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Indice
Introduzione
Parte prima: L’insegnamento/apprendimento delle lingue straniere
1. Il multilinguismo in Europa
2. Il QCER/CEFR
3. Le funzioni del linguaggio
4. Le strutture linguistiche
5. L’insegnamento/apprendimento delle lingue straniere
6. L’approccio “naturale”
7. Input e intake
8. Il ruolo delle letture e degli esercizi grammaticali
9. Lingua e cultura
Parte seconda: Letture ed esercizi per l’apprendimento della lingua tedesca (livelli A1- A2)
1. Einheit Eins
2. Einheit Zwei
3. Einheit Drei
4. Einheit Vier
5. Einheit Fünf
6. Einheit Sechs
Parte terza: Testi di storia della letteratura e Lieder
Johann Wolfgang von Goethe
Mignon
Rastlose Liebe
Freudvoll und leidvoll
Weiß wie Lilien, reine Kerzen
Ziehn die Schafe von der Wiese
Wilhelm Müller
Aus Winterreise
Gefror'ne Tränen
Der Lindenbaum
Auf dem Fluße
Frühlingstraum
Letzte Hoffnung
Mut
Aus der Schönen Müllerin
Das Wandern
Wohin?
Der Neugierige
Mein!
Die liebe Farbe
Trockne Blumen
Heinrich Heine
Ihr Bild
Das Fischermädchen
Auf Flügeln des Gesanges
Die Minnesänger
Die Lotosblume
Ludwig Rellstab
Liebesbotschaft
Ständchen
Bibliografia
Sitografia
Introduzione
Il fenomeno della globalizzazione interessa tutti gli ambiti di attività: ogni settore produttivo è chiamato a confrontarsi con le sfide del mercato globale, in cui vengono offerti prodotti e servizi da parte di attori economici provenienti da ogni parte del mondo.
Questo trend si manifesta anche nel settore della musica accademica: i musicisti avvertono fortemente la necessità di disporre di competenze linguistiche idonee a renderli capaci non soltanto di svolgere al meglio la propria professione, ma anche di interagire efficacemente con partner di studio, lavoro, ricerca attivi in diversi paesi.
L’inglese ha indubbiamente una decisa prevalenza come lingua di contatto; tuttavia il tedesco riveste un’importanza fondamentale per i musicisti che incentrano la loro attività professionale nei settori dell’opera e dell’operetta tedesca, del Singspiel, della liederistica, e della musicologia.
Inoltre, spesso i musicisti desiderano ampliare e approfondire la loro formazione compiendo studi specialistici nelle Hochschulen, nei conservatori e nelle università musicali della Germania, dell’Austria e della Svizzera, e per poterne seguire le lezioni, e spesso perfino per poter essere ammessi a frequentare i corsi, è loro necessario dimostrare di possedere almeno una competenza di base del tedesco.
Nei Conservatori italiani sono stati perciò attivati corsi di fonetica, lingua e letteratura tedesca, che, secondo la normativa attualmente vigente, sono obbligatori per tutti i percorsi di studi accademici.
Il presente lavoro, che nasce appunto dal desiderio di condividere riflessioni e materiali utili per l’insegnamento del tedesco a musicisti in formazione, è strutturato in tre parti. La prima è incentrata sulle tematiche più generali concernenti l’insegnamento di una lingua straniera; la seconda propone materiali di lettura ed esercitazione attinenti al vissuto degli studenti che proseguono la loro formazione in paesi di lingua tedesca, ed è quindi particolarmente utile per la sua immediata fruibilità. Nella terza parte sono raccolte brevi biografie di poeti tedeschi, e alcuni loro testi poetici musicati da noti compositori dell’area austro-tedesca: i musicisti che si avvicinano per la prima volta allo studio della lingua tedesca possono così confrontarsi con testi che coniugano una difficoltà linguistica limitata, con un’elevata qualità artistica.
Rossella Marisi
Parte prima L’insegnamento/apprendimento delle lingue straniere
1. Il multilinguismo in Europa
Per l’Unione Europea la diffusione del multilinguismo è insieme un importante traguardo politico e una pressante necessità economica e culturale. Infatti i circa cinquecento milioni di abitanti dell’Unione Europea riconoscono di condividere ideali comuni, nonostante abbiano background storici, sociali e culturali diversi[1].
Proprio per poter comunicare, scambiandosi idee e costruendo progetti comuni, è necessario che essi dispongano di competenze linguistiche in lingue ulteriori rispetto alla loro lingua madre, con le quali poter efficacemente interagire tra loro. A sua volta, la capacità di esprimersi e comunicare anche con persone di diversa lingua madre può promuovere il senso di coesione e il comune sentirsi cittadini europei.
Certo di non minor importanza sono le motivazioni di tipo politico-culturale. Molti stati dell’Unione Europea hanno, accanto ad una specifica lingua ufficiale, anche altre lingue minoritarie, parlate da migliaia di abitanti, spesso concentrati in determinate regioni. Vi sono ad esempio minoranze linguistiche di lingua tedesca in Italia, Francia, Belgio, Repubblica Ceca, Ungheria. Anche in questi casi, la promozione di competenze linguistiche (e, più in generale, comunicative) ulteriori, risponde a motivazioni sociopolitiche fondamentali, quali il rendere più agevole la comprensione dei reciproci punti di vista sul passato, e ancor più sul comune presente e sul futuro[2].
Infine, vi sono importanti motivazioni di tipo economico e professionale: il commercio all’interno degli stati dell’Unione Europea si sviluppa continuamente in termini di numero di scambi e volume d’affari, e le occasioni di formazione e le opportunità professionali richiedono spesso una mobilità da attuare anche oltre i confini nazionali.
Anche dal punto di vista del singolo, le competenze linguistiche ulteriori possono rappresentare dunque un passaporto verso la mobilità, e dunque essere a fondamento della capacità di accedere a posizioni professionali considerate interessanti, all’interno di un contesto culturalmente ed economicamente sempre più integrato.
2. Il QCER/CEFR
In considerazione della situazione e dei suoi possibili sviluppi, fin dagli anni ’70 il Consiglio d’Europa ha avviato uno studio teso alla formulazione di linee guida per l’insegnamento/apprendimento delle lingue straniere in Europa.
Si è giunti così al progetto Language Learning for the European Citizenship, a cui si è lavorato in particolare tra il 1989 e il 1996: all’interno di questo progetto q stato formulato il Quadro Comune di Riferimento Europeo, noto con le sigle QCER e CEFR (Common European Framework of Reference for Languages). Esso impone che sul territorio dell’Unione Europea i livelli di riferimento dell’insegnamento/apprendimento linguistico attuato negli stati europei vengano definiti in maniera omogenea, descrivendo con indicatori prestabiliti i risultati attesi/conseguiti da chi studia le lingue straniere.
Nel novembre 2001 il Consiglio d’Europa ha raccomandato l’adozione del QCER[3] per la validazione delle abilità linguistiche degli studenti. In conseguenza di ciò i diversi livelli di riferimento individuati dal QCER si sono diffusi e sono oggi ampiamente utilizzati per valutare il livello di competenze linguistiche individuali.
Infatti gran parte delle strutture formative europee che offrono corsi di lingue straniere utilizza tali parametri sia nella definizione dei corsi proposti sia, ovviamente, nelle certificazioni rilasciate al termine dei corsi stessi.
E’ interessante osservare che il QCER gode di un diffuso apprezzamento anche al di fuori dell’Europa, come evidenzia il fatto che alcuni enti certificatori di paesi extraeuropei hanno avviato progetti di armonizzazione dei propri livelli linguistici con quelli definiti dal QCER[4].
Il QCER prevede tre fasce di competenza (elementare, intermedio e avanzato), ognuna delle quali è ripartita in due distinti livelli: si hanno così i livelli denominati A1, A2, B1, B2, C1 e C2, ognuno dei quali descrive i comportamenti attesi negli ambiti della comprensione e produzione orale e della comprensione e produzione di elaborati scritti.
Riportiamo qui di seguito gli indicatori dei diversi livelli:
A1: Riesce a comprendere e utilizzare espressioni familiari di uso quotidiano e formule molto comuni per soddisfare bisogni di tipo concreto. Sa presentare se stesso/a e altri ed è in grado di porre domande su dati personali e rispondere a domande analoghe (il luogo dove abita, le persone che conosce, le cose che possiede). È in grado di interagire in modo semplice purché l’interlocutore parli lentamente e chiaramente e sia disposto a collaborare
A2: Riesce a comprendere frasi isolate ed espressioni di uso frequente relative ad ambiti di immediata rilevanza (ad es. informazioni di base sulla persona e sulla famiglia, acquisti, geografia locale, lavoro). Riesce a comunicare in attività semplici e di routine che richiedono solo uno scambio di informazioni semplice e diretto su argomenti familiari e abituali. Riesce a descrivere in termini semplici aspetti del proprio vissuto e del proprio ambiente ed elementi che si riferiscono a bisogni immediati.
B1: È in grado di comprendere i punti essenziali di messaggi chiari in lingua standard su argomenti familiari che affronta normalmente al lavoro, a scuola, nel tempo libero, ecc. Se la cava in molte situazioni che si possono presentare viaggiando in una regione dove si parla la lingua in questione. Sa produrre testi semplici e coerenti su argomenti che gli siano familiari o siano di suo interesse. È in grado di descrivere esperienze e avvenimenti, sogni, speranze, ambizioni, di esporre brevemente ragioni e dare spiegazioni su opinioni e progetti.
B2: È in grado di comprendere le idee fondamentali di testi complessi su argomenti sia concreti sia astratti, comprese le discussioni tecniche nel proprio settore di specializzazione. È in grado di interagire con relativa scioltezza e spontaneità, tanto che l’interazione con un parlante nativo si sviluppa senza eccessiva fatica e tensione. Sa produrre testi chiari e articolati su un’ampia gamma di argomenti e esprimere un’opinione su un argomento d’attualità, esponendo i pro e i contro delle diverse opzioni.
C1: È in grado di comprendere un’ampia gamma di testi complessi e piuttosto lunghi e ne sa ricavare anche il significato implicito. Si esprime in modo scorrevole e spontaneo, senza un eccessivo sforzo per cercare le parole. Usa la lingua in modo flessibile ed efficace per scopi sociali, accademici e professionali. Sa produrre testi chiari, ben strutturati e articolati su argomenti complessi, mostrando di saper controllare le strutture discorsive, i connettivi e i meccanismi di coesione.
C2: È in grado di comprendere senza sforzo praticamente tutto ciò che ascolta o legge. Sa riassumere informazioni tratte da diverse fonti, orali e scritte, ristrutturando in un testo coerente le argomentazioni e le parti informative. Si esprime spontaneamente, in modo molto scorrevole e preciso e rende distintamente sottili sfumature di significato anche in situazioni piuttosto complesse.
3. Le funzioni del linguaggio
Da quanto è stato esposto precedentemente, si evidenzia che la lingua viene usata con scopi pragmatici di azione sociale, ossia viene utilizzata per espletare delle funzioni espressive e comunicative, importanti per l’individuo che emette il messaggio e per coloro ai quali il messaggio è indirizzato e che lo ascoltano.
Diversi studiosi hanno proposto vari modelli funzionali: tra essi ricordiamo Jakobson[5] e Halliday[6]. Unendo in un solo schema le più significative proposte di questi esperti possiamo evidenziare funzioni incentrate principalmente sull’emittente, funzioni incentrate principalmente sul destinatario , e funzioni incentrate principalmente su altri elementi della comunicazione.
È incentrata principalmente sull’emittente la funzione denominata espressiva o emotiva: si attua quando il soggetto esprime la propria soggettività presentando se stesso, dicendo la sua età e provenienza, indicando la sua professione o l’ambito dei suoi studi, parlando del suo stato fisico e ed emotivo, e manifestando i suoi pensieri.
Sono incentrate principalmente sul destinatario le funzioni interazionale e conativa: la funzione interazionale si attua quando il soggetto saluta e si congeda, si scusa e ringrazia, offre qualcosa, accetta o rifiuta qualcosa che gli viene offerto, e così via. La funzione conativa si attua quando il soggetto usa la lingua per agire sugli altri, regolando il loro comportamento. Possono essere compresi in tale funzione gli atti linguistici del soggetto che fa o sollecita richieste, dà o richiede ordini, consigli, suggerimenti, istruzioni, che si adopera affinché venga fatto o non fatto qualcosa.
Sono incentrate principalmente su altri elementi della comunicazione la funzione referenziale, la funzione poetica, la funzione fatica, e la funzione metalinguistica.
La funzione referenziale è incentrata sul contesto, e si attua quando l’emittente descrive o richiede al suo interlocutore di descrivere oggetti, situazioni, azioni, persone, quando fornisce o richiede informazioni o spiegazioni, e così via.
La funzione poetica è incentrata sul messaggio stesso, e si attua quando l’emittente compone con particolare attenzione il messaggio al fine di creare effetti musicali, semantici, associativi, ecc.
La funzione fatica è incentrata sul canale, e si attua quando l’emittente esprime in un messaggio l’impegno a stabilire o mantenere il contatto, richiamando a tal fine l’attenzione del destinatario.
La funzione metalinguistica è incentrata sul codice, e si attua quando l’emittente usa la lingua per spiegarne i meccanismi, o, ancor più semplicemente, per risolvere problemi comunicativi. Possono essere compresi in tale funzione gli atti linguistici del soggetto che descrive con una perifrasi un oggetto, un’azione o una persona di cui lui stesso e/o il suo interlocutore non conoscono il nome, che chiede o spiega quale sia in una certa lingua l’equivalente di un termine appartenente ad un’altra lingua, che chiede o fornisce spiegazioni su particolarità grammaticali o sintattiche di una determinata lingua, e così via.
La funzione conativa, infine, esprime in messaggio la tendenza ad avere degli effetti extralinguistici sull'emittente, effetti cioè che non si limitano alla pura comprensione linguistica; sono ad esempio messaggi conativi gli ordini, i consigli, le preghiere e le suppliche.
4. Le strutture linguistiche
E’ evidente, dunque, che l’insegnamento/apprendimento di una lingua deve tenere conto dei bisogni comunicativi del soggetto che apprende, bisogni che, nel caso di una lingua viva, non saranno mai incentrati sulla lingua come oggetto teorico di uno studio astratto. Saranno invece diretti a far acquisire al soggetto apprendente le abilità linguistiche funzionali all’interazione, ad esempio quelle necessarie per attuare lo scambio di informazioni e la negoziazione di significati.
E’ vero infatti che un’acquisizione delle strutture fondamentali è indispensabile per la produzione di enunciati anche elementari[7] ; tuttavia occorre mettere in rilievo il fatto che già nella semplice comprensione di un messaggio, il ricevente acquisisce implicitamente nozioni relative alla struttura del messaggio stesso, nozioni che gli consentono di produrre enunciati simili operando per analogia in maniera per così dire “inconsapevole”.
Tale acquisizione si realizza nel processo di acquisizione della lingua materna, che il soggetto apprende in larga misura attraverso l’uso, perché è stato esposto a grandi quantità di messaggi fin dalla sua nascita, e continua ad esservi esposto per tutta la vita, o almeno per lunghi periodi di essa.
Indubbiamente, il processo di scolarizzazione prevede che l’acquisizione della stessa lingua materna venga supportata da una riflessione e uno studio sistematico, che hanno appunto il fine di aiutare il soggetto a sistematizzare ciò che ha in gran parte già appreso e utilizza in maniera irriflessa.
Dunque la stessa lingua materna viene “studiata”; analogamente, fin nei tempi più antichi molti studiavano sistematicamente altre lingue oltre la propria lingua materna. Ciò accadeva già al tempo dell’antica Roma, nella quale già nel secondo secolo a.C. i figli di molte delle famiglie più abbienti studiavano il greco sotto la guida di precettori greci[8].
5. L’insegnamento/apprendimento delle lingue straniere
Lo studio delle lingue ha una lunga storia, e dunque già in tempi assai remoti gli esperti avevano sviluppato diversi approcci per l’insegna- mento/apprendimento delle lingue straniere. Tali approcci, a seconda della tipologia di fruitori e delle finalità che questi si proponevano, privilegiavano l’uso di messaggi scritti, preferibilmente di genere letterario, o viceversa di messaggi orali, in genere vertenti su tematiche legate al quotidiano[9].
Il primo approccio era utilizzato per lo più in ambienti istituzionalmente finalizzati all’insegnamento/apprendimento (scuole e università), puntava in genere alla traduzione, e indicava al discente una serie di paradigmi, regole ed eccezioni da imparare razionalmente.
Il secondo approccio, utilizzato per lo più in ambienti la cui funzione istituzionale non era quella di promuovere l’apprendimento (tali sono ad esempio i contesti lavorativi), puntava invece alla comu- nicazione, inserendo l’interlocutore in situazioni concrete, nelle quali l’ascolto ripetuto di innumerevoli messaggi di contenuto simile creava i presupposti per la produzione di enunciati strutturati analogicamente a quelli ascoltati. Tali enunciati venivano dunque prodotti senza (quasi) passare attraverso la traduzione.
Oggi si ritiene che, soprattutto nel caso di discenti adulti, sia opportuno utilizzare entrambi gli approcci, allo scopo di promuovere il raggiungimento di risultati tangibili in tempi rapidi, con uno sforzo di memorizzazione razionale non eccessivo.
La memoria ha comunque un’importanza fondamentale nel processo di apprendimento, perché consente al discente di recuperare le tracce mnestiche di ciò che ha ripetutamente ascoltato e/o letto, utilizzandole come modello di messaggi prodotti autonomamente secondo il principio dell’analogia[10].
In tal modo i discenti possono re-impiegare parole e strutture morfo-sintattiche utilizzandole anche in altri contesti situazionali: ciò avviene quando i discenti stessi assimilano un bagaglio linguistico di base nella nuova lingua, e lo trasferiscono gradualmente nella propria struttura linguistica profonda. Attingendo a quest’ultima, i discenti potranno produrre sequenze frasali all’inizio analoghe ad altre già ascoltate o lette, e poi via via più personali, a mano a mano che il numero degli elementi da combinare e le capacità dei discenti di combinarli si ampliano e si approfondiscono.
6. L’approccio “naturale”
A fondamento dell’approccio “naturale” sta la convinzione che la lingua straniera si apprenda esattamente come la lingua materna, e dunque attraverso un’esposizione intensa e prolungata, che metta temporaneamente in secondo piano la formalizzazione esplicita delle varie regole grammaticali e morfo-sintattiche[11].
A questo scopo è necessario far sì che il discente si confronti con una vasta tipologia di situazioni, che presentino un’ampia serie di materiali lessicali e strutturali. In questo modo, fin dal momento della “semplice” esposizione ad essi, egli gradualmente ne apprende usi e particolarità, e questi elementi costituiranno la base a cui egli farà riferimento quando vorrà produrre i suoi propri messaggi, per far fronte ai suoi bisogni comunicativi.
Come nelle situazioni in cui viene appresa la lingua materna vi è prevalenza della lingua orale, ossia il discente è indotto ad un ascolto intenso e prolungato, dal quale egli trae, quasi “inconsapevolmente”, i materiali per produrre a sua volta enunciati orali. Ciò avviene mediante l’esposizione a molte ripetizioni variate di uno stesso stimolo linguistico.
Ovviamente, tra l’una e l’altra proposta vertente sullo stesso stimolo linguistico devono essere introdotte piccole variazioni, al doppio scopo di ampliare il bagaglio linguistico e sostenere la motivazione del discente, senza ingenerare in lui una diminuzione dell’interesse e dunque l’emergere di una sensazione di noia.
7. Input e intake
Lo studioso Stephen Krashen definisce input quanto viene offerto e reso comprensibile al discente, e intake la parte dell’input che in effetti il discente acquisisce al termine dell’unità didattica[12]. Mentre in tempi più antichi si tendeva a far coincidere input e intake, soprattutto operando con principianti, oggi si ritiene che l’input debba essere molto più ampio rispetto all’intake atteso, a somiglianza appunto di quanto avviene nel processo di acquisizione della lingua materna.
Secondo Krashen l’input deve essere non soltanto comprensibile (e dunque adeguato al livello di preparazione del discente), interessante (e dunque sempre in grado di stimolare ulteriore apprendimento), e rilevante (e dunque effettivamente spendibile dal discente), ma anche proposto in quantità sufficiente per fornire al discente stesso il modo di approfondire le sue competenze.
Oggi si ritiene che, al fine di fornire un input consistente al discente che sta apprendendo una lingua, sia necessario fornirgli un bagaglio lessicale adeguatamente esteso: l’importanza di disporre di un numero adeguato di “parole” deriva dal fatto che sono proprio i vocaboli quelli che permettono al soggetto di veicolare concetti e significati, rendendo esprimibile e comunicabile il suo pensiero.
Come già in precedenza si è accennato, oggi, diversamente da come si faceva in passato, si ritiene che molta parte dell’acquisizione delle strutture grammaticali possa (e debba) avvenire in maniera implicita, riservando ad un momento successivo alle prime esposizioni l’evidenziazione di alcune regole sottese alla strutturazione degli enunciati.
In ogni caso, anche nel processo di acquisizione di una lingua straniera occorre seguire percorsi analoghi a quelli seguiti nel processo di acquisizione della lingua materna. Mentre è certo consigliabile esporre il discente a stimoli linguistici inizialmente semplici e brevi, e poi gradualmente più ampi e complessi, non è concretamente attuabile una progressione rigida delle acquisizioni, a pena di fornire al discente situazionistimolo assolutamente avulse dalla realtà ed enunciati lontani dalla lingua viva.
Pertanto sarà cura del docente scegliere materiali che possano essere fruiti a diversi livelli: da un livello iniziale, di individuazione, comprensione sperimentazione delle sole strutture più semplici, ad un livello più elevato, in cui possano venire individuate e poi sperimentate le strutture più complesse e le eccezioni alle regole. Questo processo può essere attuato per mezzo di un metodo di approfondimento “a spirale”, che prevede di tornare successivamente su un’unità didattica già affrontata in precedenza, per mettere a fuoco elementi linguistici più complessi, sui quali prima non ci si era soffermati.
8. Il ruolo delle letture e degli esercizi grammaticali
Krashen sostiene che l’apprendimento della seconda lingua debba avvenire in modo tale da sfruttare l’enorme potenziale di acquisizione “quasi inconsapevole” del cervello umano.
Lo stesso studioso avverte però che questo non vuol dire che lo studio consapevole debba essere bandito o marginalizzato, ma piuttosto che esso debba essere considerato solo uno dei diversi modi per stimolare l’apprendimento[13].
Tanto nell’insegnamento/apprendimento con adolescenti quanto in quello con adulti è opportuno pertanto offrire materiali di lettura che rispondano alle esigenze comunicative degli studenti, e amplino progressivamente il loro vocabolario, gli ambiti sui quali tale vocabolario si sviluppa, e i registri più adeguati alle diverse situazioni.
E’ inoltre importante che alle letture vengano affiancati esercizi di grammatica che guidino gli studenti ad introiettare “quasi inconsapevolmente” le regole incontrate, affidando il ruolo più rilevante all’esempio e un ruolo più circoscritto all’enunciazione delle regole teoriche, come del resto avviene nell’apprendimento della lingua materna.
[...]
[1] José Manuel Vez, Multilingual Education in Europe: Policy Developments, Porta Linguarum, 2009, 12, 7-24.
[2] Kinga Gal, Davyth Hicke e Kata Eplényi, Traditional Minorities, National Communities and Languages, 2011, http://www.poliglotti4.eu/docs/Publis/2255.pdf (accesso 27 maggio 2015).
[3] Council of Europe E.C., Common European Framework of Reference for Languages: Learning, Teaching, Assessment, Cambridge: Cambridge University Press, 2001.
[4] Corrispondenza con il CEF, http://www.cityandguilds.it/cat/22 (accesso 26 maggio 2015).
[5] Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano 1966.
[6] M.A.K. Halliday, Learning How to Mean: explorations in the development of language, London: Edward Arnold, 1975.
[7] Edward Sapir, Language: An Introduction to the Study of Speech, http://www.bartleby.com/186/6.html (accesso 27 maggio 2015).
[8] Rosella Frasca, Educazione e formazione a Roma, Bari: Dedalo, 1996.
[9] Antje Wilton, “Multilingualism and foreign language learning”, in Karlfried Knapp e Gerd Antos (a cura di), Handbooks of Applied Linguistics: Communication Competence, Language and Communication Problems, practical Solutions, vol. 6, Berlin - New York: Mouton de Gruyter, 2009, 67-100.
[10] Tatyana Glezerman e Victoria Balkovski, Language, Thought, and the Brain, New York - Boston - Dordrecht - London - Moscow: Kluwer Academic Publishers, 2002, 95. .
[11] Cemal Karaata, A Pedagogical Comparison of First Language Acquisition and Second Language Learning, Civil Academy Journal of Social Sciences, 2008, 6(3), 1-16.
[12] Stephen D. Krashen , Principles and Practice in Second Language Acquisition, http://www.sdkrashen.com/content/books/principles_and_practice.pd f (accesso 26 maggio 2015).
[13] Krashen, Principles….