato nel racconto, Babele, nella terra di Sennaar. Nonostante questa localizzazione precisa, vi

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sono diversi motivi per ritenere che il racconto abbia avuto origine in Israele. La datazione della narrazione dipende in gran parte dalla valutazione dell’ipotesi documentaria. Vi è infatti consenso unanime che il testo appartiene alla fonte yahvista.

Un secondo passo consiste nell’analisi sincronica della narrazione. Questa analisi porta a constatare la sostanziale unità del racconto nella sua forma attuale. La coesione interna della narrazione è resa palese dall’abbondanza dei giochi linguistici che attraversano il testo. Un’ulteriore conferma dell’unità del racconto è data dalla sua composizione concentrica. Le parti che si corrispondono all’interno di questa struttura sono tra loro in antitesi e riflettono così il contenuto del racconto in cui gli uomini tentano un assalto a YHWH.

Quanto al genere letterario di Gen 11,1-9 nella sua forma attuale concludo che si tratta di un racconto eziologico a significato simbolico (oppure più semplicemente di un eziologia simbolica). L’analisi sincronica si conclude con uno sguardo ai legami che il testo intrattiene con gli altri testi della preistoria nonché con quanto segue. Questi legami sono di fondamentale importanza per l’interpretazione del racconto.

Il terzo ed il quarto passo dell’esegesi sono costituiti rispettivamente dai capitoli secondo e terzo di questo lavoro. Il secondo capitolo consiste nel commento ai singoli versetti il quale conferma ed approfondisce per molti versi i dati dell’analisi sincronica. Durante questo commento mi soffermo diverse volte su quei termini che mi sembrano avere una funzione chiave nel racconto.

Il terzo capitolo affronta dapprima il problema del Dio che castiga. Segue una breve panoramica dell’interpretazione simbolica del racconto lungo la storia con alcune considerazioni sul simbolo in quanto tale. Queste considerazioni fanno vedere che il simbolo ha una duplice funzione: quella di svelare, ma anche quella di mascherare. Il simbolo vive di questa tensione, e qualora venisse meno, il simbolo smetterebbe di esistere come tale. In Gen 11,1-9, questi due poli si trovano nelle due prospettive opposte dei costruttori della torre da una parte e del narratore dall’altra.

Prima di entrare nell’interpretazione simbolica vera e propria del racconto, apro un’altra parentesi che riguarda la figura di Nimrod. Egli viene menzionato in Gen 10,8-12, l’unico testo, a parte il nostro, che nella preistoria parla di Babele. Tra questo brano nella tavola delle nazioni ed il racconto della torre si instaura un legame significativo in cui i due testi si interpretano a vicenda. In particolare, Gen 10,8-12 aiuta a comprendere meglio in cosa consista il peccato dei costruttori della torre. Alla fine del paragone dei due testi è pronto tutto il materiale necessario per l’interpretazione.

Risulta così che il simbolo di Babele serve a denunciare la presunta onnipotenza alla pari di YHWH con cui i grandi despoti impongono la loro ideologia sugli altri per opprimerli (un’unica lingua per tutti). L’intervento di YHWH rappresenta la critica di questo sogno illusorio rivelando la realtà così com’è: l’umanità è, di fatto, divisa.

Il quarto capitolo rappresenta l’integrazione del nostro testo con altri brani della Scrittura in vista dell’applicazione del simbolo di Babele alla complessa realtà migratoria per una nuova lettura di fede della stessa. Faccio leva in particolare sull’evento della Pentecoste narrato in At 2 nonché sulla contrapposizione nell’Apocalisse tra la città-prostituta (Babilonia) e la città-sposa (la nuova Gerusalemme).

Il quinto capitolo si apre con una breve descrizione della realtà migratoria tramite alcuni concetti chiave. Segue il pensiero di G.B. Scalabrini con una descrizione della missione scalabriniana. Dopo queste premesse inizio a mostrare le possibili implicazioni del racconto della torre per la realtà migratoria. Queste si configurano soprattutto come denuncia sia delle cause che costringono le persone ad emigrare, sia degli atteggiamenti ostili che li aspettano nelle rispettive società di arrivo. Il nucleo del problema pare possa essere individuato nel rifiuto dell’alterità. Il capitolo chiude con la constatazione che Babele rappresenta un appello a tutti gli uomini di buona volont à di collaborare alla costruzione di nuovi rapporti di giustizia e di fraternità. L’appello si rivolge in particolare a coloro che per fede conoscono il traguardo di comunione degli uomini tra di loro e con Dio verso il quale la storia è diretta.

CAPITOLO I

Il testo di Genesi 11,1-9

Nella seguente traduzione ho cercato, per quanto possibile, di rimanere fedele al testo stesso. Ciò rende meno scorrevole la lettura, ha però il vantaggio di seguire il testo più da vicino.

1. Testo e traduzione

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IL TESTO DI GENESI 11,1-9

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2. Gen 11,1-9 da punto di vista diacronico

Il nostro brano precede di poco uno dei cardini più importanti dell’Antico Testamento8 , vale a dire la vocazione e la benedizione di Abramo (Gen 12,1-3), che significa la nascita e l’elezione del popolo d’Israele. L’elezione è il punto di arrivo della cosiddetta storia primordiale che culmina nel nostro racconto, detto comunemente La torre di Babele 9 . Questa considerazione è di grande rilievo per il significato di Babele all’interno del libro della Genesi10.

Tuttavia l’esegesi di questi pochi versetti è tutt’altro che scontata. Il te- sto presenta alcune difficoltà che danno luogo ad una vasta gamma di interpretazioni. Per questa ragione, prima di tentare una mia sintesi mi sembra utile passare in rassegna le questioni più discusse. Fornendo a mo’ di esempio i risultati delle ricerche di alcuni autori intendo mettere il let- tore al corrente delle problematiche. Per maggiore chiarezza, divido i

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diversi argomenti secondo due ambiti: questioni sulla genesi del testo e problemi riguardanti l'origine e la datazione del racconto. Con la terza di- visione di questo capitolo passeremo ai temi legati allo studio sincronico della narrazione.

2.1 La genesi del testo

Il nostro testo, dal punto di vista letterario, non è esente da problemi. La difficoltà maggiore consiste nelle due discese di YHWH sulla terra. Nel v. 5, egli discende per vedere la città e la torre che gli uomini stanno co- struendo. V. 6 (!h) lascia supporre che YHWH sia ormai sceso, eppure v. 7 parla di nuovo della decisione di scendere. Un simile procedimento si trova nei vv. 3-4 riguardo alla decisione degli uomini: essi anzitutto si accordano per fare mattoni; solo in v. 4a decidono di costruire una città con una torre. Di per sé ci si aspetterebbe l'ordine inverso11. Infine, un'altra incongruenza si ha nell'intervento di YHWH in v. 8 che non riflette la decisione del v. 7: al posto di confondere la lingua degli uomini, Dio li disperde. Gli autori hanno tentato di risolvere i problemi in modi diversi. H. Gunkel è uno dei primi a sostenere che Babele rappresenta la fusione di due fonti distinte. Egli parla perciò di una recensione della citt à e di una recensione della torre 12. La soluzione di Gunkel è stata ripresa in seguito da autori come J. Skinner, W. Zimmerli, G. von Rad, G. Wallis ed altri ancora. Contro questa ipotesi si sono pronunciati K. Budde, U. Cassuto, E.A. Speiser ecc. con i seguenti argomenti: la dispersione e la confusione delle lingue non rappresentano doppioni, ma si richiamano come strumento ed effetto; città e torre sono viste come una specie di endiadi13.

C. Westermann nel suo commentario alla Genesi fa vedere la fragilità dell’ipotesi di Gunkel. Considerando infatti città e torre un doppione, Gunkel è costretto a spezzare in due rispettivamente i vv. 4 e 514. Westermann concorda con Gunkel ed i suoi seguaci sul fatto che il testo di Gen 11,1-9 non è un insieme del tutto omogeneo e mostra tracce di uno

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sviluppo in fasi successive. Continuando con la propria analisi del testo, Westermann individua tre elementi (dispersione degli uomini su tutta la terra, costruzione della torre, confusione della lingua) che allo stato attuale della tradizione si trovano uniti, ma che in periodi precedenti non lo erano, come mostra il paragone con testi paralleli 15 extrabiblici. La relazione tra questi tre motivi16 si configura nel modo seguente: dispersione e con- fusione della lingua appaiono spesso come conseguenza del racconto del diluvio, che mostra molti paralleli extrabiblici. Benché si attraggano reci- procamente, dispersione e confusione della lingua non sempre si trovano legate. Ambedue i motivi sono in genere indipendenti da quello della co- struzione della torre17.

Anche il motivo della costruzione della torre trova molti paralleli presso altri popoli. Questi racconti in genere narrano del tentativo degli uomini di raggiungere, mediante la costruzione di una torre, il cielo e terminano con il crollo della torre causato dalla divinità. In alcuni casi, la torre che crolla uccide i suoi costruttori. Il senso dell’antico racconto della torre non è perciò la spiegazione dello status quo (eziologia), ma la separazione dell’ambito divino da quello umano18. Ogni tentativo di separare il racconto in due filoni narrativi alla pari di H. Gunkel non risulta adeguato dal momento che i motivi che determinano l’andamento della narrazione sono tre19.

Per quanto riguarda l' incongruenza dell’intervento di YHWH con la sua decisione previa (vv. 7-8) ed insieme la doppia discesa, Westermann

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propone una soluzione interessante e convincente, dalla quale risulta che l'elemento della confusione delle lingue è stato aggiunto in un secondo mo- mento.

Daß dieser Entschluß [i.e. di confondere la lingua degli uomini] gegenüber dem ursprünglichen Verlauf der Erzählung sekundär ist, zeigt die ältere Form, in der sich der Entschluß direkt auf das Werk der Menschen bezog. Die Formulierung des Entschlusses in 7 ist aus dem Konzept erwachsen, das die Verwirrung der Sprache erklären will [eziologia]. Die Durchführung dieses Entschlusses Gottes, die Sprache der Menschen zu verwirren, ist deshalb schwer vorstellbar. Eigentlich ist die Sprachverwirrung die Folge des Eingreifens Gottes, das die Menschen an der Vollendung des Baues verhinderte (8b). Deswegen stimmen auch der Entschluß (7) und seine Ausführung (8) nicht überein [...] Die Folge der beiden Verse 7 und 8 zeigt eine bewußte, nachträgliche Verbindung der beiden Motive von der Verwirrung der Sprachen und der Zerstreuung der Menschen über die Erde [...]20.

Infine, circa l ’ ordine inverso dei vv. 3a e 4a, Westermann lo spiega con il fatto che in Gen 11,1-9 ci si trova di fronte ad un racconto che, nel suo sviluppo, ha subito molti cambiamenti; durante questo processo, l’accento è passato dalle azioni raccontate ai motivi che stavano alla loro origine21.

Tra i possibili riferimenti letterari del nostro testo vi è tuttavia un'altra indicazione. Si tratta dell'epopea di Enuma Elish 22 in cui viene raccontata la costruzione di Esagila, che significa «the house with the raised head»23. Non sappiamo se essa fu conosciuta in Israele già dai tempi di Abramo proveniente da Ur dei Caldei (cf. Gen 11,28.31) situato a Sud dell'impero di Babilonia, oppure soltanto a partire dall'esilio (587 a.C.)24. Questa in- certezza si riflette nei diversi e spesso contrastanti pareri degli studiosi per quanto concerne un possibile legame del nostro racconto con l'antica mito- logia sumerica della creazione. Speiser sostiene che Babele si ispira al racconto della costruzione di Babilonia e del suo tempio.

In describing the construction of Esagila, as the sacred precinct was called, the Akk. text says: “The first year they molded its bricks (OLELWWDpX LOWDEQX). And when the second year arrived / They raised the head of Esagila toward Apsû.” Apsû is, among other things, a poetic term for the boundless expanse of the sky conceived as one of the cosmic sources of sweet water. It so

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happens, moreover, that the Sumerian name Esagila means literally “the structure with upraised head.” The Akk. for “they raised its (Esagila’s) head” (XOOX? UHprpX) is merely a play on Esagila. It is to this particular phrase in a well-known canonical composition, transmitted either directly or indirectly, that the biblical phrase “with its top (literally ‘head’) in the sky” obviously harks back. The connection is confirmed by the preceding clause (vs. 3) “let us build bricks”25.

Contro questa posizione, Wenham ribatte che una dipendenza diretta della narrazione biblica da Enuma Elish non è affatto probabile26. Westermann, invece, afferma in modo convincente il legame tra i due testi. Egli individua tre punti di contatto tra Enuma Elish ed il nostro racconto: la decisione di fabbricare mattoni, la costruzione della torre e l’insistenza sull’altezza di quest’ultima.

Es kommt hinzu, daß die figura etymologica mynbl hnbln eine Entsprechung in dem akk. LOELQX OLELWWX [...] bzw. OLELWWDpX LOWDEQX [...] hat [...]. Daß der feierliche Entschluß in V. 3 der Vorbereitung des Baues, dem Ziegelfertigen, zugeordnet ist, entspricht der aus Enuma elisch zitierten Stelle und bekommt seine Begründung von diesem Hintergrund her: “For the ceremonial and year- long preparation of the sacral bricks and the solemn laying of the first brick were standard practices bound up with the religious architecture of Mesopotamia”27.

La questione del legame tra i due racconti si collega alla domanda se ed in quale misura le cosiddette ziqqurat 28 babilonesi facciano da sfondo a Gen 11,1-9. Oggi vi è un accordo pressocché unanime tra gli studiosi sul legame tra Babele e le torri dei santuari mesopotamici. Soltanto pochi però giungono ad identificare la torre nel nostro racconto con Etemenanki 29, la torre che adornava il tempio di Marduk nella città di Babilonia, che effetti- vamente veniva associato a Esagila in Enuma Elish. Già Gunkel era del parere che Gen 11,1-9 si riferisse ad una ziqqurat babilonese, e riteneva possibile che si trattasse di Etemenanki, a condizione che la città di cui parla il nostro racconto, fosse davvero Babilonia. Etemenanki, infatti,

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esisteva già dai tempi di Hammurabi e probabilmente anche molto prima (2100 a. C.). Che si trattasse di una rovina non desta meraviglia proprio per il fatto che le ziqqurat venivano costruite con mattoni30. Rabbì Sherwin, per citare un lavoro recente, è ugualmente convinto che Babele alluda alle torri dell’impero di Babilonia31. Westermann, da una parte, concorda che vi è una relazione tra le ziqqurat e la torre di Gen 11,1-932, d’altra parte mette in guardia dal tentativo di identificare quest’ultima con una torre specifica della Mesopotamia, quasi che il racconto fosse l’eziologia di una torre reale. Cio non esclude, a mio parere, che l’autore abbia preso spunto da un edificio concreto. È sufficiente sottolineare che lo scopo della narrazione è un altro.

Alle diese Forscher aber, die fragten welches der richtige Turm zu Babel sei, setzten voraus, die Erzählung Gn 11 1-9 sei von diesem Bauwerk bzw. seiner Ruine inspiriert. Etwa so, daß diese Ruine die Frage hervorgerufen habe: Wie kam es, daß dieser mächtige Turm zur Ruine geworden ist? Dann wäre Gn 11 1-9 die Ätiologie der Ruine eines Tempelturmes in Babylon. Aber so kann Gn 11 1-9 nicht erklärt werden, weil dies nicht der Schluß der Erzählung ist und 11 8b sagt, daß sie aufhörten, die Stadt zu bauen, aber vom Turm nicht spricht33.

Westermann continua dicendo che il nostro racconto non dice molto sulla città di Babele; suo principale argomento è che ciò che il testo dice di questa torre non quadra con quello che sappiamo di Etemenanki; qui, infatti, l’altezza era un valore alquanto positivo e niente nella narrazione fa ritenere che si trattasse di un edificio cultico e che la sua costruzione fosse da intendere come un assalto a Dio34. D’altra parte, lo stesso Westermann è comunque persuaso che lo scenario scelto dall’autore sia la città di Babilonia con riferimento ai suoi giganteschi monumenti35. Altri autori,

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come v. Rad, prescindendo dal significato di ldgm (torre, fortezza), non hanno dubbi nell’identificare la torre di Gen 11,1-9 con Etemenanki 36. La questione del legame tra Babele e le ziqqurat (Etemenanki) è a sua volta connessa con il problema del luogo di origine e la datazione del rac- conto. Speiser, ad esempio, nega questo legame unicamente per motivi cronologici37. Wenham, per la stessa ragione, conclude che in Gen 11,1-9 non si possa trattare di Etemenanki 38. Vale la pena allora fermarci un istante sulla questione dell’origine e della datazione del nostro racconto.

2.2 L ’ origine e la datazione del racconto

A prima vista, la risposta circa l’origine di Gen 11,1-9 sembra facile, dato che il testo parla espressamente della pianura di Sennaar e rivela inoltre che la città di cui parla è Babilonia39. Gunkel, infatti, non aveva dubbi sull’origine babilonese del racconto che, secondo lui, presuppone non solo la conoscenza del materiale di costruzione dei babilonesi, ma anche della città di Babilonia con la sua torre. Tuttavia, egli attribuisce la narrazione a degli stranieri ignari del senso di questa costruzione gigante- sca; data l’etimologia semitica del nome della città, questi barbari sarebbero semiti, forse aramei40. V. Rad, d’accordo con Gunkel sull’attribuzione del racconto a degli stranieri, tuttavia non condivide l’origine babilonese dello stesso. Il testo sarebbe del secondo millennio a. C. (l’epoca di Hammurabi 1728-1686). In questo periodo, Babilonia era una superpotenza, per così dire, per cui la sua cultura esercitava un grande influsso sui paesi limitrofi. Insieme alla cultura, vi giungeva pure la fama dei suoi giganteschi monumenti, specie quella delle grandi ziqqurat. Secondo v. Rad, l’interpretazione che il racconto dà del nome della città corrisponde allora a quello che gli stranieri pensavano di questa

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metropoli41. Westermann situa l’origine di questa narrazione in Israele. Per lui il riferimento alle torri mesopotamiche è generico e la loro rilevanza per il racconto sta nell’altezza che le rendeva famose. Il motivo della torre prende il via dall’antico racconto della torre di cui abbiamo parlato più sopra. Tuttavia l’autore, volendo ancorare il racconto nella storia, non poteva che scegliere come scenario la città di Babilonia, che con i suoi grattacieli era famosa in tutto il mondo. Ciononostante l’autore sarebbe stato ignaro della funzione di queste ziqqurat 42. Il racconto però non può essere nato in Babilonia, né fa riferimento ad una torre specifica; esso è stato scritto in Israele, dove si conoscevano bene le torri mesopotamiche (cf. il materiale di costruzione, v. 3)43.

La questione circa l’origine è legata in parte al problema della datazione del nostro racconto, la quale a sua volta dipende dall’accettazione nonché dalla valutazione dell’ipotesi documentaria44. Gli studiosi che accettano nelle grandi linee questa ipotesi - per lo meno come strumento di lavoro - sono concordi nell’attribuire il racconto alla fonte Yahvista45. Ora, se- guendo l’ipotesi documentaria nella sua forma classica, J viene collocato al più tardi nel periodo della monarchia salomonica (v. Rad) e comunque prima dell’esilio babilonese46. D’altra parte la tendenza ad una datazione sempre più recente delle fonti riguarda anche lo Yahvista e c’è chi pone anch’esso nel periodo esilico se non addirittura postesilico47. Un esempio

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di questa ipotesi troviamo in Soggin, che, confutando la teoria dell’origine mesopotamica della narrazione, afferma: «Un’origine tra i rimpatriati in epoca postesilica sembrerebbe più logica»48. Da notare che la datazione del racconto dipende anche dall’interpretazione della pericope. Chi ritiene che il testo tradisca una polemica contro Babilonia e la sua religione, in genere tende ad una datazione esilica o postesilica, benché ciò non risulti strettamente necessario per spiegare il fenomeno. Rabbì Sherwin, ad esempio, è del parere che la polemica in Israele contro Babilonia e la sua religione abbia le sue origini ancora nell’età patriarcale, come viene confermato dalle leggende rabbiniche49. Sull’argomento della polemica ritorneremo nel capitolo secondo.

A questo punto, prima di passare allo studio sincronico del testo, mi sembra opportuno tentare una piccola sintesi personale che integri le diverse ipotesi degli autori. Lo faccio qui, sotto forma di conclusione.

2.3 Conclusione

Durante questa breve panoramica delle ricerche fatte dagli autori da me consultati, abbiamo trovato diversi elementi che sono confluiti nel racconto biblico della torre. Nell’insieme, l’esposizione di Westermann risulta la più convincente, sia per quanto egli afferma circa i tre elementi che lo Yahvista avrebbe fuso nel racconto biblico, sia per la questione del legame con l’epopea di Enuma Elish, sia infine per ciò che concerne la relazione

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con le ziqqurat. Dal punto di vista geografico, è possibile dividere questi elementi in due blocchi: da una parte abbiamo i motivi per così dire universali che sono diffusi a livello mondiale (l’antico racconto della torre, la confusione delle lingue, la dispersione dell’umanità); dall’altra parte troviamo quelli di origine babilonese, ulteriormente divisibili in due categorie: da un lato l’epopea di Enuma Elish (elemento letterario), dall’altro le costruzioni gigantesche della Mesopotamia (ziqqurat) e la città di Babilonia che fanno da sfondo storico a Gen 11,1-9. A parte Westermann, pare che gli autori non vedano la possibilità di conciliare questi punti di riferimento diversi in una sintesi che riesca ad abbracciare tutti gli elementi. La mia proposta perciò è quella di integrare i diversi suggerimenti, perché mi sembra che solo questa visione riesca a spiegare la formazione del nostro racconto. Non vedo neppure molte difficoltà in questa impresa. Che il testo non sia esplicito circa i riferimenti biblici ed extrabiblici non desta meraviglia, dal momento che molti testi biblici comunicano buona parte del loro messaggio mediante allusioni ed accenni che rievocano altri racconti. Per di più dobbiamo supporre che il lettore cui erano indirizzati i racconti conoscesse i punti di riferimento impliciti. Se vi è un problema, potrebbe essere quello della torre: a quale torre il nostro racconto fa riferimento? A quella nell’antico racconto universale della torre o a quelle mesopotamiche (alla Esagil in Enuma Elish oppure alle ziqqurat)? A mio parere la domanda non va fatta in questi termini. Non vi è affatto contraddizione tra i due riferimenti. Il racconto mostra che l’autore conosceva ed ha fatto uso di entrambe le fonti. È proprio tramite la fusione di questi due elementi che egli raggiunge il suo scopo.

Quanto all’origine del racconto, la rassegna degli studi ci ha mostrato la tendenza degli autori a porla fuori di Babilonia - specialmente a causa dell’etimologia del nome della città - preferibilmente in Israele. La ragione principale per questa scelta si trova nella parentesi esplicativa del materiale di costruzione (v. 3b) che nell’ipotesi di un’origine babilonese risulterebbe superflua. Quanto all’impiego dei mattoni, infatti, gli studiosi sono d’accordo nel vedervi un chiaro riferimento agli usi mesopotamico- babilonesi. La tecnologia dei mattoni nell’edilizia fu inventata proprio nella Mesopotamia in epoca molto remota (durante il quarto millennio a. C.)50.

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La datazione del racconto resta una questione aperta che dovrà fare i conti con i risultati che porteranno le ricerche circa l’ipotesi documentaria. Come abbiamo visto51, la conoscenza in Israele della religione e della cul- tura dell’impero babilonese, così come emerge da Gen 11,1-9, non co- stringe di per sè a collocare la fonte J nel periodo esilico o postesilico, come vorrebbe Soggin52.

3. Lo studio sincronico della narrazione

Come accennato53, lo studio diacronico, cercando di individuare gli eventuali strati e le fonti da cui l’autore potrebbe aver attinto, rischia di spezzare il testo in una serie di frammenti sconnessi. Questa analisi va perciò integrata con un approccio sincronico particolarmente tipico delle ricerche recenti. Lo scopo di questa divisione del primo capitolo è allora quello di mostrare l’unità del racconto nonché i legami con il suo contesto.

Quanto alla coesione interna, essa trova una prima conferma nella com- posizione parallela delle due parti della narrazione. La prima parte parla della decisione degli uomini, la seconda riporta la reazione di YHWH, mentre v. 1 e v. 9 fanno da cornice54. Westermann, pur nell’analisi diacro- nica, constata questa fondamentale unità della pericope nella sua forma attuale, per cui ritiene che la fusione delle parti integranti sia avvenuta in una fase precedente la stesura del testo55. Nonostante l’accordo di tutti gli studi recenti sull’unità del racconto, gli autori giungono a risultati spesso divergenti. Ciò è dovuto alla diversità di presupposti, di metodi di approccio e di sensibilità individuale di ciascun autore, che portano a sottolineare aspetti diversi.

3.1 Elementi stilistici come indizio per l ’ unit à del racconto

Un’attenta lettura del testo rivela che l’autore abbonda nell’uso delle tecniche narrative del tempo:

The tower story is a short but brilliant example of Hebrew story telling. The compositional techniques have been thoroughly explored by Cassuto, Fokkelmann, Kikawada, and Auffret. Word play, chiasmus, paronomasia, and

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alliteration are just some of the divices used to unify and accentuate the message of the tale56.

Due giochi di parole spiccano all’interno del racconto. Il primo è quello delle consonanti “E” e “O” che appaiono per prima volta nel v. 3: hnBlnI ~ynbl. (facciamo mattoni) e !bal. hnbLh; ~hļ' (era per loro il mattone come pietra). Queste consonanti anticipano il nome EDEHO verso il quale tutto il racconto è proteso (cf. anche lbB'con llB)57. Ma vi è anche la con- sonante “n” che nei due coortativi appare particolarmente significativa: in hlbnw, rispetto a hnBln, “n” insieme a “E” e “O” forma una figura chiastica la quale imita il rovesciamento che YHWH opera nei confronti delle ambizioni degli uomini58. Wenham commenta: «The LORD literally mixes up QLOEHQDK through his judgment. Indeed, QDEHODK sounds very like QHEDODK “the folly of the impious.” The name “Babel” thus stands forever as a reminder of the failure of godless folly (cf. Ps 14:1)»59.

Il secondo gioco riguarda le consonanti “p” e “P” che si ripetono come

un ritornello nelle parole pDP YY pDPD\LP Y pHP YY [7: W[mvyIal].9) Vi ritorneremo più avanti.

Le componenti di questi ed altri giochi linguistici sono distribuiti in maniera trasversale nel racconto (cf. i numeri dei versetti) ed in questo modo ne rivelano l’unità.

3.2 Composizione e genere letterario di Gen 11,1-9

Westermann non si sofferma molto sulla composizione del racconto. Egli indica la cornice della narrazione (v. 1 e v. 9) nonché le due parti che compongono quest’ultima (vv. 2-4 e vv. 5-8)60. Considero un dato sicuro che v. 1 e v. 9 siano paralleli e facciano da cornice alla trama del racconto (vv. 2-8). Nessuno degli studiosi infatti lo mette in dubbio.

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Quanto alla composizione della narrazione intera, la maggioranza degli studiosi vi scorge una figura concentrica. Westermann non si dilunga sulla problematica, ma fa intendere che per lui il centro è dato dal v. 6. L’argomento suo è che le due discese di YHWH - che rappresenterebbero due filoni differenti della tradizione e che J volutamente avrebbe fatto confluire nella narrazione - facciano da inclusione a questo versetto61. La maggioranza degli autori invece ritiene che il centro della composizione sia rappresentato dal v. 5 (... tarlihwhy>drYw)62.

Non vi è tuttavia consenso su quali sarebbero le parti corrispondenti in questa struttura concentrica63. Prendo in prestito il riassunto di van Wolde sullo sviluppo della ricerca sincronica:

Cassuto’s study sets the tone for later synchronic investigation. Radday is in 1972 (15) the first to rank the two antithetical parts in a ‘chiastic’ structure (ABCB’A’). Kikawada (1974) orders the parallel elements in another chiastic

structure and constructs a scheme of three text episodes (vv. 1-4, 5 and 6-9), in which a certain ordering of text elements occurs a number of times; he calls this the ‘sequential repetition’ in the text. Contemporaneously with Kikawada’s publication a study by Fokkelman (1974: 11-45) was published which took Cassuto’s taxonomy of consonantal and verbal repetitions as a point of departure, elaborated it and ordered the parallel construction of the verses in a concentric structure (ABCDEFGF’E’D’C’B’A’). In 1982 (70-90) Auffret presented another concentric structure (ABB’A’). Finally Wenham in his Genesis commentary (1987: 235) adopted the parallel ordering of Kikawada as well as Fokkelman’s concentric structure64. E, poco più avanti, van Wolde riprende:

However clear it was to the above-mentioned exegetes, too, that the conso- nantal and verbal repetitions are present in Gen 11:1-9, and however much

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they assume a certain antithetical relationship between the parallel parts, in the ordering of the data they come to different results65.

Le differenze nei risultati degli autori dipendono in gran parte dalla scelta delle parole chiavi (keywords), vale a dire dei vocaboli che il singolo autore considera importanti per la composizione. Porto soltanto un esempio: Auffret - seguendo Kikawada - individua una struttura concentrica, partendo dalla ricorrenza dei seguenti vocaboli in determinati

versetti: [Abbildung in dieser Leseprobe nicht enthalten] ricorrono anche altrove nel testo. Auffret stesso lo ammette, quando dice:

Ce choix laisse évidemment de côté bien des récurrences, et même de mots relevés ci-dessus (ySK pP KEK ). Il n’inclut pas 9b. Nèanmoins à sa manière il aide à percevoir la structure concentrique de l’ensemble telle qu’elle nous est proposée par Kikawada66.

Il problema non sta nell’impiego alternato di questi vocaboli (una volta sì, una volta no) per far emergere la struttura del testo; è però importante fornire i criteri che hanno motivato questa scelta, altrimenti la conclusione risulta arbitraria67. Quanto a #rah-lk, ad esempio, il criterio potrebbe essere quello semantico: in v. 1 ed in v. 9b, infatti, l’espressione è affiancata da hpf (per cui significa l’ umanit à) mentre nelle altre ricorrenze appare accanto a ynP-l[;(e allora si riferisce al pianeta, o meglio, a quella parte del pianeta che a quel tempo era conosciuta).

In ogni caso, l’analisi della composizione del testo non si può risolvere unicamente nell’analisi stilistica:

IL TESTO DI GENESI 11,1-9 21

The stylistic modelling of the text data reduces the text to a limited number of data and this reduced activity is determined to some extent by the subject ma- king the selection. In my view this is no problem if the stylistic investigation is seen as a first phase in the investigation of the text. [...] In short, this styli- stic investigation makes readers aware of assonances and word patterns in the text, but must form part of a larger syntactic and semantic investigation of the text, in which other text elements give new (supplementary or corrective) ve- rifiable results68.

D’altra parte, l’analisi di van Wolde convince ancor meno di tutte le altre che concordano per lo meno a grandi linee. Van Wolde rimprovera ai suoi predecessori il fatto che essi, nonostante i diversi risultati per quanto ri- guarda la composizione, giungono tutti alla stessa interpretazione, quella classica della presunzione da parte degli uomini e della punizione da parte di Dio69. Nello stesso tempo, però, anch’egli fornisce una struttura del racconto, che si basa su criteri stilistici, precede la sua analisi sintattica e semantica70 e non presenta nessun legame con quest’ultima. Nella sua analisi stilistica, egli non si limita a constatare una composizione concentrica, ma arriva ad affermare che persino i versetti paralleli rispetti- vamente formano dei chiasmi. Questa prospettiva lo costringe però ad invertire l’ordine dei versetti 5 e 6, in modo che v. 4 risulti parallelo a v. 571.

22 IL RACCONTO DELLA TORRE E LE MIGRAZIONI

La stessa analisi semantica di van Wolde non è esente da difficoltà. Contro l’esegesi classica, egli cerca di dimostrare che la discesa di YHWH e la dispersione degli uomini non implicano in nessun modo una punizione divina (o intervento preventivo), e che non vi è peccato da parte degli uomini72. Questo presupposto lo induce ad affermare, ad esempio, che i soggetti principali del racconto non sono Dio e l’umanità, ma #rah, la terra intesa in senso materiale. Perciò egli scrive:

It is significant that the Gen 11,1-9 story as a whole has #rah-lk as the first word and as the last word: it is made clear that the whole earth forms this text’s frame of reference. The humans enter this framework only once, and then as a pronominal suffix (“them”): they are mentioned there in their relation to the whole earth. In the framework of the story, then, reference si made to the changing situation of the earth73.

Abbiamo già visto che proprio dal punto di vista semantico, #rah'ha due significati diversi e che proprio nella cornice del racconto, #rah' fa riferimento ai ~dah'ynB.(i figli degli uomini). Ci si può chiedere, come mai l’autore abbia usato lo stesso termine per indicare due realtà differenti. Probabilmente egli ha voluto sottolineare una certa comunanza e solidariet à tra gli uomini e la terra in opposizione a YHWH ed i cieli: tutto il racconto, infatti, è segnato da questa antitesi. La tesi di van Wolde, così com’è, risulta perciò insostenibile.

Sulla base delle considerazioni fatte, possiamo dire che la composizione mostra una trama in due parti a struttura concentrica, incorniciata dai vv. 1 e 9 che descrivono rispettivamente la situazione di partenza (unità) e quella di arrivo (dispersione - confusione). Per trovare il centro del testo e le parti parallele della trama, bisognerà ora individuare le diverse sezioni narrative (analisi narrativa). Nei vv. 1 e 9 abbiamo due volte la descrizione statica di una situazione. La trama del nostro racconto inizia nel v. 2 e termina con il v. 8. In essa vi è un’alternanza tra narratore e dialogo74 che si configura in questo modo: narratore (v. 2), dialogo (vv. 3-4), narratore (v. 5), dialogo (v. 6-7), narratore (v. 8). Questa è la struttura-base del racconto (cf. il grafico a pag. 24) che è confermata poi da alcune osservazioni stilistiche:

IL TESTO DI GENESI 11,1-9 23

la combinazione hpf'/ #rah-lk'ricorre due volte soltanto, nei vv. 1 e 9 -in questo modo viene confermata la cornice. Le due sezioni in cui parla il narratore (vv. 2 e 8) sono stilisticamente associati dal movimento Abbildung in dieser Leseprobe nicht enthalten] 75. I due dialoghi si contraddistinguono per la frequenza del verbo rma (dire), dell’imperativo hbh'(su ’ dai) e dei diversi coortativi: hnBlnI (costruiamo, v. 3), hpr fn w > (cuociamo, v. 3), WnL- hnb n I (costruiamoci, v. 4), WnL-hf[nw>(facciamoci, v. 4), hlbnw>hdrnE(scendiamo, confondiamo, v. 7). Un’altra conferma proviene dalla ripetizione dell’espressione Wh[re... vyai (l ’ un ... l ’ altro, vv. 3 e 7) che abbraccia i dialoghi. Il v. 5 si distingue come centro del racconto anche da un punto di vista stilistico per il fatto che è l’unico in cui sono chiamati per nome i due antagonisti. Anche qui vi è una certa antitesi: YHWH è talmente grande da dover scendere per poter vedere l’opera di coloro che non a caso sono chiamati i ~dah'ynB.(figli degli esseri terrestri [ uomini ])76.

Il mio modo di procedere non porta a nuovi risultati, ma conferma - mi auguro, con un metodo più oggettivo rispetto a quello prettamente stilistico - il risultato di fondo della maggioranza degli autori (vv. 1 e 9 come cornice, la trama concentrica nei vv. 2-8 con il centro in v. 5). Un paragone più accurato dei risultati degli altri studiosi mostra che non giova molto voler scendere ulteriormente nei dettagli nell’analisi della composizione di questo racconto. Vi sono certamente altre linee di significato nel testo; esse però non sempre seguono la struttura base della narrazione nel modo in cui l’ho individuata qui sopra (cf. quanto ho detto a pag. 20 sulle difficoltà dell’analisi di Auffret). Nondimeno esse danno prova dell’unità del racconto così come lo troviamo ora77.

Concludendo possiamo dire che tutto il racconto - i.e. tutte le singole parti che si corrispondono, compresa la cornice - contiene una struttura antitetica. Dal contenuto del versetto centrale sappiamo che l’antitesi si instaura tra Dio e l’uomo. Questo è quanto, a partire dalla composizione, possiamo ricavare circa il senso della narrazione.

[...]


1 Per interpretazione simbolica non intendo un’interpretazione che legge come simbolo ciò che di per sé simbolo non è, ma l’interpretazione che, a differenza di tante altre, tiene conto della natura simbolica del testo stesso.

2 Mons. Giovanni Battista Scalabrini era vescovo di Piacenza. Egli è il fondatore della congregazione dei Missionari di S. Carlo (Scalabriniani), proclamato beato da Giovanni Paolo II, il 9 novembre 1997. Scalabrini si era imbattuto nel fenomeno dell’emigrazione ed ha risposto all’appello degli stessi emigrati italiani, fondando una congregazione di missionari per venire loro in aiuto.

1 Il racconto, nella forma attuale, inizia con la descrizione di una situazione. Eppure yhyw: normalmente segna l’inizio della trama, come di fatto avviene nel versetto seguente. La traduzione che si avvicina di più, secondo Westermann, è: Es war einmal (C ’ era una volta) che di solito introduce le favole. «Will man es genauer artikulieren, so müßte man sagen: “Es gab einmal eine Zeit, da ...”, doch wäre das schon zu genau; das schwebende yhyw: ist formelhaft zu verstehen, es kann nicht adäquat übersetzt werden (C. WESTERMANN, Genesis, 722).

2 Riguardo al plurale di ~ydxa, seguo Wenham, quando dice: «The plural of dxa “one” occurs in only four passages. In 27:44; 29:20; Dan 11,20 it means “a few” (days); in Ezek 37,17, “one.” The latter sense seems more likely here. The narrative is not drawing attention to mankind’s limited vocabulary, “few words,”, but to their unity of speech. It essentially parallels “one language”» (G.J. WENHAM, Genesis 1-15, 238).

3 La versione dei LXX aggiunge «kai.fwnh.mia pasin». Ciò potrebbe far supporre che la traduzione dei LXX si basasse su una versione che terminasse con «~lkl» per cui si tradurrebbe: «Vi era per tutta la terra una lingua sola e le stesse parole per tutti ». Westermann ritiene possibile che questa versione sia quella originale: «es ergäbe sich damit ein rhythmisch schöner Parallelismus» (C. WESTERMANN, Genesis, 710). Rimane il fatto che questa formulazione non appare in nessun manoscritto ebraico. Seguiamo perciò il criterio della lectio brevior che risulta, al tempo stesso, lectio difficilior.

4 ~dQm: Soggin scrive al riguardo: «il testo masoretico, appoggiato dai LXX e dalla Vg., ha letteralmente “da oriente”, il che è la traduzione grammaticalmente e lessicograficamente corretta e corrente; ma di dove venivano allora? Forse dall’altopiano iranico? Sembra più verosimile che abbiamo qui una di quelle istanze nelle quali la preposizione vuol dire “verso”, come in 2,8» (A. SOGGIN, Genesi 1-11, 174). È una soluzione che non convince molto, proprio per il fatto «daß das !miin allen alten Übersetzungen als “von” verstanden wird» (C. WESTERMANN, Genesis, 710). Riprenderemo la questione nel secondo capitolo di questo lavoro.

5 Molte traduzioni mettono fama per ~v; preferisco tradurre con nome, che come ~veinclude il significato di fama ed allo stesso tempo rimane aperto ad altri significati. Cf. anche il commento al v. 4 nel secondo capitolo.

6 Abbildung in dieser Leseprobe nicht enthalten] ha qui il senso di affinch é, «so daß» (C. WESTERMANN, Genesis, 711).

7 Inizio la mia ricerca con la prospettiva diacronica non già per il fatto che la consideri più importante di quella sincronica. Le due prospettive sono complementari e vanno integrate. Ho scelto questo ordine per seguire la ricerca biblica che ha fatto lo stesso percorso, nel senso che è partita dalle incongruenze dei testi ed ha cercato di spiegarle con il loro svilupparsi lungo il tempo, con il rischio tuttavia di trovarsi alla fine di fronte a tanti frammenti privi di coesione; solo in un secondo momento gli studiosi hanno cominciato a integrare i risultati con le scoperte degli approcci sincronici che - oltre ad avere il vantaggio di essere più facilmente verificabili - spesso fanno emergere la fondamentale unità e coerenza dei testi.

8 «Comme l’a montré G. von Rad, cette histoire [i.e. la storia primordiale] trouve son aboutissement dans la vocation d’Abraham (Gen 12/1-3), texte qui représente dans l’±uvre du Yahwiste une des “charnières” principales» (A. DE PURY, «La tour de Babel et la vocation d'Abraham», 81).

9 Da qui in avanti userò il nome Babele in italico per riferirmi al racconto intero di Gen 11,1-9. In tondo il nome si riferisce alla città nella narrazione.

10 «In questo senso il nostro racconto costituisce qualcosa come la chiave di lettura della narrazione delle origini, in quanto in esso nasce la necessità di eleggere un popolo particolare» (A. SOGGIN, Genesi 1-11, 176).

11 Cf. C. WESTERMANN, Genesis, 725.

12 Gunkel giunge a questo risultato individuando una serie di doppioni oltre a quello della doppia discesa di YHWH: «Auf doppelten Faden führt ferner der doppelte Zweck des Bauwerkes: 1) es soll den Menschen einen Namen, d. h. Ruhm verschaffen; 2) es soll ihnen helfen, daß sie sich nicht zerstreuen; das sind verschiedene, nicht zu vereinigende Motive. Auch die beiden Angaben von 8: 1) “Jahve zerstreute sie über die ganze Erde”, 2) “sie hörten auf, die Stadt zu bauen”, bilden keinen guten Zusammenhang [...] Alle diese Beobachtungen sind also doch bei Annahme von Doppelrezensionen am leichtesten zu deuten» (H. GUNKEL, Genesis, 93).

13 Per l’elenco degli autori e gli argomenti, cf. C. WESTERMANN, Genesis, 714.

14 Cf. C. WESTERMANN, Genesis, 714.

15 È importante notare che non è stato trovato nessun testo interamente parallelo a quello di Babele. Invece sono stati scoperti molti elementi paralleli che in Gen 11,1-9 vengono uniti. La grande maggioranza dei testi paralleli a quelli della storia primordiale biblica è di origine mesopotamico-babilonese (cf. R.J. CLIFFORD - R.E. MURPHY, «Genesi», 9). Molti autori sostengono che il nostro testo è in polemica contro Babilonia e la sua fede. Sherwin conclude: «It is now clear why there is no parallel to the tower story in Babylonian literature. Because the tower story argues against Babylonian culture and religion and mocks it» (B. SHERWIN, «The Tower of Babel», 106).

16 Per l'ampia diffusione di questi elementi nella letteratura antica, cf. C. WESTERMANN, Genesis, 715-718.

17 Cf. C. WESTERMANN, Genesis, 716.

18 «Es gab also bei vielen Völkern eine Turmbau-Erzählung, deren Ziel der Einsturz des Turmes war, manchmal verbunden mit der Vernichtung derer, die den Bau unternommen hatten. Die Befunde ergänzen sich darin, daß damit von beiden Seiten her die Selbständigkeit einerseits der Turmbauerzählung, andererseits der Zerstreuung und der Sprachverwirrung (die häufig mit der Fluterzählung verbunden sind) nachgewiesen ist. Für die noch selbständige Turmerzählung ergibt sich damit, daß sie noch keinen ätiologischen Charakter hatte» (C. WESTERMANN, Genesis, 716-717).

19 Cf. C. WESTERMANN, Genesis, 718.

20 C. WESTERMANN, Genesis, 734-735. Per l’argomento sulla doppia discesa, cf. C. WESTERMANN, Genesis, 719.

21 C. WESTERMANN, Genesis, 725.

22 ANET 60-72.

23 G.J. WENHAM, Genesis 1-15, 239.

24 Cf. R.E. BROWN - R. NORTH, «Geografia biblica», 1549-1550.

25 E.A. SPEISER, Genesis, 75-76.

26 Cf. G.J. WENHAM, Genesis 1-15, 237.

27 C. WESTERMANN, Genesis, 726 (per la citazione interna in inglese, vedi E.A. SPEISER, Genesis, 76).

28 Il termine ziqqurat designa le torri dei templi mesopotamici. Essi in genere consistevano in enormi gradinate a forma piramidale.

29 «The tower of Babylon was called Etemenanki, “house of the foundation of heaven and earth,” and was attached to Esagil, “house of the raising head,” the temple of Marduk. Only the foundation plan of the ziggurat was discovered by the modern explorers; it was a square about 230 ft on a side. Some scholars think that the altitude equaled the side of the base» (J.L. MCKENZIE, «Babel, Tower of», DB, 73).

30 Cf. H. GUNKEL, Die Urgeschichte und die Patriarchen, 97.

31 «the tower is obviously a Babylonian ziggurat —a Babylonian temple—a link between the divine and human realms» (B. SHERWIN, «The Tower of Babel», 104).

32 «Es [i.e. ldgm] bezeichnet meist die Befestigung einer Stadt und wird oft mit den Mauern zusammen genannt [...], es kann auch auf die ganze Befestigungsanlage übertragen werden (Ri 8 9 9 46 f.). Das Wort kann aber auch ein Holzgerüst (Wachturm) im Weinberg bezeichnen (Jes 5 2). Bei allem Gebrauch ist bestimmend der Grundbegriff des Großen, Hohen [...]. Von daher ist es die geeignete Bezeichnung für die gewaltigen babylonischen Tempeltürme» (C. WESTERMANN, Genesis, 728).

33 C. WESTERMANN, Genesis, 720.

34 Cf. C. WESTERMANN, Genesis, 720-721.

35 «Es ist der in ldgm enthaltene Begriff der “Größe”, um den es in der Erzählung vom Turmbau geht, der in den Worten “bis zum Himmel” gemeint ist. [...] Und es ist nun höchst bezeichnend, daß in der atlichen Darstellung des Urgeschehens allein hier von allen Texten in Gn 1-11 die Stadt Babel in der Ebene Sinear Schauplatz des Geschehens ist. J hat gesehen, daß in den gewaltigen Bauwerken des Tales der großen Ströme das, was er in dieser Erzählung von menschlicher Größe sagen will, zu einem einzigartigen Ausdruck kommt» (C. WESTERMANN, Genesis, 728-729).

36 Cf. G. VON RAD, Das erste Buch des Mose, 125-126.

37 Cf. E.A. SPEISER, Genesis, 75.

38 «When the present story could have been composed is uncertain. The temple tower called Etemenanki which was associated with the Esagil, was built in the neo-Babylonian period by Nebuchadnezzar. It is therefore usually surmised that Genesis is referring to an earlier structure, perhaps erected in the old Babylonian period, which fell into ruin under the Cassites» (G.J. WENHAM, Genesis 1-15, 237- 238).

39 Cf. C. WESTERMANN, Genesis, 719.

40 Cf. H. GUNKEL, Genesis, 99.

41 Cf. G. VON RAD, Das erste Buch des Mose, 125.

42 Cf. C. WESTERMANN, Genesis, 721.

43 Cf. C. WESTERMANN, Genesis 1-11, 122.

44 «da poco più di un decennio a questa parte [Soggin scrive nel 1991] tutta l’ipotesi documentaria si trova nuovamente sotto attacco. Si tratta del lavoro effettuato da Rendtorff e dai suoi discepoli a Heidelberg. [...] Lo studio delle tradizioni e dei generi letterari, inaugurato da Gunkel e continuato dai suoi discepoli Alt, Noth e von Rad (i quali tutti consideravano però l’ipotesi documentaria pienamente compatibile con le tesi del maestro), viene dal Rendtorff e dai suoi discepoli, considerato invece incompatibile con l’ipotesi documentaria. Ma sulle tradizioni delle origini [i.e. Gen 1-11] nessuno della scuola di Heidelberg ha ancora scritto qualcosa, per cui non è possibile, per ora, esaminare tali proposte come un’alternativa all’ipotesi documentaria» (A. SOGGIN, Genesi 1-11, 14-15).

45 «There is a general agreement that the narrative is part of the Yahwist (J) source» (F.A. SPINA, «Babel», 561). Cf. ad esempio C. WESTERMANN, Genesis, 718-719; A. SOGGIN, Genesi 1-11, 176; B.S. CHILDS, Teologia biblica, 141.

46 Cf. J. BLENKINSOPP, Il Pentateuco, 20-29.

47 «Già nel 1939 Julius Morgenstern, colpito dalla prospettiva universalistica del materiale J in Gen 1-11, propose una data post-esilica, anche se non si preoccupò di fondare la sua tesi con argomenti dettagliati [...]. In uno studio di Gen 2-3 pubblicato nel 1962, il biblista spagnolo Luis Alonso Schökel prestò attenzione all’utilizzazione del linguaggio mitico e sapienziale, che trova paralleli nei libri più recenti dell’Antico Testamento. Considerata poi l’assenza totale di allusioni alla storia del giardino dell’Eden nei testi preesilici, queste caratteristiche portarono Luis Alonso Schökel a concludere che sarebbe più appropriata una data più tardiva e post-profetica» (J. BLENKINSOPP, Il Pentateuco, 34). La tendenza ad abbassare la datazione di J continua poi in altri autori come Frederick V. Winnett, John Van Seters, Hans Heinrich Schmid (cf. J. BLENKINSOPP, Il Pentateuco, 35-38).

48 A. SOGGIN, Genesi 1-11, 177. Altrove, parlando dei paralleli extrabiblici di Gen 1-11, egli scrive: «Da questi paralleli, così come cominciavano a profilarsi dalle prime pubblicazioni, un elemento appariva senz’ombra di dubbio: che i racconti biblici delle origini sono, “mutatis mutandis”, parte integrante del pensiero e della letteratura dell’antico Vicino Oriente, soltanto che originano in un ambiente ormai monoteista qual era quello israelitico a cavallo dell’esilio e dopo» (A. SOGGIN, Genesi 1-11, 15).

49 «The text is a prelude to Abraham’s story. Abraham was born in Babylonia. According to rabbinic legend, even his father, Terah, worshiped Babylonian gods, but Abraham rejected these gods. For this he will be persecuted by the same king who, according to rabbinic legend, built the tower—Nimrod. But now Nimrod is not the rebel; Abraham is the rebel. Abraham introduces the new faith to supplant the Babylonian faith. And, the tower story leads up to this by mocking the Babylonian religion as balal —being confused, rather than in being bab-el, a link to God» (B. SHERWIN, «The Tower of Babel», 106).

50 «Both conventional mud bricks and baked (fired) bricks were used in monumental structures, as in the ancient ziggurat. [...] Akkadian ODELQX, meaning “brickworker,” is cognate with Hebrew ODEDQ, “to brick”. As we have seen, this aspect of the tower’s construction was a persistent source of wordplay for the author of 11:1-9» (A.M. KENNETH, Genesis 1-11,26, 481).

51 Cf. nota 49 a pag. 15.

52 Cf. nota 48 a pag. 15.

53 Cf. nota 7 a pag. 7.

54 Cf. C. WESTERMANN, Genesis 1-11, 121-122.

55 Cf. C. WESTERMANN, Genesis, 714-715.

56 G.J. WENHAM, Genesis 1-15, 234.

57 «Furthermore, the narrative builds towards the explanation of the name of Babylon, Babel. As elsewhere in Genesis (cf. Adam, Noah, Eve), a proper name is pre-echoed in the story long before the word itself is heard. As soon as the men of Babylon start speaking they use words that contain the consonants b and l, or p and m, phonetically close to b, e.g., QLOEHQDK OHEHQ{P “let us make bricks,” QLEQHK OODQX> “let us build for ourselves,” and QDEHODK “let us mix up.”» (G.J. WENHAM, Genesis 1-15, 234).

58 Cf. G.J. WENHAM, Genesis 1-15, 234-235.

59 Cf. G.J. WENHAM, Genesis 1-15, 234-235. Pure Fokkelmann aveva fatto notare questo gioco (Cf. J.P. FOKKELMAN, Narrative art in genesis, 15).

60 Cf. C. WESTERMANN, Genesis, 711; cf. anche C. WESTERMANN, Genesis 1-11, 121).

61 Cf. C. WESTERMANN, Genesis, 719.

62 Cf. ad esempio A.M. KENNETH, Genesis 1-11,26, 468.

63 Alcuni vi hanno visto persino la sovrapposizione di una struttura parallela con quella concentrica: «On peut pourtant se demander si cette symétrie concentrique n’est pas en quelque sorte doublée par une symétrie parallèle [...]» (P. AUFFRET, La sagesse a b â ti sa maison, 74). Anche Wenham individua due strutture sovrapposte, una parallela (A,B,C ... - A’, B’, C’ ...) e l’altra concentrica (A, B, C ... - ... C’, B’, A’). Dopo aver diviso la trama (vv. 2-8) in 5 scene (v. 1; v. 2; vv. 3-4; v. 5; vv. 6-7; v. 8), Wenham prosegue: «As already noted, verbal inclusions link the introduction (v 1) and the conclusion (v 9). A similar use of key words enhances the scenic parallelism. The whole narrative can be viewed as cast in parallel panels. [...] But it is possible also to see the narrative as a palistrophe, or extended chiasmus. [...] This simultaneous use of parallel panels and palistrophe is remarkable and unusual. Another good example is Gen 17 [...]» (G.J. WENHAM, Genesis 1-15, 235-236).

64 E. VAN WOLDE, Words become Worlds, 86. Van Wolde fa seguire dei grafici che permettono una visione d’insieme di questi sviluppi alternati.

65 E. VAN WOLDE, Words become Worlds, 89. Tra l’altro, van Wolde mostra la persuasione che la composizione concentrica del brano rifletta l’architettura delle ziqqurat: «It is striking that none of these ‘concentrical oriented’ exegetes noticed the parallelism between the concentric structure of the text and the ziqqurat -tower in Babylonia. Such a tower is constructed by means of turning over the concentric figure [...]» (E. VAN WOLDE, Words become Worlds, 87).

66 P. AUFFRET, La sagesse a b â ti sa maison, 74.

67 Ecco alcune delle notevoli differenze a cui giungono gli autori che si limitano a questa ricerca stilistica: «The ordering of the stylistic data seems in fact to be largely dependent on the exegete, as is clear from the fact that Fokkelman regards vv. 3 and 4 as an (antithetical) parallel to v. 7, Kikawada and Wenham see vv. 2 and 3 as parallel to v. 7, and Auffret sees v. 2 as parallel to v. 8. The number of episodes that they discern in the concentric sturture [sic!] of Gen 11:1-9, too, is based on subject-linked choices as well as the grouping of the elements in the episodes. Thus Kikawada distinguishes five episodes, Fokkelman and Wenham thirteen, Auffret twelve, while I myself in the tower diagram above assume nine groups» (E. VAN WOLDE, Words become Worlds, 90).

68 E. VAN WOLDE, Words become Worlds, 90-91.

69 «It is striking that the authors who arrive at divergent structures in their style analysis on the basis of assonantal and verbal patterns, all reach the same conclusions with regard to the content» (E. VAN WOLDE, Words become Worlds, 91).

70 Spiego brevemente la terminologia che uso: 1) applico come equivalenti i termini composizione e struttura, i quali in genere riguardano il testo intero, ma che, in alcuni casi, possono riferirsi anche ad una proposizione o versetto. 2) Analisi strutturale è il termine che comprende analisi narrativa, sintattica, semantica e stilistica. 3) Per analisi narrativa intendo l’individuazione e la distinzione delle varie parti di un testo secondo i seguenti punti di vista: poesia, prosa, descrizione di una situazione, discorsi diretti, ecc. In questo modo, l’ analisi narrativa risponde a domande del tipo: vi sono generi letterari differenti nel testo? chi parla? di che tipo di discorso si tratta (narrazione, discorso diretto, dialogo, ecc.)? Van Wolde non distingue analisi narrativa ed analisi sintattica, anzi la sua analisi sintattica corrisponde alla mia analisi narrativa; egli in realtà non fa analisi sintattica. 4) L ’ analisi sintattica riguarda le proposizioni (paratassi, ipotassi, ecc.). 5) L ’ analisi semantica si propone, a partire dai significati lessicali e dal contesto, di cogliere il significato sia dei singoli vocaboli come del testo nel suo insieme.

71 Cf. E. VAN WOLDE, Words become Worlds, 88-89. A mio parere, l’analisi narrativo-sintattica dovrebbe precedere quella stilistica; la prima infatti prende inizio da insiemi più consistenti, mentre la seconda parte direttamente dai vocaboli. L’analisi semantica andrebbe bene nel passaggio tra l’una e l’altra.

72 Cf. E. VAN WOLDE, Words become Worlds, 100-104; in particolare: «In Christian exegesis the supposition is that the people are punished for the sin of building the tower by their dispersion over the whole earth. But in Gen 11:1-9 the dispersion is not presented as a punishment» (E. VAN WOLDE, Words become Worlds, 102).

73 E. VAN WOLDE, Words become Worlds, 96.

74 Anche nella decisione di YHWH abbiamo il plurale, per cui possiamo parlare di dialogo: «”Wir” sagt Jahve: er redet in seinem “Rat”, zu seinem Gefolge wie 1,26; 3,22: ein sehr alter Zug, der im letzten Grunde auf Vielgötterei hinweist» (H. GUNKEL, Die Urgeschichte und die Patriarchen, 96).

75 Non fa più problema il fatto che questi vocaboli ricorrano anche altrove nel racconto. Il criterio per questa selezione, infatti, non è stato quello stilistico ma quello narrativo. Ora vediamo che lo stile conferma il risultato dell’analisi narrativa, non nel senso che i vocaboli in questione si trovino esclusivamente nelle sezioni che si corrispondono, ma perché tra le singole parti corrispettive si instaura una antitesi che riflette e ripete nei dettagli la composizione ed il contenuto/tema dell’intera narrazione.

76 Per uno sguardo d’insieme, cf. il grafico a pag. 24.

77 Vedremo qualcosa in più nel secondo capitolo.

Fin de l'extrait de 108 pages

Résumé des informations

Titre
Il racconto della torre come chiave ermeneutica del fenomeno migratorio
Sous-titre
Esegesi e lettura simbolica di Gen 11,1-9
Université
Pontifical Gregorian University
Note
10/10
Auteur
Année
1999
Pages
108
N° de catalogue
V299719
ISBN (ebook)
9783656962328
ISBN (Livre)
9783656962335
Taille d'un fichier
811 KB
Langue
italien
Mots clés
esegesi, teologia biblica, Babele, migrazioni, mobilità umana, Gen 11, torre di Babele, unità nella diversità, Pentecoste, Gerusalemme del cielo, Genesi, Apocalisse
Citation du texte
Tobias Keßler (Auteur), 1999, Il racconto della torre come chiave ermeneutica del fenomeno migratorio, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/299719

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