User Generated Content (UGC) e Transmedia. L'influenza della cultura partecipativa nelle narrazioni transmediali


Tesis de Máster, 2018

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Extracto


Indice

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Introduzione

1. La Cultura Partecipativa e lo User Generated Content
1.1. La svolta della Cultura Partecipativa: verso il produsage
1.2. UGC: cos’è lo User Generated Content
1.3. UGC e diritto d’autore
1.4. UGC e Millennials: studi di marketing
1.5. UGC, fan e fandom : che cosa spinge gli utenti a creare

2. Gli UGC nelle narrazioni transmediali
2.1. Dal media mix al Transmedia Storytelling: i sette principi di Henry Jenkins
2.2. La costruzione di un universo narrativo transmediale
2.3. Proactive e retroactive transmedia: esempi di Transmedia Storytelling
2.4. I livelli della narrazione, l’immersione e l’engagement dei fan
2.5. Serialità, canon e fanon : verso la co-creazione?
2.6. UGC e Alternate-Reality Game: ibrido tra storia e gioco

3. Case Studies: UGC e livello di transmedialità di tre progetti di recente successo
3.1. Thirteen Reasons Why : il romanzo e l’universo base
3.1.1. Il romanzo riadattato e espanso: la miniserie Netflix
3.1.2. I social network come canali transmediali ufficiali
3.1.3. Oltre le ragioni: i commodity channels
3.1.4. UGC: la transmedialità generata degli utenti
3.2. Stranger Things : l’universo narrativo della serie Netflix
3.2.1. Oltre Stranger Things : un’espansione extra-testuale
3.2.2. YouTube e le Game-App
3.2.3. Eventi e ARG
3.2.4. UGC: a volte basta un hashtag
3.3. Black Mirror e gli episodi Netflix: story channel
3.3.1. Estensioni sulle pagine ufficiali: Twitter e YouTube
3.3.2. Dentro un episodio: il principio di immersione
3.3.3. Black Mirror motore di discussione e UGC

Conclusione

Indice figure

Indice tabelle

Bibliografia

Sitografia

Introduzione

Le Storie sono intorno a noi, ci appartengono e ci definiscono. L’importanza del raccontare e ascoltare storie è dimostrata a livello antropologico, biologico e umano.

All’alba dell’Era digitale, una Michela undicenne scopre le infinite possibilità della Rete pubblicando la sua prima fanfiction sul neonato sito EFP. Nel lontano 2005 il mondo dei fandom online è ricco di promesse e i contenuti generati dagli utenti si schiudono verso un futuro carico di possibilità. Le audience scoprono di poter dire la loro sui forum, di creare storie, video e immagini con i loro personaggi preferiti, “rubati” a show televisivi e saghe letterarie. Non era ancora chiaro, però, che cosa queste nuove abitudini avrebbero comportato. Lo dice Henry Jenkins nella sua opera Cultura Convergente del 2007: “È ancora presto per dire se gli esperimenti di contenuti generati dai consumatori possano esercitare un’influenza sulle imprese dei mass media”. Passati ormai dieci anni da questa dichiarazione, la mia tesi si occupa di individuare queste influenze.

Gli studi di Jenkins, insieme ad una serie di preziosi contributi di altri studiosi dedicati al mondo della fan culture e del Transmedia Storytelling, sono stati fondamentali per la realizzazione di questo studio sull’effetto che gli UGC, gli User Generated Content, hanno sullo storytelling di saghe di successo. Il primo capitolo di questa tesi indaga il moderno fenomeno della Cultura Partecipativa e definisce gli User Generated Content, il loro uso, le loro caratteristiche e la loro diffusione. È presentata storia degli UGC, che inizia con le prime lettere all’editore e si evolve grazie alla venuta del World Wide Web, fino ad arrivare all’importanza degli UGC nel marketing contemporaneo. Alla fine del capitolo viene indagato, inoltre, perché questi UGC vengono creati analizzando il fenomeno dei fan e dei fandom nell’epoca odierna.

Il secondo capitolo si concentra invece sul Transmedia Storytelling, in particolare grazie ai contributi di Henry Jenkins, Christy Dena, Frank Rose, Carlos Alberto Scolari e Max Giovagnoli. Viene illustrato il processo di creazione di un universo transmediale nelle sue caratteristiche fondanti e sono presentati alcuni casi noti di progetti transmediali influenzati da UGC. Il capitolo si conclude con una panoramica sul mondo degli ARG, gli Alternate Reality Game, e sul loro uso promozionale all’interno degli universi transmediali.

Il terzo capitolo, infine, segue l’analisi di tre recenti casi di progetti transmediali nati in seguito al successo di serie televisive offerte dalla piattaforma di servizio streaming Netflix: Tredici, Stranger Things e Black Mirror. Viene mostrato, in particolare, il modo in cui questi progetti transmediali sono stati, consciamente o inconsciamente, influenzati dai contenuti grassroots generati dagli utenti.

Per realizzare questa tesi è stato usato un approccio etnografico ai media, che prevede l'integrazione dei dati sull'attività di community culturali già esistenti nello svolgimento della propria vita quotidiana. I gruppi online consentono di osservare l'evoluzione della comunità le cui discussioni avvengono senza alcun controllo, essendo esse aperte al pubblico scrutinio. Grazie alla pratica del tagging, che rende un contenuto ricercabile e permanente della memoria delle piattaforme, è possibile acquisire una quantità rilevante di documenti. I materiali esistenti vengono generati in tempo reale e vissuti dagli utenti in sincrono con la programmazione: commenti, critiche sui personaggi e sugli avvenimenti degli episodi, analisi sullo svolgimento e teorie sui possibili eventi futuri. Le ricerche di questa tesi, come spesso quelle fatte nei fan studies, si baseranno quindi su post e commenti su forum, siti e piattaforme sociali, nonché su tutte quelle forme di produzione dei contenuti (UGC) rintracciabili in Rete grazie ai tag.

1. La Cultura Partecipativa e lo User Generated Content

La cultura partecipativa viene letta come un rinascimento culturale, un cambiamento socio-antropologico che sta mettendo in discussione i rapporti tra produzione e consumo. In questo capitolo si affronta il tema della cultura partecipativa, delle sue caratteristiche e conseguenze sociali, in particolare per la nuova generazione di nativi digitali, i Millennials.

1.1 La svolta della Cultura Partecipativa: verso il produsage

Fu Henry Jenkins, accademico statunitense, a coniare l’espressione “cultura partecipativa” nel 1992.1 Con questa espressione, nata come sottotitolo nel suo libro Textual Poachers: television fans and participatory culture, Jenkins stava cercando di trovare un valido antagonista alla “cultura dello spettatore” creata dai media di massa.2

Il termine ha, poi, avuto durature vita e fortuna, e Jenkins lo riprende nel suo lavoro più rivoluzionario, Convergence Culture: Where old and new media collide,3 opera in cui esamina in modo nel tutto innovativo il panorama mediatico contemporaneo, teorizzando che nella società moderna sia in atto una “convergenza mediatica” frutto sia di strategie delle corporation sia dall'appropriazione grassroots dei contenuti. La convergenza per Jenkins non è solo un risvolto del processo tecnologico, ma una vera e propria rivoluzione culturale che si esemplifica in un profondo cambiamento nel modo in cui gli utenti si relazionano con questo nuovo mondo dei media. “Nel mondo della convergenza mediatica” afferma Jenkins, “ogni storia importante viene raccontata, ogni marchio viene venduto e ogni consumatore viene corteggiato attraverso le molteplici piattaforme mediatiche”.4 Con il termine “convergenza” si indicano:

- il flusso dei contenuti su più piattaforme;
- la cooperazione di diversi settori dell’industria;
- il continuo migrare dei pubblici alla ricerca di nuove esperienze di intrattenimento.5

I pubblici della cultura convergente, in contrasto con la superata idea di audience passiva, sono “stimolati a ricercare nuove informazioni e ad attivare connessioni tra contenuti mediatici differenti”.6 I pubblici di oggi si aspettano di essere coinvolti dai media in quello che potremmo definire un processo di co-produzione e co-creazione dei contenuti narrativi; è iniziata l’era della cultura partecipativa, dove si assottiglia la linea di demarcazione tra produttori e pubblico, e queste due figure interagiscono secondo dinamiche ancora poco chiare.

La cultura partecipativa può essere definita come un fenomeno dove i partecipanti di una comunità non si limitano ad essere consumatori di contenuti ma ne contribuiscono alla produzione, ovvero dove i consumer diventano prosumer, termine nato dalla fusione delle parole consumer e producer per indicare, spiega Vincent Miller, quegli individui che sono allo stesso tempo consumatori e produttori.7 La cultura partecipativa emerge come reazione all'esplosione delle nuove tecnologie che rendono possibile, anche per il consumatore medio, l'appropriazione, la condivisione e la creazione di contenuti mediali.8 Questo “consumo collettivo” dei media porta a quella che il cyberteorico francese Pierre Lèvy definisce “intelligenza collettiva”, ovvero un sapere opposto a quello individuale, formato dalla somma delle conoscenze dei singoli condivise grazie alle nuove tecnologie di diffusione, in particolare il World Wide Web. L’intelligenza collettiva è l’abilità di mettere insieme conoscenze e confrontare opinioni per la risoluzione di un obiettivo comune.9 In generale, si può affermare che la cultura partecipativa è una cultura con barriere all'entrata relativamente basse, una forte spinta alla creazione di materiali e alla condivisione di creazione di altri e una mentorship informale dei partecipanti più esperti nei confronti dei principianti. Gli individui all'interno della cultura partecipativa inoltre sono convinti che condividere sia importante e sentono un qualche tipo di legame sociale che li lega gli uni agli altri.10 Non tutti gli individui sono tenuti a contribuire, ma la comunità prevede forti incentivi per la partecipazione attiva nella creazione di nuovi contenuti.

La cultura partecipativa sposta il focus della costruzione di competenze dal singolo individuo alla comunità.11 Le nuove competenze implicano quasi tutte abilità sociali da sviluppare attraverso la collaborazione. Queste abilità comprendono:

– gioco: capacità di fare esperienza di ciò che ci circonda attraverso un’ottica di problem solving;
– simulazione: interpretare e costruire modelli fittizi nel mondo reale;
– performance: abilità di impersonare identità alternative;
– appropriazione: acquisizione e rielaborazione di contenuti mediali dando loro un nuovo significato;
– multitasking: abilità di scansionare in modo continuo l’ambiente circostante;
– conoscenza distribuita: abilità di interagire con strumenti che ampliano le capacità mentali;
– intelligenza collettiva: mettere insieme conoscenze e opinioni in vista di un obiettivo comune;
– giudizio: valutare l’affidabilità di diverse fonti di informazione;
– navigazione transmedia: capacità di seguire un flusso narrativo attraverso molteplici piattaforme mediali;
– networking: abilità di cercare e diffondere informazioni;
– negoziazione: muoversi tra diverse comunità rispettando le norme che le regolano.

Tutte queste abilità, indispensabili nella cultura dei nuovi media, sono affinate da chi è costantemente immerso nel mondo digitale. Questo sottintende che esista un participation gap tra chi ha le competenze per comprendere i processi mediali che avvengono sulle diverse piattaforme e chi invece non le possiede. Questo gap è quindi, inevitabilmente, anche generazionale; sono i bambini e i preadolescenti del nuovo millennio, secondo Jenkins, a sviluppare in modo autonomo queste forme di appropriazione comunicativa dei media digitali. I Millennials, termine usato per indicare i ragazzi nati a cavallo tra il primo e il secondo millennio (nello specifico, tra il 1985 e il 2005), sono cresciuti con l’espansione delle possibilità di creare e diffondere contenuti. L’idea di entertainment dei Millennials è condizionata dal loro accesso a Internet e ai social media, dai videogame open-ended (con libertà di scelta e movimento all’interno dello storyworld), dalle serie TV cult e da massicce opere transmediali di eroi in mondi distopici come Harry Potter e The Hunger Games.12 Questi elementi della cultura popolare hanno creato un divario tra il modo in cui i Millennials intendono il divertimento rispetto alla generazione precedente, e di conseguenza una diversa idea di consumo e utilizzo dei media. Se prima il consumatore era passivo e muto, tipico della “cultura dello spettatore”, ora è attivo, appassionato e desideroso di dare il suo contributo. I Millennials sono la prima generazione a esigere quella che Jenkins definisce “meaningful participaton”,13 e fanno già parte del processo partecipativo in quattro modalità diverse:

– affiliazione: essere iscritti a forum, social e community online (es. Facebook, Reddit, comunità di gaming );
– espressioni creative: produzione di nuovi contenuti, chiamati anche User Generated Content, come fanfiction, fanart, fanzine, fanvideo, mash-up;
problem solving di tipo collaborativo: lavoro di gruppo per raggiungere un obiettivo comune o sviluppare nuove conoscenze (es. Wikipedia, ARG o lo spoiling );
– circolazione: modellare il flusso dei media, ad esempio con blog e podcast.14

La svolta partecipativa dei media è un rinascimento culturale; un cambiamento, socio-antropologico prima ancora che tecnologico, che sta mettendo in discussione i rapporti tra produzione e consumo. Questo nuovo contesto permette a chiunque ne abbia le capacità di appropriarsi delle forme di rappresentazione e di dare vita a forme di produzione individuali di massa. Questo avviene per due motivi:

- la moltiplicazione e la facile reperibilità - nonché il basso costo - di mezzi di produzione di contenuti;
- la moltiplicazione di strutture di distribuzione dei contenuti “dis-intermediarie” (ad esempio YouTube per i video e Flickr per le fotografie).15

La cultura partecipativa rompe i confini tra produttori e consumatori e permette a tutti i partecipanti sia di usare sia di creare contenuti e informazioni. Lo studioso australiano Axel Bruns, autore di Blogs, Wikipedia, Second Life, and Beyond: From Production to Produsage, denomina produser queste nuove figure ibride del panorama mediatico, e produsage le attività che le coinvolgono. Il produsage è definito the collaborative and continuous building and extending of existing content in pursuit of further improvement”,16 che si potrebbe tradurre come “la costante costruzione e estensione, in maniera collettiva, di un contenuto esistente con il fine di un continuo e ulteriore miglioramento” e si basa sul concetto di “equipotenzialità” descritto da Michel Bauwens. Il produsage accetta che chiunque, nonostante le diverse capacità, possa dare un valido contributo alla causa, e quindi permette a chiunque di partecipare senza porre ostacoli significativi. I singoli contributi non sono pre-giudicati da un’autorità preposta, ma la qualità del risultato della collaborazione viene valutato dalla comunità.17 Un esempio evidente di questo fenomeno sono le “wiki”, i siti collaborativi i cui contenuti sono redatti e modificati dagli utenti.

Con la “svolta partecipativa” si passa quindi dalla classica catena di produzione di valore, che vede il produttore che si affida a un distributore per far arrivar i suoi contenuti al consumatore al Web partecipativo, dove produttori e user modificano e rimettono in circolo contenuti già esistenti, in una modalità che Axel Bruns esemplifica in questo schema

Figura 1. Web Partecipativo18

Sul suo blog, Bruns elenca i quattro elementi chiave del produsage :

- Partecipazione aperta & Valutazione comune: la comunità intera è invitata a partecipare, e ogni contribuente può valutare il lavoro altrui. Più sono i partecipanti in grado di contribuire, esaminare e valutare il lavoro dei predecessori, più il risultato finale sarà valido e di qualità. Se sufficientemente ampia e variegata, una comunità può ottenere un prodotto migliore di un ristretto gruppo di produttori qualificati;
- Eterarchia fluida & Meritocrazia ad hoc: la comunità non prevede una gerarchia precisa, ma essa è in costante evoluzione. Basandosi sul concetto di equipotenzialità, i leader vengono scelti in base alla qualità dei contributi proposti alla comunità. I produser partecipano in base a capacità, interessi e conoscenze personali, e il loro livello di coinvolgimento evolve con lo sviluppo del progetto;
- Artefatti non finiti & Processo continuo: i contenuti sono in costante sviluppo e di conseguenza mai veramente conclusi;
- Proprietà comune & Premi individuali: è permesso l’utilizzo non commerciale di contributi altrui, che diventano un bene perpetuo della comunità, e sono previsti dei “premi” di status per i contributi migliori.19

Il produsage può essere descritto come una “common-base peer production”, dove “peer” implica un mutuale riconoscimento dei partecipanti come collaboratori di pari importanza, e “common-base” indica il desiderio di condividere il risultato di questa collaborazione. Questo nuovo ruolo “ibrido”, che permette agli user di diventare producer in qualsiasi momento, si concretizza nel fenomeno degli User Generated Content.

1.2 UGC: cos'è lo User Generated Content

Con User Generated Content (UGC) si indicano tutti quei contenuti creati o rielaborati dagli utenti per proprio divertimento e poi diffusi tramite i media. L’IAB, Interactive Advertising Bureau, aggiunge a questa definizione la capacità di “create engagement and/or drive conversation.” L’ascesa degli UGC è considerata una delle caratteristiche principali della cultura partecipativa.20

Il termine entrò in uso nel 2005, quando l’emittente britannica BBC creò nel suo sito una sezione apposita per gli UGC, e grazie al settimanale statunitense TIME, che nel 2006 mise in copertina l’immagine di un computer con uno schermo riflettente, così che ogni lettore potesse vedervi all’interno il proprio volto; è così che “You” venne eletta a persona dell’anno, riferendosi a ciascun utente-produttore della Rete e ai suoi UGC condivisi nelle piattaforme online.

Tuttavia gli UGC non nascono con l’avvento del Web. Alcuni studiosi ritengono che i primi esempi noti di quello che oggi chiameremmo User Generated Content siano due riviste fondate nel 1665, Journal des scavans e Philosophical Transaction of the Royal Society. Queste opere collettive erano realizzate unendo articoli redatti da scienziati di tutta Europa nei quali presentavano le loro scoperte scientifiche alla comunità.21 Considerato quanto detto in precedenza, è evidente come queste pubblicazioni siano una forma common-base peer production dell’epoca pre-digitale. Altri studiosi considerano i primi UGC le lettere all’editore, di cui abbiamo traccia fin dal XVIII secolo, attraverso le quali per la prima volta veniva data una voce ai lettori.22 Secondo Wahl-Jorgensen, giornalista e docente di Culture e Media all’Università di Cardiff, la sezione delle lettere diventa una sorta di “piattaforma di dibattito” che permette ai cittadini di discutere gli argomenti di attualità, creare un legame tra il giornale e la comunità e dare un feedback sul lavoro dell’editore. Alcuni editori dichiarano di trasformare le lettere più interessanti in storie vere e proprie, in modo da motivare i cittadini alla partecipazione.23 Gli UGC si sviluppano poi probabilmente con la fotocopiatrice, che permetteva ad esempio la diffusione di fanzine, e con i nastri magnetici, con cui il pubblico poteva realizzare, copiare e rielaborare opere video e musicali.24 Queste produzioni, prima della rivoluzione del World Wide Web, erano destinate a un bacino di pubblico molto più ristretto; ora grazie alla Rete il fenomeno degli UGC ha trovato la sua massima espressione, tanto da poterlo ritenere un effetto diretto della democratizzazione dei mezzi di produzione e diffusione.

Il termine UGC presenta alcune problematiche. Intanto il termine “user”, utente, è relativamente nuovo; per decenni economisti e esperti di comunicazione si sono rivolti ai pubblici come “audience”, “consumatori”, o “riceventi”. Lo user nasce, invece, non come pubblico ma come figura chiave nello studio dell’interazione uomo-computer per gli studi di usabilità. È quindi una figura attiva: “colui che usa”. Con “generated” si sottintende un processo di creazione o di rielaborazione di materiali già esistenti. Lo UGC è espressione creativa personale, creata e diffusa dall’autore perché ne ha il desiderio, i mezzi e le possibilità. Il “content”, infine, è il risultato di suddetta espressione.

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha stabilito tre requisiti che l’User Generated Content deve avere per essere definito tale:

1. requisiti di pubblicazione. Sono considerati UGC solo i contenuti di carattere pubblico, ovvero messi a disposizione del pubblico attraverso un sito internet o una pagina di un social network. Non sono considerati UGC i contenuti non pubblicati o diffusi tramite email e chat private;
2. sforzo creativo. Il contenuto deve essere espressione artistica personale del suo creatore, sia nell'offrire un prodotto nuovo al 100% sia nella rielaborazione e adattamento di un materiale preesistente;
3. creazione al di fuori delle pratiche e delle routine professionali. Gli UGC sono solitamente generati fuori dalle pratiche e routine professionali, e non hanno un contesto commerciale o istituzionale. Può essere prodotto da non professionisti senza alcuno scopo di lucro.25

Quest’ultimo punto è in continua evoluzione. Attualmente alcuni utenti sono pagati per i loro contenuti, e fanno di quella che era nata come un’attività di svago non commerciale un lavoro vero e proprio.26

Tra gli UGC più comuni ricordiamo:

– video e film: contenuti audiovisivi creati e poi diffusi tramite siti di content sharing. Possono essere sia prodotti originali, come documentari, home video, parodie, sia remix di video e film preesistenti;
– testi e poesie: storie originali o fanfiction che riprendono i personaggi o l'ambientazione di un'opera originale, sia essa libro, film, videogiochi, serie televisiva, anime o fumetto;
– foto e immagini: fotografie digitali scattate dagli utenti e postate online, oppure immagini create o modificate dagli utenti come fotomontaggi o meme ;
– fansubbing: traduzione amatoriale dei dialoghi di uno show non commercializzato nella lingua in cui si traduce. La successiva diffusione del video rende questo show disponibile a tutti gli appassionati che non potrebbero comprendere lo show in lingua originale;
– modding: modifica della grafica e/o la programmazione di un videogame per avere nuovi livelli, oggetti e personaggi;
– machinima: animazioni digitali in 3D create con l’uso di motori di gioco.

Sono, inoltre, considerati UGC le recensioni sui siti di e-commerce, i post di blog e forum, i commenti sui social media, i podcast.

La maggior parte degli UGC fa affidamento a servizi di hosting per avere uno spazio online accessibile al pubblico.27 Nella tabella seguente si presenta un elenco di piattaforme usate per la distribuzione dei contenuti.

Abbildung in dieser Leseprobe nicht enthalten

Tabella 1. Le piattaforme di distribuzione di UGC

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico identifica i fattori tecnologici, sociali, economici e legali che permettono lo sviluppo degli UGC.28 L’introduzione della banda larga, la nascita di siti dedicati ai non professionisti, la diffusione di strumenti tecnologici di qualità e di software sempre più semplici per creare e modificare i contenuti sono alcuni dei fattori tecnologici più rilevanti. Tra i fattori sociali, il più importante è sicuramente l’emergere di nuovi utenti di giovane età, i famosi “nativi digitali”, caratterizzati da ampie competenze informatiche, desiderio di essere parte attiva del mondo online e poca paura nel condividervi informazioni personali. Questi nuovi utenti trovano più soddisfacente esprimersi in modo interattivo all’interno di una comunità online piuttosto che usare media tradizionali come la televisione. La crescente disponibilità di strumenti a basso costo, adatti a creare e diffondere UGC, è un fattore economico rilevante; non solo strumenti fisici come fotocamere e videocamere, ma anche software, siti di hosting, connessione Internet ad alta velocità. Con l’avvento di Internet le barriere d’accesso ai lavori creativi si fanno più basse; si ritiene necessaria quindi la creazione di accordi flessibili per l’utilizzo delle licenze (come le licenze redatte dall’organizzazione Creative Commons) e la possibilità di aver garanzia del copyright anche per i contenuti non professionali. Queste svolte legali permettono e spingono gli utenti alla creazione di UGC.

1.3 UGC e il diritto d’autore

I diritti e i doveri legali che concernono i creatori di UGC e le loro opere sono spesso confusi e ignorati dai navigatori della Rete. Importante fattore nell’analisi del concetto di UGC è l’assenza (o limitata presenza) di un gatekeeper. Si può definire il gatekeeper, il “guardiano del cancello”, come l’autorità che valuta e coordina la pubblicazione di contenuti; in caso di sua assenza, l’utente ha la possibilità di pubblicare quello che vuole senza restrizioni né limiti. Grazie alla mancanza del gatekeeper l’utente si convince che tutto ciò che trova e pubblica online sia legittimo e legale. Non è così: diversi diritti legali proteggono i professionisti, i servizi di hosting e i creatori grassroots di contenuti.

Le opere pubblicate da professionisti, che siano esse musicali, letterarie o televisive, sono protette dal diritto d’autore e eventuali infrazioni possono essere perseguite a norma di legge. I proprietari delle piattaforme sono protetti da norme, diverse in base al sito e alla legislazione del Paese di interesse (come, ad esempio, la DMCA negli Stati Uniti), che considerano gli utenti unici responsabili delle pubblicazioni. Nel caso di violazione è obbligo del proprietario del sito bloccare l’accesso al materiale incriminato fino alla risoluzione della disputa, altrimenti è ritenuto responsabile al pari dell’utente.

Infine, i creatori di UGC si muovono in un’area grigia del diritto, e le loro pratiche sono perlopiù tollerate dai titolari dei diritti.29 Per quanto riguarda i contenuti originali postati dagli utenti sui siti di hosting, essi sono dichiarati di proprietà dell’utente dal webmaster; ma è possibile – se non probabile – che essi siano usati da altri utenti senza nessuna forma di controllo. I creatori di fanfiction e fanvideo detengono solo in parte i diritti delle loro opere, e dovrebbero richiedere l’autorizzazione all’uso dei contenuti protetti da copyright in caso di uso “sostanziale” dei suddetti (il concetto di “sostanziale” è soggetto di dispute legali). Ad esempio, un video caricato su YouTube con la colonna sonora di una famosa canzone pop potrebbe essere rimosso o censurato, ma se chi lo ha caricato non ci guadagna nulla (non ha molte visualizzazione, non è stato sponsorizzato) è raro che l’artista detentore dei diritti sporga denuncia; ciò non toglie che ci sia una violazione in atto.

Per la legislazione sul copyright negli Stati Uniti è possibile utilizzare contenuti protetti da copyright se sono identificati come trasformativi, ovvero modificati in modo creativo tanto da renderli facilmente riconoscibili come diversi dall’opera originale. In questo modo l’espressione creativa amatoriale è protetta dal sistema del fair use dei contenuti.30 Per ottenere l’autorizzazione al fair use, consentito dalla sezione 107 della legge statunitense sul copyright (Copyright Act, 1968) il materiale protetto deve essere usato per uno dei seguenti motivi: ricerca, studio, critica, recensione, parodia, satira, reporting, consigli legali. L’autorizzazione può non essere richiesta quando i diritti sono decaduti e quando si usa una parte “insostanziale” del materiale.

Questa relativa libertà di pubblicazione di materiali protetti ha portato a diversi scontri con le società corporate, che con l’avvento del WWW hanno cominciato a preoccuparsi del processo di appropriazione e creazione di contenuti da parte degli utenti.31 Si portano ad esempio i casi citati da Jenkins riguardo due tra le più famose franchise della storia dei media: Star Wars e Harry Potter.

In più di trent’anni di attività, Lucasfilm è stata una delle corporate più aggressive nei confronti della produzione culturale dei fan, e la sua reputazione è segnata da una lunga storia di dispute legali aperte per porre fine alle pratiche partecipative.32 Inizialmente George Lucas incoraggiava i lavori dei suoi fan, che fossero essi fanfiction o video amatoriali, e offriva consigli su come evitare la violazione del copyright. Con l’avvento degli anni 90 e 2000, però, le fanfiction esplosero grazie alla venuta di Internet, e la sorveglianza su questo tipo di produzione si fece più serrata. La forza di Star Wars è paragonabile a quella di un mito antico: è impossibile contenere il desiderio dei fan di contribuire all’espansione e alla circolazione della saga. George Lucas tentò di incanalare la forza creativa dei suoi sostenitori tramite concorsi a premi, dove le opere candidate avrebbero dovuto sottostare a specifiche restrizioni, e spazi web gratuiti monitorati dal franchise. Queste offerte non convinsero i fan, che ritennero le proposte di Lucas dei meri tentativi di tenerli sotto controllo. In seguito alla delusione di molti appassionati all’uscita del primo sequel della trilogia originale , La minaccia fantasma (1999), Lucas fu spinto a tenere in maggiore considerazione le opinioni dei fan e cominciò a apprezzare alcuni filmmakers amatoriali tanto da assumerli per la produzione dell’episodio II, L’attacco dei cloni.

Un altro esempio di incontro-scontro tra corporate e fan sono le “Guerre di Potter” portate avanti da giovanissimi appassionati di tutto il mondo contro le posizioni proibizioniste della Warner Brothers, decisa a proteggere il franchise di Harry Potter dopo l’acquisizione dei diritti cinematografici nel 2001. Come George Lucas, l’autrice J.K. Rowling era felice che gli appassionati si cimentassero nella scrittura di fanfiction, e anzi li incoraggiava a espandere la loro immaginazione e abilità di scrittura attraverso il suo universo narrativo. Tuttavia, quando la Warner Brothers acquistò i diritti della serie, ritenne che le manipolazioni dei fan fossero violazioni del copyright e procedé alla chiusura di molti siti web. I fan si convinsero che: “the greatest threat facing the boy wizard might not be the dark Lord Voldemort anymore. Potter’s new enemy is taking shape in the guise of film studio Warner Brothers”.33 Cominciò così una vera e propria “guerra” tra corporate e produzione grassroots dei fan, i quali lottarono duramente per il loro diritto all’espressione creativa attraverso il loro universo immaginativo preferito. Solo dopo molti fraintendimenti e casi legali la Warner Brothers fece un passo indietro, comprendendo il valore del brand Harry Potter per i piccoli fan di tutto il mondo e riadattando il suo atteggiamento nei confronti delle comunità di appassionati.

Questi esempi mostrano come i media corporate stiano imparando a riconoscere il valore – e i rischi – della cultura partecipativa, anche se, attualmente, né i produttori né i consumatori sanno quali regole governano le loro interazioni. Grant McCracken, antropologo culturale, ritiene che la posizione proibizionista delle corporate non sia la migliore, e che le aziende dovrebbero assecondare i consumatori e i loro UGC.34

Le nuove generazioni hanno una diversa percezione del copyright rispetto alle generazioni precedenti.35 I Millennials sono cresciuti in un’epoca in cui le risorse sono liberamente condivise in una comunità web e dove le persone possono contare le une sulle altre per ottenere le informazioni di cui hanno bisogno. Quando queste informazioni sono private o bloccate, i Millennials rispondono in maniera molto più negativa rispetto alla generazione precedente, più abituata all’idea di contenuti privati e esclusivi.

Nel 2007 tredici grandi aziende mediatiche, tra cui Microsoft, Disney e Sony Picture, hanno collaborato alla redazione di quindici “Principi UGC”36 consultabili in Rete per facilitare l’esperienza UGC per i produttori, i consumatori e i titolati dei diritti. Questi principi, ideati per “promuovere l’innovazione, incoraggiare la creatività, ostacolare le violazioni”

serve as a comprehensive set of guidelines to help user-generated content (UGC) services and content creators work together towards their collective goal of bringing more content to more consumers through legitimate channels. The principles acknowledge a collective respect for protecting copyrights and recognize that filtering technologies must be effective and are only a part of what is necessary to achieve this goal.37

Nel 2009 anche l’UNESCO ha pubblicato una serie di linee guida per le emittenti che fanno uso di UGC,38 sottolineando le sfide, le opportunità, i rischi e i benefici di una sana collaborazione tra broadcaster e utenti. Queste iniziative suggeriscono la crescente importanza della regolamentazione degli UGC, che sempre di più fanno – e faranno – parte della vita quotidiana degli utente della Rete.

1.4 UGC e Millennials: studi di marketing

La Partecipazione è stata eletta a quinta P del marketing mix.39

Il marketing mix è l’insieme delle variabili che le aziende utilizzano per raggiungere i loro obiettivi. Le variabili tradizionali sono chiamate 4P: Product, Price, Place e Promotion. Tracy Tuten e Michael R. Salomon, autori di Social Media Marketing, affermano che è il momento di aggiungere una quinta, fondamentale P al marketing mix: la Partecipazione.

Il social media marketing è l’utilizzo dei social media per agevolare i contatti tra consumatori e aziende. È considerato di valore dalle aziende perché consente di interagire con i consumatori e coinvolgerli nelle varie fasi di acquisto. I social media giocano diversi ruoli nel processo di acquisto del consumatore: aumentare la conoscenza del brand, influenzare il desiderio, incoraggiare la prova, facilitare l’acquisto, consolidare la fedeltà al brand.40

Gli UGC sono uno dei mezzi usati nelle strategie di social media marketing. Secondo l’IAB, Interactive Advertising Bureau, i principali modi di includere gli UGC in queste strategie sono:

- Marketing Intelligence: analisi delle informazioni riguardanti il mercato;
- Crowd-Sourced Content: i contenuti sono creati da individui esterni all’azienda per scopi promozionali o di sviluppo del prodotto;
- influencer marketing/sponsorizzazioni sui social: singoli individui vengono pagati per condividere la loro opinione sul prodotto con i loro pari;
- recensioni degli utenti: autentiche recensioni di utenti vengono usate per promuovere i prodotti;
- forte copertura di un evento: promozione di un evento tramite i social media per generare interesse (“buzz”).41

Queste iniziative non sono le uniche possibili. Pixlee, un’agenzia nata per aiutare i brand a rafforzare il loro marketing proprio attraverso gli UGC, nella sua guida The Use Cases of User-Generated Content, scaricabile su richiesta, propone iniziative come foto e video contest, email marketing, interazione diretta con i clienti attraverso i social media. Pixlee sottolinea come le soluzioni che prevedono la partecipazione attiva dei clienti aiutino ad aumentare il traffico e il tasso di conversione.42

Lo UGC si è dimostrato essere efficace in molti modi per i brand, in quanto:

– incoraggia un maggiore engagement tra brand e consumatori (del 28% quando lo UGC è usato in un video del prodotto), raddoppiando la probabilità che un contenuto venga condiviso;
– crea fiducia: gli UGC vengono considerati più affidabili rispetto alle informazioni e alle pubblicità ufficiali del brand dal 51% degli utenti, e permettono la crescita di una sana e durevole relazione brand-consumatore;
– migliora il SEO del brand: più UGC riguardo un determinato brand producono più traffico per il sito ufficiale;
– aumenta il numero di follower sulle varie piattaforme sociali;
– rassicura i consumatori sulle decisioni di acquisto: con gli UGC, il tasso di conversione si alza del 4.6%.43

Sono UCG anche le recensioni nei siti di vendite online, che influenzano grandemente le decisioni di acquisto degli utenti: il 93% dei consumatori dichiara di aver acquistato influenzato dalle recensioni online.44

Alla luce di questi dati, non sorprende la decisione delle più grandi aziende di investire capitali in campagne dedicate agli UGC. Si prenda ad esempio la catena di caffetterie Starbucks. Starbucks ha lanciato nell’aprile 2014 il concorso White Cup. In questo contest, che ben si allinea con lo storytelling di Starbucks, famoso per l’atmosfera creativa dei suoi locali,45 la multinazionale statunitense ha chiesto ai suoi clienti di scarabocchiare sui bicchieri del caffè d’asporto e di postare una foto del risultato usando l’hashtag #WhiteCupContest. In tre settimane sono stati registrati più di 4000 ingressi al concorso e l’opera vincitrice è stata replicata in un’edizione speciale limitata venduta nei negozi Starbucks, che ha così potuto attirare l’attenzione sull’importanza dei bicchieri riutilizzabili. Starbucks ha incanalato la creatività dei suoi clienti, di cui era già a conoscenza (molti bicchieri Starbucks erano ridecorati, fotografati e postati sui social media prima dell’esistenza del contest) per pubblicizzare un tema considerato centrale nella sua strategia di marketing. La campagna è considerata un successo di UGC marketing.46

Un altro brand famoso per l’uso di contenuti amatoriali nella sue strategie di mercato è GoPro. Il marchio GoPro fonda il proprio marketing sulle emozioni e sulle persone; non mostra il suo prodotto, mostra quello che si può ottenere con esso. GoPro fin dalla sua nascita incoraggia i clienti a postare video realizzati con le sue fotocamere su una sezione apposita del sito. I video migliori vengono condivisi sui social network ufficiali, dando credito (e, di conseguenza, gratificazione e popolarità) ai creatori originali. Inoltre, l’uso libero degli hashtag #GoPro sulle piattaforme sociali private porta al brand moltissima pubblicità gratuita. Il payoff di GoPro, Be a Hero, pone all’attenzione sul consumatore finale: è importante come le persone vivono il brand, non il prodotto in sé.

È necessario qui fare una differenziazione tra gli UGC “condizionati”, richiesti da un brand (in un contest o attraverso l’uso hashtag predefiniti) dagli UGC “incondizionati”, creati liberamente dagli utenti per proprio divertimento (come spesso accade dei fandom ). Questi UGC “liberi”, non controllabili – chiamati anche earned media dagli studiosi di social media marketing47 – sono considerabili l’evoluzione della Word-of-Mouth, il passaparola. Il passaparola, che indica il diffondersi, attraverso una rete sociale, di informazioni o consigli in forma diretta tra soggetti, è sempre stato un fortissimo motore economico. Con l’avvento di Internet, gli adolescenti e i Millennials stanno guidando questa nuova era della Electronic-Word-of-Mouth attraverso il social media marketing. Gli UGC sono creati sia bottom-up, da semplici utenti che condividono le loro idee e esperienze con amici e familiari, sia top-down da creatori “esperti”. Le nuove grandi piattaforme sono dominate, infatti, da persone reali, non da brand, e i contenuti da loro creati sono seguiti da milioni di utenti, riuscendo così a essere più influenti delle grandi marche. Questi creatori “esperti” di UGC sono definiti “influencer”.48

Riassumendo, esistono quindi UGC:

- top-down: creati da utenti popolari e influencer;
- bottom-up: creati da pari;
- condizionati: creati per partecipare ad un’iniziativa promossa da un brand;
- incondizionati: creati per motivi personali.

I contributi possono essere top-down condizionati (ad esempio influencer pagati per recensire un prodotto) e bottom-up condizionati (l’upload di una fotografia per un contest); allo stesso modo possiamo avere contributi top-down incondizionati (blogger di successo che scrive di un prodotto senza sponsorizzazione) e bottom-up incondizionati (fotografie personali e post sui social media non spinti in alcun modo da forze esterne). I confini tra queste quattro categorie spesso possono essere labili. Non è facile, ad esempio, definire con certezza se i video caricati dagli utenti sul sito del marchio GoPro siano nati per divertimento personale o in risposta a una specifica richiesta dell’azienda, ma è possibile indagare le motivazioni che spingono gli utenti a creare, argomento che sarà trattato nel prossimo paragrafo.

Le strategie di marketing sopra elencate mirano alla trasformazione del brand in lovemark. Il concetto di lovemark è introdotto da Kevin Roberts in Lovemarks: the future beyond brands, ed esprime un nuovo tipo di relazione emotiva “romantica” tra marchio e consumatori attraverso gli elementi chiave di mistero, sensualità e intimità. Le campagne sui social media che prevedono l’uso di UGC sono uno dei modi per instaurare questa relazione di “loyalty beyond reason” tanto desiderata dalle aziende. Per iniziare una vera relazione, i lovemarks devono creare numerosi punti di contatto: non solo prodotto e packaging, ma storie, icone, miti, ispirazione. I social network sono il perfetto punto di contatto tra corporate e “persone della strada”, dove i lovemarks possono relazionarsi con i clienti in un continuo corteggiamento e ottenerne il rispetto grazie a empatia e onestà. Negli ultimi anni sono stati realizzati numerosi studi sull’influenza dei social media sull’acquisto di beni e servizi; per il fine di questa tesi, ci soffermeremo in particolare sugli studi che concernono la fruizione e l’influenza esercitata dagli UGC sulle nuove generazioni.

Secondo uno studio del 2014 realizzato da Crowdtap statistics in partnership con Ipsos MediaCT, i Millennials (che oggi hanno dai 18 ai 36 anni) spendono il 30% del tempo trascorso sui media fruendo di contenuti creati da loro pari, suddiviso tra: contenuti di social network (18%), uso di email, chat e servizi di messaggistica (6%) e discussioni riguardo a notizie, prodotti e brand (6%).49 Da questi dati risulta evidente l’enorme valore che questi UGC hanno per i giovani utenti, che li “consumano” volontariamente nel loro tempo libero. Per quel che riguarda gli UGC che commentano, pubblicizzano o criticano un prodotto/servizio, è stato riscontrato che i Millennials li ritengono il 35% più memorabili e il 50% più affidabili rispetto alla pubblicità ufficiale di un brand o di un franchising.50

Secondo uno studio condotto da Bazaarvoice del 2012,51 la maggior parte dei Millennials (65%) considera gli UGC più onesti rispetto a altre informazioni trovate online, e l’86% di loro pensa che gli UGC siano un valido indicatore della qualità del brand, servizio o prodotto. I Millennials si fidano più dei contenuti creati da altri utenti rispetto alle informazioni ottenuti dai canali ufficiali52 e il brand engagement aumenta del 28% quando i consumatori sono esposti contemporaneamente a contenuti professionali ufficiali e a video user generated.

Da uno studio di Elite Daily del 201453 risulta che l’87% dei Millennials usa dai due ai tre diversi device al giorno. Questo dato ci riporta alla convergenza mediatica teorizzata da Jenkins, e sottolinea la necessità per i brand di oggi di essere visibili, interessanti e coerenti su diverse piattaforme contemporaneamente. Lo stesso studio indica che meno del 3% dei Millennials ritiene che i media tradizionali (televisione, riviste, libri) influenzino le scelte di acquisto; per contrasto, i blog sono citati come fonte principale di informazioni dal 33% degli intervistati. È, inoltre, sottolineata l’importanza dei lovemarks per le nuove generazioni, considerato che il 60% dei Millennials dichiara di essere spesso o sempre fedele al brand prescelto.

Un dato importante emerge dallo studio di Offerpop del 2016,54 che rivela come il 53% dei consumatori desidera che i brand dica loro che UGC creare e condividere, ma solo il 16% risponde a questa esigenza. Questo dato rende evidente l’arretratezza di molte aziende, che nell’ era della convergenza non riescono a sfruttare il fortissimo desiderio di partecipazione dei consumatori del nuovo millennio. Infine, secondo Forrester,55 il 48% degli utenti ritiene gli UGC un ottimo modo per scoprire nuovi prodotti.

Tutti questi risultati mostrano la costante crescita del fenomeno UGC come strumento di marketing, il desiderio degli utenti di creare e fruire contenuti amatoriali (anche seguendo regole precise, come ha fatto Starbucks con il White Cup Contest), e la centralità dei nuovi media in questo processo.

1.5 UGC, fan e fandom: che cosa spinge gli utenti a creare

I consumatori oggi detengono il pieno controllo della loro esperienza con i media. Ciò rende indispensabile comprendere le dinamiche e i fattori che guidano tale consumo, e in particolare i fattori che spingono gli utenti a creare UGC. Cosa porta gli utenti di tutto il mondo alla creazione di questi contenuti, se spesso non hanno alcun scopo di lucro?

Secondo uno studio pubblicato su Journal of Interactive Advertising nel 2007,56 considerato pioneristico all’epoca, per comprendere i motivi che spingono alla creazione di UGC è utile attenersi alla Fuctional Attitude Theory (FAT) di Daniel Katz.57 Questa teoria afferma che per comprendere un comportamento è necessario indagare la motivazione che lo ha provocato (definita in inglese “attitude”, atteggiamento). Ogni attitude è generata, secondo Katz, da una o più delle cinque funzioni della personalità presentate nei suoi studi, funzione utilitaria, funzione di conoscenza, funzione ego-difensiva, funzione valore-espressiva, funzione di adeguamento sociale.

La funzione utilitaria si basa sul desiderio di ottenere riconoscimenti e allo stesso tempo di evitare punizioni nella comunità di appartenenza. Gli utenti guidati da questa funzione creano UGC per un qualche tipo di incentivo o guadagno personale, fisico o di status. La funzione di conoscenza si riconosce nelle persone che desiderano acquisire informazioni per comprendere un argomento o un ambiente di loro interesse, e producono UGC in questo senso. La funzione valore-espressiva spinge gli utenti a realizzare UGC per esprimere e condividere con la comunità quei valori e opinioni che considerano importanti. Questo permette loro di affermarsi e sentirsi riconosciuti per quello che si è. La funzione ego-difensiva si basa sulla necessità delle persone di proteggersi e di nascondere le proprie insicurezze; i creatori di UGC mossi da questa funzione partecipano per minimizzare la mancanza di fiducia in se stessi e per sentirsi parte di una comunità. Infine, per la funzione di adeguamento sociale gli utenti creano UGC con lo scopo di apparire piacevoli agli altri, di partecipare ad attività considerate importanti dalla comunità e per interagire con amici e conoscenti.

Secondo lo studio citato, condotto su un campione di 325 partecipanti da tutto il mondo, le motivazioni più forti che spingono alla creazione di UGC sono le funzioni ego-difensive e di adeguamento sociale;58 è, inoltre, emerso dallo studio che il continuo consumo di UGC genera un atteggiamento positivo nella loro creazione.

Carlisle George e Jackie Scerri, autori di uno studio online sulle sfide legali poste dal fenomeno degli UGC,59 ritengono che gli utenti creino questi contenuti per scopi molto diversi, e ne individuano alcuni:

- pubblicità. Siti come Craiglist e Subito permettono di pubblicizzare prodotti in vendita;
- analisi & commenti. I blogger condividono online la loro opinione sui più vari argomenti;
- contribuire alla conoscenza. Siti come Wikipedia permettono agli utenti di condividere le proprie conoscenze per contribuire al sapere collettivo;
- critiche & recensioni. Gli utenti scrivono recensioni sui loro acquisti e servizi sui siti che lo permettono, come Amazon e TripAdvisor;
- divertimento. Gli UGC più vari cadono in questa categoria: video, racconti, fotomontaggi, post, commenti…
- educazione/sostegno. Articoli e contenuti creati e diffusi a scopo educativo, per dare consigli e aiutare altri utenti;
- intenti dolosi. Alcuni utenti possono creare e diffondere UGC per scopi dolosi, (foto e video contro le norme di legge, cyberbullismo, minacce);
- diffusione di notizie. Alcuni utenti attraverso gli UGC diffondono notizie che non vengono trasmesse dalle emittenti nazionali;
- condivisione di foto. Siti come Flickr permettono agli utenti di caricare, cercare e condividere fotografie.

Gli UGC sono sempre più al centro delle strategie di social media marketing. Le corporate riconoscono – o riconosceranno – quanto questi contributi siano importanti per trasformare i loro brand in lovemarks. Per fare ciò, le aziende possono decidere di incentivare gli utenti nella creazione in modo implicito o esplicito.

Gli incentivi impliciti sono premi astratti e intangibili. Sono in genere incentivi sociali: il desiderio di esprimere se stessi (es. blog, fanfiction ), di rafforzare la connessione e le relazioni con altri utenti (es. YouTube), di elevare il proprio status o livello all'interno della comunità (es. Yahoo Answers). Gli incentivi sociali funzionano solo se esiste già una community di media grandezza. Costano poco all'host provider ma contribuiscono molto alla crescita del sito. Gli incentivi espliciti invece si riferiscono a premi tangibili, come ad esempio pagamenti, partecipazione a un contest, voucher, coupon, miglia di volo. Sono incentivi di facile comprensione e funzionano indipendentemente dalla dimensione della community di riferimento. Questi incentivi rischiano, però, di ottenere un effetto negativo, in quanto portano l'utente a pensare di partecipare esclusivamente per l'incentivo e non per il piacere di farlo; si parla di overjustification effect quando, nell'offrire un incentivo finanziario a qualcuno per fare qualcosa che già adora fare, si ottiene una diminuzione dell'interesse e della motivazione nel farlo. La persona infatti comincia a vedere le sue azioni come controllate esternamente e non come piacevoli di per sé.

Gli incentivi sono spesso offerti quando gli utenti sono restii a partecipare; questo non accade nei fandom. I fan si sentono talmente emozionalmente vicini all’oggetto del loro interesse che esso diventa parte integrante della loro vita, sia esso brand o prodotto, e sentono il bisogno di usarlo, condividerlo e manipolarlo. Non è possibile definire con precisione il perché i fan producano UGC, essi producono proprio perché sono fan.

Jenkins reputa i fan un peculiare tipo di pubblico, diverso dalla maggior parte dei consumatori. Un fan, riduzione di fanatic, è una persona entusiasticamente devota a qualcosa o a qualcuno. La parola fan, dal latino “fanaticus”, è stata introdotta nella lingua inglese nel XIX secolo per indicare i fedeli sostenitori di uno sport. Il termine ha per lungo tempo sofferto di una connotazione dispregiativa. Un fan è, infatti, “a person exhibiting excessive enthusiasm and intense uncritical devotion”. Questa “uncritical devotion” è stata spesso svalutata dagli studiosi, che vedevano i fan come degli eccentrici, strambi personaggi infantili innamorati di una saga immaginaria. Gli accademici, prima dei contributi di Jenkins e dei suoi colleghi sull’argomento, si rivolgevano agli appassionati con un linguaggio accondiscendente e un tono di superiorità.60

Ora tutto è cambiato. Secondo Sanvoss, i fan sono “a common and ordinary aspect of everyday life in the industrialized world”.61 I fan studies fanno la loro comparsa negli anni ’80 del secolo scorso con le opere di Joanna Russ62, Patricia Frazier Lamb, Diane L. Veith63, Constance Penley64 e Henry Jenkins, in particolare per quel che riguarda gli studi di genere all’interno dei fandom. Jenkins ritiene che con l’avvento della convergenza queste subculture stiano finalmente ricevendo l’attenzione che meritano. I fan, dice Jenkins, si sono spostati “dai margini della cultura popolare verso il centro del pensiero attuale su produzione e consumo dei media”65 e il loro mondo è diventato “una potente lente per la comprensione di importanti questioni intellettuali”.66

Gli studi sulle comunità dei fan sono molto cambiate negli ultimi vent’anni, focalizzandosi sulla Rete come “luogo” di attività per i partecipanti. Prima dell’avvento di Internet, e la sua conseguente adozione da parte delle community, per essere un fan era richiesta la partecipazione a incontri in luoghi fisici. I confini geografici erano quindi un elemento da non sottovalutare, e i fandom erano spesso peculiarmente locali. Convention, newsletter e fanzine potevano essere scambiati per ridurre la necessità di organizzare incontri faccia e faccia ma il tempo e lo spazio erano spesso nemici della prosperazione di una comunità. Internet ha avuto un grandissimo impatto sull’evoluzione della fan culture : le newsletter sono inviate via posta elettronica, e forum e le chat room permettono ai fan di ogni località geografica di accedere ai gruppi di discussione. I fan si aggregano in un “luogo” online per consumare, creare e condividere la loro cultura.

Un insieme di fan forma un gruppo definito fandom (dall’unione di fan con il suffisso inglese - dom, usato proprio per identificare una collettività di persone). Un gruppo, per essere definito tale, deve avere due caratteristiche:

- un’ideologia sociale condivisa;
- una rete di individui identificabili e osservabili.67

In Textual Poachers, Jenkins descrive i fan come:

readers who appropriate popular texts and reread them in a fashion that serves different interests, as spectators who transform the experience of watching television into a rich and complex participatory culture. . . [These] activities pose important questions about the ability of media producers to constrain the creation and circulation of meanings. Fans construct their cultural and social identity through borrowing and inflecting mass culture images, articulating concerns which often go unvoiced within the dominant media.68

I fan sono dunque un gruppo che consuma un testo (o vari testi) e lo usa come base per creare qualcosa di nuovo adatto alle sue esigenze. Di conseguenza, un fandom può essere definito dal suo consumo di un testo e dalla conseguente produzione di contenuti riguardo quel testo.69 Jenkins individua inoltre i due elementi fondanti del fandom, fascino e frustrazione:

La fandom, dopotutto, è frutto dell’equilibrio tra fascinazione e frustrazione: se il contenuto mediatico non ci avesse affascinato, non ci saremmo lasciati coinvolgere; nel contempo, se non ci avesse frustrati a qualche livello, non avremmo avuto lo stimolo per riscriverlo o rifarlo.70

John Fiske, accademico e autore di otto libri sulla popular culture e sui mass media, divide la partecipazione dei fandom in tre livelli di produttività:

- produttività semiotica: i fan usano il testo per creare significati di identità sociale a livello personale (ad esempio, un fan acquista fiducia in se stesso guardando le avventure del suo personaggio preferito in uno show televisivo);
- produttività enunciativa: i fan esprimono pubblicamente il loro fandom tramite discussioni e/o abbigliamento;
- produttività testuale: i fan producono nuovi testi sulla base del testo ufficiale.

Per essere fan non basta quindi seguire un determinato programma, ma è necessario trasformare la semplice visione in un tipo di attività culturale, condividere con gli amici sentimenti e riflessioni sul contenuto, entrare in una comunità di altri appassionati. Caratteristica principale del mondo dei fan è la capacità di rendere un’attività personale, come la visione di un programma televisivo o la lettura di un libro, in un’attività sociale partecipativa. Per Jenkins la cultura partecipativa di un fandom è “always shaped through input from other fans and motivated, at least partially, by a desire for further interaction with a larger social and cultural community”.71 Per gli appassionati il consumo e l’interazione portano naturalmente alla produzione. Leggere spinge a scrivere, guardare film spinge a ricreare film.72

Sono senza dubbio i fan, quindi, i più prolifici produttori di UGC. Secondo Jenkins, che sul suo blog con orgoglio si autodefinisce un “Aca/fan” (dall’unione delle parole academic e fan), i fan sono sempre stati pionieri delle nuove tecnologie proprio perché il loro amore per gli universi immaginifici è un fortissimo motore di produzione culturale73 e insiste che User Generated Content altro non sia un sinonimo di fan culture.74 I fan sono quel segmento di pubblico che si rifiuta di seguire passivamente l’evoluzione del mondo narrativo, ma vuole partecipare alla sua esplorazione. In questo mondo in cui tutti hanno accesso ai mezzi di espressione creativa e alle reti di supporto alla distribuzione artistica, le creazioni dei fan, prime relegate a piccoli gruppi di nicchia, sono oggi disponibili a tutti grazie al World Wide Web. La Rete ha permesso alla fan culture di espandersi e rendersi visibile, diventando lo spazio partecipativo per eccellenza dove i contenuti grassroots possono fiorire e diffondersi. Online, i fan discutono teorie, scrivono fanfiction, condividono immagini e video dei loro personaggi preferiti, fanno il riassunto di episodi, aprono dibattiti sui significati di film, libri, serie televisive. Molti prodotti amatoriali sono scadenti, ma essendo la cultura partecipativa un sistema aperto, questi prodotti sono sempre migliorabili grazie ai commenti e ai suggerimenti di altri appassionati.

I primi studi mettono in evidenza le differenze di genere che caratterizzano il mondo dei fan e, di conseguenza, la produzione di UGC. Nel 1994, il 94% degli utenti di Internet era uomo, e le donne avevano difficoltà a farsi accettare nel nuovo ambiente virtuale. Ne è derivata una scissione, con la creazione di “spazi” privati a uso e consumo degli utenti di sesso femminile.75 Ancora oggi certi contenuti sono prodotti e fruiti quasi esclusivamente da donne. Per spiegare questa peculiarità è utile soffermarsi sugli studi di David Bleich, che hanno identificato una diversa percezione degli universi narrativi da parte di uomini e donne. Secondo i risultati gli uomini tendono a analizzare le motivazioni dell’autore e percepire gli eventi della narrazione in ordine sequenziale; mentre le donne a colmare i “buchi” lasciati aperti dalla narrazione e approfondire la personalità e le relazioni tra i personaggi.76 Secondo Bleich le donne sono più inclini a giocare liberamente con la trama del racconto, desiderano espandere gli eventi e suggeriscono relazioni tra personaggi non esplicitamente definite nel testo. Il diverso modo di approcciarsi alla narrazione porta, di conseguenza, a un diverso desiderio di contribuire alla sua espansione. Questi dati mostrano come la partecipazione attiva sui media sia più consona alle strategie interpretative femminili rispetto a quelle maschili. Tipicamente femminili sono i fanvideo e le fanfiction.77 Le donne amano indagare e approfondire le relazioni tra i personaggi, e questo le porta a essere proficue scrittrici. Come citato negli studi di Jenkins in Blog, Fan e Videogamers, già negli anni ’70 gli studi sulle fanfiction di Star Trek avevano individuato il 90% degli autori come donne, nonostante all’epoca fossero diffuse tramite fanzine o lettere private.

Intuito il potenziale di una forte base di appassionati, i grandi franchise si stanno piegando al fenomeno del fan service. Con fan service si intende l’attenzione dei produttori ai gusti e ai desideri dei fan, e le conseguenti aggiunte e/o modifiche attuate per soddisfarli. Il fenomeno del fan service è legatissimo alla produzione di UGC; è osservando gli UGC online (forum, fanfiction, fanart ) che i produttori vengono a conoscenza delle preferenze dei fan e decidono di accontentarli per avere un maggiore successo di pubblico. Il fan service nasce con gli anime e i manga giapponesi, ma nell’era della convergenza è stato associato anche ai videogame e agli show trasmessi dai maggiori canali televisivi. L’attenzione all’entusiasmo e alla partecipazione degli utenti determina sempre di più cosa viene prodotto e diffuso. Libri e programmi rispondono sempre di più ai gusti del pubblico perché i produttori sono decisi a sfruttare al massimo gli elementi che attraggono i fan; costruire una brand community è il modo più sicuro per assicurarsi vendite continue grazie alla fedeltà dei consumatori.

In alcuni casi il fan service è visto negativamente dai fan e sua la mancanza è considerata un pregio. Conversazioni di questo tipo si possono leggere nei Subreddit di qualunque franchise. I Subreddit sono forum di nicchia ospitati dalla piattaforma Reddit. In questi forum, regolati da moderatori che si attengono a norme specifiche, i fan discutono di ogni aspetto delle loro opere preferite. In un Subreddit di Star Wars, ad esempio, alcuni utenti considerano L’ultimo Jedi un buon film proprio perché non mira solo ad accontentare i fan. In altri casi, il fan service è considerato divertente e stimolante, e con esso i fan hanno la conferma che i produttori si interessano a loro. Un esempio di “Fan service at its best!”, come lo hanno identificato alcuni fan del Subreddit “freefolks”, potrebbe essere la battuta di Sir Davos nell’ultima stagione de Il Trono di Spade, che commenta “Thought you might still be rowing” alla ricomparsa di Gendry, un personaggio per lungo tempo dato per disperso, sfondando la famosa quarta parete tra pubblico e universo fittizio.

In altri casi il fan service viene contrapposto al “raccontare la storia”. Esiste la percezione che la narrazione non sia “la vera storia” quando viene pesantemente modificata per accontentare i fan. Questo capita per i pairings, ovvero le coppie che si formano nell’universo narrativo. In un sito dedicato agli appassionati inglesi di Arrow si discute della legittimità della coppia Oliver-Felicity esaminando le sceneggiature originali.78

La possibilità di apportare modifiche alla trama è caratteristica delle narrazioni in continua evoluzione, come le serie tv e le saghe editoriali, che diventano terreno fertile per le speculazioni e le creazioni dei fan, i quali sfogano la frustrazione dell’attesa tra una puntata e l’altra condividendo le loro opinioni online. Queste opinioni sono sempre di più considerate un valore, e i produttori potrebbero esserne influenzati per accontentare i fan nella speranza di assicurarsi un totale brand engagement. E, secondo Jenkins, nessuna storia favorisce l’ engagement del pubblico come la continua evoluzione e espansione della narrazione transmediale. Non sorprende, quindi, che siano gli universi transmediali i prescelti dai fan, e di conseguenza i più predisposti a favorire una massiccia produzione di UGC.

[...]


1 JENKINS H., Textual Poachers: Television fans & Participatory culture, Routledge, New York, 1992

2 ROSE F., Henry Jenkins on Spreadable Media, “Deep Media” http://www.deepmediaonline.com/deepmedia/2013/01/henry-jenkins-on-spreadable-media.html (21 febbraio 2018)

3 JENKINS H., Cultura Convergente, Apogeo Education, Santarcangelo di Romagna (RN), 2014, p. XXV

4 Ibidem

5 Ibidem

6 Ibidem

7 MILLER V., Understanding Digital Culture, Sage, Londra, 2011, p. 87

8 JENKINS H., Culture partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo, Guerini Studio, Milano, 2010, p. 69

9 LEVI P., L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 1996

10 Ibi, p. 67

11 JENKINS H., Culture partecipative e competenze digitali. Media education per il XXI secolo, p. 60

12 JENKINS H., Millennials, New Media and Social Change (Part Two), «Confessions of an Aca-Fan. The official Weblog of Henry Jenkins» , http://henryjenkins.org/blog/2017/12/19/millenials-new-media-and-social-change-part-two (21 febbraio 2018)

13 JENKINS H., Millennials, New Media, and Social Change (Part Three) http://henryjenkins.org/blog/2017/12/19/millenials-new-media-and-social-change-part-three (28 febbraio 2018)

14 JENKINS H., Culture partecipative e competenze digitali, p. 70

15 ARTIERI G. , Share This! Le culture partecipative nei media. Una introduzione a Henry Jenkins, Apogeo Education, Santarcangelo di Romagna (RN), 2014, p. 8

16 BRUNS A., Produsage: A Working Definition, http://produsage.org/node/9 (21 febbraio 2018)

17 BAUWENS M., The Political Economy of Peer Production, https://journals.uvic.ca/index.php/ctheory/article/view/14464/5306&gt (21 febbraio 2018)

18 BRUNS A., Produsage Revisited (Uses across Media 2013), http://produsage.org/node/104 (22 febbraio 2018)

19 BRUNS A., Produsage: Key Principles, http://produsage.org/node/11 (22 febbraio 2018)

20 WUNSCH-VINCENT S., VICKERY G ., Participative Web and User-Created Content. Web 2.0, Wikis and Social Networking, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), Parigi, 2007, p. 8

21 LOBATO R., THOMAS J., HUNTER D., Histories of User-Generated Content: Between Formal and Informal Media Economies, «International Journal of Communication», 2011, 5, pp. 899-914

22 WAHL-JORGENSEN K., Letters to the editor in local and regional newspapers: Giving voice to the reader, B. Franklin (Ed.), «Local journalism and local media: Making the local news», 2006, pp. 231-241

23 Ibidem

24 JENKINS, Cultura Convergente, p. 136

25 WUNSCH-VINCENT S., VICKERY G ., Participative Web and User-Created Content., p. 8

26 Ibi, p. 9

27 Ibi, p. 15

28 WUNSCH-VINCENT S., VICKERY G ., Participative Web and User-Created Content, p. 14

29 MONTAGNANI M., Il diritto d'autore nell'era digitale. La distribuzione online delle opere dell'ingegno, Giuffrè editore, 2012, p. 180

30 EFF, Fair Use Principles for User Generated Video Content, https://www.eff.org/files/ugc_fair_use_best_practices_0.pdf (28 febbraio 2018)

31 JENKINS H., Cultura Convergente, p. 138

32 SHEFRIN E ., Lord of the Rings, Star Wars, and Participatory Fandom: mapping new congruencies between the Internet and media entertainment culture, «Critical Studies in Media Communication», Vol. 21, N. 3, settembre 2004, pp. 261-281

33 GRUNIER S., “La più grande minaccia per il giovane mago potrebbe non essere più Voldemort, il signore oscuro. Il più grande nemico di Potter sta prendendo la forma della casa cinematografica Warner Brothers”, Warner Bros. Claims Harry Potter sites, http://www.zdnet.com/article/warner-bros-claims-harry-potter-sites/ (28 febbraio 2018)

34 JENKINS H., Cultura Convergente, p. 134

35 JENKINS H., Millennials, New Media, and Social Change (Part Three) http://henryjenkins.org/blog/2017/12/19/millenials-new-media-and-social-change-part-three (28 febbraio 2018)

36 Principles for User Generated Content Services, http://ugcprinciples.com/ (21 febbraio 2018)

37 Principles for User Generated Content Services, https://ugcprinciples.com/press_release.html (21 febbraio 2018)

38 SCOTT M., Guidelines for Broadcasters on promoting User-Generated-Content and Media and Information Literacy, Commonweath Broadcasting Association, Londra, 2009

39 TUTEN T., SOLOMON M. R., Social Media Marketing. Post-consumo, innovazione collaborativa e valore condiviso, Pearson Education Italia, 2014, pp. 21-32

40 TUTEN T., SOLOMON M. R., Social Media Marketing. Post-consumo, innovazione collaborativa e valore condiviso, pp. 30-31

41 Defining User-Generated Content in today’s digital landscape, https://www.iab.com/wp-content/uploads/2015/08/IAB_Digital_Simplified_UGC_Final.pdf (27 febbraio 2018)

42 Pixlee, https://www.pixlee.com/ (27 febbraio 2018)

43 YORK A., The Ultimate User-Generated Content Guide, https://sproutsocial.com/insights/user-generated-content-guide/ (25 febbraio 2018)

44 Consumers get “buy” with a little help from their friends, http://learn.podium.com/rs/841-BRM-380/images/2017-SOOR-Infographic.jpg (20 febbraio 2018)

45 RODGERS K., Starbucks case study: White Cup Contest, https://kellyrodgersblog.wordpress.com/2014/05/07/starbucks-case-study-white-cup-contest/ (26 febbraio 2018)

46 SIU E., 10 user Generated Content Campaigns that actually worked, https://blog.hubspot.com/marketing/examples-of-user-generated-content, (27 febbraio 2018)

47 TUTEN T., SOLOMON M. R., Social Media Marketing. Post-consumo, innovazione collaborativa e valore condiviso, p. 30

48 IAB, The Marketer’s Guide to User-Generated Content, https://www.iab.com/wp-content/uploads/2015/12/Crowdtap_TheMarketersGuidetoUGC.pdf (27 febbraio 2018)

49 Crowdtap, Social influence: Marketing's New Frontier, http://corp.crowdtap.com/socialinfluence (25 febbraio 2018)

50 Ibidem

51 ComScore, comScore Study Finds Professionally-Produced Video Content And User-Generated Product Videos Exhibit Strong Synergy in Driving Sales Effectiveness, https://www.comscore.com/Insights/Press-Releases/2012/3/comScore-Study-Finds-Professionally-Produced-Video-Content-And-User-Generated-Product-Videos-Exhibit-Strong-Synergy-in-Driving-Sales-Effectiveness (1 marzo 2018)

52 Bazaarvoice, Bazaarvoice and the Center for Generational Kinetics Release New Study on How Millennials Shop http://investors.bazaarvoice.com/releasedetail.cfm?releaseid=649677 (1 marzo 2018)

53 SHAWBEL D., Elite Daily And Millennial Branding Release Landmark Study on

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54 Businesswire, Offerpop Survey Identifies Gaps between How Consumers and Marketers Think about User-Generated Content, https://www.businesswire.com/news/home/20160503005382/en/Offerpop-Survey-Identifies-Gaps-Consumers-Marketers-User-Generated (1 marzo 2018)

55 Forrester, The Purchase Path Of Online Buyers In 2012, https://www.forrester.com/report/The+Purchase+Path+Of+Online+Buyers+In+2012/-/E-RES82001?objectid=RES82001 (1 marzo 2018)

56 DAUGHERTY T., EASTIN M. S., BRIGHT L., Exploring consumer motivation for creating user generated content, «Journal of Interactive Advertising», Vol.8 No.2, marzo 2008, p. 17

57 KATZ D., The functional approach to the study of attitudes, «Public Opinion Quarterly», pp. 163-204

58 DAUGHERTY T., EASTIN M. S., BRIGHT L., Exploring consumer motivation for creating user generated content, «Journal of Interactive Advertising», Vol.8 No.2, marzo 2008, p. 21

59 GEORGE C., SCERRI J., Web 2.0 and User-Generated-Content: legal challenges in the new frontier, 2007, «Journal of Information, Law and Techology», http://go.warwick.ac.uk/jilt/2007_2/george_scerri (20 febbraio 2018)

60 Newsweek, Live Long And Prosper: 'Star Trek’s' 9 Lives, http://www.newsweek.com/star-treks-9-lives-478143 (22 febbraio 2018)

61 SANDVOSS C., Fans. Mirror of Consumption, Polity Press, Malden, 2005, p. 3

62 RUSS J., Magic Mommas, Trembling Sisters, Puritans and Perverts: feminist essays, The Crossing Press, New York, 1985

63 FRAZIER P., VEITH D. L., The romantic myth and transcendence: a feminist interpretation of the Kirk/Spock bond ”, Conferenza sul Fantasy, Boca Raton, 1982

64 PENLEY C., Feminism, psychoanalysis, and the study of popular culture, «Cultural studies» ed. Lawrence Grossberg, Cary Nelson, and Paula A. Treichler, Routledge, New York, 1992, pp. 479–500

65 JENKINS H. , Cultura Convergente, p.XXXV

66 JENKINS H., Fan, Bloggers and Videogamers. L’emergere delle culture partecipative nell’era digitale, Franco Angeli, Milano, 2008, p. 26

67 WIATROWSKI M. , The Dynamics of Fandom: Exploring Fan Communities in Online Spaces, https://www.academia.edu/491940/The_Dynamics_of_Fandom_Exploring_Fan_Communities_in_Online_Spaces (28 febbraio 2018)

68 JENKINS H. , Textual Poachers, p. 23

69 WIATROWSKI M. , The Dynamics of Fandom: Exploring Fan Communities in Online Spaces, https://www.academia.edu/491940/The_Dynamics_of_Fandom_Exploring_Fan_Communities_in_Online_Spaces (28 febbraio 2018)

70 JENKINS H., Cultura Convergente, p. 271

71 JENKINS H., Textual Poachers, p. 76

72 JENKINS H. , Fan, Bloggers and Videogamers, p. 38

73 JENKINS H. , Cultura Convergente, p.131

74 JENKINS H., Transforming Fan Culture into User-Generated Content: The Case of FanLib http://henryjenkins.org/blog/2007/05/transforming_fan_culture_into.html (2 marzo 2018)

75 BURY R., Cyberspaces of Their Own: Female Fandoms Online, Peter Lang, New York, 2005, p. 1

76 BLEICH D., What Literature is 'Ours'? «Reading Sites: Social Difference and Reader Response», ed. Patrocinio P. Schweickart and Elizabeth A. Flynn, Modern Language Association, New York, 2004

77 SENDLOR C., Fan Fiction Demographics in 2010: Age, Sex, Country, http://ffnresearch.blogspot.it/2011/03/fan-fiction-demographics-in-2010-age.html (28 febbraio)

78 VARNEY C., Opinion: Fanservice Or Telling The Story? Has Arrow Crossed The Line With Olicity? https://arrowfansuk.wordpress.com/2015/04/26/opinion-fanservice-or-telling-the-story-has-arrow-crossed-the-line-with-olicity/ (6 marzo 2018)

Final del extracto de 129 páginas

Detalles

Título
User Generated Content (UGC) e Transmedia. L'influenza della cultura partecipativa nelle narrazioni transmediali
Universidad
University of Verona
Curso
Editoria e Giornalismo
Calificación
110/110
Autor
Año
2018
Páginas
129
No. de catálogo
V594217
ISBN (Ebook)
9783346560803
ISBN (Libro)
9783346560810
Idioma
Italiano
Palabras clave
Transmedia Storytelling, TV Series, UGC, Andrea Giovagnoli, Black Mirror, Stranger Things, Thirteen Reasons Why, Charles Dickens, Henry Jenkins, Deep Media, transmedia, multimedia, Frank Rose, cultura partecipativa, user generated content, fandom, millennials, Netflix, ARG
Citar trabajo
Michela Dalla Vecchia (Autor), 2018, User Generated Content (UGC) e Transmedia. L'influenza della cultura partecipativa nelle narrazioni transmediali, Múnich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/594217

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