Alcune riflessioni sul verbo pronominale riflessivo tedesco nel microlinguaggio dell'economia. Tratti distintivi, uso e considerazioni traduttologiche verso l'italiano


Texte Universitaire, 2018

30 Pages, Note: 1


Extrait


di Giuliana Scotto*

Abstract.

L’articolo analizza l’uso del riflessivo all’interno di un manuale di economia in lingua tedesca edito nel 2015 in sedicesima edizione e adottato in molti corsi universitari germanofoni. Dopo alcune considerazioni generali su come la più autorevole linguistica contemporanea, sia tedesca che italiana, affronta la forma riflessiva, si delinea il campo di indagine: all’interno del corpus prescelto sono considerate tutte le forme verbali collegate al pronome riflessivo. Si passa poi alla disamina dei verbi utilizzati raggruppandoli a seconda della reggenza e delle caratteristiche semantiche. Queste ultime in particolare svelano l’opportunità di rimeditare la diatesi media del greco antico. La forma media infatti si rivela tuttora un’utile categoria per una migliore comprensione del riflessivo, che altrimenti appare piuttosto farraginoso e difficilmente riconducibile a un pensiero coerente. A partire da questi aspetti semantici, sono poi messi in luce alcuni nessi con il passivo e sono proposte alcune possibilità traduttive di forme le quali, a causa delle sottili sfumature rivelate dal riflessivo, sfuggono a criteri unitari e utilizzabili in modo costante.

Parole chiave:

diatesi riflessiva in tedesco, verbo riflessivo nei testi di economia, problemi traduttivi della forma riflessiva dal tedesco vs. italiano

Abstract

The article analyzes the use of reflexive in a German handbook for Economics published in 2015 (16. ed.) and adopted in many university courses. After some general considerations on how the most authoritative contemporary scholars, both German and Italian, consider the reflexive form, the field of investigation is clarified: all the verbal forms connected to the reflexive pronoun are considered. We then move on to the examination of the verbs actually used in the corpus, grouping them according to the regency and the semantic characteristics. The latter in particular reveal the opportunity to refer to the middle voice of the ancient Greek. In fact, the middle voice is still a useful category for a better understanding of the reflexive, which otherwise appears rather cumbersome and unable to be subsumed under a coherent thought. Starting from these semantic aspects, some connections with the passive voice are highlighted and some translation possibilities are proposed which, due to the subtle nuances revealed by the reflective, escape uniform criteria of translation (especially automatic one).

* Giuliana Scotto è docente a contratto di Lingua tedesca presso il Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari, Venezia.

1. Introduzione: problemi aperti dalla nozione di verbo riflessivo

Se a un primo sguardo sembra evidente che cosa debba intendersi quando si parla di verbo riflessivo, avvicinandoci meglio i contorni di questa nozione grammaticale nota a tutti dai tempi di scuola si fanno ben più sfuggenti. Anzi, avventurandoci in questo campo si spalancano problemi teorici di grande portata: ciò, come si vedrà, vale sia per il tedesco sia per l’italiano. Per chiarire meglio l’oggetto di questo breve scritto occorre accennarvi, pur senza pensare di dirimere una volta per tutte tali questioni teoriche né proporre soluzioni definitive.

Un primo problema riguarda la possibilità di configurare la classe dei verbi riflessivi come una autonoma diatesi verbale. Se in generale “la diatesi (o forma o voce) esprime il rapporto del verbo con soggetto e oggetto”[1], secondo alcuni autori il verbo riflessivo sarebbe quello in cui “soggetto e oggetto coincidono («Paolo si lava» = «Paolo lava sé stesso»)”. In questa prospettiva la diatesi riflessiva costituirebbe insomma una tipologia autonoma accanto a quelle attiva e passiva, mentre la forma da cui essa storicamente deriva, cioè la voce media attestata nel greco antico[2], sarebbe ormai perduta nell’italiano; le poche forme riconducibili a quest’ultima costituirebbero soltanto modalità espressive connotate da “una più intensa partecipazione dell’oggetto all’azione”[3]. In quest’ottica, il verbo riflessivo costituisce una classe, o meglio, “il tipo fondamentale di verbo pronominale”[4], cioè si contraddistingue per il fatto di esser collegato a un pronome personale, appunto il pronome riflessivo, grazie al quale si stabilisce quella speciale caratteristica per cui oggetto e soggetto dell’azione coincidono.

Secondo altri, invece e tutto al contrario, il medio costituirebbe una forma tuttora viva nell’italiano e il riflessivo ne costituirebbe una sorta di sottocategoria. Dato che il medio in greco costituiva “un processo verbale che in generale si svolge in stretto rapporto al soggetto, ovvero nella sua sfera di interesse”[5], e dato che il medio raccoglie una serie di forme molto vicine fra loro come “Paolo si lava” (cioè lava sé stesso), ovvero “si lava le mani”, “si lava (le mani) nel proprio interesse”, “si lava (le mani) per sé”, “lava a se stesso le sue stesse mani”, alcuni ritengono che la forma riflessiva non sia che una specificazione dell’antica diatesi media[6] la quale sarebbe una categoria assai ampia connotata da un “esser-affetto-del-soggetto” (“subject-affectedness”)[7]. Queste ricchezza di sottili differenze semantiche in effetti, e come si vedrà, si presta meglio a essere raccolta all’interno del medio, considerato che la categoria del verbo riflessivo, così come è comunemente intesa, finisce col ricomprendere anche fenomeni linguistici che propriamente non possono sciogliersi semanticamente nella descrizione di un soggetto che compie una determinata azione su sé stesso (come nel caso del verbo “lavarsi”), ma ricomprendono anche verbi che, pur costruiti con il pronome riflessivo, sono riflessivi apparenti o intransitivi, quali “mi pento” (che non significa *“io pento me stesso”), o “mi attardo” (che non significa *“io attardo me stesso”).

Ma pochissimi autori si dilungano su questo rapporto fra medio e riflessivo, e mostrano preferibile ricondurre sostanzialmente sotto la nozione di riflessivo praticamente tutte le forme verbali costruite con il pronome riflessivo.

Dunque, per chiarire il terreno scivoloso su cui ci muoviamo, quando parliamo di verbo riflessivo, almeno in italiano, non è chiaro se si tratti di una diatesi autonoma, dal momento che alcune forme riflessive sfuggono alla semantica tipicamente riflessiva, cioè dell’azione che si riflette sul soggetto; oppure se non si tratti soltanto di una sottocategoria della originaria diatesi media, la quale però, da un lato, sarebbe una propaggine derivante dalla millenaria evoluzione storica del greco classico – una lingua ormai morta – e, dall’altro lato, come sottolineato da alcuni, neppure esisterebbe più nell’italiano moderno.

Come in italiano, anche in tedesco naturalmente abbiamo i verbi riflessivi, ma essi vengono considerati come una classe concepita in senso assai ampio[8], cioè come verbi associati a un pronome riflessivo, benché non facenti propriamente parte della classe dei verbi pronominali, comunemente non adottata dagli studiosi di linguistica tedesca[9]. L’autorevole grammatica Duden inoltre neppure approfondisce la questione se i verbi riflessivi formino una diatesi a sé stante, o in quale rapporto stiano con la diatesi media: la Grammatik, infatti, si limita a ricondurre al passivo le forme più problematiche di verbo riflessivo[10], cioè quelle intransitive (cd. rezessive Reflexiva [11] ) o ergative, qualificate come “anticausative”[12]. D’altronde, come si vedrà, il tedesco conosce alcune forme riflessive che effettivamente possono sciogliersi, sotto il profilo semantico, proprio e soltanto grazie al passivo[13]. La stessa indagine storica condotta sulla lingua tedesca antica mette in evidenza una originaria presenza della diatesi media che però sarebbe poi pressoché scomparsa nella lingua moderna[14].

Altri invece, coerentemente con l’impostazione da loro prescelta, e in una prospettiva comparatistica, considerano le forme riflessive del tedesco come facenti parti della diatesi media[15], ovvero come forme a metà strada fra attivo e passivo[16].

2. Nozione di verbo riflessivo ai fini del presente studio e oggetto di indagine

Le considerazioni che precedono lasciano trasparire come, al fine di delimitare l’oggetto di indagine di questo breve studio, sia necessario tener presente che gli studi di linguistica tedesca e di linguistica italiana si appoggiano a nozioni, soluzioni e fondamenti teorici rispettivamente diversi e che la nozione di verbo riflessivo non è pacifica ma suscettibile di essere interpretata in senso ampio o in senso stretto a seconda dell’approccio metodologico scelto. Ciò può essere per certi versi sorprendente se si considera che le tipologie dei verbi riflessivi in italiano e in tedesco presentano profonde similarità[17].

Indubbiamente però, al di là del fondamento teorico su cui vuole farsi poggiare la classe dei verbi riflessivi, può offrirsi, ai fini di questo studio dedicato al tedesco dell’economia, una nozione di verbo riflessivo che possa andar bene sia per l’italiano che per il tedesco, in modo da poter passare, a seconda delle necessità, da una lingua all’altra e così descrivere i fenomeni della lingua tedesca senza un effetto di eccessivo straniamento dal punto di vista delle nozioni linguistiche italiane.

È possibile insomma partire da un dato di fatto, e cioè che, malgrado la varietà di impostazioni seguite dagli studiosi, e al di là delle sfumature semantiche esibite dalle diverse forme verbali, sembra che possa trarsi utilità dalla costante presenza, in queste forme verbali sia del tedesco che dell’italiano, del pronome riflessivo. Detto altrimenti, è la presenza del pronome riflessivo che segnala la presenza del verbo riflessivo. A seconda poi del significato del verbo si potrà poi affermare che una certa forma verbale è una vera e propria forma riflessiva (come in “Paolo si lava”) o lo è soltanto in apparenza (come in “la porta si chiude”); e poi di qui eventualmente elencare varie tipologie di riflessivo su cui si appunta l’attenzione degli studiosi: riflessivi veri e propri (cd. “diretti”), riflessivi apparenti, ergativi, transitivi, intransitivi ecc.[18].

Nondimeno, per non duplicare inutilmente gli esiti di studi grammaticali i quali si sono misurati con corpora più vasti di quelli che possono visionarsi qui, il presente scritto si prefigge di illustrare come si profila l’uso del verbo riflessivo in un determinato linguaggio specialistico, vale a dire quello economico. Detto altrimenti: come si configura il linguaggio dell’economia quanto all’uso della forma riflessiva? Mostra la predilezione per qualche tipologia in particolare? Fa ricorso a tutti i tipi di forme riflessive contemplate da una lingua o qualcuna viene sistematicamente esclusa? Lo scopo ultimo è quello di trarre alcuni tratti salienti del linguaggio economico in quanto microlingua.

Il testo autentico tedesco che ho scelto sul quale condurre la ricerca è un manuale di economia di Hermann Adam, vale a dire Bausteine der Wirtschaft. Eine Einführung, giunto alla sedicesima edizione, la quale, con revisioni e ampliamenti, è apparsa nel 2015. Il volume è piuttosto corposo: 538 pagine di testo (senza indici né bibliografia) che comprendono circa 165.000 parole. Dato che si tratta di un manuale assai diffuso nelle università tedesche, ho ritenuto di sceglierlo perché esemplifica il tedesco economico in senso ampio, cioè nel primo approccio che può farsi a questa materia. Il fatto che sia stato aggiornato e ampliato più volte presenta la caratteristica di essere stato sottoposto alla politura tipica dei manuali di studio e a vari ampliamenti funzionali a fini di aggiornamento. Queste caratteristiche editoriali fanno sì che siano stati tenuti sotto controllo tratti stilistici troppo personali che offrirebbero il fianco all’obiezione che il linguaggio adottato è comunque quello di un singolo autore e pertanto non è rappresentativo della tipologia testuale. Invece la caratteristica di essere abbastanza ampio, generale, aggiornato, letto e riletto a lungo per varie riedizioni, consente una valutazione del linguaggio economico in generale, senza correre il rischio che l’analisi si disperda nei microlinguaggi pur esistenti all’interno di quest’area linguistica (per esempio il linguaggio dell’economia finanziaria, quello dell’ambito societario, degli appalti, delle infrastrutture, della gestione delle risorse pubbliche ecc.), che, vista la scarsità di studi sul tema del riflessivo nel linguaggio dell’economia, avrebbero irrimediabilmente ristretto il campo d’indagine[19]. Ma ho preferito non ampliare il corpus ad altri manuali di economia redatti in tedesco perché gli ulteriori verbi riflessivi che sarebbero potuti emergere non avrebbero arricchito (né per quantità né per qualità) in modo significativo le tipologie di riflessivi che già si profilano chiaramente nel corpus prescelto.

Proprio poiché oggetto di questo scritto è esclusivamente il verbo pronominale riflessivo[20] – secondo la nomenclatura adottata nella linguistica italiana[21] – per prima cosa sarà considerata la presenza del pronome riflessivo: quante volte occorre, in quale persona e, dato che il tedesco è una lingua flessiva, in quale caso. In seconda battuta saranno esaminati i verbi collegati ai pronomi riflessivi rinvenuti nel testo, cercando di descriverli alla luce delle classificazioni proposte dagli studi linguistici in materia. Il modo in cui il verbo pronominale riflessivo nel senso chiarito viene impiegato nel testo considerato lascerà emergere alcuni tratti caratteristici del linguaggio economico in quanto linguaggio specialistico di una Geisteswissenschaft specifica, vale a dire l’economia. Infine, dato che, come noto, molte volte non vi è corrispondenza fra le forme verbali riflessive del tedesco e quelle dell’italiano, saranno svolte alcune considerazioni di carattere traduttologico.

3. I pronomi riflessivi in tedesco e un loro raffronto con le forme riflessive di base dell’italiano. Struttura formale di base del verbo riflessivo

Come noto, i pronomi riflessivi in tedesco possono trovarsi all’accusativo o al dativo, e, a parte sich, praticamente coincidono con i pronomi personali accusativo e dativo. Nella sequenza familiare delle tre persone singolari e plurali, i pronomi riflessivi all’accusativo sono: mich, dich, sich, uns, euch, sich; quelli al dativo sono: mir, dir, sich, uns, euch, sich. Come si vede, in realtà soltanto la prima persona singolare e la seconda persona singolare presentano una forma distinguibile per l’accusativo e una per il dativo; inoltre la terza persona singolare e plurale al riflessivo ha un’unica forma, sia per l’accusativo che per il dativo, vale a dire sich [22].

Ora, occorre innanzitutto ricordare che a un primo sguardo rispetto all’italiano comune – il quale in linea di massima non è lingua flessiva[23] –, la distinzione fra i verbi accompagnati dai pronomi riflessivi tedeschi all’ Akkusativ da una parte e al Dativ dall’altra corrisponde in linguistica italiana, grosso modo, rispettivamente alla classe dei verbi riflessivi diretti e dei riflessivi indiretti o apparenti[24]. Ai fini di maggior chiarezza per quanto si dirà più avanti, ritengo utile ricordare brevemente il fondamento di questa distinzione. I verbi riflessivi diretti sono quelli in cui il pronome riflessivo è l’oggetto di un’azione tipicamente transitiva, che potrebbe svolgersi anche su un qualunque altro oggetto. Per richiamare il verbo lavare, già comparso in uno degli esempi precedenti, da questi tre esempi:

1) Paolo lava i piatti;
2) Paolo lava il bambino;
3) Paolo si lava (cioè lava se stesso),

si coglie come il verbo lavare, transitivo, possa essere costruito correttamente con tre tipi di accusativo: una cosa, una persona e il pronome riflessivo. Anche il tedesco conosce un uso analogo del corrispondente verbo transitivo waschen, ed è per questo che il pronome riflessivo è all’accusativo.

Nel gruppo dei verbi riflessivi indiretti o apparenti, invece, sono annoverati quei verbi dove “l’azione verbale non si «riflette» direttamente sul soggetto, ma si svolge comunque a suo beneficio, nel suo interesse o per sua iniziativa; il pronome atono non rappresenta in questo caso un complemento oggetto bensì un complemento indiretto: «mi domando se ho sbagliato» (= domando a me stesso, non * domando me, come nel riflessivo diretto); «mi lavo le mani»”[25]. In tedesco questo pronome che esprime il vantaggio (o svantaggio), o iniziativa del soggetto nel senso visto va al dativo.

Sinora ho illustrato la struttura formale fondamentale del verbo riflessivo: il verbo si dà o con l’accusativo o con il dativo; nel primo caso si parla di riflessivi diretti, nel secondo di riflessivi indiretti o apparenti. Ma come si coglierà meglio esaminando le forme riflessive che si rinvengono nel testo economico prescelto, in realtà se la struttura formale è in tutti i casi quella descritta, vi sono aspetti semantici e stilistici la cui descrizione eccede e complica di gran lunga la questione della reggenza del verbo riflessivo. Ma prima di addentrarmi su tale questione semantica e stilistica la quale, si vedrà, metterà in luce alcuni tratti specifici del linguaggio economico, è necessario vedere ora le occorrenze del riflessivo nel corpus prescelto. Dato che ho assunto che il verbo è riflessivo in quanto legato a un pronome riflessivo, procederò a indagare le occorrenze a partire dalla presenza del pronome riflessivo.

4. Le occorrenze dei pronomi riflessivi tedeschi nel corpus prescelto

Così procedendo, all’interno del manuale di Adam prescelto come corpus può rilevarsi innanzitutto, forse senza sorpresa, la pressoché totale assenza dei pronomi personali riflessivi di prima e seconda persona singolare tanto all’accusativo che al dativo. Come è già stato ampiamente rilevato, le Fachsprachen prediligono il ricorso alla terza persona spesso, anzi spesso ricorrono alla forma impersonale[26]. Pertanto, coerentemente con questo assunto, ci si può aspettare che in generale le forme riflessive della prima e della seconda persona singolare non siano tipiche del linguaggio scientifico vero e proprio giacché appartengono piuttosto al registro narrativo o colloquiale. Ma anche nel linguaggio delle scienze umane (sociali, giuridiche, e come nel nostro caso, economiche), meno asettico e rigoroso di quello delle scienze esatte, esse hanno un impiego davvero molto limitato, soprattutto la seconda persona (non soltanto singolare, ma anche plurale) che è tipica dell’allocuzione diretta. A conferma di quanto appena osservato, per quanto riguarda i pronomi all’accusativo all’interno del manuale di Adam in particolare si ha una unica occorrenza del pronome mich. Esso compare nel Vorwort del testo (“[t]rotzdem hatte ich mich damals entschlossen,…”)[27], giacché la Premessa è redatta in prima persona mentre nel corpo del volume si ricorre al plurale majestatis[28] . Riguardo invece al pronome di seconda persona, dich, esso è del tutto assente. Similmente è presente un’unica occorrenza del pronome riflessivo di prima persona al dativo, mir. Si tratta tuttavia di una citazione tratta dal romanzo di Daniel Defoe Robinson Crusoe, e precisamente un passo dialogico in cui Robinson parla con il suo compagno di avventure Venerdì. Si tratta dunque di una citazione e non di un testo scritto dall’autore e direttamente rilevante dal punto di vista delle tematiche economiche trattate[29].

Come nel caso di dich, parimenti completamente assente è il pronome personale di seconda persona singolare al dativo dir, e ritengo che la ragione risieda anche qui nella mancanza tendenziale di forme allocutive[30].

Un'altra assenza significativa, a conferma di questa mancanza di allocutivi diretti, riguarda il pronome riflessivo di seconda persona plurale euch (identico, come ricordato, nel dativo e accusativo).

Rilevate le assenze nel modo descritto, le occorrenze osservate riguardano dunque praticamente due soli pronomi riflessivi: il pronome riflessivo di prima persona plurale uns (accusativo o dativo) e il pronome di terza persona (singolare e plurale, accusativo e dativo) sich.

Di uns si registrano 106 occorrenze; invece sich appare in 1.095 occorrenze[31]. Come accennato, sia di uns che di sich non può distinguersi prima facie il caso (se accusativo o dativo); pertanto ora considererò separatamente queste occorrenze soffermandomi soprattutto sugli aspetti semantici perché proprio questi mi sembrano i più idonei a mettere in luce alcuni caratteri distintivi del testo di tipo economico.

5. I verbi pronominali collegati al pronome riflessivo sich all’interno del corpus prescelto. A) verbi riflessivi diretti e B) verbi riflessivi indiretti o apparenti

Dato che le relative occorrenze verbali sono significativamente di maggior numero rispetto a quelle collegate a uns, consideriamo innanzitutto i verbi pronominali collegati al pronome riflessivo sich. Ho accennato al fatto che di primo acchito, all’interno del linguaggio comune, pensando ai verbi riflessivi vengono subito in mente le forme del riflessivo diretto e quelle del riflessivo indiretto o apparente. In realtà, nel testo di Adam qui esaminato entrambe queste tipologie di verbo riflessivo sono utilizzate molto di rado. Infatti si contano davvero sulla punta delle dita di una mano i verbi riflessivi di queste due tipologie. Consideriamole ora separatamente.

A) Fra i verbi riflessivi diretti, cioè nella classe dove sich ha effettivamente valore di Akkusativobjekt, nel senso che il soggetto compie su se stesso un’azione che in altri casi potrebbe compiere nei confronti di un altro oggetto, compare propriamente soltanto una forma, vale a dire la seguente frase: “[h]ier aber beißt sich die Katze in den Schwanz!”[32]. Ci troviamo qui di fronte a un’espressione colorita usata in maniera metaforica, ed è significativo che questa sia l’unico caso di riflessivo diretto vero e proprio. Ma forse può allargarsi il campo ancora a due verbi: 1) sich entziehen, sottrarsi, con cinque occorrenze, che, in senso non fisico ma traslato, è impiegato in tutti i casi in locuzioni del tipo “sottrarsi al potere di controllo dello Stato”, dove l’originaria immagine spaziale allude al fatto che il soggetto tira via sé stesso dalla presa della longa manus statale e 2) sich fühlen, “sentirsi”, che compare in tutto soltanto sei volte quasi sempre legato ad aggettivi in locuzioni del tipo sich benachteiligt/ ausgebeutet/unterdückt/belastet fühlen (“sentirsi svantaggiati/sfruttati/oppressi/caricati”): questo secondo tipo di verbo può essere analizzato nel senso che in questo caso il soggetto invero sente sé stesso, ma secondo una determinata modalità che gli giunge dall’esterno come qualcosa che egli subisce: a differenza di sich entziehen, qui siamo più vicini a un concetto di passività che non a una forma riflessiva, ma nonostante questa implicazione passiva nella semantica comunque la coniugazione non si differenzia in nessun tempo verbale da quella attiva.

Mediante questo secondo verbo, sich fühlen, possiamo ricollegarci ad altri pochi casi di riflessivi con Akkusativobjekt presenti nel testo di Adam i quali, pur presentando la struttura formale dei verbi riflessivi diretti, in realtà già tendono a fuoriuscire da questa classe propriamente considerata[33]. Con una sola occorrenza per ciascuno, si tratta di sich fürchten, “temere”; sich beschweren, “lagnarsi”; sich begeistern, “entusiasmarsi”; sich entmutigen, “scoraggiarsi”; sich trauen, “arrischiarsi”, “osare” e sich irritierren, “irritarsi”. Sich freuen, “rallegrarsi”, presenta appena due occorrenze; sich erinnern, “ricordarsi”, compare con tre occorrenze, alle quali peraltro ne vanno aggiunte altre tre costruite con il pronome riflessivo uns [34] ; infine sich erhoffen, “augurarsi”, “sperare”, compare sei volte. Il motivo che fa dubitare dell’opportunità di inserire questo tipo di verbi fra i riflessivi tout court, cioè “diretti”, risiede nel fatto che sotto il profilo semantico non possono essere analizzati propriamente come se il soggetto producesse l’azione su sé stesso: per esempio in sich begeistern, il significato non è che il soggetto alimenta l’entusiasmo su di sé o in sé stesso, ma piuttosto che qualcosa suscita in lui entusiasmo; così nel caso di sich beschweren, il soggetto non lagna propriamente sé stesso; e nel timore che si esprime con sich fürchten non è il soggetto a provocare a sé stesso paura. In realtà, questo tipo di verbi strutturalmente riflessivi sono raccolti sotto la classe dei riflessivi intransitivi [35], la qual cosa suona particolarmente spigolosa e incoerente se pensata all’interno della sistematica di linguistica tedesca giacché il verbo intransitivo tipicamente regge un complemento indiretto, mentre i verbi citati reggono l’accusativo: una specie di monstrum linguisticae se non si potesse – come si cercherà di fare qui – trovare una via d’uscita sistematica e coerente grazie alla diatesi media!

Ma anche volendo tener conto di quest’ultima come grande categoria in cui raccogliere questi verbi difficili da classificare, non è semplice cercare di chiarire quale sia il senso (vale a dire, sfruttando la polisemia della parola “senso”, al contempo: direzione, significato e rappresentazione grazie alla percezione[36] ) di questa diatesi verbale, ammesso che, allo stadio evolutivo delle due lingue qui considerate in un confronto, vale a dire tedesco e italiano, si tratti di una diatesi autonoma.

Prima di considerare ulteriormente le occorrenze più cospicue che compaiono nel testo preso in esame, occorre ancora osservare che i verbi appena considerati sono accomunati per il fatto di appartenere al campo semantico della percezione a livello dell’animo: scoraggiarsi, rallegrarsi, irritarsi, lamentarsi, entusiasmarsi: è il loro stesso significato, ben più adatto all’ambito poetico-letterario che non alla scienza economica, a giustificarne la rada presenza nel testo di Adam considerato come riferimento[37]. La somma delle occorrenze dei verbi che abbiamo ricondotto a questa tipologia di riflessivi costruiti con il pronome sich infatti ammontano ad appena il 2,5% circa del totale delle forme riflessive con il pronome sich rinvenute nel testo.

Quali sono allora i verbi riflessivi con Akkusativobjekt utilizzate nel testo di Adam? Come si vedrà, si tratta di verbi che innanzitutto e in generale non descrivono attività che il soggetto compie su sé stesso, ma piuttosto descrivono processi che si producono o da sé oppure in modo da trascurare la rilevanza dell’agente e focalizzare l’attenzione soltanto sull’esito finale. Il primo che consideriamo è sich handeln, che nella forma impersonale es handelt sich um, “si tratta di” occorre ben 45 volte, costituendo così da solo il 4% delle occorrenze totali dei verbi riflessivi costruiti con sich: si tratta di un valore per certi aspetti sorprendente se si considera che altre occorrenze di handeln costruito in forma non riflessiva e dove significa “commerciare” – dunque un termine del tutto coerente con la tematica economica – compare invece soltanto 9 volte in tutto il volume. Sich ergeben, “risultare”, presenta da solo 34 occorrenze, costituendo così più del 3% delle occorrenze totali del riflessivo con sich; sich erhöhen, “innalzarsi, aumentare” (intransitivo), presenta 23 occorrenze, cioè più del 2% della totalità. Un altro verbo usato frequentemente è sich entwicheln, “svilupparsi”, che compare 21 volte (2%); rilevanti anche i verbi sich belaufen, “ammontare” e sich verändern, “modificarsi”, i quali compaiono ciascuno 16 volte costituendo così quasi l’1,5% del totale delle forme riflessive con sich. Sich lohnen, nella forma impersonale es lohnt sich, “conviene”, compare 7 volte (quasi lo 0,7%). Sich auswirken, “ripercuotersi”, “avere conseguenze su qualcosa”, compare 14 volte (anche qui siamo intorno all’1,5%). Per sich entscheiden, “decidersi” abbiamo 10 occorrenze (0,9%); per sich beteiligen “prender parte”, ne abbiamo 9 (anche qui appena sotto l’1%); invero anche befassen collegato al pronome riflessivo sich (“occuparsi”) appare 9 volte, mentre il suo sinonimo sich beschäftigen una volta; ma come si vedrà esaminando i verbi riflessivi coniugati alla prima persona plurale, cioè legati al pronome uns, in realtà le occorrenze di befassen sono molto più numerose. Per gli antonomi sich verbessern, “migliorare” / sich verschlechtern “peggiorare”, le occorrenze sono rispettivamente 7 (circa 0,7%) e 8 (poco più dello 0,8%); a queste seconde 8 occorrenze può peraltro aggiungersi l’unica del sinonimo sich verschlimmern, “peggiorare”. Sich konzentrieren, “concentrarsi”, così come sich unterscheiden, “distinguersi”, appaiono 8 volte (poco più dello 0,7% delle occorrenze totali dei verbi con sich). Vi sono poi altri verbi riflessivi che pur comparendo in pochissimi casi (al di sotto dello 0,5% sul totale), nondimeno possono aggregarsi a quelli appena elencati: sich verschulden, “indebitarsi”, con quattro occorrenze; sich sammeln, “riunirsi”, che compare in due occorrenze; sich entfalten, “dispiegarsi”, e sich berufen, “appellarsi a”, “invocare”, compaiono ciascuno due volte; sich begeben, “recarsi” compare una sola volta; lo stesso vale per sich füllen, “compiersi”, “riempirsi” e sich erfüllen, “adempiersi”.

Chiariti quali sono i verbi che compaiono più frequentemente, è possibile svolgere una considerazione di tipo semantico. Come può vedersi, infatti, il significato non è mai quello per cui il soggetto esercita un certo atto su sé stesso. Consideriamo la gran parte di questi verbi appena visti: sich ergeben, sich verändern, sich erhöhen, sich entscheiden, sich verbessern, sich verschlechtern/verschlimmern, sich auswirken, sich belaufen, sich entwickeln, sich befassen/sich beschäftigen, sich beteiligen, sich begeben, sich entfalten, sich sammeln, sich verschulden, sich füllen, sich erfüllen: sono tutti verbi che esprimono un processo ovvero, e ancor meglio, l’esito conclusivo di un processo. Oppure, in maniera forse più precisa: si tratta del modo con cui all’interno di alcunché si descrive il passaggio da una condizione a un’altra. Il verbo riflessivo in questo caso ha come la funzione di collegare due stati all’interno della medesima cosa o fenomeno[38] offrendone una descrizione temporalmente connotata. Ciò concorda con un tratto stilistico che accomuna praticamente tutti i linguaggi scientifici: vale a dire la necessità di descrivere determinati fenomeni e di assumere dunque un registro che sia oggettivo[39], cioè epurato delle percezioni e delle valutazioni del soggetto, ragion per cui i verbi riflessivi esaminati in questo paragrafo compaiono esclusivamente alla terza persona (singolare o plurale che sia).

Il riflessivo di questo tipo sembra insomma un mediatore fra i due estremi temporali di un processo che accade all’interno del soggetto: è questo forse il significato originario del termine “medio” così come lo hanno pensato gli antichi greci? Vale a dire non tanto come forma intermedia fra attivo e passivo (dato che come si è accennato il passivo si ritiene derivato dal medio), ma come forma che collega, che media fra due parti o due punti prospettici all’interno di un medesimo soggetto. È sicuramente molto difficile rispondere a questa domanda[40] ; ma è alla luce di queste riflessioni che mi sembra di potere leggere in questo senso più concreto, applicato al linguaggio scientifico della Geisteswissenschaft dell’economia, la considerazione di Benveniste per cui “[n]ell’attivo, i verbi denotano un processo che si realizza a partire dal soggetto e al di fuori del soggetto stesso. Nel medio, che è la diatesi da definire per opposizione, il verbo indica un processo che ha luogo nel soggetto; il soggetto è interno al processo”[41].

Tuttavia accanto a queste forme verbali riflessive che sembrano proprio mediare fra uno stato iniziale del soggetto e uno finale illustrando al contempo il tipo di azione che si verifica, nel testo di Adam ve ne sono alcune che sfuggono anche a questo tipo di semantica di fondo. Per esempio proprio il verbo di cui si registra il numero di occorrenze più elevato, sich handeln, il quale compare esclusivamente nella forma impersonale es handelt sich um, “si tratta di”, non si riesce a collocare all’interno di questa spiegazione che ho tentato di offrire: qui il significato non è affatto che “qualcosa tratta se stessa”, né propriamente che dal non esser oggetto di attenzione passa all’esser oggetto di attenzione o esame. Nondimeno questa ultima considerazione forse ci indirizza su un altro tratto che caratterizza altri verbi riflessivi presenti nel testo di Adam e costruiti con il pronome riflessivo sich e che tuttavia sono presenti con numeri molto bassi. Tuttavia, malgrado l’esiguità, la loro presenza trova ragioni che non consentono di assimilare questo gruppo di verbi ai riflessivi diretti di cui si è detto.

Vediamo ora queste occorrenze meno rilevanti (ricorrenti ciascuno meno dello 0,5% sul totale delle 1095 occorrenze), e che pure riguardano verbi che non possono ricondursi ai riflessivi diretti veri e propri. Sich zufrieden geben, “soddisfarsi”, appare 5 volte; per la Redewendung: die Frage/das Problem stellt sich, “si pone la questione”, si hanno in tutto 5 occorrenze. Per sich aktivieren, “registrarsi all’attivo” e sich passivieren, “registrarsi al passivo”, abbiamo tre occorrenze per ciascuno; per sich bestätigen, “confermarsi”, abbiamo in entrambi i casi tre occorrenze; sich verstehen pure compare soltanto 3 volte ma in questo caso abbiamo una divaricazione di significato, perché in un caso il verbo assume il significato di “andare d’accordo”, negli altri due casi è usato con il significato di “intendersi”, “interpretarsi”; sich ansammeln, “accumularsi”, come sich einstellen, “sintonizzarsi” compaiono ciascuno una sola volta. Lasciando per il momento da parte sich zufrieden geben, e sich verstehen nel significato di “andare d’accordo”, in realtà tutti gli altri verbi di questo esiguo gruppo possono essere sciolti, sotto il profilo semantico, facendo ricorso alla diatesi passiva: per esempio, nella frase “[d]ie Zahlungsbilanz aktiviert sich”[42], il bilancio di pagamento non “iscrive sé stesso all’attivo”, ma “viene iscritto all’attivo”, vale a dire che, per comprendere adeguatamente cosa accade al bilancio di pagamento mantenendolo flesso come soggetto della frase, dobbiamo ricorrere a una rappresentazione che si serve della diatesi passiva. Similmente, quando viene usato il verbo sich verstehen, non significa che “alcunché comprende se stesso”, ma piuttosto che esso viene inteso in un certo modo. Un punto di passaggio – fra questo modo propriamente passivo in cui soltanto può spiegarsi il significato di questo gruppo di verbi e la classe precedente che ho cercato di ricondurre al medio nel senso di diatesi che media fra il soggetto e se stesso – è rappresentata dai verbi sich entfalten, sich ansammeln e sich unterscheiden: “dispiegarsi”, “accumularsi” e “distinguersi” possono essere considerati rispettivamente, sia nel senso che qualcosa si dispiega da sé stessa, sia che essa è dispiegata da un soggetto esterno; se qualcosa “si accumula”, cioè sich ansammelt, può essere che essa si accumuli grazie a una propria forza interna (medio) oppure a un agente esterno (passivo); nel caso di sich unterscheiden, può accadere sia che qualcosa si distingua da sé, spiccando rispetto a un’altra o ad altre, sia che qualcuno tracci una distinzione separando la cosa da un’altra o da altre. Dunque in queste forme verbali può albergare sia il significato medio, sia quello passivo. Un’ambiguità del genere fra medio e passivo si coglie nella locuzione die Frage/das Problem stellt sich: la questione si pone perché qualcuno la pone (passivo); ovvero, in senso figurato, perché essa sorge da sé stessa in base all’esame delle circostanze (medio)[43].

Per chiudere l’esame di verbi costruiti con l’ Akkusativobjekt sich visti sin qui, resta un’ultima considerazione da svolgere sulla forma sich zufrieden geben: “accontentarsi”, “soddisfarsi”. Malgrado il riferimento semantico a uno status dell’animo, non ho inserito questo verbo nella prima categoria dei riflessivi diretti veri e propri, non tanto perché non potrebbe implicare che il soggetto soddisfa se stesso (benché anche qui è presente la possibilità di sciogliere il significato grazie al passivo nel senso che il soggetto “viene soddisfatto”), ma piuttosto perché il concetto di soddisfazione è un concetto economico vero e proprio[44] e quindi non va inteso alla stregua di un concetto relativo al campo semantico lirico/letterario facente riferimento a sentimenti dell’animo[45].

B) Osserviamo ora i verbi riflessivi costruiti con il pronome riflessivo sich al dativo. Innanzitutto, rispetto a quelle con Akkusativobjekt, esse sono molto meno numerose.

Quello più significativo, sich leihen, “prendere in prestito”, compare 13 volte (poco più dell’1%). Intorno all’1,% ammontano anche le 10 occorrenze di sich kaufen, “acquistare”. Tutti gli altri verbi riflessivi costruiti con il pronome sich al dativo occorrono con una frequenza inferiore allo 0,5%.

Sich vorstellen, “figurarsi, rappresentarsi”, appare con sich soltanto 5 volte; vanno aggiunte però le occorrenze costruite con il pronome di prima persona plurale uns: rimandiamo dunque al paragrafo successivo le considerazioni su questo verbo. Sich wünschen, “augurarsi”, presenta solamente quattro occorrenze[46] ; sich besorgen, “procurarsi”, ne ha soltanto due. Ancora due sole occorrenze si registrano per sich ansehen, “osservare”: ma anche qui, come si vedrà nel paragrafo che segue, va tenuto in conto che in realtà questo verbo compare un numero ben cospicuo di occorrenze coniugato alla prima persona plurale. Invece una sola volta compare l’espressione, piuttosto colloquiale[47], di sich Spaß machen, “divertirsi”. L’esiguità di questi verbi i quali, presentando sich al dativo, dovrebbero implicare la messa in evidenza di un vantaggio per il soggetto sono davvero pochi – forse sorprendentemente per un testo di tipo economico il cui scopo ultimo è quello di descrivere tecniche e modi per ottenere un vantaggio in termini di prosperità e ricchezza. Nondimeno, la scarsità di pronomi riflessivi che pongono l’accento sul vantaggio per il soggetto mi fanno concludere che dal punto di vista stilistico la veste scientifica data al testo è ben più rilevante che quella pratica: è in altre parole più importante la descrizione oggettiva, asettica, processuale[48], che sottolineare il vantaggio pratico conseguibile.

6. I verbi pronominali collegati al pronome riflessivo uns all’interno del corpus prescelto

Un discorso a parte merita l’uso della forma riflessiva coniugata alla prima persona plurale. Il ricorso al plurale majestatis è un tratto stilistico tipico delle Fachsprachen [49], peraltro, come accennato, forse meno diffuso nei tempi più recenti di quanto non sia stato in passato. Ne tratto qui separatamente perché, come si coglierà esaminando il tipo di verbi rilevati in questa sezione, questi riflessivi assolvono a un compito ben preciso all’interno del testo, oltrepassando così in qualche modo la loro varietà semantica. Ma prima di chiarire quale sia questo compito, vediamo quali siano questi verbi. Come detto, nel testo di Adam le occorrenze totali dei verbi riflessivi collegati al pronome di prima persona plurale sono 106.

Le occorrenze più numerose si registrano per forme del tipo[50] wir befassen uns, “ci occupiamo”, con 31 occorrenze, vale a dire quasi il 34% delle occorrenze totali con uns; un sinonimo di questo verbo, nella forma wir beschäftigen uns, compare 4 volte (quasi il 4% di questo tipo di occorrenze totali).

I sinonimi wir sehen/schauen uns an, “osserviamo”, ammontando complessivamente a 26 (per ansehen: 9 occorrenze; per anschauen 17 occorrenze), costituiscono quasi il 25% delle occorrenze totali; poi ancora un valore rilevante è costituito da forme del tipo wir wenden uns zu, “ci rivolgiamo”, che compaiono 16 volte (15%). Wir stellen uns vor, “ci rappresentiamo”, “ci figuriamo”, si riscontra 7 volte (quasi il 7%) e poi valori più bassi (al di sotto del 5%) si riscontrano per i seguenti verbi costruiti col pronome riflessivo uns: klar machen, “ci chiariamo” (5 occorrenze); bewusst sein, “siamo consapevoli” e vertraut sein, “abituarci” che presentano ciascuno 4 occorrenze; auseinandersetzen, “ci confrontiamo”, due occorrenze; erinnern, “ricordiamo” (3 occorrenze); kaufen, “acquistiamo”, due occorrenze; beschränken, “ci limitiamo”. Infine dei seguenti verbi, che nel testo di Adam appaiono sempre costruiti col pronome riflessivo uns, abbiamo per ciascuno una sola occorrenza: in Erinnerung rufen, “richiamiamo alla memoria”, herantasten, “ci avviciniamo a toccare”, una occorrenza; versetzen, “ci immedesimiamo”, bereiten, “ci prepariamo”, bedienen, “ci serviamo”.

Osservando questi verbi riflessivi dal punto di vista semantico, il fatto che essi siano pressoché sempre e soltanto coniugati con la prima persona plurale non costituisce soltanto una cifra stilistica di un autore che ha prescelto il plurale majestatis. In realtà queste forme verbali assolvono una funzione di veri e propri elementi di coesione testuale costituiti non da pronomi, o avverbi o congiunzioni, come è tipico del linguaggio comune[51], ma da piccole frasi che annunciano ciò di cui si tratterà a breve, creando così nel lettore un’attesa quanto ai contenuti che si appresta a leggere, oppure richiamano quanto è già stato esposto. Nel testo di Adam è questa la funzione dei vari “ci occupiamo di”, “ci confrontiamo con”, “ci rivolgiamo”, “ci limitiamo a”. Ma un’altra importante funzione di coesione testuale è quella assolta da forme esortativo-imperative quali: sehen wir uns (die Tabelle) an, vale a dire “osserviamo (la tabella)”. Come si è visto, questo tipo di occorrenze sono molto cospicue, costituiscono quasi un quarto di quelle con il pronome uns e anche se rapportate alla totalità dei verbi riflessivi con sich sono un numero piuttosto elevato. Tuttavia anche qui il ricorso alla prima persona plurale serve all’autore non a fini propriamente semantici, per veicolare significati strettamente connessi alla tematica economica, ma soltanto per introdurre un determinato fenomeno su cui si vuole attirare l’attenzione del lettore. Pertanto a mio avviso vanno mantenute distinte dalle occorrenze dei riflessivi costruiti con il pronome di terza persona sich. Un discorso analogo vale per le occorrenze rimanenti formulate con uns.

A questo punto, messo in luce che la funzione di questo tipo di riflessivi non è tanto legata alla materia economica, quanto all’esigenza di guidare il lettore e garantire coerenza al testo, è molto meno importante sapere se di volta in volta il pronome uns compaia al dativo o all’accusativo. In realtà, considerando i verbi rilevati in quest’ultimo paragrafo, le quantità di accusativo e dativo di uns ricorrono in modo equilibrato e non si rileva una sproporzione manifesta a favore dell’accusativo come invece si era riscontrato esaminando i verbi riflessivi costruiti con sich.

7. Riflessivi e reciproci. Questioni traduttive

Oltre ai pronomi visti sopra, occorre infine ricordare che anche il tedesco contempla il pronome reciproco einander, “l’un l’altro”, che di per sé è indeclinabile ma può comparire collegato anche con le preposizioni richieste dal verbo: per esempio: voneinander, “l’uno dall’altro”, miteinander, “l’un con l’altro” ecc.). Riguardo a questo pronome, deve subito osservarsi come, analogamente a quanto accade in italiano, il suo impiego è giustificato piuttosto da fini espressivi: si pensi agli esempi tipici reperibili nelle grammatiche: einander lieben/hassen [52], “amarsi/odiarsi l’un l’altro”[53]. Ma la principale differenza fra italiano e tedesco risiede nel fatto che in tedesco, quando si usa einander senza connetterlo ad altre preposizioni, esso elide il pronome riflessivo, che invece in italiano rimane per cui per l’italiano l’aggiunta di l’un l’altro ha un effetto quasi ridondante. Per ritornare al tedesco, se invece il pronome riflessivo reciproco einander è collegato a una preposizione, sich rimane presente nella frase: pertanto perde valore espressivo per assumerne uno di maggior precisazione o contestualizzazione. Ora, stante il valore per lo più espressivo del riflessivo reciproco senza preposizioni, non è forse sorprendente che non ve ne sia traccia nel testo di Adam. Invece, dato che il reciproco costruito con la preposizione assume una funzione chiarificatrice, se ne riscontra qualche esempio nel testo considerato a riferimento per questo studio. Ma qui si apre qualche considerazione di opportunità traduttiva perché non sempre è indispensabile rendere la presenza del reciproco. Per esempio nella frase “[n]ach diesen Merkmalen lassen sich folgende sozialpolitische Grundprinzipien bzw. Sozialstaatsmodelle voneinander unterscheiden”[54], una traduzione scorrevole tralascerebbe di tradurre il reciproco voneinander. Qui propongo per esempio: “in base a questi caratteri possono distinguersi i seguenti principi fondamentali di politica sociale, ovvero modelli di Stato sociale”. Dato che, peraltro, in esempi del genere reperibili all’interno del testo di Adam, il pronome riflessivo sich compare sempre, non ritengo di dover svolgere ulteriori considerazioni sulla forma riflessiva in quanto tale. Analogo discorso vale per quello che in italiano è considerato come un avverbio reciproco che rafforza – ma stavolta non in senso espressivo – e chiarisce gli effetti scambievoli dell’azione di un soggetto su un altro: si tratta dell’avverbio reciprocamente e dei suoi sinonimi (scambievolmente, vicendevolmente) che in tedesco corrispondono a gegenseitig. Ma anche qui, l’inserimento di gegenseitig per precisare gli effetti dell’azione espressa con il riflessivo, non elimina il pronome riflessivo vero e proprio, e quindi questo tipo di avverbio non fa che esplicitare meglio il significato della forma riflessiva. Si tratta comunque di una figura piuttosto marginale: in tutto il testo di Adam gegenseitig ricorre soltanto tre volte.

Dato che in questo paragrafo è stata svolta qualche considerazione di tipo traduttivo, vorrei ancora sottolineare la difficoltà di tradurre dal tedesco in italiano alcune forme riflessive. Innanzitutto abbiamo incontrato il verbo sich kaufen che nel testo di Adam coesiste alla forma non riflessiva kaufen. Anche in italiano abbiamo una distinzione fra “comprare” e “comprarsi”, ma dato che la seconda appartiene al registro colloquiale, inadatto a un testo scientifico, secondo me è opportuno tralasciare questa differenza e tradurre entrambi i casi con “acquistare”, giacché anche “comperare” appartiene piuttosto al linguaggio quotidiano. Altri problemi di traduzione si presentano per le forme riflessive costruite con il verbo semimodale lassen. Lo stesso testo di Adam ricorre volentieri a questa costruzione di lassen con il riflessivo (92 occorrenze), la quale però ha la caratteristica di non potersi tradurre sempre in un modo univoco: il significato che emerge oscilla dal “potere” (significato preponderante), al “permettere”, al “lasciar fare”, al “lasciare”, al “causare” o addirittura non corrisponde a una forma italiana non marcata e può rimanere non tradotto. Basti qualche esempio dal testo di Adam. In “[h]ohe Mieten und Milchpreise würden sich nicht lange am Markt aufrechterhalten lassen“[55], lassen ha il significato di „potere“; in „[d]iese Werte lassen erkennen“[56], lassen ha il significato di „consentire“, „permettere di“; in „[s]ie haben allerdings die Möglichkeit sich von der Versicherungspflicht in der Rentenversicherung befreien zu lassen“[57], lassen può rimanere non tradotto, come propongo in: „nell’assicurazione pensionistica essi hanno d’altronde la possibilità di liberarsi dall’obbligo assicurativo“. In „Sozialhilfeempfänger wurden angehalten, sich einen Arbeitsplatz zu suchen oder sich umschulen und fortbilden zu lassen“[58], lassen ha significato causativo di far fare. Dato che i significati di lassen usato come un modale non corrispondono a un’unica forma dell’italiano, può forse essere utile tenere a mente che, come si è cercato di chiarire, le stesse sfumature semantiche del riflessivo possono oscillare dal compiere un certo atto a carico del soggetto al dovere, al prodursi da sé di un certo processo, passando per il concetto di dovere[59] sino al passivo. Detto in altre parole, anche qui un ripensamento ampio della categoria della diatesi media forse può esser utile per cogliere in senso più profondo e preciso ciò che un testo scritto vuole trasmetterci.

8. Conclusioni

L’esame del modo in cui il verbo riflessivo viene utilizzato all’interno di un corposo manuale tedesco di economia adottato nei corsi universitari ha consentito di confermare alcuni caratteri tipici del linguaggio economico in quanto linguaggio scientifico-specialistico. Sono pochissime le forme riflessive coniugate alla prima persona singolare e nessuna alla seconda persona (né singolare né plurale), mentre la terza persona è quella più usata: ciò riflette lo stile oggettivo dei testi scientifici. Parimenti, dal punto di vista del contenuto, sono ridotte al minimo le forme riflessive che alludono a moti dell’animo o alla dimensione dell’interiorità. Nondimeno, l’esame delle forme utilizzate mette in luce come invece che la classe dei riflessivi diretti e indiretti, nel linguaggio economico le forme riflessive usate sono per lo più quelle cd. impersonali o intransitive. Ho cercato di mettere in luce alcune incongruità di questa categoria nel modo in cui essa è affrontata da alcune autorevoli grammatiche e ho cercato di sottolineare l’opportunità di ripensare la categoria del medio, lascito della grammatica greca antica, come quella diatesi che congiunge qualcosa del soggetto con sé stesso. L’analisi delle occorrenze legate al pronome riflessivo di prima persona plurale uns hanno poi rivelato che vi è un cospicuo gruppo di verbi i quali, invece che farsi carico di un compito semantico coerente con la terminologia economica, hanno la funzione di garantire la coesione all’interno del testo giacché svolgono il compito di attirare l’attenzione del lettore su certi passaggi, di introdurre il contenuto delle parti che saranno affrontate o di richiamare questioni già discusse. Il confronto con la forma riflessiva è stato infine condotto con il fine, non meno importante a fini traduttivi, di metterne in evidenza le possibilità polisemiche che non sempre consentono l’adozione di criteri costanti e sistematici.

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[1] Serianni, 1989, 2006, cap. XI, 10, p. 385. Come sottolinea questo autore, la diatesi è attiva quando l’agente dell’azione coincide con il soggetto; invece è passiva qualora chi compie l’azione non assume funzione di soggetto (ma per esempio di complemento d’agente o causa efficiente) mentre il soggetto è chi subisce l’azione (Serianni, 1989, 2006, cap. XI, 10, p. 385).

[2] Sulla diatesi media nel greco antico cfr. Basile, 2001, p. 326 ss. Anche questo autore ritiene che “[l]a nozione di riflessività […sia] estranea alla natura del medio” (Basile, 2001, p. 315). In generale sul medio e il riflessivo in greco antico vedasi anche Kaufmann, 2004.

[3] Ancora Serianni, 1989, 2006, cap. XI, 22, p. 388.

[4] Serianni, 1989, 2006, cap. XI, 18, p. 387.

[5] Basile, 2001, p. 326.

[6] Kemmer, 1993, spec. il capitolo 3, p. 41 ss., e con particolare riguardo all’italiano p. 32.

[7] Così Kemmer, 1993, p. 3.

[8] Duden, 2016, n. 547, p. 405.

[9] La grammatica Duden, attualmente la più autorevole in materia di linguistica tedesca, ignora questa classe verbale. Solamente nell’indice analitico si rinviene l’aggettivo medial, ma il riferimento è fatto al n. 549, p. 408, dove di questo termine non vi è traccia. In una precedente edizione (del 2005) della medesima Grammatik, nello stesso luogo n. 549 (p. 406) si ricordava a tale proposito Zifonun, 2003. Anche l’edizione del 2016 cita la Zifonun, ma qui ogni esplicito riferimento al medio è scomparso. Questo trascurare il medio vale anche per altri autorevoli linguisti, quali per es. Hentschel, Weydt, 2003, pp. 244-245.

[10] Duden, 2016, n. 795, p. 556. In modo completamente rovesciato rispetto a questa sistemazione, mette conto riportare qui Benveniste, 1966, p. 200, il quale ricorda come “[n]ello sviluppo generale delle lingue indoeuropee, i comparativisti hanno stabilito ormai da tempo che il passivo è una modalità del medio, dal quale deriva e con il quale mantiene stretti legami anche dopo essersi costituito in categoria distinta. Lo stato indoeuropeo del verbo è caratterizzato dall’opposizione di due sole diatesi, attiva e media”.

[11] Cfr. Duden, 2016, n. 795, p. 556.

[12] Cfr. l’esempio in Duden, 2005, n. 551, p. 408: “[d]ie Tür schloß sich langsam” (cioè: “la porta si chiuse [vale a dire si chiuse da sé] lentamente”).

[13] Cfr. Duden, 2005, n. 795, p. 550. È il caso delle forme riflessive rette dal verbo semimodale lassen, come per esempio “es läßt sich öffnen”, nel senso di “si lascia aprire”, frase che anche in italiano può rendersi anche come “può aprirsi” vale a dire: “può esser aperto”, dunque ricorrendo alla diatesi passiva.

[14] Così Ramat, 1988, pp. 180-181.

[15] Kemmer, 1993, p. 18; Gunkel, Murelli, Schlotthauer, Wiese, Zifonun, 2017, p. 622.

[16] Lyngfelt, Solstadt, 2006, p. 2. In un certo senso a questo orientamento possono ricondursi anche Zifonun (2003, e 2003a) per la quale quelle che chiamiamo le forme tipiche del riflessivo sarebbe forme mediali, nonché Primus, Schwamb 2006.

[17] Va peraltro ricordato che per Zifonun 2003a, p. 272, in nota 4, la forma mediale sarebbe esemplificata da verbi del tipo “sich waschen” i quali invece sono tipicamente riflessivi, nel senso che l’azione si riverbera direttamente sul soggetto. Per la studiosa dunque qui “mediale” sarebbe sinonimo di “riflessivo”, il che sembra francamente un’inutile raddoppiamento terminologico.

[18] Sulle varie distinzioni proposte all’interno della classe dei verbi pronominali anche in una prospettiva comparata vedasi Masini, 2008.

[19] La scarsa unitarietà del linguaggio dell’economia, se si scende all’interno delle singole branche di questa materia, è stata osservata in particolare da Stolze, 1999, p. 182, dove si mette in evidenza la difficoltà di ricondurre a unità stilistica le varie tipologie testuali che si offrono in campo economico.

[20] Come noto in linguistica italiana il verbo pronominale è quella forma verbale la quale si accompagna necessariamente a un pronome che ne definisce l’aspetto semantico. Per esempio si osservino le forme: “spuntar la”, “non voler ne sapere”, “arrivar ci”. In questi casi il pronome è di vario tipo e sostituisce nomi e concetti diversi, ma non è riflessivo; oggetto della presente indagine è soltanto invece il verbo pronominale che si accompagna al pronome riflessivo.

[21] Serianni, 1989, 2006, cap. XI, 18, p. 387.

[22] Oltre ai pronomi riflessivi veri e propri appena visti, occorre per il momento soltanto ricordare che in tedesco si dà anche il pronome reciproco indeclinabile einander (collegabile anche con le preposizioni richieste dal verbo). Dato che, diversamente dall’italiano, peraltro questa possibilità espressiva è alternativa al riflessivo e non propriamente riflessiva, se ne parlerà a parte quando si vedranno alcune questioni traduttive (cfr. infra, § 7). Sul pronome reciproco einander vedasi in particolare lo studio contrastivo di Gast, Haas, 2008.

[23] Una traccia di elementi flessivi derivanti dal latino si coglie peraltro proprio nel campo dei pronomi personali, i quali in qualche caso prevedono una doppia forma tonica e atona dove però la funzione logico-grammaticale non è univoca: per esempio me/mi, te/ti, le/la, gli/lo ecc. La questione non può essere qui approfondita. Su questi temi si rimanda a Andorno, 2003, pp. 68-70.

[24] Serianni, 1989, 2006, cap. XI, 18 e 21, pp. 387-388.

[25] Serianni, 1989, 2006, cap. XI, 21, pp. 387-388. Come accennato, l’autore appena citato espressamente chiarisce la propria ricostruzione teorica ricordando che in italiano non sussiste la diatesi media; ma a me sembra che siano proprio i significati raccolti dal medio espressi tramite il pronome riflessivo quelli di azione che viene svolta a beneficio, per interesse, svantaggio o iniziativa del soggetto.

[26] Scarpa, 2001, p. 40; Roelke, 2005, p. 76.

[27] Adam, 2016, p. 21.

[28] Questa difformità fra l’adozione del plurale majestatis lungo tutto il testo e questo isolato ricorso alla prima persona nella premessa riflette un trend che può rilevarsi negli ultimi anni nella letteratura settoriale o scientifica vale a dire il progressivo abbandono della forma maiestatica sostituita dalla prima persona singolare oppure da strutture impersonali.

[29] Il passaggio citato dal romanzo è il seguente: “Du hast ja weiter nichts gemacht, als das, was ich mir ausgedacht und gefertigt habe, zu benutzen und Früchte zu pflücken und Fische zu fangen“ (Adam, 2015, p. 86). Come si coglie, benché si tratti di beni alimentari, il registro è del tutto colloquiale: l’occorrenza in questione non è caratteristica del linguaggio economico in quanto tale; piuttosto mostra il radicamento dell’economia, in quanto scienza sociale, nella vita di tutti i giorni. Ma forse c’è da chiedersi se questa sia una caratteristica delle sole scienze sociali.

[30] A parte i passaggi citati da pochi altri testi, come è stato il caso dei dialoghi tratti da Robinson Crusoe, non compaiono nella trattazione del manuale forme di discorso diretto.

[31] Vorrei chiarire che questo è il valore risultante una volta scorporato sich retto da preposizioni (an sich, für sich, vor sich, in sich sono quelle rilevate nel testo), in quanto di per sé non implica un uso riflessivo del verbo: il riferimento al medesimo soggetto che compie l’azione non mostra un legame più stretto che se si trattasse di altri soggetti o cose, pertanto non ho ritenuto significativo considerare queste occorrenze.

[32] Adam, 2015, p. 528; peraltro in italiano questa frase potrebbe tradursi soltanto facendo ricorso a una forma di riflessivo indiretto: “ma qui il gatto [meglio il cane per mantenere l’efficacia della metafora ormai consolidata nella nostra lingua] si morde la coda!” e non * ma qui il gatto si morde nella coda!, come sarebbe la traduzione letterale con il riflessivo all’accusativo.

[33] Serianni, 1989, 2006, cap. XI, 23, p. 388.

[34] Su queste ultime tre occorrenze costruite con uns v. quanto si dirà infra, § 6.

[35] Serianni, 1989, 2006, cap. XI, 23, p. 388; Duden, 2005, nn. 550-551, p. 407, nonché, ancorché in senso più sfumato, Duden, 2016, nn. 550-551, pp. 408-409.

[36] Sulle implicazioni filosofiche della parola senso mi sia consentito il rinvio a Scotto, 2010, pp. 115-116.

[37] È questo il motivo della totale assenza nel testo esaminato di altri riflessivi collegati a percezioni interiori o stati d’animo ovvero ad attività intimamente collegate al soggetto e che in tedesco sono classificati come veri riflessivi (“echte Reflexiva”) in quanto possono comparire esclusivamente nella forma riflessiva con il pronome all’accusativo: sich schämen (“vergognarsi”), sich verirren (“sbagliarsi”), sich verlieben (“innamorarsi”), sich verloben (“fidanzarsi”), sich auskennen (“intendersi di qualcosa”), sich entsinnen (“ricordarsi”), sich bemächtigen (“impossessarsi”), sich räuspern (“raschiarsi la gola”): cfr. Duden, 2016, n. 552, p. 410. Anche in italiano esiste una classe analoga (alla quale sono ricondotti verbi caratterizzati dal pronome riflessivo obbligatorio, per esempio: vergognarsi, incamminarsi, congratularsi, attardarsi, estasiarsi, astenersi, ostinarsi), benché non possa riconoscersi la funzione logica del pronome riflessivo, nel senso che non avrebbe senso distinguere se si tratti di un accusativo o di un dativo: cfr. Serianni, 1989, 2006, cap. XI, 23, p. 388. Data l’impossibilità di distinguere in italiano la funzione logica del pronome riflessivo in casi di questo tipo, forse all’interno della nostra lingua la denominazione di “riflessivi intransitivi” non risulta così inappropriata.

[38] Per esempio: sich auswirken: si ha una situazione sulla quale un certo fattore esercita degli effetti per cui si produce una situazione diversa; sich verbessern: una iniziale situazione non buona è legata a, ovvero racconta il passaggio a un esito finale di miglioramento ecc.

[39] Cfr. Scarpa, 2001, p. 40; Roelke, 2005, p. 77.

[40] Se si cerca una risposta per esempio in Aristotele, 1997, p. 305, si coglie un modo per noi assolutamente inconsueto di confrontarci con le diatesi verbali: avere (èchein), interpretato come trovarsi in una certa condizione: come armarsi, o avere i piedi calzati, e giacere (kèisthai), interpretato come esser distesi o star seduti sono tutti esemplificati mediante il ricorso alla diatesi media, ma non sono raggruppati all’interno del concetto di medio, di cui Aristotele nel passo in questione non fa parola. Mette conto ricordare come in una fase ben più tarda e decadente del mondo antico, Isidoro di Siviglia riprenda proprio l’esempio dei verbi giacere e star seduto per mettere in evidenza l’esistenza di una terza diatesi (accanto a quelle attiva e passiva), che egli chiama non chiama media, bensì “neutra”: cfr. Isidoro (2006), vol. I, cap. X, p. 91.

[41] Benveniste, 1966, p. 204.

[42] Cfr. Adam, 2015, p. 91.

[43] Su talune ambiguità del passivo con particolare riguardo al linguaggio economico mi sia consentito il rimando a Scotto, 2017.

[44] È significativo che il termine Zufriedenheit, “soddisfazione”, compare come termine autonomo nell’indice analitico del volume di Adam. Per quanto riguarda invece l’occorenza di sich verstehen nel senso di “andare d’accordo”, “capirsi”, mi sembra che l’appartenenza al registro colloquiale ne alleggerisca notevolmente l’importanza.

[45] Sulla delimitazione dei termini dalla lingua comune come processo tipico di molte lingue specializzate v. Osimo, 2006, p. 125.

[46] Cfr. Adam, 2015, p. 111, p. 304 e p. 337.

[47] È appena il caso di rilevare quanto poco frequentemente si rinvengano nel testo di Adam forme colloquiali al passivo. Il registro colloquiale ha in genere poco spazio nei testi di tipo scientifico. Un’altra occorrenza tipica del registro colloquiale e che pure è attestata in Adam è sich aus dem Staub machen, “svignarsela” (lett.: tirarsi fuori dalla polvere”), costruita con sich all’accusativo. La sua pressoché assoluta irrilevanza per il linguaggio economico mi ha indotto a non considerarla neppure fra i verbi esaminati al capoverso precedente.

[48] Su cui v. Roelke, 2005, p. 76; Scarpa, 2001, p. 40.

[49] Roelke, 2005, p. 76.

[50] Dato che la struttura della frase non è tematizzata ai fini di questo studio, le varianti sintattiche fra Hauptsatz e Nebensatz sono qui irrilevanti, pertanto consideriamo soltanto la forma di base del verbo coniugato al Präsens, indipendentemente anche dal tempo verbale. La scelta del Präsens come modello per gli esempi è motivata dal fatto che che, come è stato osservato, nei testi specialistici si tende il più delle volte a ricorrere all’indicativo presente: cfr. Roelke, 2005, p. 77.

[51] Cfr. Di Meola, 2007, p. 194 ss.

[52] Cfr. Duden, 2016, n. 558, p. 412.

[53] Serianni, 1989, 2006, cap. X, 19, p. 387.

[54] Adam, 2015, p. 34.

[55] Adam, 2015, p. 46.

[56] Adam, 2015, p. 226.

[57] Adam, 2015, p. 302.

[58] Adam, 2015, p. 315.

[59] Il dovere emerge per esempio in locuzioni, su cui qui non mi sono dilungata perché non tipiche del registro del linguaggio economico, quali si fa così = “va fatto così”, “deve farsi così”.

Fin de l'extrait de 30 pages

Résumé des informations

Titre
Alcune riflessioni sul verbo pronominale riflessivo tedesco nel microlinguaggio dell'economia. Tratti distintivi, uso e considerazioni traduttologiche verso l'italiano
Université
University of Rome "La Sapienza"
Note
1
Auteur
Année
2018
Pages
30
N° de catalogue
V446230
ISBN (ebook)
9783668827400
ISBN (Livre)
9783668827417
Langue
italien
Mots clés
reflexives Verb, mediale Form, wirtschaftliche Fachsprache
Citation du texte
Giuliana Scotto (Auteur), 2018, Alcune riflessioni sul verbo pronominale riflessivo tedesco nel microlinguaggio dell'economia. Tratti distintivi, uso e considerazioni traduttologiche verso l'italiano, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/446230

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