Leonardo Sciascia - Il giorno della civetta


Dossier / Travail, 2001

20 Pages, Note: 2,0


Extrait


Indice

1 Introduzione

2 Leonardo Sciascia: La sua vita e le sue opere
2.1 Biografia
2.2 Cronologia delle opere

3 Il giorno della civetta
3.1. La trama
3.2. Personaggi e motivi dominanti
3.2.1. Il capitano Bellodi
3.2.2. Don Mariano Arena
3.2.3. Diego Marchica (“Zicchinetta”)
3.2.4. Rosario Pizzico
3.2.5. Calogero Dibella (Parrinieddu”)
3.2.6. Paolo Nicolosi
3.2.7. L’onorevole Livigni
3.2.8. Il ministro Mancuso
3.3. Tecniche narrative e linguaggio

4. La mafia
4.1. Le origini della mafia
4.2. Dalla vecchia alla nuova mafia

5. Epilogo

6. Indice delle fonti

1. Introduzione

«La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità”.[1]

Quale enigmatico messaggio l’anziano capomafia siciliano vuole suggerire al capitano dei carabinieri, protagonista di questo romanzo di Sciascia, durante l’interrogatorio in caserma?

Il capitano Bellodi è un “continentale”[2], proveniente dall’Emilia, si trova in servizio in Sicilia e viene dunque confrontato con una realtà diversa, a lui nuova, complessa di un’isola dalla storia millenaria e con il mistero di numerosi delitti a cui il lettore sarà partecipe.

Seguendo il capitano nella sua indagine, il lettore viene coinvolto in due dimensioni di ricerca: primo nell’individuazione dei colpevoli, per la quale è necessario di trovare le prove d’accusa a carico dei personaggi implicati. E secondo la scoperta della cultura e degli atteggiamenti dei siciliani.

Anche la narrazione viene condotta su due piani, quello dell’inchiesta da parte delle forze dell’ordine e quello delle complicità che subentrano per fermarla o vanificarla.

In questo modo sospetti, intuizioni e piccoli indizi attirano l’interesse e l’attenzione del lettore e nello stesso tempo le rendono inquieto perché questo tipo di narrativa del poliziesco è carica di allusioni che coinvolgono il lettore in interrogativi che dalla dimensione testuale continuamente rimandano alla realtà storica.

L’invenzione e storia, intrigo poliziesco e elementi della realtà sociale e politica del nostro tempo si mescolano dunque in questo famoso romanzo “giallo” in cui l’autore modifica il personaggio tradizionale del poliziotto che consegna alla legge i malfattori, all’interno di una indagine che porta paradossalmente verso una possibile verità e verso l’impossibilità di affermarla.

Quando nel 1961 venne pubblicato Il giorno della civetta, riscosse subito un notevole successo per la narrazione netta ed aspra, ben diversa dal folklore favolistica con cui venivano spesso affrontati i temi meridionalistici.

Vi confluiscono l’impegno civile, la responsabilità del dialogo col lettore, la ricerca delle verità scomode e segrete: i temi di fondo di tutta l’opera narrativa e saggistica di Leonardo Sciascia. Costui si serve della tecnica narrativa del genere giallo in un certo senso un po’ più sleale nei riguardi del lettore, con la quale riesce a far sì che il lettore non lasci a metà il libro.

Lo scrittore, lui stesso di origine siciliana e sempre impegnato a capire la realtà, gli avvenimenti e le persone che lo circondano, ha affrontato più volte con passione e anticonformismo il tema della mafia, ma con questo romanzo ha portato il problema all’attenzione di un grande pubblico.

La peculiarità dell’operazione letteraria che lui è riuscito a creare è proprio l’accento messo sul problema della mafia in un’opera narrativa di largo consumo.

Il racconto trae spunto dall’assassinio del sindacalista comunista Miraglia avvenuto nel 1947 e presuppone la documentata riflessione che l’autore aveva sviluppato sul problema mafioso siciliano. Tra i numerosi interventi ci è utile ricordare un saggio del 1957 nel quale viene dedicato ampio spazio all’analisi del libro Questa mafia, scritto da Renato Candida, comandante del gruppo Carabinieri di Agrigento (trasferito nell’Italia settentrionale dopo la pubblicazione del volume). Nella costruzione del personaggio del capitano Bellodi subentrano infatti tratti di Renato Candida, uno dei pochi funzionari di Stato antifascisti.

La mafia che ci viene presentata in Il giorno della civetta è ancora quella tradizionale, in qualche modo legata a principi e regole “d’onore”, esemplificate dal personaggio di Don Mariano Arena, l’anziano capomafia; ma colpisce oggi noi lettori abituati a fare i conti con le drammatiche notizie sull’emergenza-mafia ciò che l’autore fa dire al protagonista nelle ultime pagine del romanzo: “forse tutta l’Italia va diventando Sicilia…”[3].

La presenza e la pervasività di comportamenti e codici tipici del fenomeno mafioso – l’omertà innanzitutto – evidenziano infatti il tema di fondo del romanzo, il problema delle responsabilità, delle scelte che ciascuno come individuo e cittadino compie nei confronti della collettività e dello Stato. Il capitano Bellodi non si arrende alle false testimonianze e alle trame occulte: è con questo personaggio, è attraverso la letteratura, che Leonardo Sciascia sceglie di affermare la verità contro i soprusi e gli inganni del potere.

2. Leonardo Sciascia: La sua vita e le sue opere

2.1. Biografia

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Leonardo Sciascia è nato a Racalmuto, in provincia di Agrigento, nel cuore della Sicilia l’8 gennaio 1921. Vi abitò per lunghi periodi. Anche se ha spesso soggiornato a Parigi, ma contraddicendo un topos biografico degli intellettuali siciliani, non ha abbandonato la Sicilia. È alla Sicilia che lo scrittore lega quasi tutta la sua opera narrativa e saggistica, facendo della propria terra un osservatorio privilegiato per indagare le radici dei mali storici e sociali che caratterizzano tutta l’Italia. La sua storia ha le radici nella zolfara dove il padre era impiegato e dove già aveva lavorato il nonno, prima come “caruso”, uno dei tanti ragazzini sfruttati nelle miniere della Sicilia di metà Ottocento, poi come amministrativo, avendo imparato a leggere e a far di conto andando a lezione da un prete. I primi compagni di scuola furono figli di zolfatari e di contadini. Un’infanzia povera dunque, ma non misera. L’oppressione del regime fascista non sconvolse particolarmente la vita di un paese povero come Racalmuto. Adolescente, si formò a contatto con l’ambiente culturale di Caltanissetta, dove la famiglia lo iscrisse all’istituto magistrale. In questo periodo Leonardo Sciascia divorava libri, appassionandosi in particolare per la storia. Sono soprattutto le letture a segnare la sua formazione, a radicare l’istintiva avversione verso ogni forma di menzogna e di sopraffazione in una dimensione culturale più vasta e consapevole. Manzoni, gli illuministi Diderot e Voltaire, Pirandello sono punti di riferimento in tutta l’opera, anche narrativa, e oggetto di studio in numerosi saggi critici.

Con l’invasione dell’Etiopia nel 1935 e la guerra di Spagna (1936-1939), l’opposizione di Sciascia al regime fascista diventò netta e assoluta; in seguito, in molte interviste, farà risalire l’impegno civile che contraddistingue tutta la sua attività di scrittore alla capacità maturata sul piano sentimentale ed esistenziale di riconoscere ovunque, in diverse situazioni ed atteggiamenti il fascismo.

Conseguito il diploma nel 1941, trovò lavoro come impiegato negli uffici dell’ammasso del grano, dove durante la guerra veniva regolata la distribuzione del pane, a contatto diretto con il mondo contadino e le molte ingiustizie a cui veniva sottoposto.

Nel 1944, quando si sposò con una giovane maestra, Maria Andronico, in Sicilia la guerra era finita ma continuava nel resto del paese: nell’isola mancava tutto e talora la gente moriva per denutrizione. Tormentati dalla fame sono anche molti degli scolari di Racalmuto, con cui Sciascia iniziò nel 1949 l’esperienza d’insegnante elementare.

Nell’insegnamento Sciascia non si trovò a proprio agio.

Appena possibile, nel 1956, accettò il distacco presso l’ufficio del Patronato scolastico a Caltanissetta, affidando alla scrittura, alle pagine delle Cronache scolastiche la riflessione sulle contraddizioni del proprio ruolo di maestro. Le Cronache scolastiche vengono inserite in seguito ne Le parrocchie di Regalpetra , che nel 1956 segna l’inizio dell’attività letteraria di Sciascia. Egli iniziò dunque la sua attività di scrittore dai personaggi e dai fatti di Racalmuto, rifiutando qualsiasi aspetto folkloristico, come è nella tradizione dei grandi scrittori siciliani, come Verga e Pirandello, a cui si sente legato.

L’indagine sulla storia e sulla realtà sociale della Sicilia divenne una precisa scelta di metodo: la scrittura come strumento per portare alla luce, al di sotto delle apparenze, le verità scomode o spesso taciute.

Negli anni ’60 i temi di fondo dell’opera di Sciascia trovarono una felice soluzione narrativa (la tecnica del “giallo”) nel tentativo di portare alla luce la verità nel complicato groviglio di delitti di mafia commessi in Sicilia.

Si consolidò la notorietà presso il grande pubblico che riconobbe allo scrittore non solo i meriti letterari ma anche l’impegno civile nel denunciare le illegalità e le ingiustizie del potere. In seguito, nell’affrontare il problema della mafia in interventi pubblici e in dibattiti spesso polemici, Sciascia sottolineava soprattutto la pervasività del fenomeno, il diffondersi di comportamenti mafiosi in tutti i settori della nostra società. Mentre in questi anni il governo italiano in Sicilia nega ancora l’esistenza della mafia.

In quegli anni Sciascia esprimeva anche una forte indignazione per l'arretratezza economica della Sicilia, la quale costringeva i siciliani all'emigrazione e forniva linfa al prosperare della mafia (negli anni seguenti sarebbe stato diverso, e la mafia avrebbe goduto proprio dei frutti dello sviluppo economico), facendosi anche portavoce di una classe intellettuale siciliana - illuminata ma politicamente subalterna - già consapevole del fatto che l'autonomia regionale non risolveva niente. E, per una volta in vita sua, Sciascia si lasciava andare a immaginare progetti di sviluppo i quali, in virtù dell'antica felice integrazione con gli arabi, avrebbero dovuto coinvolgere la Sicilia e i paesi africani mediterranei impegnati nel processo di decolonizzazione che appariva a Sciascia un vero "risorgimento" (nel Consiglio d'Egitto (1963) c'è una chiara allusione alla repressione francese in Algeria). D'altronde, la vera Sicilia di Sciascia - quella che egli ogni tanto vagheggia con la fantasia senza ricorrere alla lente della ragione - è quella dei fiumi fluenti d'acque, delle palme rigogliose: una Sicilia tollerante, senza che le generose illusioni dell'illuminismo siciliano siano poi riuscite a recuperarla alla civiltà, se non al livello delle élites intellettuali.

Il lavoro di scrittura intanto continuava anche attraverso l’attenzione alla Sicilia del passato, per rintracciare nella storia le origini dei problemi attuali e qualche atteggiamento di ribellione e consapevolezza civile. Infatti secondo lui, per spiegare le condizioni della Sicilia e il carattere dell’uomo siciliano, bisogna considerare la Storia delle denominazioni straniere dagli Arabi agli Spagnoli, e non il clima, le lunghe estati, le siccità, gli scirocchi come ci viene presentato per esempio in Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La Sicilia del principe di Lampedusa, secondo Sciascia, è una astrazione geografico-climatica e l'uomo siciliano che ne deriva è ugualmente un'astrazione.

Scrittore ormai affermato, si era nel frattempo trasferito a Caltanissetta per far continuare gli studi alle due figlie, alternando le ricerche d’archivio alla collaborazione con grandi quotidiani – Il Corriere della Sera di Milano, La Stampa di Torino – a cui rifiutò di legarsi in modo continuativo per poter intervenire solo quando ne sentiva la necessità. Agli inizi degli anni ’70 divenne sempre più netto il pessimismo nei confronti dell’immobilismo e della doppiezza che caratterizzava, oltre la Sicilia, tutta la vita politica italiana. In questo periodo innescarono dure polemiche contro lo scrittore che metteva sotto accusa insieme al governo i partiti d’opposizione e la stessa generazione del ’68, accusata di velleitarismo. Sciascia denunciò i problemi politici, l’inesistenza della vera democrazia, perché il PCI non formava una vera e propria opposizione alla DC nelle sue direttive politiche.

La scrittura di Sciascia inizia a farsi più difficile, e ritorna a cercare nelle zone d’ombra della storia figure che riescano a rappresentare un malessere più generale.

Comunque anche se lo scetticismo di Sciascia nei confronti dello Stato italiano e del suo sistema aumentò, non si tradusse certo nella rinuncia all’impegno civile.

Nel ’75 venne eletto consigliere comunale a Palermo, dove si era presentato come indipendente nelle liste del Partito comunista. Obiettivo prioritario era la lotta alla mafia, ma le difficoltà e la lentezza delle azioni decise dai partiti presto lo delusero.

Nel ’79 Sciascia divenne deputato alla Camera, eletto come indipendente nelle liste del Partito radicale; si impegnò soprattutto nei lavori della Commissione d’inchiesta sulla vicenda di Aldo Moro, l’esponente della Democrazia Cristiana ucciso nel 1978 dalle Brigate rosse quando si apprestava a presentare in Parlamento un governo appoggiato dai comunisti. Il terrorismo, e la violenza delle Brigate rosse culminata nell’assassinio di Moro, segnano tragicamente il dibattito politico di quegli anni. La posizione assunta da Sciascia, contrario alla lotta armata ma impietoso nel denunciare l’incapacità dello Stato nello sconfiggere i fenomeni eversivi del terrorismo e della mafia e nel proteggere chi ad essi si opponeva, lo espose, isolato, a drammatiche polemiche.

Pertanto la sua attività letteraria continua e possiamo notare che la differenza tra Sciascia ed altri scrittori siciliani, come per esempio Giuseppe Tomasi di Lampedusa, sta soprattutto nel fatto che Sciascia sceglie di non ambientare i suoi libri esclusivamente in Sicilia (solo in Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia (1977) e in Una storia semplice (1989) l'ambientazione siciliana è realmente significativa) e che altri temi s'impongono alla sua coscienza di scrittore europeo: le responsabilità della chiesa cattolica e della scienza, il caso Moro, l'amministrazione della giustizia, la pena di morte, l'intreccio fra criminalità e finanza internazionale. La Sicilia e la mafia sono parte di tutto questo, ma non possono più avere il primo posto: l'ambientazione siciliana di Porte aperte (1987) è incidentale, e la Sicilia diventa spazio del ricordo, della memoria.

Gli ultimi anni lo vedono sempre più impegnato nelle iniziative sui diritti civili, schivo e tenace nell’affermare in ogni situazione la pratica della ragione e della tolleranza.

In una delle sue ultime interviste ci fa presente che scrivere è un atto di speranza. Libera i pensieri dal pessimismo e dalla disperazione e rende allegra l’anima .

Leonardo Sciascia muore il 20 novembre del 1989.

2.2. Cronologia delle opere

- Favole della dittatura, Bardi, Roma, 1950
- La Sicilia, il suo cuore, Bardi, Roma, 1952
- Pirandello e il pirandellismo, Salvatore Sciascia, Caltanissetta, 1953
- Le parrocchie di Regalpetra, Laterza, Bari, 1956. Questo libro segna l’inizio dell’attività letteraria di Sciascia e fù l’occasione per rappresentare con lucidità e ironia le contraddizioni dell’ambiente sociale e dell’epoca storica in cui lo scrittore maturò la propria formazione. Lo scrittore ci fa pubblico la riflessione sulle contraddizioni del proprio ruolo di maestro, ci mostra la vera realtà scomoda e spesso taciuta, nascosta sotto le apparenze. Inserisce in questo libro le Cronache scolastiche, appunti presi nel suo periodo lavorativo da maestro.
- Gli zii di Sicilia, Einaudi, Torino, 1958 (con l’aggiunta de "L’antimonio" nel 1960). Raccolta di racconti in cui molti personaggi rappresentano l’ipocrisia dell’adattamento a ogni tipo di regime in nome del quieto vivere o, al contrario, la scoperta dell’inganno del potere, come nel caso del protagonista del racconto “L’antimonio”. È la storia di un siciliano che si reca volontario in Spagna nell’esercito fascista e nel corso della guerra capisce di aver fatto la scelta sbagliata perché la sua condizione di sfruttamento rimane immutata in Spagna come anche nelle zolfare in Sicilia.

[...]


[1] L. Sciascia, Il giorno della civetta, Perugia, Adelphi Edizioni e la Nuova Italia Editrice, 1993, p. 114

[2] L. Sciascia, op. cit., p. 14

[3] L. Sciascia, op. cit., p. 128

Fin de l'extrait de 20 pages

Résumé des informations

Titre
Leonardo Sciascia - Il giorno della civetta
Université
Johannes Gutenberg University Mainz  (FASK)
Cours
Italienische Literatur des 20. Jahrhunderts
Note
2,0
Auteur
Année
2001
Pages
20
N° de catalogue
V620
ISBN (ebook)
9783638104067
Taille d'un fichier
485 KB
Langue
italien
Mots clés
Leonardo, Sciascia, Italienische, Literatur, Jahrhunderts
Citation du texte
Elisabetta D'Amato (Auteur), 2001, Leonardo Sciascia - Il giorno della civetta, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/620

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